La nuova strategia di guerra ai narcos. Trump pronto ad attaccare il Venezuela?
Il criminologo Vincenzo Musacchio: “La guerra ai narcos può essere un pretesto, l’attacco, a mio parere, è connesso a una questione di equilibri geopolitici in America Latina”
Afp Dopo i recenti raid della polizia a Rio de Janeiro, Trump minaccia di attaccare il Venezuela, che cosa sta succedendo? Cambia il modo di combattere il narcotraffico internazionale?
In realtà gli attacchi in acque internazionali ci sono già stati. Il primo avvenuto il 2 settembre scorso contro un’imbarcazione partita dal Venezuela e affondata nel mar dei Caraibi, dove gli Stati Uniti hanno schierato varie navi da guerra contro il narcotraffico. Il secondo attacco è avvenuto il 15 settembre sempre contro un’imbarcazione che pare trasportasse cocaina e fentanyl in pacchi che poi sarebbero stati visti galleggiare. Secondo i principali media americani, attacchi diretti al territorio venezuelano potrebbero essere imminenti. Nove navi da guerra statunitensi nell’area non sono lì per propaganda militare. Questi attacchi sicuramente non possono essere la nuova strategia di lotta al narcotraffico internazionale e sono inaccettabili sia in punta di diritto sia dal punto di vista fattuale. La lotta ai narcos non si conduce in questo modo e con questi mezzi. Oltre 130 morti in Brasile a Rio e circa 70 uccise negli attacchi dell’esercito americano in acque internazionali contro imbarcazioni che, dice Trump, trasportavano droga non colpiscono né i narcos tantomeno il narcotraffico. La rotta venezuelana è la meno praticata, ci sono quelle messicane e colombiane e tante altre ancora, quindi, queste operazioni non hanno alcuna valenza pratica nel contrasto al narcotraffico internazionale.
Il presidente del Venezuela Maduro ha chiesto aiuto a Cina, Russia e Iran, c’è il rischio possibile di un’escalation militare?
Mi sembra che in questo momento di grandi assestamenti della geopolitica internazionale tutti sembrano essere cauti. Trump per ora smentisce imminenti attacchi, Putin e Xi sembrano molto guardinghi nell’invio di armi al Venezuela. Certamente la situazione non è per nulla confortante dal punto di vista militare. Un attacco con l’obiettivo di distruggere le installazioni militari utilizzate per il traffico di droga in realtà non sortirebbe alcun effetto sull’assetto del narcotraffico nell’area latinoamericana, ma potrebbe rompere gli attuali e precari equilibri geopolitici di quell’area.
Ci sono precedenti simili nella storia della guerra al traffico di sostanze stupefacenti?
In quell’area geografica, a me viene in mente Manuel Noriega il generale dittatore che comandava Panama e il suo canale, che, tra l’altro, era stato un fedele alleato degli Stati Uniti. Poi, alla fine degli anni Ottanta, fu accusato prima dal governo e poi dalla giustizia americana di essere al centro del traffico di cocaina. George H. Bush nel 1989 invase Panama, giustificando l’azione militare con la volontà di combattere il narcotraffico internazionale. L’operazione fu un insuccesso totale. Lo dimostra, senza controprova possibile, il fatto che Panama oggi offre numerosi rifugi alle lance che portano la droga negli Stati Uniti ed è sotto la protezione dei cartelli messicani e colombiani. L’influenza di queste due organizzazioni criminali è talmente forte che Panama è considerato dagli esperti il paradiso fiscale più antico e meglio organizzato fuori d’Europa dove è possibile riciclare milioni di dollari sporchi proprio frutto del narcotraffico. È sicuramente la base di numerose compagnie di facciata per riciclare ed evadere le tasse.
Perché allora Trump insiste nel dire che il Venezuela è responsabile della gran parte delle morti per droga negli Stati Uniti?
