Caso Epstein, clamoroso dietrofront di Trump: "Divulgare i file, non li temo'
in un post su Truth, il presidente ha chiesto ai repubblicani di votare in favore della desecretazione dei documenti. Epstein e non solo, Trump frena anche su Maduro e Mamdani
rainews L'imprevedibile Donald Trump questa volta ha compiuto uno dei dietrofront più clamorosi del suo secondo mandato. Anzi, un doppio dietrofront. Dopo aver assicurato durante la campagna elettorale che avrebbe pubblicato tutti i file sul caso di Jeffrey Epstein e poi aver ritrattato una volta arrivato alla Casa Bianca, irritando la sua base più conservatrice, ha cambiato ancora idea. E, in un post su Truth, ha chiesto ai repubblicani di votare in favore della desecretazione dei documenti. Il tycoon sostiene di non avere nulla da nascondere, nonostante le rivelazioni uscite in questi giorni sui rapporti con il finanziere pedofilo.
D'altra parte Trump ha voluto probabilmente giocare d'anticipo e guidare la narrativa, alla vigilia di un voto a Capitol Hill che avrebbe spaccato il suo partito con 100 repubblicani pronti a votare per la pubblicazione dei file. "Non ho nulla da nascondere ed è tempo di voltare pagina rispetto a questa bufala dei democratici portata avanti solo per distrarre dal successo dei repubblicani", ha attaccato il presidente. "A nessuno importava di Epstein quando era vivo e se i democratici avessero avuto qualcosa l'avrebbero reso pubblico prima della mia vittoria elettorale".
Intanto, un gruppo di donne sopravvissute agli abusi del finanziere morto suicida in carcere nel 2019, ha pubblicato un video, potente e toccante, che esorta i repubblicani a far emergere la verità. Guardando direttamente in camera, ogni vittima nel filmato mostra una foto di sé adolescente, quando per la prima volta ha incontrato Epstein. "E' ora di far emergere i segreti dall'ombra", dicono nel video di un minuto diffuso domenica sera da World Without Exploitation, un gruppo che si batte contro lo sfruttamento sessuale. "Avevo 14 anni", dice un'altra delle vittime. "Ho sofferto troppo", confessa ancora un'altra donna molestata. "Cinque amministrazioni sono passate e siamo ancora all'oscuro", la scritta che chiude il video. Mentre a Times Square è spuntato un cartellone pubblicitario con la scritta: "Certamente sapeva delle ragazze". Finanziato dal gruppo Home of the Brave, il poster cita la frase del finanziere pedofilo secondo la quale Trump era al corrente dei suoi misfatti.
Ma il caso Epstein non è il solo sul quale il commander-in-chief ha fatto dietrofront nelle ultime ore. Dopo aver lasciato intendere di valutare un'escalation nella lotta alle 'navi della droga' nel Mar dei Caraibi, Trump si è detto aperto a riaprire il dialogo con Nicolas Maduro. "Posso parlarci, vediamo come va", ha affermato. E a proposito della possibilità di designare come organizzazione terroristica il Cartel de Los Soles guidato dal leader di Caracas ha chiarito: "Mi consente di di colpire gli asset e le infrastrutture di Maduro nel paese. Mi consente di farlo, ma non ho detto che lo farò". Secondo quanto riferito da un funzionario della Casa Bianca alla Cnn, non ha ancora preso una decisione sull'eventualità di attaccare il Venezuela via terra e mentre le forze militari americane si stanno radunando nella regione Trump spera che la pressione sia sufficiente a costringere Maduro a dimettersi.
Oltre al presidente venezuelano c'è un altro nemico con il quale The Donald sembra intenzionato a venire a patti dopo mesi di furibondi attacchi ed è Zohran Mamdani. "Troveremo una soluzione, vuole parlarmi. Io voglio il meglio per New York", ha detto aprendo ad una distensione nei rapporti con il neo sindaco democratico. Restano, invece, tese le relazioni con l'ex fedelissima Marjorie Taylor Greene che ha preso le distanze proprio per la vicenda Epstein. "Fa di tutto per dipingersi come una vittima, quando in realtà è la causa dei suoi problemi. A nessuno interessa di questa traditrice", ha attaccato il presidente americano dopo che la deputata ha riferito di aver ricevuto minacce per le sue critiche al tycoon.
