Trentini da un anno in carcere in Venezuela senza accuse. La mamma: "Governo si è speso troppo poco"
Il cooperante di Venezia si trova nel carcere El Rodeo I. I rapporti di Amnesty e IACHR, gli appelli della società civile, le trattative per riportarlo a casa: cosa è successo in questi 365 giorni
Alberto Trentini, cooperante italiano di 46 anni originario del Lido di Venezia, è stato arrestato in Venezuela il 15 novembre 2024 mentre era impegnato in una missione umanitaria con l’ONG Humanity & Inclusion. Il suo arresto è avvenuto senza contestazione chiara di accuse: è stato fermato durante un controllo mentre viaggiava da Caracas a Guasdalito. Da allora è detenuto nella prigione di El Rodeo I, nella periferia di Caracas, in condizioni di isolamento e senza poter comunicare regolarmente con la famiglia o gli avvocati. Trentini soffre di ipertensione e ha accesso limitato alle cure mediche, con gravi rischi per la sua salute.
Oggi la mamma, Armanda Colusso, parla in una conferenza stampa a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano: "Fino ad agosto il nostro governo non aveva avuto alcun contatto col governo venezuelano. Fino ad agosto. E questo dimostra quanto poco si sono spesi per mio figlio".
E prosegue: "Sono qui dopo 365 giorni a esprimere indignazione. Per Alberto - aggiunge - non si è fatto ciò che era doveroso fare. Sono stata troppo paziente ed educata ma ora la pazienza è finita".
"In 12 mesi ho avuto tretelefonate dalla premier Giorgia Meloni e ho avuto due incontri con Mantovano con cui c'è costante contatto. Siamo in contatto con l'inviato speciale per gli italiani in Venezuela che è sempre disponibile" prosegue la mamma di Trentini.
"Dai rappresentanti del governo, da subito, ci è stato imposto il silenzio per non danneggiare la posizione di mio figlio. Ci siamo fidati e abbiamo operato in silenzio. Ma non potendo continuare a essere ignorati, con il nostro benestare è stata fatta un'interrogazione parlamentare" ricorda ancora.
La prigionia del cooperante "è un'ingiustizia di cui non sappiamo darci pace. Alberto ci è mancato e ci manca ogni giorno", ha detto ancora la signora. "Voglio dirvi quanto difficili siano stati questi 12 mesi per me e la mia famiglia. Mio marito non sta bene. Abbiamo vissuto notti insonne a immaginare come sta Alberto, cosa spera, di cosa ha paura. A mio figlio è stato tolto un anno di vita in cui non ha potuto godere dell'affetto della famiglia. Si è perso Natale, Pasqua, il compleanno, fare passeggiate, ascoltare musica, la possibilità di leggere. Ha trovato un paio di occhiali lì perché voleva leggere e cercare di essere tranquillo".
“La Svizzera è andata a riprendersi il suo prigioniero”
"Abbiamo parlato con suo compagno di cella svizzero. Ci ha descritto una cella di 2 metri per 2 per due persone in condizioni igieniche difficile. C'è però da sottolineare che il governo svizzero è andato a Caracas a prendersi il suo prigioniero, così come sono stati liberati i prigionieri americani, colombiani e di altri Paesi che ci hanno raccontato le medesime terribili condizioni di detenzione".
La vicenda di Trentini a un anno dall'arresto a Caracas
Tre telefonate alla famiglia in un anno
Trentini ha potuto chiamare la sua famiglia solo tre volte durante quasi un anno di detenzione. La prima chiamata è avvenuta dopo diversi mesi di arresto, ha dato segnali di vita in un contesto di forte isolamento, rassicurando essenzialmente sulla sua condizione generale senza entrare in dettagli, poiché le comunicazioni erano brevissime e sorvegliate.
La seconda è stata fatta circa otto mesi dopo l’inizio della detenzione. In quella occasione ha espresso una certa preoccupazione per la sua salute, ha chiesto alla famiglia di restare unita e ha ringraziato per il sostegno ricevuto. Pur senza potersi dilungare, ha enfatizzato il bisogno di non perdere speranza.
L’ultima telefonata, avvenuta il 10 ottobre 2025, è stata anche la più recente e significativa: Trentini ha rassicurato i familiari sul suo stato di salute, ha raccomandato ai genitori di prendersi cura l’uno dell’altro e ha espresso gratitudine verso chi lo sostiene. Questi contatti telefonici sono stati brevi e molto limitati nel tempo, e arrivano in un contesto di isolamento e difficoltà comunicative con l’esterno, aggravando il senso di angoscia della famiglia.
