“Il guanto scomparso e il mistero Mattarella: depistaggi e verità negate”
Per il criminologo Vincenzo Musacchio l’inchiesta potrebbe ridare valore al fatto che il delitto non fu voluto solo da Cosa Nostra
Ansa Professor Musacchio, cosa c’è dietro l’arresto di un ex Prefetto nel procedimento penale che riguarda l’omicidio Matterella?
A quasi mezzo secolo dall’omicidio di Piersanti Mattarella, con le indagini riaperte nel tentativo di identificare con precisione gli assassini, la Procura della Repubblica di Palermo ha accusato un ex poliziotto di depistaggio. Secondo il procuratore capo Maurizio De Lucia, Filippo Piritore, allora funzionario della Squadra Mobile diretta da Bruno Contrada, avrebbe «dichiarato il falso e omesso informazioni rilevanti» riguardo a una prova scomparsa: un guanto lasciato dal killer sull’auto utilizzata per tendere l’agguato al presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica, brutalmente assassinato a colpi di pistola il 6 gennaio 1980.
Secondo Lei si trattava di una prova rilevante ai fini delle indagini dell’epoca?
L’oggetto in questione fu definito dal ministro dell’Interno dell’epoca, Virginio Rognoni, durante un intervento in Parlamento due giorni dopo il delitto, come «l’unico elemento che potrebbe appartenere ai criminali». Si trattava pertanto di un reperto probatorio da custodire con la massima attenzione per cercare tracce che certamente sarebbero state utili a identificare gli esecutori materiali del delitto. Quel guanto non si è più trovato e tra le cause ipotizzabili per spiegare tale sparizione, a mio giudizio, vi potrebbe essere anche il depistaggio delle indagini.
Qual è la sua opinione personale in merito?
Io sposo in toto quanto sosteneva Giovanni Falcone circa l’omicidio di Piersanti Mattarella. Per il magistrato palermitano più famoso al mondo per le indagini antimafia, il delitto vedeva coinvolti anche neofascisti sotto il mandato della mafia, per motivazioni che rimandavano a interessi politici e non solo mafiosi. Eppure, dopo più di quarant’anni, rimane il mistero su chi abbia materialmente sparato al presidente della Regione Sicilia.
Che importanza avrebbe potuto avere quel guanto misteriosamente sparito?
Senza alcuna ombra di dubbio il guanto sparito ci avrebbe fornito dati utili a ricostruire la verità. Il prefetto arrestato avrebbe detto di aver affidato il guanto a un agente della polizia scientifica, Giuseppe Di Natale, che poi avrebbe dovuto consegnarlo al magistrato antimafia Pietro Grasso. A quel punto, sempre nella versione dell’ex poliziotto, il pubblico ministero di allora avrebbe chiesto di rimandare il reperto alla scientifica per ulteriori analisi e il guanto sarebbe stato affidato a un altro agente, un certo «Lauricella». Poi più nulla. Questo Lauricella non si sa chi fosse e non è mai stato identificato, mentre, Giuseppe Di Natale sentito dai magistrati ha affermato di non aver mai conosciuto Piritore se non di nome. Pietro Grasso ha categoricamente negato di aver mai ordinato alcunché. Gli unici documenti rinvenuti in questura a Palermo sull’argomento portano la firma del prefetto Filippo Piritore. Quel guanto avrebbe potuto fornire elementi probatori importantissimi per qualificare la matrice del delitto Mattarella sulla quale purtroppo ancora oggi regna sovrano il buio più assoluto.
Lei che idea si è fatta sul delitto Mattarella?
Attraverso lo studio dei documenti processuali, nel tempo, ho consolidato l’idea che il forte legame tra Aldo Moro e Piersanti Mattarella potrebbe essere una chiave interpretativa cruciale per comprendere l’origine di un omicidio così eclatante e meticolosamente pianificato. Mattarella era considerato il naturale erede politico di Moro e, se non fosse stato brutalmente interrotto dal suo assassinio, avrebbe probabilmente continuato a portare avanti il progetto politico dello statista di Maglie, stroncato nel 1978 dalle brigate rosse. Nella Democrazia Cristiana, dominata dall’area cattolica italiana, Moro si era distinto fin da subito per la sua determinazione a voler avviare una lotta concreta contro la mafia, e proprio su questo tema il legame fra lui e Mattarella si era consolidato, diventando progressivamente più forte e irreversibile. Piersanti Mattarella aveva intrapreso un dialogo serio e profondo con il Partito Comunista Italiano e apertura nei confronti delle proposte di azione che da esso derivavano.