Bisognerebbe capire da dove trae questi dati. Noi con una semplicissima ricerca online abbiamo riscontrato che i morti per droga (overdose) l’anno scorso (2024) negli Stati Uniti sono stati ottantamila (dati ufficiali controllabili nel sito dell’United States Centers for Disease Control and Prevention). Oltre il sessanta per cento di tali morti è stato causato dal Fentanyl o da oppioidi sintetici, non dalla cocaina. I responsabili di queste droghe sono i cartelli messicani e colombiani e non di certo il Venezuela.
Allora perché ipotizzare addirittura un’invasione del Venezuela?
Perché la lotta alla droga, anche se realizzata con metodi brutali e illegali, in qualche caso può portare consensi. Perché il Venezuela è un’area geopoliticamente importantissima essendo tra i maggiori produttori di petrolio al mondo e alleato di altre due superpotenze mondiali: Cina e Russia. Il Venezuela possiede immense risorse naturali, gas, ferro, bauxite, oro e diamanti. L'economia si basa in gran parte su queste risorse, ma ha anche un settore agricolo che produce mais, riso, sorgo e frutta. I motivi possono essere molteplici e tutti plausibili tranne la lotta al narcotraffico che non ha alcun fondamento politico-criminale.
Arrivati a questo punto, secondo lei, quali sono le strategie di lotta al narcotraffico internazionale più produttive di effetti?
La soluzione ottimale è sicuramente quando la Comunità Internazionale collabora con le autorità di polizia e di magistratura degli Stati interessati e non le singole azioni unilaterali basate solo sulla forza. C’è bisogno di coinvolgere a pieno la società civile per affrontare la criminalità organizzata radicata in quei territori. Quando la società civile non si fida delle sue istituzioni, si deve lavorare su questa grave distonia. Ecco perché credo che sia urgente e importante iniziare a costruire istituzioni forti e credibili in quelle zone. La lotta alla criminalità organizzata non può essere combattuta con la forza bruta, occorrono nuove politiche criminali e sociali, moderne strategie di lotta che coinvolgano a livello mondiale i diritti umani e le libertà civili. Le politiche sociali ed economiche devono essere finalizzate a convincere, con i fatti, proprio quelle popolazioni che vivono dei benefici concessi dalle mafie. Non semplici misure anti-povertà o sussidi economici ma lavoro (alternativo a quello nelle piantagioni di coca inteso come unica speranza di sopravvivenza) e diritti sociali. In molti “Narco-Stati” l’illegalità può essere considerata legale e quest’aspetto non va assolutamente sottovalutato. Sono convinto che occorra realmente fare realmente squadra a livello internazionale e riuscire condividere le strategie comuni capaci di consentire una reazione a questo tipo di criminalità particolarmente difficile da estirpare. Bisogna coinvolgere tutti i Paesi direttamente interessati.
Vincenzo Musacchio criminologo, docente al RIACS di Newark. È noto per il suo impegno nella lotta alle mafie e per la sua attività di formazione in ambiti riguardanti la cultura della legalità. Ha insegnato in diverse università italiane e presso l'Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri in Roma. Attualmente tiene corsi negli Stati Uniti, insegnando strategie di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale a membri delle forze di polizia, inclusa la Polizia Metropolitana di New York. È associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA) e ricercatore presso l'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. È stato allievo di Giuliano Vassalli e ha collaborato con Antonino Caponnetto. Concentra i suoi studi sulla criminologia delle organizzazioni mafiose e sul narcotraffico internazionale. È artefice di programmi educativi, come il progetto "Legalità Bene Comune" nelle scuole di ogni ordine e grado. Interviene regolarmente in trasmissioni televisive della RAI a livello nazionale come “Presa Diretta”, “Newsroom” e “Report” e su altre testate nazionali e locali per commentare vicende di mafia e criminalità. Ha scritto numerosi libri e articoli su temi di diritto penale e criminologia. Nel 2019 a Casal di Principe gli è stata conferita la Menzione Speciale al Premio Nazionale "don Giuseppe Diana" dai familiari del sacerdote assassinato dalla camorra. Il 27 dicembre 2022 il Presidente della Repubblica gli ha conferito l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Il suo lavoro contro le mafie gli ha causato minacce di morte, che non hanno comunque interrotto la sua attività antimafia.
Fonte: www.rainews.it
