Voto regionale, effetti nazionali
Fico e Decaro rilanciano il campo largo, Zaia e Stefani fermano FdI in Veneto. Più equilibrio nel centrodestra, le opposizioni testano l'alternativa. Per pochi voti Nichi Vendola resta fuori dal Consiglio pugliese, sorpresa Novax in Veneto
Se c'è un dato che unisce Verona, Napoli e Bari dopo il voto, è la scarsa frequentazione da parte degli elettori dei seggi elettorali. Con un'affluenza media che fatica a raggiungere il 45%, il vero campanello d'allarme di queste regionali 2025 è la disaffezione.
Tuttavia, il dato politico è netto e restituisce una fotografia dell'Italia a due colori: il Veneto di Alberto Stefani si conferma roccaforte della Lega (nonostante il cambio della guardia post-Zaia), mentre il Sud diventa il laboratorio vincente del "Campo Largo", con le vittorie di Antonio Decaro in Puglia e Roberto Fico in Campania. Un 2-a-1 per le opposizioni che non fa traballare il governo nazionale, ma impone una riflessione a Palazzo Chigi.
Questo 2025 si chiude comunque con un pari e patta tra le due coalizioni: ognuno tiene le proprie. Puglia, Campania e Toscana restano “rosse”; Marche, Calabria e Veneto “nere”.
Stefani: "Sarò 'sindaco' dei cittadini e presidente di tutti" e dedica la vittoria ai nonni
Veneto, la continuità nel segno di Stefani (e l'ombra di Zaia)
Il "Doge" non c'è più, viva il Doge. La scommessa della Lega su Alberto Stefani è vinta: nonostante i timori della vigilia e la pressione di Fratelli d'Italia per avere un proprio candidato, il Carroccio ha tenuto il punto e l'elettorato ha risposto.
Ma fondamentale è stata la presenza di Luca Zaia come capolista. A scorrere le preferenze della Lega in ogni singola provincia, l’ex presidente di Regione raccoglie più preferenze di quante, tutti insieme, ne raggiungano i candidati della Lega. Alla fine supera abbondantemente le 200mila preferenze facendo da traino alla Lega e dimostrando che in Veneto il voto è ancora fortemente territoriale e legato all'amministrazione uscente. Stefani, giovane (33 anni) ma politicamente già esperto, raccoglie dunque un'eredità pesante garantendo continuità.
Nel centrosinistra Giovanni Manildo, nonostante una campagna elettorale dignitosa e unitaria, non è riuscito a sfondare il muro dell'identità autonomista veneta. Il divario rimane incolmabile nella provincia profonda (Treviso e Vicenza), mentre il PD recupera solo nei grandi centri urbani.
Salvini quindi respira. Il Veneto non è diventato "meloniano": una paura forte, dopo le politiche e le europee. Questo risultato riequilibra i rapporti di forza dentro la maggioranza di governo: la Lega è viva, il Nord pretende risposte sull'autonomia e la Lega rimane il primo partito della regione, arginando l'opa di Fratelli d'Italia. Ma il respiro di Salvini rischia di essere un po’ affannoso. Alle scorse europee la Lega ha retto per le 300mila preferenze di Vannacci che spesso si trova in posizioni autonome dal Carroccio. Ora, in Veneto, tiene grazie a Zaia che, privo di incarichi, può rappresentare una alternativa istituzionale, moderata e “bianca” alla segreteria del partito.
La sorpresa Szumski, l'antisistema novax che approda in Consiglio regionale
L'ingresso di una lista dichiaratamente antisistema in Consiglio Regionale segna l'istituzionalizzazione del dissenso post-pandemico: la protesta ha abbandonato le piazze ed è diventata seggio, superando la soglia di sbarramento e dimostrando di essere uno "zoccolo duro" (sopra il 5%) e non un fenomeno passeggero. Politicamente, questo risultato certifica una frattura di fiducia insanabile tra una parte dell'elettorato veneto e la gestione sanitaria/statale "classica" (inclusa quella della Lega di Zaia/Stefani).