Come si legano, secondo Lei, queste due figure politiche così importanti?
Eravamo in quel periodo nella Sicilia di Pio La Torre, apertamente schierato contro la criminalità organizzata. Costruire una collaborazione solida con il PCI per creare un’antimafia politica forte, autonoma e indipendente, anche in riferimento ad un possibile sostegno parlamentare, poteva rappresentare un momento di svolta decisivo nella lotta contro la mafia, sia in Sicilia, sia su scala nazionale. Mattarella perseguiva con crescente intensità l’obiettivo di costruire una nuova visione politica dell’antimafia: non solo parole vuote, ma fatti concreti. In uno dei suoi discorsi più celebri sottolineò quanto fosse urgente liberare la Democrazia Cristiana dall’arroganza e dall’ossessione per il potere, riaffermando un autentico senso dello Stato e il rispetto per ciò che appartiene alla collettività.
Questi intenti potrebbero aver dato fastidio a qualcuno?
Queste parole rivelavano chiaramente il suo intento politico. Mattarella incarnò immediatamente l’immagine dell’homo novus per la DC siciliana. Era un giovane leader con una visione moderna, capace di immaginare una politica regionale coerente con un progetto nazionale ambizioso e aperto a una prospettiva europea più ampia. Lottava per estirpare clientelismi e mafie dalle istituzioni pubbliche, portando un messaggio di speranza straordinario ma anche pericoloso per gli equilibri consolidati tra la mafia e alcune frange della vecchia guardia democristiana colluse con essa. Io sono convinto che se fosse rimasto in vita, il suo impegno, supportato da Moro come Presidente del Consiglio, avrebbe potuto incarnare e soddisfare le necessità di una Sicilia finalmente ricondotta alla legalità, attraverso il superamento delle connivenze mafiose. L’uccisione di Mattarella potrebbe ben essere spiegata con la determinazione con cui portava avanti il suo progetto. Il suo assassinio fu, sempre a mio parere, determinato da una convergenza di interessi criminali e politici che miravano a fermarlo. Da questa prospettiva, il delitto Mattarella non solo segna profondamente la storia siciliana, ma imprime una traccia indelebile anche su quella italiana.
Vincenzo Musacchio criminologo, docente al RIACS di Newark. È noto per il suo impegno nella lotta alle mafie e per la sua attività di formazione in ambiti riguardanti la cultura della legalità. Ha insegnato in diverse università italiane e presso l'Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri in Roma. Attualmente tiene corsi negli Stati Uniti, insegnando strategie di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale a membri delle forze di polizia, inclusa la Polizia Metropolitana di New York. È associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA) e ricercatore presso l'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. È stato allievo di Giuliano Vassalli e ha collaborato con Antonino Caponnetto, oltre a essere stato in contatto epistolare con Giovanni Falcone. Concentra i suoi studi sulla criminologia delle organizzazioni mafiose e sul narcotraffico internazionale. È artefice di programmi educativi, come il progetto "Legalità Bene Comune" nelle scuole di ogni ordine e grado. Interviene regolarmente in trasmissioni televisive della RAI a livello nazionale come “Presa Diretta”, “Newsroom” e “Report” e su altre testate nazionali e locali per commentare vicende di mafia e criminalità. Ha scritto numerosi libri e articoli su temi di diritto penale e criminologia. Nel 2019 a Casal di Principe gli viene conferita la Menzione Speciale al Premio Nazionale "don Giuseppe Diana" dai familiari del sacerdote assassinato dalla camorra. Il 27 dicembre 2022 il Presidente della Repubblica gli conferisce l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Il suo lavoro contro le mafie gli ha causato minacce di morte, che non hanno comunque interrotto la sua attività antimafia.
Fonte: www.rainews.it
