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In Egitto la firma dell'accordo Israele-Hamas: la partita di Trump può cambiare il Medio Oriente
Visita-lampo per parlare alla Knesset, poi a Sharm per siglare il cessate il fuoco. La strategia del tycoon per mettere all'angolo Netanyahu, pensando al contesto mediorientale degli Accordi di Abramo. E senza dimenticare il Nobel per la pace
Afp Mentre prosegue il trasferimento della popolazione civile del sud al nord di Gaza, con il progressivo aumento dell’afflusso di aiuti umanitari - e i paralleli trasferimenti dei prigionieri palestinesi, che Israele rilascerà in cambio della liberazione degli ostaggi da parte di Hamas - gli occhi della diplomazia mondiale sono puntati sull’Egitto, su Sharm el-Sheik, ultima sede dei decisivi colloqui tra le due parti che hanno portato all’accordo sul cessate il fuoco, raggiunto tra mercoledì e giovedì scorsi sulla base del Piano di pace in 21 punti proposto dal presidente americano Donald Trump.
Ed è proprio sul capo della Casa Bianca che si concentreranno i riflettori, per il ruolo giocato in questa complicatissima partita, alla luce di un successo personale che, se verrà confermato dai fatti, costituirà probabilmente il fiore all’occhiello della sua seconda presidenza (almeno finora).
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Tutto pronto per l'arrivo di Trump in Israele
È stata chiamata Scudo Blu 6 la gigantesca operazione di sicurezza per l'arrivo del presidente degli Stati Uniti, previsto domattina per le 9.20 ora locale (le 8.20 in Italia). Sarà la prima visita da quando è tornato alla Casa Bianca a gennaio, l'ultima risale al 2017, durante il primo viaggio internazionale da presidente del precedente mandato. All'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv già sventolano le bandiere americane accanto a quelle israeliane.
Accolto dal presidente di Israele Isaac Herzog, dal premier Netanyahu con la moglie Sara, dal leader dell'opposizione Yair Lapid, il Commander in chief si sposterà in convoglio blindato verso la Knesset a Gerusalemme, dove firmerà il libro degli ospiti e visiterà l'Ufficio del presidente del Parlamento, Amir Ohana. Alle 10.45 incontrerà il primo ministro, il presidente Herzog e le famiglie degli ostaggi, e alle 11 terrà un discorso alla plenaria.
Le autorità israeliane hanno messo in campo quattromila agenti per garantire la sicurezza. Lungo l'autostrada da Tel Aviv a Gerusalemme sono state sistemate le bandiere Usa “come simbolo di benvenuto e rafforzamento dei legami tra i due Paesi”.
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La cerimonia della firma degli accordi, presente anche l’Italia con Meloni
La cerimonia di lunedì per la firma dell’accordo tra Israele e Hamas sarà copresieduta dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, oltre a Trump. La conferma arriva dai media del Cairo, secondo i quali sono stati ufficialmente invitati anche i leader di Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Turchia, Arabia Saudita, Pakistan e Indonesia. In rappresentanza di Roma, parteciperà Giorgia Meloni.
Il vertice è stato al centro di un colloquio telefonico preparatorio, tenutosi ieri, tra il ministro degli Esteri del Cairo, Badr Abdel Aty, e l'omologo Usa, Marco Rubio. Per ora, non sarebbe prevista la partecipazione di Benyamin Netanyahu. Stesso discorso, per l'altra parte: non ci saranno esponenti di Hamas ma solo i negoziatori.
L'Autorità nazionale palestinese non è stata invitata, come riferisce l'edizione online del quotidiano Haaretz, rilanciando quanto riportato dall'emittente tv del Qatar Al-Araby Al-Jadeed sul proprio sito, citando una fonte di alto livello. A condizione di restare anonima, la fonte ha dichiarato che “l'Egitto non ha invitato l'Anp alla Conferenza di Sharm el-Sheikh a causa dell'assenza dell'Anp dal Piano del presidente Trump per la Striscia di Gaza”. La leadership palestinese, sostiene la stessa fonte, ha contattato il presidente egiziano al-Sisi, che in qualità di ospite ha diramato gli inviti ai leader partecipanti al summit, chiedendogli di ricevere privatamente il presidente dell'Anp Mahmoud Abbas, “per riaffermare che la leadership palestinese rimane l'unico rappresentante legittimo dei palestinesi”. Ma a questa richiesta, spiega la fonte, al-Sisi non ha dato risposta.