Il movimento Maga si spacca e attacca Trump
Negli ultimi mesi il movimento MAGA – la rete di media, attivisti e influencer di destra che ha sostenuto Donald Trump per oltre otto anni – è passato dall’essere il blocco più compatto e influente della politica statunitense a un insieme di fazioni in lotta tra loro. Solo sei mesi fa era considerato l’attore più determinante nel definire agenda e linguaggio del dibattito pubblico; oggi appare diviso su Israele, nazionalismo bianco, test di purezza e dispute tra le sue personalità più importanti.
Ha contribuito a far eleggere il presidente Trump per un secondo mandato, a difendere Trump, a fare pressione e a punire qualsiasi repubblicano che non lo sostenesse. Il MAGA era Trump, e Trump era il MAGA.
Ma il potere e l'influenza portano con sé conflitti e rivalità. In questo caso, il dibattito verte sul significato reale dell'America First: mentre Trump, leader politico e spirituale del MAGA, concentra l'attenzione su Israele o Venezuela, la classe operaia americana impoverita, la sua base elettorale, non vede i benefici promessi anche se resta in gran parte 'trumpiana'.
Trump ha riconosciuto pubblicamente la centralità del movimento, ricordando di averne coniato il nome: «So meglio di chiunque altro cosa vuole dire MAGA». Ma proprio mentre ribadisce la sua leadership, alcune delle principali figure del mondo America First lo accusano di aver perso la direzione su temi centrali, privilegiando dossier internazionali rispetto alle questioni sociali ed economiche della classe lavoratrice: insomma di non essere ‘abbastanza’ populista.
In questo clima è esploso lo scontro con la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene, storica alleata di Trump e simbolo del MAGA più estremista: Trump ha revocato il suo sostegno, definendola “Marjorie la pazza” e poi "traditrice". Greene ha risposto con toni altrettanto duri, sostenendo che il presidente starebbe deviando dai principi America First e denunciando che “minacce contro di me sono alimentate dall’uomo più potente del mondo”.
La rottura nasce soprattutto dalla richiesta di Greene di pubblicare integralmente i documenti sul caso Epstein, una posizione che Trump non condivide e che ha creato un inedito fronte a lui contrario dentro la sua stessa base.
La frattura tra Marjorie Taylor Greene e Trump segna una divisione tra MAGA e America First. Per anni i due sono stati quasi sinonimi. Ma i sostenitori di America First come lei ora pensano che MAGA assecondi troppo Trump sugli impegni internazionali, in particolare su Israele. Insospettabili come Tucker Carlson sono sempre più critici nei confronti di Trump per il suo illimitato sostegno a Israele. Ritengono che ciò costituisca un'enorme distrazione e una totale violazione dei principi dell'America First.
Steve Bannon e altre personalità del MAGA vedono gli elettori della classe operaia, i soldati semplici del loro movimento, essere schiacciati dalle élite economiche, big tech e sostenitori miliardari che circondano Trump e lo allontanano dalla sua base originaria. Bannon ha citato un post di Charlie Kirk pubblicato un mese prima del suo assassinio, in cui si chiedeva “urgenza” su sei questioni, tutte interne e di interesse per la Generazione Z. Contemporaneamente, figure influenti della destra mediatica – compresi i gruppi di nazionalisti bianchi legati a Nick Fuentes – criticano Trump per il suo appoggio a Israele, giudicato incompatibile con l’idea di America First.
Per ora le divisioni non sembrano minacciare la posizione di Trump come leader del movimento, ma il voto alla Camera sulla pubblicazione dei file Epstein – previsto nei prossimi giorni – potrebbe accentuare ulteriormente le divisioni interne.
A riprova delle divisioni interne del mondo MAGA c'è il caso di Laura Loomer, l'attivista trumpiana di ferro, che ha attaccato Marjorie Taylor Greene con una provocazione: "dovrei trasferirmi in Georgia?", ha chiesto ai suoi milioni di follower dopo che il presidente ha ritirato il sostegno a Taylor Greene, deputata repubblicana della Georgia, e dichiarato che appoggerà chiunque la sfiderà. In una serie di post critici su X contro Taylor Greene, Loomer ha ricordato che aveva messo in guardia Trump e la sua squadra sulla deputata, e le ha infine dato della "prostituta politica".
Fonte: www.rainews.it
