Daily Archives: 7 Ottobre 2023

Come l’emergenza in Libia mette alla prova il potere di Haftar

Le devastanti alluvioni che hanno colpito la Libia orientale il 10 settembre settembre sono un banco di prova importante per il feldmaresciallo Khalifa Haftar, leader dell’Esercito nazionale libico (LNA) che controlla militarmente quella porzione di Paese. La reputazione del cosiddetto “uomo forte della Cirenaica” potrebbe traballare insieme ai pochi edifici ancora in piedi dopo il fiume di acqua e fango che ha investito la città di Derna e le zone limitrofe, oppure rinsaldarsi all’interno e all’esterno. Tutto dipenderà se riuscirà ancora a mostrarsi capace di garantire la stabilità e la sicurezza che promette ai cittadini dell’est da quando le sue milizie hanno sconfitto i jihadisti dello Stato Islamico.

Le milizie di Haftar e le corresponsabilità nel disastro di Derna

In questa emergenza senza fine, le milizie di Haftar sono state però duramente criticate e per diversi motivi. Prima di tutto perché la catastrofe naturale provocata dalla tempesta mediterranea Daniel a ben guardare così naturale non è stata. Le inondazioni responsabili di oltre 4.300 morti accertati e di 8.500 mila dispersi (dati Oms del 3 ottobre) sono state causate, dopo forti piogge, dal crollo di due dighe vicine a Derna che da diversi anni non conoscevano manutenzione. Né quando la zona era controllata da Tripoli né dal 2018 sotto Haftar. Secondo alcune voci poi Haftar avrebbe ignorato la richiesta di evacuazione della città prima che venisse sommersa. Lo sostiene l’analista esperto di Libia Jalel Harchaoui, ricercatore presso il Royal United Services Institute di Londra, secondo cui «l’esercito ha detto alla gente di restare a casa», di fatto condannando migliaia di famiglie a una morte certa. Se per il momento non sono emerse prove certe, è però risaputo che nell’est della Libia, per muoversi da una città all’altra, bisogna ottenere il via libera delle milizie di Haftar. Un iter che rende verosimilmente l’LNA almeno corresponsabile del disastro.

Come l'emergenza in Libia mette alla prova il potere di Haftar
Operazioni di soccorso a Derna (Getty Images).

Il pugno di ferro contro i manifestanti e il rimpallo di responsabilità

Nei primi giorni dopo le inondazioni la rabbia della popolazione si è scagliata contro contro Aguila Saleh, presidente del parlamento orientale, alleato di Haftar ed espressione del vecchio establishment, e Abdelmonem al-Ghaithi, sindaco di Derna e nipote di Saleh, anche se per alcuni analisti il vero bersaglio delle proteste sarebbe stato il maresciallo stesso. Un dissenso che è stato spento con il pugno di ferro: ai giornalisti è stato impedito di avvicinarsi alla zona alluvionata mentre i cronisti già sul posto sono stati allontanati.  Anche le comunicazioni nell’area sono diventate difficili. Intanto il sindaco e alcuni funzionari sono stati indicati come i principali responsabili della catastrofe. Tutto il consiglio comunale di Derna è stato sospeso e al-Ghaithi arrestato insieme a sette persone. Altri 16 pubblici ufficiali sono indagati. Nel mentre Haftar ha visitato le zone alluvionate in quello che è sembrato un tentativo di lavarsi di dosso ogni responsabilità e di intestarsi invece i soccorsi.

Come l'emergenza in Libia mette alla prova il potere di Haftar
Una protesta davanti alla moschea di Al-Sahaba a Derna (Getty Images).

Un Paese diviso anche negli aiuti

La situazione post inondazioni, “l’11 settembre della Libia” come sono state definite, riflette la divisione che il Paese nordafricano si trascina dietro dopo la caduta di Muammar Gheddafi nel 2011. La spaccatura, aperta proprio da un’operazione militare di Haftar nel 2014 contro gli estremisti islamici a Bengasi, e mai veramente sanatasi, è peggiorata di nuovo lo scorso anno dopo le fallite elezioni generali del dicembre 2021, ultima speranza di riunificazione. Nel febbraio scorso la Camera dei rappresentanti, il parlamento con sede a Tobruk, nella Libia orientale, ha giudicato scaduto il termine del governo di unità nazionale di Tripoli, sostenuto dalla comunità internazionale, e ha nominato un nuovo esecutivo appoggiato da Haftar e guidato dall’ex ministro dell’Interno Fathi Bashagha che ha recentemente lasciato il posto a Osama Hamad. Il capo del governo di Tripoli, il premier Abdul Hamid Dbeibah, ha più volte respinto questa presa di posizione del parlamento, affermando che cederà il potere solo a un governo eletto ed è rimasto saldamente al proprio posto. Da allora nel Paese convivono due amministrazioni parallele, in competizione anche della gestione degli aiuti umanitari ai civili colpiti dalle inondazioni di settembre. La maggior parte degli aiuti è infatti stata ricevuta dal governo di Tripoli che gode di riconoscimento internazionale, a differenza del governo della Libia orientale, vicino solamente a Egitto e Russia. La ripartizione degli aiuti in loco è però appannaggio totale dell’esercito di Haftar e delle squadre di soccorritori che coordina. Questi due centri di potere, che in qualche modo alla fine collaborano, secondo molti analisti hanno però rallentato la risposta umanitaria, a discapito dei cittadini colpiti. Le autorità orientali hanno annunciato che ospiteranno una conferenza internazionale a inizio novembre per discutere della ricostruzione di Derna, ma il timore è che Haftar e i suoi sfruttino il processo di ripresa per arricchirsi ulteriormente, secondo quanto dichiarato da Emadeddin Badi, dell’Atlantic Council, al Wall Street Journal. A prova di questo, nei giorni  scorsi un gruppo di cittadini di Derna, non si sa quanto spontaneamente, ha letto un comunicato durante un sit-in con cui ha dato mandato all’LNA di seguire direttamente la ricostruzione della città e negoziare con le compagnie internazionali.

Come l'emergenza in Libia mette alla prova il potere di Haftar
Il primo ministro di base a Tripoli Abdelhamid Dbeibah (Getty Images).

La rete di potere degli Haftar in Libia

Episodi del genere sembrano dimostrare quanto il controllo di Haftar sulla Libia orientale sia ancora saldo. Secondo un rapporto di esperti delle Nazioni Unite pubblicato all’inizio di ottobre l’uomo forte «ha lavorato per costruire una rete clientelare che ha dato capacità di controllare direttamente i rapidi movimenti militari, il settore pubblico e il processo decisionale politico», il che significa che «ha un’influenza diretta sul processo politico nazionale, che non può andare avanti senza il loro consenso». Di recente Haftar, la cui famiglia ha raccolto ingenti ricchezze negli anni, ha consolidato maggiormente la sua posizione spingendo i figli Khaled, Elseddiq e Saddam a ricoprire ruoli pubblici. Saddam è apparso a Derna come membro di un comitato di emergenza, mentre la brigata Tariq bin Ziyad da lui comandata ha partecipato ai soccorsi. Elseddiq, che non ha ruoli pubblici o militari ed era in Europa durante l’alluvione di Derna, in un’intervista pochi giorni dopo il disastro si è presentato come possibile futuro candidato alla presidenza, se mai si terranno elezioni, nel solco del padre.

Manifestazione Cgil a Roma, Landini: «Il governo ci ascolti»

Al via a Roma la manifestazione organizzata dalla Cgil e da più di cento associazioni, laiche e cattoliche, sotto lo slogan «La via maestra, insieme per la Costituzione». Due i cortei previsti, uno in partenza da piazza della Repubblica e l’altro da piazzale dei Partigiani, entrambi convergenti a piazza San Giovanni per ascoltare gli interventi di alcune delle associazioni promotrici e le conclusioni del leader del sindacato. A fianco della mobilitazione Partito democratico, Movimento 5 stelle, Verdi e Sinistra italiana.

