Il Cile svolta a destra, Kast è il nuovo presidente
José Antonio Kast, di estrema destra, con il 58% vince il ballottaggio contro la candidata della sinistra Jeanette Jara ferma al 41%
AFP Il risultato era largamente atteso, visti i numeri del primo turno.
I voti dell'elettorato di destra e centrodestra, che al voto del mese scorso si erano divisi su diversi candidati consentendo alla comunista Jeannette Jara di arrivare prima, stavolta si sono riversati su José Antonio Kast: un populista di estrema destra, nostalgico del dittatore Pinochet e ammiratore dichiarato delle politiche di Donald Trump.
E infatti Kast ottiene circa il 58% delle preferenze, lasciando indietro Jara al 42% circa.
A spoglio ancora in corso, quando l'esito si è consolidato, Jara ha ammesso la sconfitta congratulandosi con l’avversario: “La democrazia ha parlato forte e chiaro. Ho appena contattato il presidente eletto José Antonio Kast per augurargli successo per il bene del Cile”, ha scritto Jara su X. “A coloro che ci hanno sostenuto e hanno aderito alla nostra candidatura, sia chiaro che continueremo a lavorare per migliorare la vita nel nostro Paese. Insieme e a testa alta, come abbiamo sempre fatto”.
Al termine di una lunga campagna elettorale centrata sui temi della sicurezza e della immigrazione, si è concretizzata in questo modo una drastica svolta a destra - che porta il Cile in uno scenario inedito dal ritorno della democrazia nel 1990.
Kast arriva alla presidenza a 59 anni e al terzo tentativo di insediarsi nel palazzo de La Moneda. Gli elettori cileni, stimolati a discutere della crescente presenza di gang venezuelane e dell'incremento del tasso di omicidi, hanno premiato la sua ricetta di pugno di ferro contro delinquenza e immigrazione clandestina.
Nell'ultimo dibattito televisivo il leader dell'ultradestra aveva promesso la chiusura delle frontiere e aveva dato 92 giorni di tempo ai residenti illegali per lasciare il Paese, esattamente il tempo che intercorre tra il ballottaggio e l'insediamento alla presidenza, l'11 marzo. Le sue parole avevano peraltro subito scatenato una crisi al confine settentrionale con il Perù, dove si erano riversati centinaia di migranti, principalmente venezuelani, in cerca di rifugio.
Il tema “sicurezza” è per molti versi una psicosi indotta e sfruttata politicamente: il Cile è tra i Paesi più sicuri di tutta l'America Latina. Ma ha avuto un impatto anche sulla campagna della candidata della sinistra Jara, costretta nelle ultime settimane a inseguire l'avversario sul suo campo parlando di lotta alla criminalità e lasciando più in ombra le promesse di crescita economica e riduzione della diseguaglianza.
Dopo aver depositato la scheda nell'urna, Kast ha assicurato domenica che in caso di vittoria sarebbe stato "il presidente di tutti i cileni al di là delle differenze politiche", mentre Jara, in un ultimo tentativo di recuperare voti, ha preso le distanze dal presidente uscente e suo alleato, Gabriel Boric: "Posso rispondere solo per il mio operato come ministra del Lavoro, posso parlare della riforma della previdenza sociale, della riduzione della giornata lavorativa a 40 ore settimanali, della ripresa dell'occupazione con 580.000 posti di lavoro e dell'aumento del salario minimo", ha detto.
A soli sei anni dalle proteste sociali del 2019 che proiettarono Boric alla presidenza e a trentacinque dalla fine da una delle dittature più lunghe e sanguinarie del mondo, il Cile vede tornare adesso alla presidenza uno dei più convinti difensori del governo militare. Kast è infatti il primo presidente che votò a favore di Pinochet nello storico plebiscito del 1988, quello che impedì al dittatore cileno di perpetuarsi al potere.
Fonte: www.rainews.it
