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Il piano Trump, le fasi successive e le incognite
Nei pregressi tentavi a progressi iniziali a fallimenti dovuti a estremisti da ambo le parti, dall’espansione degli insediamenti. Il piano Trump si inserisce in questo contesto

L’attesa sta per finire. Tra la notte e l'alba 20 ostaggi saranno rilasciati da Hamas. Inizia così la prima fase del piano Trump, che ha visto la mediazione di Qatar, Egitto e Turchia, e si concentra sul rilascio di ostaggi e un ritiro parziale israeliano. In cambio 1.950 prigionieri palestinesi (tra cui 250 con ergastolo e 1.700 arrestati dal 2023) saranno liberati da Israele. Sulle liste però si continua a trattare anche e soprattutto sul nome di Marwan Barghouti.
Hamas avrà 10 giorni per restituire i corpi degli ostaggi deceduti. Le truppe israeliane si ritireranno dietro la "linea gialla", aprendo il valico di Rafah in entrambe le direzioni e permettendo aiuti umanitari immediati (170.000 tonnellate approvate dall'ONU).
L’attesa a questo punto si sposterà sul prosieguo dell’attuazione del piano che affronterà il disarmo di Hamas e la governace di Gaza. Inizierà così un percorso che presenta molti ostacoli.
Entro domani Hamas libera gli ostaggi, Israele prepara i 1950 prigionieri
La fase due resta quella più delicata. Quella sulla quale, probabilmente, il vertice di Sharm El Sheikh dovrà dare risposte.
-FORZE DI STABILIZZAZIONE. E' uno dei punti dirimenti per il futuro prossimo di Gaza e per permettere che con il ritiro delle truppe israeliane non riemerga il caos. Finora c'è una sigla: Isf (International Stabilization Forces) e poco altro. Le domande sono tante: chi ne farà parte? A chi farà capo? Quale sarà il suo mandato? Gli Stati Uniti hanno escluso l'invio di soldati nella Striscia. Sulla loro presenza in Israele invece i feedback sono contrastanti. L'idea che si è fatta avanti è che l'Isf possa essere composto da militari dei Paesi arabi e musulmani (dal Qatar alla Turchia), abbia una sede di coordinamento in Israele e sia dispiegato sul modello delle forze di peacekeeping dell'Onu. L'Egitto sta lavorando alla messa a punto della formazione e del coordinamento di 5mila palestinesi da schierare a Gaza e si è detto disponibile ad inviare suoi militari "in un perimetro specifico" a patto che ci sia il mandato dell'Onu. I tempi sono stretti e le ombre restano. "Ci sono così tanti modi in cui il piano potrebbe fallire, perché ovviamente Hamas continuerà a essere presente a Gaza", ha ammesso un diplomatico occidentale al Financial Times, osservando: "Nessuna delle parti ha ancora deciso cosa vuole: una missione di pace delle Nazioni Unite con tutti i crismi o qualcosa di molto più modesto?".
-PRESENZA DI HAMAS. I report da Gaza raccontano che Hamas abbia già mobilitato migliaia di combattenti per ristabilire l'ordine e riprendere il controllo delle strade. "Accettiamo che le nostre armi non siano utilizzate ma la loro consegna è fuori questione", ha sottolineato una fonte di Hamas. C'è un dato a complicare ulteriormente la situazione: le divisioni interne all'organizzazione, non solo tra chi è nella Striscia e chi opera all'estero ma anche tra clan rivali che si sono formati tra le macerie di Gaza. Il rischio caos è tangibile e il governo Netanyahu potrebbe gettare benzina sul fuoco.
-BOARD DI GAZA. Sullo sfondo resta l'interrogativo che, sin dal primo momento, ha accompagnato il piano di Trump. Il punto nove del piano spiega che il governo della Striscia sarà affidato a un "comitato palestinese tecnocratico e apolitico", sotto la supervisione di un organo internazionale di transizione presieduto da Trump. Ma all'interno di questa cornice si naviga tra i dubbi. Ancora incerto è il peso concreto che avrà Tony Blair, indicato da Trump come vicepresidente del Consiglio di pace per Gaza. Altrettanto fumoso è il ruolo che potrà avere l'Autorità Nazionale palestinese. Ad Amman il vicepresidente dell'Anp Hussein al-Sheikh ha incontrato proprio l'ex premier britannico. E' stato un colloquio "esplorativo", ha spiegato una fonte palestinese parlando di un periodo di transizione che si prevede di un anno. E sottolineando come sia ancora presto per parlare di un ruolo politico a Gaza dell'Anp che comunque si dichiara pronta a collaborare per il futuro della Striscia.

I precedenti tentativi di Pace
Il conflitto israelo-palestinese ha visto numerosi tentativi, falliti, di pace, spesso ostacolati da insediamenti israeliani, rifiuto del diritto al ritorno dei rifugiati, status di Gerusalemme e divisioni interne palestinesi.
-1967 con la risoluzione ONU 242 si chiede il ritiro israeliano dai territori occupati (Gaza e Cisgiordania) in cambio del riconoscimento arabo di Israele. Sembra la base per negoziati futuri ma tutto naufraga perché Israele non si ritira e si arriva, nel 1973, alla guerra del Kippur
-1978 Accordi Camp David che si possono dividere in due punti : Un accordo-quadro di Pace in Medio Oriente e Un accordo-quadro per la Conclusione di un Trattato di pace tra Egitto e Israele. Si arriva alla pace tra Israele Egitto, tanto che Sadat e Begin vincono il premio Nobel, ma la questione palestinese rimane insouta
-1988 Arafat proclama la nascita dello Stato di Palestina e l'OLP adotta la soluzione dei due stati, che implica la coesistenza di Israele e Palestina, e accettato le risoluzioni ONU 242 e 338, che prevedono il riconoscimento reciproco e la pace. Apre le porte a negoziati diretti ma Israele e USA rimangono freddi
-1991 Conferenza di Madrid in cui gli USA convocano Israele e le fazioni non appartenenti all’OLP ma non c’è nessun accordo formale
-1993 Accordo Oslo I ha portato all'istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese – con il compito di autogovernare, in modo limitato, parte della Cisgiordania e della Striscia di Gaza – e ha riconosciuto l'OLP come partner di Israele nei negoziati sulle questioni in sospeso. Rabin, Clinton e Arafat firmano alla Casa Bianca. 5 anni per raggiungere gli obiettivi
-1995 Accordo Oslo II che divide la Cisgiordania in zona A (controllata da ANP) zona B (la parte civile affidata ad ANP mentre la sicurezza è mista), zona C (controllata da Israele) in concomitanza ritiri da Gaza. Ma Rabin viene ucciso da un colono ebreo, estremista di destra, e Netanyahu nel 1996 si dichiara contrario
-2000 Vertice di Camp David l'israeliano Ehud Barak, in seguito alle pressioni del presidente Clinton, offrì ad Yāsser Arafāt uno Stato palestinese nella Striscia di Gaza e in gran parte della Cisgiordania, il ritorno di un limitato numero di profughi e un indennizzo per gli altri, la demilitarizzazione dello Stato palestinese e lo smantellamento dei gruppi terroristici. Barak e Clinton imputano una rigidità ad Arafāt nella gestione dei colloqui.
Da quella data in poi si susseguono varie iniziative, roadmap, compreso il ritiro unilaterale di Sharon nel 2005 e questo sforzi mostrano come ci siano pattern ricorrenti: progressi iniziali falliti da fallimenti dovuti a estremisti da ambo le parti, dall’espansione degli insediamenti. Il piano Trump si inserisce in questo contesto

Fonte: www.rainews.it