Landini: «Il lavoro tiene in piedi il Paese»

Tra bandiere rosse e intonazioni di Bella Ciao, ai cortei hanno partecipato migliaia di persone (50 mila secondo Landini, ma 23 mila secondo la questura). Oltre 100 i pullman arrivati nella Capitale da tutta Italia e 500 agenti gli agenti impiegati, ai quali si aggiungono carabinieri, finanzieri e vigili urbani per la viabilità. Diversi gli striscioni comparsi, con slogan che vanno da«Si sta come d’estate sui ponteggi gli edili» a «Il governo ci affama. Casa reddito salari». In strada anche i carrelli contro il carovita.

Manifestazione Cgil a Roma, Landini: «Il governo ci ascolti»
Manifestazione Cgil Roma (Imagoeconomica).

Il segretario Maurizio Landini, dalla testa del corteo partito da piazzale dei Partigiani, ha dichiarato: «Il messaggio che noi vogliamo mandare con la via maestra è che quei diritti fondamentali sanciti della nostra Costituzione debbano essere attuati. Siamo contrari a qualsiasi idea di modifica della Costituzione e per questo chiediamo al governo di cambiare le politiche economiche e sociali e anche di riforma istituzionale» E ancora: «Il messaggio di oggi è unire questo Paese e chiedere che il mondo del lavoro, che tiene in piedi il Paese, sia messo nella condizione di poter discutere e definire il futuro facendo le riforme di cui c’è bisogno. A partire da un lavoro che non sia precario, da una riforma fiscale degna di questo nome e soprattutto attuando la Costituzione. Andremo avanti su questa strada finché non avremo ottenuto risposte».

I messaggi di Schlein e Conte

Presente alla manifestazione anche Elly Schlein, unitasi alla delegazione del Pd all’altezza del Colosseo. «Questo è un governo che non crede nella sanità territoriale e sta togliendo fondi alle case di comunità. Noi ci batteremo e faremo battaglie per la sanità universalistica e territoriale. Siamo in piazza anche per questo. E per il salario minino, perché sotto 9 euro è sfruttamento», ha dichiarato. Assente invece Giuseppe Conte, impegnato in Puglia, che ha però fatto pervenire il seguente messaggio: «Siamo presenti con un’importante delegazione e io sono qui a ribadire le difficoltà del Paese e degli italiani, non solo delle fasce più fragili ma anche del ceto medio. Qui a Foggia sto parlando con le persone e constatando le difficoltà. Questo governo non se ne rende conto e fa delle manovre di bilancio che non danno alcuna prospettiva di crescita».

Campi Flegrei, stress test nell’ospedale di Pozzuoli con 50 pazienti-figuranti

Dopo quelli di Giugliano e Frattamaggiore, sabato 7 ottobre 2023 è toccato all’ospedale di Pozzuoli – la cittadina dell’area maggiormente interessata dal bradisismo – essere sottoposto allo stress test per verificare la capacità di ricezione al Pronto soccorso in caso di emergenza, come un forte terremoto.

16 pazienti-figuranti hanno simulato patologie da codice rosso

Circa 50 pazienti-figuranti, tutti studenti e tirocinanti in scienze infermieristiche, sono giunti al presidio di Santa Maria delle Grazie in poco meno di un’ora. Dopo il triage sono stati visitati al Pronto soccorso e poi smistati ai veri reparti. Dei 50 giovani, 16 hanno simulato patologie da codice rosso, ovvero da massima emergenza. Il pronto soccorso dell’ospedale di Pozzuoli (il più nuovo dell’Asl Napoli 2, realizzato fuori città dopo il bradisismo degli Anni 80 e facilmente raggiungibile da strade a scorrimento veloce) in caso di emergenza è in grado di accogliere un numero di pazienti fino a tre volte superiore a quello che mediamente si registra ogni giorno. I pazienti-figuranti indossavano delle pettorine in modo da essere facilmente riconoscibili. L’attività di esercitazione si è svolta in maniera ordinata e più volte è stato annunciato che si trattava di una simulazione anche per tranquillizzare i veri pazienti presenti nel Pronto soccorso.

Hamas, cos’è e perché ha attaccato Israele

L’attacco a Israele avvenuto all’alba di sabato 7 ottobre 2023, con centinaia di razzi partiti dalla striscia di Gaza, è stato rivendicato da Hamas, organizzazione politica e paramilitare palestinese islamista, sunnita e fondamentalista. Si tratta di un’organismo che Unione Europea, Stati Uniti, lo stesso Israele e altri paesi considerano terroristico, dotato di un’ala militare e fondato nel 1987 come braccio operativo dei Fratelli Musulmani contro Tel Aviv durante la Prima Intifada. Negli anni ha commesso e rivendicato svariati attentati contro i civili israeliani, tra cui quello di Gerusalemme del 1997, quello di Rishon LeZion del 2002 (16 vittime civili ciascuno) e molti altri, provocando centinaia di morti tra civili e militari. Dagli Anni 2000 ha più volte attaccato Israele con razzi, venendo accusata da Human Rights Watch di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Nelle sue intenzioni c’è l’istituzione di uno Stato palestinese

Lo Statuto di Hamas propone il ritorno della Palestina alla sua condizione precoloniale e l’istituzione di uno Stato palestinese. L’organizzazione ha guadagnato molta popolarità nella società palestinese con l’istituzione di servizi ospedalieri, scuole e biblioteche in tutta la Striscia di Gaza. Il suo principale rivale politico è Fatah, che governa la Cisgiordania e che ha rinunciato all’uso della violenza e della lotta armata. A questa divisione di governo dell’area palestinese (Hamas nella Striscia e Fatah in Cisgiordania) si è arrivati nel 2007 durante la Guerra civile di Gaza. L’ultima grande ondata di scontri tra Hamas e Israele si è verificata nel 2021, ma da allora i lanci di razzi da parte dell’organizzazione islamista sono stati ricorrenti – così come le risposte con operazioni militari da parte di Tel Aviv.

Hamas, cos'è e perché ha attaccato Israele
Giovani a un campo militare organizzato da Hamas (Getty).

L’attacco a Israele per «difendere la moschea al-Aqsa»..

Fino all’escalation del 7 ottobre, quando centinaia di razzi provenienti dalla Striscia di Gaza hanno raggiunto il Paese ebraico causando un bilancio di decine di vittime e feriti. Hamas ha dichiarato di aver compiuto questa azione per «mettere fine ai crimini di Israele», riferendosi alle «profanazioni» dei luoghi santi di Gerusalemme e al «rifiuto israeliano di liberare i nostri prigionieri». L’operazione dell’organizzazione è stata denominata Al-Aqsa’s flood, dal nome della moschea di Gerusalemme che il gruppo vuole difendere e che invece Israele osteggia da tempo. Si tratta del luogo di culto musulmano più grande della città, situato in un territorio governato da Tel Aviv ma rivendicato dai palestinesi come parte di un futuro stato di Palestina.

Hamas, cos'è e perché ha attaccato Israele
Soldati dell’ala militare di Hamas (Getty).

..e per lanciare un messaggio ai Paesi arabi

Il sospetto che dietro all’attacco ci siano altri obiettivi è però emerso sin da quando Hezbollah, organizzazione paramilitare islamista libanese, ha lodato l’operazione di Hamas definendola un messaggio ai Paesi arabi che si normalizzano con Israele. Secondo il gruppo terrorista, la Tempesta di Al-Aqsa è da intendersi come un monito per la comunità internazionale e il mondo arabo e musulmano, in particolare per quei Paesi che cercano la normalizzazione con Israele. Proprio pochi giorni prima, il 26 settembre, aveva avuto luogo la prima (storica) visita di un membro del governo israeliano in Arabia Saudita, con il ministro del Turismo Haim Katz che era atterrato a Riad per partecipare a un evento delle Nazioni Unite. Non solo. Sempre nella stessa giornata Nayef al Sudairi, inviato speciale saudita, era stato in visita in Cisgiordania per incontrare il ministro degli esteri palestinese Riyad al-Maliki. Citando, in un punto stampa con i giornalisti, quel piano che prevede la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele in cambio del suo ritiro dalla Cisgiordania, da Gerusalemme Est, dalla Striscia di Gaza e dalle alture del Golan. Di qui il sospetto che l’avvicinamento tra i due paesi sia il punto centrale di tensione per tutta l’area e che il vero obiettivo dell’attacco di Hamas sia mandare un messaggio a Mohammed bin Salman.