Il voto a Szumski non è solo sanitario, ma raccoglie il malcontento trasversale verso il "controllo sociale" e la delusione di un elettorato identitario ed autonomista che si è sentito tradito dal mainstream. Per la maggioranza di centrodestra, pur solida nei numeri, si apre una fase inedita: avere in aula una voce così radicale significa dover affrontare costantemente dibattiti su temi "divisivi" (OMS, sovranità sanitaria, gestione emergenze), trasformando l'aula in un tribunale ideologico e costringendo la Lega a difendersi sul suo stesso fianco destro.
Fico: “Vittoria netta sul governo Meloni, ora lavorare per il nazionale"
Campania, il laboratorio "giallo-rosso e moderato" funziona con Fico
La Campania segna la svolta più significativa. Non c’è infatti continuità con l’amministrazione precedente. La vittoria di Roberto Fico (M5S sostenuto dal PD e da un'ampia coalizione civica) chiude definitivamente l'era De Luca e apre una fase nuova.
Qui il "Campo Largo" ha trovato la sua forma perfetta. La figura di Fico, istituzionale (ex Presidente della Camera) ma identitaria per i 5 Stelle, ha saputo unire l'elettorato grillino dello zoccolo duro e quello democratico orfano del "deluchismo". L'incognita della vigilia — il comportamento di Vincenzo De Luca dopo lo stop al terzo mandato — si è risolta in un appoggio (seppur tiepido o negoziato con qualche candidato d’area “deluchiana”) che ha evitato il sabotaggio.
Il centrodestra è sconfitto nettamente. La coalizione di governo paga la mancanza di un candidato altrettanto forte e radicato, forse sconta le polemiche nazionali sui fondi di coesione e l'autonomia, temi sensibilissimi a Napoli e provincia. Ma questo, per il centrodestra, era un risultato atteso.
Decaro: "Farò il presidente a modo mio, non voglio essere un duro"
Puglia, l'effetto Decaro e la successione morbida
In Puglia non c'è stata partita, o quasi. Antonio Decaro ha trasformato il consenso plebiscitario ottenuto come sindaco di Bari e presidente ANCI in voti regionali.
Decaro rappresentava l'usato sicuro. Più empatico di Emiliano, meno divisivo, capace di parlare ai moderati e al mondo produttivo. La sua vittoria è personale prima che politica. Quelle presenze “pesanti” di cui si parlava al momento della candidatura non ci sono state. È stato sostenuto apertamente da tutti, comprese le figure che potevano fargli ombra come lo stesso Emiliano e Nichi Vendola, governatori prima di lui. Vendola peraltro non riesce ad entrare nemmeno in Consiglio regionale, poiché Alleanza Verdi e Sinistra non riesce a ottenere un seggio per 2mila voti.
Il rapporto con i 5 Stelle è buono. L'alleanza è stata più organica, frutto di anni di governo comune in giunta regionale. La Puglia si conferma la regione più "bipartisan" del centrosinistra: PD e M5S governano insieme senza troppi scossoni.
Nonostante la Puglia sia la terra di esponenti di governo di primo piano (come Fitto, ora in UE), il centrodestra non ha trovato l'antidoto al "Sistema Puglia" costruito dal centrosinistra negli ultimi 20 anni.
Cosa cambia per i leader nazionali
Elly Schlein (PD) ne esce rafforzata. Vincere in due regioni chiave del Sud (anche grazie all'alleanza con Conte) dimostra che l'alternativa esiste ed è competitiva se unita. Il "modello Napoli" e il "modello Bari" sono le carte da giocare per il futuro.
Giorgia Meloni (FdI) perde al Sud, ma non è un crollo. La sconfitta nel Mezzogiorno era preventivabile date le tensioni sul reddito di cittadinanza e l'autonomia, ma la tenuta del Veneto a nord (anche se a trazione leghista) evita il pericolo. Il problema è gestire ora un Salvini rivitalizzato.
Il partito dell'astensione è una sorta di “vincitore morale”. L'affluenza crolla vertiginosamente, sintomo di una frattura sempre più profonda tra istituzioni e cittadini, specialmente al Sud. Un governatore eletto con il 40% del 45% degli elettori ha una legittimità politica forte, ma una rappresentatività sociale debole.
Fonte: www.rainews.it