Appello per liberare Alberto Trentini a un anno dall'arresto in Venezuela
I rapporti di Amnesty e IACHR sul suo arresto
L’arresto è stato denunciato come arbitrario da molte organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, che evidenzia un contesto di repressione e sparizioni forzate in Venezuela sotto il regime di Nicolás Maduro. Amnesty ha anche evidenziato che il governo venezuelano utilizza l’accusa di “mercenari stranieri” per giustificare detenzioni politiche. Trentini è una delle circa 15 persone italiane tuttora detenute in Venezuela in circostanze poco trasparenti.
Amnesty nel suo rapporto "Detentions without a trace" sottolinea come la detenzione di Trentini rientri nel quadro più ampio di sparizioni forzate e arresti arbitrari compiuti dalle forze di sicurezza venezuelane, principalmente la Dgcim, il Sebin e la Guardia Nazionale Bolivariana. Amnesty evidenzia che la mancanza di informazioni sul suo stato e il suo isolamento costituiscono un crimine contro l’umanità e chiede un intervento urgente: la sua detenzione è ingiusta, priva di un giusto processo e accompagnata da rischi di maltrattamenti o torture. La segretaria generale Agnes Callamard ha ricordato che le sparizioni forzate sono crimini internazionali non soggetti a prescrizione.
La IACHR (Inter-American Commission on Human Rights) ha chiesto misure cautelari maggiormente favorevoli, considerando la sua vita a grave rischio. Ha ordinato al Venezuela di confermare il luogo di detenzione, garantire condizioni compatibili con gli standard internazionali, assicurare contatti regolari con familiari, informare sulle accuse e garantire cure mediche immediate. Il governo venezuelano tuttavia non ha risposto alle richieste, lasciando la condizione di Trentini in un limbo, con il rischio concreto di danni irreparabili.
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La pressione diplomatica e i rapporti difficili con Maduro
Il governo italiano, rappresentato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, è impegnato diplomaticamente per la liberazione di Trentini e degli altri connazionali detenuti, ha definito il cooperante “non un criminale pericoloso”. Nel 2025 l’Italia ha nominato un inviato speciale, Luigi Maria Vignali, per seguire i casi italiani in Venezuela e ha promosso colloqui diplomatici diretti. I rapporti tra Italia e Venezuela sono freddi da diversi anni.
A livello diplomatico, l’Italia non ha riconosciuto il governo Maduro a seguito delle contestate elezioni, mantenendo un incaricato d’affari anziché un ambasciatore a Caracas, ma continua a sollecitare la liberazione tramite canali diplomatici e rappresentanze internazionali. La premier Giorgia Meloni ha personalmente telefonato alla madre di Trentini due volte garantendo il massimo impegno del governo sulla vicenda.
Il lavoro diplomatico italiano è però complicato dal contesto internazionale teso e dalla volontà del regime venezuelano di usare la situazione per pressioni politiche, ma le autorità italiane insistono nel richiedere rispetto dei diritti umani e trasparenza sul caso Trentini. Parallelamente, la diplomazia vaticana e la Comunità di Sant’Egidio sono attive su fronti di mediazione.
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La tensione internazionale complica la vicenda
Il Venezuela vive una profonda crisi politica, economica e sociale, aggravata da tensioni militari crescenti con gli Stati Uniti, che dispiegano frequenti operazioni navali nei Caraibi, aumentando la pressione sul regime di Caracas. Questi fattori rendono difficili le mediazioni dirette e creano un clima di diffidenza e di strumentalizzazione dei detenuti politici, come Trentini, che divengono pedine in una complessa strategia di pressione internazionale.
Il regime venezuelano, pur aprendo a visite consolari e negoziati, usa la detenzione di cittadini stranieri anche per fini politici o per trattative multilaterali con attori internazionali come Russia, Cina, Cuba e Turchia, rendendo la situazione diplomatica molto intricata. È quella che viene definita “diplomazia degli ostaggi”.
L’Italia, oltre a un forte impegno diplomatico diretto, cerca mediazioni multilaterali, coinvolgendo anche la Santa Sede e partner come El Salvador, ma resta una partita molto fragile e condizionata da interessi geopolitici di alto livello.
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Fonte: www.rainews.it