L’arma del gas, così l’Europa è diventata dipendente dalla Russia: un estratto

La decisione dei governi europei di affrancarsi dalle importazioni di gas dalla Russia, per decenni tra i nostri maggiori fornitori di materie prime energetiche, ha portato a un forte aumento dei prezzi del metano e dell’elettricità, che a oltre un anno e mezzo dallo scoppio della guerra in Ucraina risultano più che raddoppiati rispetto alla media storica degli ultimi 20 anni e non accennano a diminuire. Andrea Greco e Giuseppe Oddo ripercorrono ne L’arma del gas (Feltrinelli) la storia delle intese che hanno portato l’Europa occidentale a una sempre maggiore dipendenza dal gas siberiano – dagli accordi degli Anni 60 tra l’Eni e l’Unione sovietica a quelli sottoscritti dalla Germania – e analizzano le cause delle crisi seguite alla dissoluzione dell’Urss tra la Federazione russa e i Paesi di transito dei metanodotti (il più importante dei quali è proprio l’Ucraina) che collegano i giacimenti della Siberia ai mercati europei. Lo sganciamento dell’Europa dal gas russo, i cui acquisti, regolati da contratti a lunghissimo termine, hanno assicurato per 50 anni al Vecchio continente convenienza e stabilità dei prezzi, ha aperto una fase di incertezza e turbolenze che continuerà ad avere conseguenze pesanti per famiglie e imprese.

I limiti del piano Mattei propagandato da Meloni

Per aumentare il loro grado di autonomia energetica, Germania e Italia hanno in programma la costruzione di impianti galleggianti di rigassificazione per la trasformazione del Gnl dallo stato liquido a quello gassoso. Ma sarà sufficiente? Da una ricerca tedesca curata dall’Istituto di Economia dell’energia dell’Università di Colonia emerge che una parte dei rigassificatori programmati in Germania potrebbe rivelarsi superflua. Anche l’Italia corre un rischio del genere? In risposta alla crisi energetica, il governo italiano intanto prepara un Piano Mattei per l’Africa, propagandato da circa un anno dalla premier Giorgia Meloni, ma di cui si sa ancora poco e niente, e che molto difficilmente, come scrivono Greco e Oddo potrà anche solo somigliare a quello attuato dal fondatore dell’Eni in Africa. Lettera43 vi propone un estratto del primo capitolo di L’arma del gas.

L'arma del gas, così l'Europa è diventata dipendente dalla Russia: un estratto
L’arma del gas (Feltrinelli).

Era il 25 ottobre 2022 quando Giorgia Meloni, nel suo discorso alla Camera per il voto di fiducia, estrasse dal cilindro, con una suggestiva alzata d’ingegno, l’idea di un “piano Mattei per l’Africa”, proponendo il modello di collaborazione tra continente europeo e continente africano che aveva ispirato il fondatore dell’Eni. Da allora è passato un anno e questo piano somiglia sempre più a un’araba fenice di cui tutti parlano, ma che nessuno ha mai visto. Forse ne sapremo di più dopo l’uscita di questo libro. Il riferimento che abbiamo colto nell’accenno del capo del governo a Mattei è alle joint venture con gli Stati arabi che l’Eni avviò negli anni cinquanta per accompagnarne la crescita e per assicurare all’Italia (povera di materie prime e impegnata a rimettere in piedi il suo sistema industriale) l’accesso a fonti di energia a basso prezzo. A distanza di 70 anni ci ritroviamo in una situazione simile, se non fosse che molti dei paesi con cui Mattei ebbe rapporti (dove l’Eni è tuttora presente) e che allora lottavano per l’indipendenza, oggi sono retti da regimi dittatoriali, corrotti o comunque non democratici e sono coinvolti, come nel caso della Libia, nel traffico di migranti.

A differenza dei capi delle compagnie inglesi e francesi, Mattei poté presentarsi alle giovani classi dirigenti dell’Africa decolonizzata (Ben Bella in Algeria, Nasser in Egitto, Lumumba in Congo, leader nazionalisti di ispirazione socialista) come l’imprenditore pubblico di un paese occidentale aderente alla Nato, che aveva reciso il legame con il suo passato coloniale e che offriva loro delle partnership per sviluppare alla pari un’industria petrolifera. In paesi come l’Algeria, dove l’Eni sosteneva il Fronte di liberazione nazionale in guerra contro la Francia, Mattei è considerato tuttora un martire caduto per la libertà del popolo magrebino. Le innovative aperture ai paesi arabi e le intese con l’Urss in piena guerra fredda, per lo scambio di greggio sovietico con merci italiane, facevano parte di una stessa strategia di attacco al cartello delle major anglo-americane, colpevoli, secondo l’allora presidente dell’Eni, di avere escluso l’Italia dagli accordi di spartizione delle risorse petrolifere mondiali.

Tutto questo però è storia. Mattei è stato assassinato ed è completamente cambiato il contesto operativo dell’Eni a livello internazionale. Non solo: è cambiato anche l’Eni, non più ente pubblico, ma Spa quotata in Borsa che deve dare conto delle sue scelte a una maggioranza di azionisti privati. L’Italia di oggi è un attore secondario nel continente africano. Al di là della posizione di forza che il gruppo mantiene in Egitto – dove opera da oltre sessant’anni e dove ha scoperto nel 2015 uno tra i più grandi giacimenti marini di gas – e in paesi come Algeria, Angola, Congo, Mozambico, Nigeria, il bilancio politico del nostro paese nell’area mediterranea è piuttosto magro. L’Italia conta poco politicamente anche in Libia, dove la presenza dell’Eni, maggior produttore estero locale di idrocarburi, è antica quanto quella in Egitto, e dove Roma è tra i sostenitori del governo di unità nazionale insediatosi a Tripoli nel 2015 con il favore delle Nazioni Unite e con l’obiettivo mancato di riunificare il paese sotto un’unica guida politica. Le potenze influenti, con una forte presenza militare in Libia, sono oggi la Turchia in Tripolitania e la Russia in Cirenaica, anche se indebolita dallo sforzo militare che sta affrontando in Ucraina.

La musica di Peso Pluma e quegli incroci pericolosi con i narcos messicani

Più che Peso Pluma, era già diventato un promettente peso massimo della musica. E invece il cantautore messicano che ha esordito sulla scena mondiale all’inizio del 2023 ha dichiarato di essere stato costretto a cancellare il suo concerto a Tijuana, in Messico, previsto per il 14 ottobre. Il motivo? Essere stato apparentemente minacciato da parte di uno dei più potenti cartelli della droga del Paese: il Cartel Jalisco Nueva Generación. Uno strano intreccio tra mondo dello spettacolo e criminalità che sta facendo notizia anche fuori dal Sud America.

«Evita di presentarti o ti facciamo a pezzi»

Il 12 settembre la Guardia Nacional aveva localizzato in diverse aree della città messicana al confine con gli Stati Uniti alcune narcomantas, uno dei metodi più comuni utilizzati dai narcotrafficanti messicani per comunicare messaggi segreti al loro cartello, ai loro nemici all’interno del narcotraffico e ai funzionari governativi. Il messaggio è arrivato forte e chiaro nelle zone strategiche di El Mirador e Playas De Tijuana: «Evita di presentarti il 14 ottobre o sarà il tuo ultimo concerto, vista la tua mancanza di rispetto e la tua lingua lunga. Se ti presenti, ti facciamo a pezzi».