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La visita-lampo di Trump in Israele prima di andare a Sharm
Prima di volare verso la nota località turistica sul Mar Rosso, il tycoon terrà una visita-lampo in Israele in seguito al rilascio degli ostaggi (su 48, una ventina ancora in vita) - rilascio previsto nella notte tra domenica e lunedì e comunque entro mezzogiorno del 13 ottobre - e per parlare davanti al Parlamento israeliano, la Knesset.
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Superata la prima fase, si vedrà come proseguirà il consolidamento dell’intesa
Uno sfoggio di gloria, quindi, quello che Donald Trump si appresta a fare in Medioriente, proprio la dose giusta di vanto per alimentare l’ego del presidente. Eppure, se sarà vera gloria, lo si potrà dire solo nei mesi successivi. Se cioè l’accordo su cui Hamas e Israele apporranno le loro firme terrà. Se, in altre parole, si getteranno davvero le basi per un cambio di scenario radicale nella Striscia di Gaza. Se, oltre alle armi, taceranno le rivendicazioni e le rivalse e, quindi, se si potrà procedere al consolidamento dell’intesa, potendo quindi ragionare sul post. In primis, sulla governance politico-amministrativa, che secondo l’idea di Trump dovrebbe essere gestita da Tony Blair ma su cui, ad esempio, la parte palestinese si è subito detta contraria.
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Il fattore “Bibi”
È un fatto, tuttavia, che Trump sia riuscito a mettere nell’angolo Bibi Netanyahu, suo grande alleato e amico (affetto ricambiato), che però presenta non poche divergenze rispetto al tycoon. Doppiogiochista, opaco, ambiguo, il premier israeliano negli anni ha fatto perdere la pazienza a diversi inquilini della Casa Bianca, avendone incrociati diversi da primo ministro più a lungo in carica. E anche Trump ha sbottato con lui, quando sembrava che l’accordo rischiasse di saltare (forse il vero auspicio di Netanyahu, per avere il pretesto di portare avanti i combattimenti): “Sei così fottutamente negativo” si è lamentato il tycoon.
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Il cambio degli equilibri mediorientali
Allargando lo sguardo, nella strategia trumpiana – molto più lucida di quanto i detrattori siano portati ad ammettere – c’è la ripresa/riscrittura degli Accordi di Abramo, il grande programma di rilancio degli accordi tra Israele e importanti partner statunitensi nell’area, a partire dagli emirati arabici su cui il presidente ha fatto leva per costringere Bibi a trattare e ad accettare la fine delle ostilità.
L’attacco israeliano del 9 settembre a Doha, alla sede usata da Hamas per i negoziati, infatti, è stato quasi il superamento di una linea rossa, che ha indotto il capo della Casa Bianca a fare pressione su Israele perché non compromettesse ulteriormente la situazione, consapevole di quanto fosse prezioso l’apporto del neutrale Qatar nel suo ruolo di mediatore.
Trump e la chiamata di Machado: "Ha detto: meritavi il Nobel. Non le ho risposto: allora dallo a me"
Il Premio Nobel per la pace… per il prossimo anno?
Intanto, è stato assegnato il Premio Nobel per la pace 2025. E Trump (che non aveva fatto mistero di ambire a ottenerlo, anzi…) è rimasto deluso: a vincerlo è stata Maria Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana, che nel commentare la notizia ha detto di dedicarlo al presidente Usa. Il quale oggi ha scherzato con i cronisti nello Studio Ovale, già pensando al Nobel del 2026.
Fonte: www.rainews.it