La musica di Peso Pluma e quegli incroci pericolosi con i narcos messicani
Un’esibizione di Peso Pluma (Getty).

Altri cinque concerti ufficialmente annullati

Le autorità messicane avevano dichiarato ai media locali di aver arrestato un uomo per via di presunte intimidazioni da parte dei Jaliscos, mentre Montserrat Caballero Ramírez, sindaco di Tijuana, aveva prontamente informato che il concerto previsto all’Estadio Caliente sarebbe stato annullato per volontà dello stesso artista. La notizia della cancellazione è stata confermata dall’etichetta discografica di Peso Pluma con un post su Instagram, in cui è stato ribadito che la decisione è stata presa per garantire la sicurezza dei fan e della troupe.?Nel frattempo, anche l’organizzatore di eventi Music Vibe, responsabile della leg messicana del suo “Doble P Tour”, ha annunciato che i concerti previsti a Puebla, Querétaro, León, Culiacán e Acapulco sono stati ufficialmente annullati.

Un sottogenere musicale noto come narcocorrido

La città di Tijuana è stata per anni il luogo di sanguinose battaglie tra gruppi criminali, che spesso si promuovono attraverso un sottogenere musicale noto come narcocorrido. I critici musicali hanno anche paragonato i contenuti e lo stile dei narcocorridos al gangster rap americano, profondamente radicato nella cultura di strada. La loro peculiarità sta nel racconto recitato o cantato di eventi realmente accaduti, includendo date, nomi e luoghi reali all’interno della narrazione e focalizzandosi sulla vita o sulle imprese di trafficanti di droga reali e immaginari.

La musica di Peso Pluma e quegli incroci pericolosi con i narcos messicani
Peso Pluma agli Mtv Music Awards (Getty).

In passato altri cantanti minacciati o addirittura uccisi

Sebbene negli ultimi anni le situazioni di pericolo per i musicisti messicani che si esibiscono in patria siano diminuiti, Tijuana continua a distinguersi come una delle città più insidiose per un cantante di musica regional. Tanti vengono regolarmente minacciati, vessati o persino uccisi, come nel caso del “Rey” Chalino Sanchez e del “Gallo de Oro” Valentín Eizalde.

La musica di Peso Pluma e quegli incroci pericolosi con i narcos messicani
Gadget con la faccia del Chapo (Getty).

Nei testi un’appassionata glorificazione del Chapo

Ed è stata proprio la crescente fama di Hassan Emilio Kabande Laija – questo il vero nome di Peso Pluma – a farlo diventare un obiettivo sensibile per via dei contenuti provocatori e fin troppo espliciti delle sue canzoni.??Nei suoi pezzi, Laija tratta apertamente tematiche come il traffico di droga, l’arricchimento illecito e, in modo figurato o indiretto, nomina persino alcuni leader dei cartelli messicani. In particolar modo, si è distinto per l’appassionata glorificazione del famigerato signore della droga ed ex capo del Cartello di Sinaloa Joaquin “El Chapo” Guzmán, acerrimo nemico del gruppo criminale della sua città natale, attualmente guidato da Nemesio Oseguera Cervantes.

Nel videoclip del singolo Siempre Pendientes, che gli ha permesso di farsi conoscere, Peso Pluma brandisce una mitragliatrice raccontando le storie di un soldato del cartello di Sinaloa. Nel brano Azul viene citato il numero 701, in riferimento alla posizione di Guzmán nella lista degli uomini più ricchi del mondo, mentre i testi di El Gavilán, Igualito A Mi Apá, El belicón con Raúl Vega e il rapper Amg esaltano rispettivamente il carisma e l’attitudine dei due figli di Guzmán, Ivan Archivaldo e Ovidio.

Rivisitazione moderna delle ballate messicane

Le canzoni appartengono al filone dei cosiddetti corridos tumbados, una rivisitazione in chiave moderna delle ballate messicane che mescolano tanti sottogeneri regionali (ranchera, norteño, banda e mariachi) e forti influenze derivanti dal rap latinoamericano e dalla trap. La piazza è molto calda e tra gli esponenti di punta del genere ci sono Fuerza Regida, Natanel Cano, Ovi, Herencia de Patrones, Dan Sánchez, Junior H e lo stesso Peso Pluma.

La musica di Peso Pluma e quegli incroci pericolosi con i narcos messicani
Un concerto di Peso Pluma (Getty).

Oltre che per la loro popolarità, i corridos tumbados sono diventati una fonte di polemiche e controversie in un Paese che conta migliaia di morti violente e più di 30 mila persone scomparse ogni anno dal 2018. Essendo considerati una giustificazione ai crimini perpetrati su scala locale e nazionale, la loro diffusione è stata vietata dal 2000 negli Stati federali di Chihuahua, Sinaloa e Baja California.

Divieti di suonare dal vivo e multe da parte delle autorità

In passato le sanzioni contro i corridos avevano coinvolto anche gruppi popolari come nel caso dei Los Tucanes de Tijuana, a cui le autorità avevano vietato di suonare dal vivo nel 2008 per aver aggredito verbalmente uno dei capi del Cartel durante un concerto nella loro città; e i Los Tigres del Norte, multati nel 2017 dalle autorità di Chihuahua. Sono passati più di 20 anni dall’imposizione di quelle sanzioni, ma Peso Pluma continua a difendere lo status della sua musica e a rivendicare che il suo è «un atto politico», anche se non risparmia elogi al Chapo.

La musica di Peso Pluma e quegli incroci pericolosi con i narcos messicani
El Chapo arrestato nel 2014. Dopo essere evaso e tornato in carcere, ora ha 66 anni e sta scontando l’ergastolo (Getty).

Dopo la sua esibizione agli Mtv Video Music Awards, il cantautore originario della provincia di Guadalajara sta continuando il suo tour negli States per promuovere il disco Génesis. Un progetto che ha raggiunto la terza posizione della prestigiosa Billboard Hot 200, diventando l’album di musica regionale messicana con la più alta posizione nella storia della classifica. Ma in Messico solamente tre dei nove concerti previsti nel mese di ottobre e novembre andranno in scena. Quando di mezzo finiscono i narcos, la musica a volte si spegne.

Terremoto in Afghanistan di magnitudo 6.2: 14 morti e 78 feriti

L’istituto geosismico americano (Usgs) ha segnalato un terremoto di magnitudo 6.2 nell’Ovest dell’Afghanistan, a 55 km a nord-est di Zindah Jan. La scossa principale ha avuto l’epicentro a 40 chilometri dalla città di Herat ed è stata seguita da una seconda di magnitudo 5.5. Secondo quanto riferito dalle autorità, il sisma ha provocato 14 morti e 78 feriti. Il primo sommovimento si è verificato alle 11.00 locali e una fonte giornalistica dell’Afp ha riferito che diverse persone sono uscite dagli edifici e scese in strada.

 

 

Incidente a Mestre, dimesso il primo ferito: è un 28enne tedesco

È stato dimesso dall’ospedale di Mestre il primo dei feriti nell’incidente avvenuto mercoledì 5 ottobre 2023 in cui un pullman è precipitato da un cavalcavia. Si tratta di un cittadino tedesco di 28 anni, le cui condizioni erano migliorate negli ultimi giorni. A riferirlo la Regione Veneto.

Negli ospedali veneti rimangono ricoverati 14 pazienti

Si registra un lieve miglioramento anche per un altro paziente tedesco di 33 anni ricoverato all’ospedale di Treviso, le cui condizioni erano apparse critiche dopo il sinistro. In costante miglioramento anche una paziente ucraina 33enne ricoverata in terapia intensiva sempre a Treviso. Attualmente risultano ricoverati presso gli ospedali del Veneto 14 pazienti: nove di loro (otto adulti e un minorenne) sono in terapia intensiva, quattro in chirurgia e uno in pediatria. A Mestre, dopo la dimissione del 28enne, rimangono tre ucraini e uno tedesco. Uno è ancora in condizioni critiche, due sono in condizioni discrete e uno in decorso regolare. A Dolo un paziente francese è in decorso regolare. Stessa condizione per un croato ricoverato a Mirano. A Treviso, dei cinque pazienti – tre tedeschi, uno spagnolo e un’ucraina – quattro sono in decorso regolare e uno è in lieve miglioramento. A Padova le tre pazienti – due donne ucraine e una spagnola – sono ancora in condizioni critiche.

Terremoto di magnitudo 6.0 nel sud del Messico

Un terremoto di magnitudo 6.0 ha colpito lo stato di Oaxaca, nel sud del Messico, con epicentro nella cittadina di Matias Romero, secondo quanto affermato dall’istituto sismologico messicano. La scossa è stata avvertita anche nella capitale Città del Messico, che dista oltre 500 km dall’Oaxaca, e dove diverse persone hanno lasciato le loro abitazioni. L’istituto geosismico Usa, Usgs, da parte sua ha riportato sul suo sito il rilevamento di una scossa di magnitudo 5.8. Al momento non sono state segnalate «perdite di vite umane», ha dichiarato alla stampa Jesus Romero, segretario del governo di Oaxaca.

Fedez: «Ho perso metà del mio sangue, sono stato moribondo»

In un’intervista concessa al Corriere della Sera, Fedez ha raccontato i giorni trascorsi al Fatebenefratelli di Milano dove è rimasto ricoverato per oltre una settimana per due ulcere. Dai dolori alla diagnosi fino alle terapie, il cantante ha parlato a cuore aperto del suo stato di salute senza tralasciare l’aspetto psicologico.

Lo svenimento, la corsa in ospedale e la diagnosi

«Sono convalescente, ho perso la metà del sangue che avevo in corpo», ha confessato ad Aldo Cazzullo. La cosa più assurda, ha continuato, «è che quel mattino avevo un volo transoceanico. Se non mi fossi accorto di quanto stava accadendo sarei stato male sull’oceano, su un aereo diretto a Los Angeles, e non so come sarebbe finita». I primi segnali del malore sono arrivati da un calo di pressione che l’ha fatto svenire. Ha dunque chiamato il 112 che l’ha portato al Pronto Soccorso, dove si è reso conto di avere la melena (ndr. presenza di sangue nelle feci). «Avevo l’emocromo a 7 anziché a 14, così sono intervenuti d’urgenza per fermare l’emorragia. Ho dovuto anche fare due trasfusioni». Dopo qualche giorno un altro sanguinamento, un’emorragia ischemica sempre allo stomaco. «Così hanno dovuto riaddormentarmi, e intervenire nuovamente».

«Ho avuto altri problemi, sia fisici che psicologici»

Come già anticipato dal chirurgo che a marzo 2022 l’ha operato di tumore al pancreas, è probabile che questi episodi siano correlati all’operazione subita. Anche se, ha rivelato Fedez, «ho avuto altri problemi di salute quest’estate, dal fuoco di Sant’Antonio a forti gastriti da stress, tanto da aver perso molti chili negli ultimi mesi». «Il fatto di essere ricchi», ha continuato, «non ce ne rende immuni e aver avuto una diagnosi di tumore al pancreas a 33 anni è la ragione preponderante di questa condizione». Che gli ha causato anche seri problemi di salute mentale che sta tuttora affrontando: «Ho attraversato una depressione acuta, sfociata in attacco ipomaniacale, e mi ha aiutato tantissimo ascoltare le esperienze altrui». Per curarsi ha iniziato ad assumere psicofarmaci, poi altri medicinali per curarne gli effetti collaterali, fino ad arrivare a un punto in cui «balbettavo, tremavo, non riuscivo più a pensare lucidamente e ho dovuto interrompere tutte le cure». Col risultato che lo stato depressivo si è acuito. Per stare meglio ha provato anche le stimolazioni transcraniche, scosse elettromagnetiche al cervello.

«A Belve volevo parlare di salute mentale»

E proprio per parlare di salute mentale aveva accettato di partecipare a Belve di Francesca Fagnani, «perché volevo rivolgermi ai giovani e a chi si sente incompreso». Poi la notizia dell’annullamento dell’ospitata da parte della Rai, con un comunicato «che ho trovato sinceramente spiacevole perché ero in ospedale, letteralmente moribondo, e non avevo alcuna possibilità di replicare». Ha quindi ribadito la sua disponibilità a un’intervista nel programma, anche gratuitamente.

Le reazioni della politica italiana e internazionale agli attacchi a Israele

Il governo italiano condanna con fermezza gli attacchi a Israele dove, all’alba di sabato 7 ottobre, sono stati lanciati centinaia di razzi dalla striscia di Gaza. Un’operazione rivendicata da Hamas, gruppo politico e paramilitare palestinese, per «mettere fine ai crimini» del Paese ebraico. Che riaccende tensioni mai sopite a cui Tel Aviv ha già risposto con attacchi aerei, richiamando i riservisti e annunciando un contro attacco dal nome «Operazione Spade di Ferro». A poche ore dall’accaduto, sono già molti i politici nazionali e internazionali che hanno espresso la loro posizione sull’attacco.

Da Tajani a Metsola, le reazioni al lancio di razzi in Israele

A esplicitare la posizione italiana in quello che è a tutti gli effetti un nuovo conflitto è stata una nota di Palazzo Chigi, che recita: «Il governo italiano segue da vicino il brutale attacco che si sta svolgendo in Israele. Condanna con la massima fermezza il terrore e la violenza contro civili innocenti in corso. Il terrore non prevarrà mai. Sosteniamo il diritto di Israele a difendersi. Parole simili quelle usate dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha anche ringraziato l’unità di crisi della Farnesina per aver prontamente contattato tutti gli italiani registrati in Israele. Il numero dell’UdC, in caso di necessità, è 0636225.

Tra i primi a esprimersi anche Matteo Salvini, che ha manifestato vicinanza al popolo israeliano parlando di un «violento e vigliacco attacco da parte di estremisti islamici».

Inorridita dall’accaduto la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, che ha condannato «il terrore e la violenza contro persone innocenti».

Sostegno a Israele anche da parte dell’ambasciata degli Stati Uniti a Tel Aviv, che ha condannato «il lancio indiscriminato di razzi da parte dei terroristi di Hamas contro civili israeliani». L’incaricato d’affari Stephanie Hallett ha precisato di essere «in contatto con le autorità israeliane e di sostenere pienamente il diritto di Israele a difendersi da questi atti di terrorismo» e ribadito la posizione statunitense.

Israele unito contro Hamas

Da Israele, dove il premier Benyamin Netanyahu ha convocato una riunione del gabinetto di sicurezza e il ministro della difesa Yoav Gallant ha dichiarato lo stato di emergenza entro un raggio di 80 chilometri da Gaza, il presidente Isaac Herzog ha dichiarato: «Stiamo attraversando un momento difficile. Ringrazio l’Idf, i suoi comandanti e combattenti e tutte le forze di sicurezza e di soccorso e chiedo di inviare parole di incoraggiamento e forza a tutti i residenti di Israele che sono sotto attacco».

Dal canto suo, il leader dell’opposizione Yair Lapid ha reso noto che sosterrà il governo in ogni decisa risposta militare contro Hamas.

Alla fine ho capito che il trapper raccontato da Robertini sono io: il racconto della settimana

«La vita è rap!», dice dal palco della Feltrinelli di Piazza Piemonte Giovanni Robertini alla presentazione del suo ultimo romanzo Morte di un trapper, con accanto Jake La Furia, davanti a una selezionatissima platea che comprende ex direttori di giornali, creativi di vario genere, conduttrici televisive di successo, uffici stampa di varie case editrici e un nutrito gruppo di ragazzini con le Jordan ai piedi e il cappellino da baseball a tesa larga infilato sulla testa. Tra i vari libri che le case editrici mi hanno mandato da leggere in anteprima quest’estate questo di Robertini è stato in assoluto quello che mi è piaciuto di più, ed essenzialmente è questo il motivo per cui stasera sono qui, invitato dall’autore in persona, con la t-shirt di Kaws e le Nike da runner ultracolorate ai piedi, come si usa tra noi del “mondo dello spettacolo”, (come direbbe Dodo). Anche se abbiamo passato i 40 da un pezzo. Esattamente come il protagonista del libro, rap star in disarmo che, suo malgrado, si troverà invischiato in una storia di omicidi, tra droga, soldi e sesso, in una Milano nera per certi versi simile a quella di Scerbanenco, ma con i Club Dogo in sottofondo e i grattacieli di City Life alle spalle. La storia di un perdente, come la mia, o di un «resistente», come ho sentito dire durante la presentazione. Un tizio esattamente come me.

Ho capito che il trapper di Robertini sono io: il racconto della settimana
La presentazione di Morte di un Trapper (dal profilo Instagram di Giovanni Robertini).

«La vita è rap!», dice dal palco della Feltrinelli di Piazza Piemonte Giovanni Robertini, ed è la stessa cosa che pensavo la settimana scorsa con davanti Sofia (che tra l’altro nel libro potrebbe benissimo essere la protagonista femminile, quella che fa innamorare la rap star 40enne), mentre dubbioso stavo quasi per accettare l’invito ad andare con lei al Marrageddon. La osservavo zompettare, con indosso un paio di mini-short di jeans strappati, i capelli sciolti e i suoi occhi color nocciola, poi vacillando le avevo chiesto: «Ma non viene Brando?». «No, vado da sola, a meno che tu non decida di venire con me», aveva risposto, tagliando corto. Io avevo tergiversato, facendo finta di non sentire, e a distanza di sicurezza l’avevo salutata, dopo aver raccolto la mia sacca con dentro i vinili di De Gregori e di Battiato che avevo appena preso da Serendeepity, inforcando la mia bici color blu diplomatico, diretto a un incontro di lavoro al quale non potevo assolutamente mancare.

Per potenziarmi ho anche pensato di iscrivermi a un corso di thai chi e andare ad assistere a un incontro in via Watt, tra i Navigli e la Barona, al Moysa, il più grande e importante hub musicale a livello nazionale, con Sadhguru, il santone che riempie gli stadi. Poi il giorno stesso DFA mi ha detto: «La gente lo ascolta solo perché è figo e somiglia ad Omar Sharif. Metti al suo posto un vecchio che dice le stesse cose e non se lo fila nessuno»
Morte di un trapper di Giovanni Robertini (HarperCollins).

Ho altro per la testa in questo periodo, non ho tempo da perdere, e così la stessa settimana, uno dopo l’altro, ho declinato gli inviti di Ludovica e di Sofia, sia per Paul Weller che per Marracash. Sono sicuro che più della metà di voi avrebbe dato due dita della mano destra per avere un appuntamento con una di loro. Figurarsi con entrambe. Ma «la vita è rap» amici, e il mio flow in questo momento mi porta altrove, mi costringe a concentrarmi su me stesso, a programmare, a rimanere sul pezzo. Servono innanzitutto un progetto e la disciplina mentale per realizzarlo. Così per potenziarmi a un certo punto ho pensato anche di iscrivermi a un corso di thai chi e andare ad assistere a un incontro in via Watt, tra i Navigli e la Barona, al Moysa, il più grande e importante hub musicale a livello nazionale, con Sadhguru, il santone che riempie gli stadi come una rockstar, e fa sold out in tutto il mondo. Poi il giorno stesso DFA mi ha detto: «Il tipo è un guru come ce ne sono tanti, che la gente ascolta solo perché è figo e somiglia ad Omar Sharif. Metti al suo posto un vecchio brutto che dice le stesse cose e non se lo fila nessuno». Così ho pensato fanculo Sadhguru, e fanculo anche il thai chi, sono andato con Ofelia al cinema a vedere il nuovo film di Wes Anderson e a bordo di una jeep con i finestrini scuri mentre attraversavamo l’incrocio con Piazza Tricolore ho pensato che sarei stato in grado di affrontare qualsiasi cosa.

Per potenziarmi ho anche pensato di iscrivermi a un corso di thai chi e andare ad assistere a un incontro in via Watt, tra i Navigli e la Barona, al Moysa, il più grande e importante hub musicale a livello nazionale, con Sadhguru, il santone che riempie gli stadi. Poi il giorno stesso DFA mi ha detto: «La gente lo ascolta solo perché è figo e somiglia ad Omar Sharif. Metti al suo posto un vecchio che dice le stesse cose e non se lo fila nessuno»

«Quando scrivi il tuo libro?». Questa domanda me la sono sentita ripetere da 15 persone solo negli ultimi tre giorni. Al telefono, in mezzo alla strada, mentre preparavo un negroni dietro al banco del bar, alla presentazione del romanzo di Robertini in Feltrinelli in Piazza Piemonte, a quella del libro di Benjamin Labatut al Piccolo il giorno dopo, in fila alla cassa del supermercato. Poi una mattina di inizio ottobre nella comunità letteraria milanese hanno iniziato a circolare voci, pare diffuse da “fonti attendibili”, su un misterioso manoscritto custodito in una cassetta di sicurezza di una banca svizzera che varie case editrici si stavano contendendo partecipando ad aste furiose che avevano raggiunto ormai cifre astronomiche. Io dal canto mio non confermavo né smentivo queste voci alle presentazioni o ai cocktail a cui venivo invitato, alimentando quella che con i miei amici avevo iniziato a chiamare «la più grande truffa del rock and roll dopo i Sex Pistols». Il libro diventa l’unico argomento di cui parlo nello studio del mio psicologo, agli aperitivi con un writer abbastanza noto, agli appuntamenti in studi di registrazione dove immaginiamo futuri podcast o trasmissioni radiofoniche da me condotte. Poi una sera a una festa di un brand di moda in via Sant’Andrea, mentre i miei occhi vagavano sui ragazzi giovani con i drink in mano e sulle ragazze in tanga tacchi alti e miniabiti che ciondolavano davanti alle vetrine, mi sono reso irrimediabilmente conto che quello era un mondo a cui non appartenevo proprio più.

Alla fine ho capito che il trapper raccontato da Robertini sono io: il racconto della settimana
Sadhguru (Jaggi Vasudev) (Getty Images).

Quando torno a casa, in attesa che Ofelia rientri dal lavoro, siedo davanti al computer nel grosso tavolo al centro del salotto e penso che dovrei smettere di bere e di fumare e anche che dovrei farmi un check-up completo per vedere come sto ma poi come sempre arriva il week end e finiamo nudi, sbronzi di champagne, a cercare isole greche dove trascorrere l’estate, comprare biglietti online per andare a dei concerti jazz, ascoltare le playlist che ho preparato per qualche serata alla quale sono stato chiamato per mettere la musica, dopodiché finiamo sempre per tornare in camera da letto. Ed è in uno di quei momenti, disteso sul letto mentre mi porto alle labbra un calice colmo di champagne, il suo viso sospeso sul mio, che capisco il motivo per cui stiamo insieme da tanti anni: è l’unica persona al mondo con cui non ho bisogno di recitare.

Mestre, le carte sullo stato del cavalcavia erano in procura già da un anno

Gran parte della documentazione sul pessimo stato del cavalcavia di Mestre, da cui mercoledì 5 ottobre 2023 un pullman è precipitato causando un bilancio di 21 vittime, si trovava già in procura a Venezia da più di un anno. Il materiale – scrive il Gazzettino – era stato acquisito dagli uffici giudiziari in base ad articoli di stampa che riportavano il grave stato del manufatto, e le dichiarazioni dell’assessore ai lavori pubblici, Renato Boraso, che richiedeva un intervento urgente sulla struttura stradale. Non si conosce al momento se la procura, analizzati gli incartamenti, avesse assunto qualche ulteriore iniziativa.

Il video della giudice Iolanda Apostolico e l’ipocrisia dei garantisti a targhe alterne

Siamo in quei giorni in cui nauseabondo si annusa intorno l’odore dell’ipocrisia che cancella qualsiasi discussione, che annulla qualsiasi considerazione e che concorre ad aumentare la disaffezione verso la politica. I fatti sono noti, non vale nemmeno la pena di ripeterli. Anni dopo rispunta un video di una giudice malvista dal potere esecutivo poiché ha annullato di fatto gli effetti di un decreto del governo sui migranti. Non è questo ora che ci interessa: Iolanda Apostolico è semplicemente il nemico di turno di un filotto che già domani avrà qualcun altro nel mirino. Sembra che ci sia dimenticati in fretta di come funzioni la “Bestia” del Matteo Salvini che fu, quando Luca Morisi rintuzzava la brace degli elettori leghisti individuando un “nemico della Patria” al giorno. Possono essere giornalisti, intellettuali, cantanti, calciatori, insegnanti, impiegati e quindi anche giudici. L’eterogeneità degli avversari serve per dipingere un complotto vasto, infilato in tutti i campi e in tutte le professioni.

Il video della giudice Iolanda Apostolico e l'ipocrisia dei garantisti a targhe alterne
Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Che fine fa la privacy se un video di qualcuno di noi viene dato a un ministro?

Quello che è disgustosamente interessante nel dibattito di questi ultimi giorni è la composizione degli indignati contro la giudice catanese. Tolto Salvini e la sua pletora di salviniani (convinti di avere fatto lo “scoop”) ai rimestatori si sono aggiunti gli stessi che fino a un minuto prima rivendicavano il marchio di “garantisti doc”. Incredibile a dirsi: i liberali fautori del garantismo che ogni giorno indaga sulle indagini stavolta si sono fissati sul dito. A nessuno di loro è scappata una parola sui fotogrammi archiviati per anni con fini andreottiani. «Vengono sempre filmate le manifestazioni», dice qualcuno. Fingiamo di crederci. Dovremmo quindi credere che negli ultimi giorni qualcuno (chi? Pagato da chi? Dove? Perché?) abbia passato ore a spulciare nei cassetti delle manifestazioni di questi ultimi anni con un talento mnemonico e visivo fenomenale per estrarre il video dal cassetto? Anche se fosse, per i garantisti dovrebbe essere un delitto, no? Che fine fa la privacy se un video di qualcuno di noi viene dato a un ministro (che è stato di stanza dal Viminale) per agitarlo a fini politici?

Dunque X è il luogo in cui la politica si occupa della magistratura?

I garantisti doc rispondono: «È una questione politica». Perfetto. Qui ci sta un’altra considerazione: è X (l’ex Twitter) il luogo in cui la politica si occupa della magistratura? Basta saperlo. Così magari la Commissione Giustizia la usiamo per organizzarci altro, magari una bella festa a sorpresa. Fenomenale la voce di chi, membro del Senato ed ex presidente del Consiglio e proprietario di un partito, trova «scandaloso che un magistrato vada in piazza», mentre ciclicamente viaggia per fare da sponsor a un’autarchia emiratina (sì, è Matteo Renzi). È scandaloso manifestare per il rispetto dei diritti umani, ma non è scandaloso intascare lauti compensi per legittimare un Paese che taglia i giornalisti a pezzi. Dico, lo sentite il tanfo dell’ipocrisia?

Chi e a che titolo si è occupato della archiviazione di quelle riprese?

La strategia dei garantisti di casa nostra che garantiscono solo gli amici è banalissima. Secondo le tecniche più cretini dello “straw man argument” da giorni li ascoltiamo mentre ripetono in coro che «le riprese video rientrano nelle facoltà delle forze dell’ordine». La domanda sul tavolo è un’altra (chi e a che titolo si è occupato della loro archiviazione?), ma loro fingono di non sentirla. «Non mi sembra una gran notizia scoprire che un agente filmava», scriveva una giornalista che la mancanza di garantismo l’ha pagato sulla pelle della sua famiglia. È vero, la notizia infatti è tutt’altra: l’eventuale dossieraggio.

Il video della giudice Iolanda Apostolico e l'ipocrisia dei garantisti a targhe alterne
Matteo Salvini con Matteo Piantedosi al Viminale nel 2018 (Imagoeconomica).

Le intercettazioni però erano considerate «invasione di campo»…

Qui torniamo al punto di partenza. In politica si possono sostenere tutte le posizioni, purché siano legittime e all’interno della Costituzione. Che qualcuno sia molto felice di un Paese che archivi i movimenti di ogni suo cittadino per garantire sicurezza è un’idea che liberamente qualsiasi leader di partito potrebbe proporre agli elettori e inserire nel suo programma elettorale (ci sarebbero dei seri problemi di Costituzione – è vero – ma ormai questo è un problema facilmente scavalcabile). Ma che gli stessi che da anni piagnucolano sulle intercettazioni come «invasione di campo» della magistratura per difendere i propri interessi e i propri amici (spesso sono la stessa cosa) ora gridino allo scandalo contro la persona e non contro la modalità è una giravolta oscena che inevitabilmente ha a che fare con la credibilità. Se avessimo anche noi i soldi e il tempo per pagare un topo d’archivio affinché collazioni i video e le dichiarazioni dei garantisti negli ultimi anni sottolineandone il farisaismo, c’è da scommettere che questi griderebbero alla schedatura. Gli si potrebbe chiedere: e quest’altra? Loro risponderebbero a un’altra domanda che nessuno gli ha posto.

Centinaia di razzi su Israele lanciati da Gaza, Hamas: «Nuova operazione militare»

Una pioggia di razzi dalla Striscia di Gaza su Tel Aviv e il sud di Israele con allarmi che risuonano anche a Gerusalemme, una donna uccisa e almeno 15 feriti. È iniziata così, all’alba di sabato 7 ottobre 2023, quella che Hamas – per bocca del capo della sua ala militare Mohammad Deif – ha annunciato come il lancio dell’operazione «Alluvione Al-Aqsa», al quale le forze armate dello stato ebraico (Idf) hanno risposto dichiarando lo stato di allerta di guerra e richiamando i riservisti. «L’organizzazione terroristica di Hamas ha cominciato un massiccio di tiro di razzi verso il territorio israeliano e in diversi luoghi», ha scritto il portavoce militare.

L’operazione militare per «mettere fine ai crimini di Israele»

In un comunicato, Hamas ha affermato di aver lanciato 5 mila razzi per «mettere fine ai crimini di Israele», riferendosi alle «profanazioni» dei luoghi santi di Gerusalemme e al «rifiuto israeliano di liberare i nostri prigionieri». Ha anche dichiarato che i miliziani hanno avuto l’ordine «di non uccidere donne e bambini» e ha fatto appello a tutti i palestinesi di unirsi alla lotta armata: «Oggi è il giorno della grande rivoluzione, se avete un’arma è il momento di usarla». In Israele, intanto, il governo ha annullato le manifestazioni di protesta politica previste per stasera. Il premier Benyamin Netanyahu ha convocato una riunione del gabinetto di sicurezza alle 13.00 e incontrerà a breve il ministro della difesa Yoav Gallant e i responsabili della sicurezza e militari.

Centinaia di razzi su Israele lanciati da Gaza, Hamas: «Nuova operazione militare»
Razzi lanciati su Israele (Getty).

Una donna uccisa a Gederot

Per il momento il bilancio dell’attacco è di un morto e qualche ferito. La vittima è una donna, di cui ancora non si conoscono le generalità, che è stata colpita da un razzo nell’area di Gederot, vicino Ashkelon. Il lancio è iniziato intorno alle 7.00, mentre i bambini stavano andando a scuola. Proprio il giorno dopo, hanno fatto notare alcuni analisti, rispetto a quando nel 1973 gli eserciti dell’Egitto e della Siria attaccarono Israele dando inizio alla guerra del Kippur. Intanto le sirene di allarme continuano a risuonare nella zona centrale e meridionale del Paese e anche a Gerusalemme e Tel Aviv.

Scontri a Sderot

Le forze dell’ordine hanno invitato i cittadini a rimanere a casa, mentre miliziani palestinesi armati provenienti da Gaza si sono infiltrati in territorio israeliano, nella città di Sderot, da dove sono usciti a bordo di un furgone sparando dappertutto. Si parla di diverse vittime, ma non ci sono ancora conferme.

Hostage stasera su Iris: trama, cast e curiosità

Stasera 7 ottobre 2023 alle ore 21.00 andrà in onda il film Hostage sul canale Iris. Il regista è Florent Emilio Siri mentre la sceneggiatura è stata scritta da Doug Richardson. Nel cast ci sono Bruce Willis, Kevin Pollak, Jonathan Tucker, Ben Foster e Jimmy Bennett.

Hostage è il film che andrà in onda questa sera su Iris, ecco trama, cast e curiosità di questa pellicola con Bruce Willis.
Bruce Willis in una scena (X).

Hostage, trama e cast del film stasera 7 ottobre 2023 su Iris

La trama racconta la storia di Jeff Talley (Bruce Willis) un agente della polizia di Los Angeles che è specializzato nelle trattative per il rilascio degli ostaggi. Tuttavia, durante un’operazione di questo genere, Jeff sbaglia e il rapitore uccide i suoi ostaggi, sparandosi poi in testa. Talley è sconvolto da questo evento ed è devastato dai sensi di colpa. Decide quindi di cambiare totalmente vita e di trasferirsi con la famiglia nella contea di Ventura, in California. Qui diventa il capo della polizia e si occupa di far rispettare le leggi ai cittadini, assicurando giustizia e protezione.

Comunque, un giorno Jeff si trova a dover salvare tre delinquenti che hanno deciso di prendere in ostaggio in una villa un padre con i suoi due figli, Tommy (Jimmy Bennett) e Jennifer (Michelle Horn). Le cose precipitano perché i malcapitati non sanno che la villa appartiene a Walter Smith (Kevin Pollak) un uomo che lavora con la criminalità organizzata. Quest’ultimo decide di prendere in ostaggio la famiglia stessa di Talley e se il poliziotto non libererà la casa dai criminali, saranno i suoi cari a pagare. Il tempo passa ma grazie alla sua esperienza il capo della polizia riuscirà a escogitare un ingegnoso piano.

Hostage, 5 curiosità del film stasera 7 ottobre 2023 su Iris

Hostage, la figlia di un attore famoso nel cast

Bruce Willis, protagonista della pellicola, ha una figlia nel film di nome Amanda. A interpretare questo ruolo è stata la vera figlia dell’attore, Rumer Willis. Tuttavia, il protagonista voleva che la figlia passasse dal casting come le altre attrici prese in considerazione e Rumer fu costretta a fare un provino, venendo poi scelta dalla produzione.

Hostage, la relazione tra due attori sul set

Durante le riprese sul set, nacque del tenero tra due attori. In particolare, Ben Foster e Michelle Horn iniziarono una relazione andata avanti fino alla fine delle riprese.

Hostage, il soggetto della sceneggiatura non è originale 

Il soggetto della sceneggiatura di quest’opera non è originale. Infatti, lo sceneggiatore Doug Richardson si è occupato di adattare per il grande schermo il romanzo omonimo dell’autore statunitense Robert Crais, lanciato nel 2002, 3 anni prima della produzione del film.

Hostage è il film che andrà in onda questa sera su Iris, ecco trama, cast e curiosità di questa pellicola con Bruce Willis.
Locandina del film (X).

Hostage, gli incassi non troppo convincenti

Secondo il sito The Numbers, il budget di questo film è stato di 75 milioni di dollari. Tuttavia, gli incassi al botteghino hanno a malapena coperto i costi di produzione. Stando a quanto riportato dal portale Box Office Mojo, in totale la pellicola ha incassato circa 77 milioni di dollari.

Hostage, un omaggio inserito dal regista 

In una scena del film c’è un omaggio che il regista Florent Emilio Siri ha voluto inserire verso una sua pellicola: appare la versione DVD del film The Nest, conosciuto in italiano con il nome di Nido di Vespe.

La pazza gioia stasera su Rai Movie: trama, cast e curiosità

Stasera 7 ottobre 2023 andrà in onda il film La pazza gioia su Rai Movie alle ore 21.10. Il regista è Paolo Virzì che ha scritto anche la sceneggiatura in collaborazione con Francesca Archibugi. Nel cast ci sono Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Ramazzotti, Valentina Carnelutti e Tommaso Ragno.

La pazza gioia è il film che andrà in onda questa sera su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità su questa pellicola.
Locandina del film (X).

La pazza gioia, trama e cast del film stasera 7 ottobre 2023 su Rai Movie

La trama racconta la storia di due pazienti ricoverate nella struttura di Villa Biondi, un centro di recupero per donne affette da problemi mentali: Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi) e Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti). Le due si conoscono e stringono un forte legame di amicizia. Decidono quindi di architettare un piano per riuscire a fuggire dalla struttura: il loro obiettivo è quello di esplorare il mondo e darsi alla pazza gioia, godendosi quegli aspetti della vita che un tempo sembravano irraggiungibili.

Il loro piano ha successo, visto che scappano dalla struttura e le due iniziano a viaggiare in lungo e in largo. Come delle novelle Thelma e Louise le due non si pongono limiti e si muovono in diverse località della Toscana. Nonostante la loro amicizia sia molto forte, in realtà le due protagoniste sono molto diverse tra loro: Beatrice è ricca, presuntuosa e narcisista mentre Donatella è fragile e introversa. Ma le differenze non sono nulla se l’amicizia prevale su tutto e se la voglia di essere libere è più forte di qualsiasi altra cosa.

La pazza gioia, 5 curiosità sul film stasera 7 ottobre 2023 su Rai Movie

La pazza gioia, ciò che ha spinto Virzì a scrivere la sceneggiatura

Il regista Paolo Virzì ha affermato al giornale La Repubblica che ha avuto l’idea di scrivere la sceneggiatura sul set del suo film Il capitale umano. Infatti, il regista venne raggiunto dalla moglie Micaela Ramazzotti che era incinta e quando se ne andò venne accompagnata dall’attrice Valeria Bruni Tedeschi «con un misto di paura e di fiducia. Ecco, i due personaggi sono nati lì in quella immagine che avrei voluto inseguire con la macchina da presa».

La pazza gioia, l’ispirazione per il regista

In un’intervista per Quotidiano Nazionale, il regista Paolo Virzì ha affermato che due opere sono state fonte d’ispirazione per la realizzazione di questo film: Qualcuno volò sul nido del cuculo e Un tram che si chiama Desiderio.

La pazza gioia, i tanti riconoscimenti ottenuti dalla pellicola

La pellicola è stata un successo dal punto di vista della critica. Non a caso, ai David di Donatello del 2017 è riuscita a ottenere 5 premi: Miglior film, Miglior regista, Miglior attrice protagonista a Valeria Bruni Tedeschi, Miglior scenografo e Miglior acconciatore.

La pazza gioia è il film che andrà in onda questa sera su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità su questa pellicola.
Le protagoniste del film (X).

La pazza gioia, gli incassi al botteghino

Questo film è stato anche un grande successo al botteghino. Infatti, secondo i dati riportati dal sito MyMovies, gli incassi totali della pellicola sono stati di circa 6 milioni di euro.

La pazza gioia, le location per le riprese

Le riprese del film sono state effettuate in gran parte a Livorno in località come la riserva naturale Calafuria. Altre riprese sono state effettuate a Viareggio, Montecatini Terme e Pistoia.

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