Le devastanti alluvioni che hanno colpito la Libia orientale il 10 settembre settembre sono un banco di prova importante per il feldmaresciallo Khalifa Haftar, leader dell’Esercito nazionale libico (LNA) che controlla militarmente quella porzione di Paese. La reputazione del cosiddetto “uomo forte della Cirenaica” potrebbe traballare insieme ai pochi edifici ancora in piedi dopo il fiume di acqua e fango che ha investito la città di Derna e le zone limitrofe, oppure rinsaldarsi all’interno e all’esterno. Tutto dipenderà se riuscirà ancora a mostrarsi capace di garantire la stabilità e la sicurezza che promette ai cittadini dell’est da quando le sue milizie hanno sconfitto i jihadisti dello Stato Islamico.
Le milizie di Haftar e le corresponsabilità nel disastro di Derna
In questa emergenza senza fine, le milizie di Haftar sono state però duramente criticate e per diversi motivi. Prima di tutto perché la catastrofe naturale provocata dalla tempesta mediterranea Daniel a ben guardare così naturale non è stata. Le inondazioni responsabili di oltre 4.300 morti accertati e di 8.500 mila dispersi (dati Oms del 3 ottobre) sono state causate, dopo forti piogge, dal crollo di due dighe vicine a Derna che da diversi anni non conoscevano manutenzione. Né quando la zona era controllata da Tripoli né dal 2018 sotto Haftar. Secondo alcune voci poi Haftar avrebbe ignorato la richiesta di evacuazione della città prima che venisse sommersa. Lo sostiene l’analista esperto di Libia Jalel Harchaoui, ricercatore presso il Royal United Services Institute di Londra, secondo cui «l’esercito ha detto alla gente di restare a casa», di fatto condannando migliaia di famiglie a una morte certa. Se per il momento non sono emerse prove certe, è però risaputo che nell’est della Libia, per muoversi da una città all’altra, bisogna ottenere il via libera delle milizie di Haftar. Un iter che rende verosimilmente l’LNA almeno corresponsabile del disastro.
Il pugno di ferro contro i manifestanti e il rimpallo di responsabilità
Nei primi giorni dopo le inondazioni la rabbia della popolazione si è scagliata contro contro Aguila Saleh, presidente del parlamento orientale, alleato di Haftar ed espressione del vecchio establishment, e Abdelmonem al-Ghaithi, sindaco di Derna e nipote di Saleh, anche se per alcuni analisti il vero bersaglio delle proteste sarebbe stato il maresciallo stesso. Un dissenso che è stato spento con il pugno di ferro: ai giornalisti è stato impedito di avvicinarsi alla zona alluvionata mentre i cronisti già sul posto sono stati allontanati. Anche le comunicazioni nell’area sono diventate difficili. Intanto il sindaco e alcuni funzionari sono stati indicati come i principali responsabili della catastrofe. Tutto il consiglio comunale di Derna è stato sospeso e al-Ghaithi arrestato insieme a sette persone. Altri 16 pubblici ufficiali sono indagati. Nel mentre Haftar ha visitato le zone alluvionate in quello che è sembrato un tentativo di lavarsi di dosso ogni responsabilità e di intestarsi invece i soccorsi.
Un Paese diviso anche negli aiuti
La situazione post inondazioni, “l’11 settembre della Libia” come sono state definite, riflette la divisione che il Paese nordafricano si trascina dietro dopo la caduta di Muammar Gheddafi nel 2011. La spaccatura, aperta proprio da un’operazione militare di Haftar nel 2014 contro gli estremisti islamici a Bengasi, e mai veramente sanatasi, è peggiorata di nuovo lo scorso anno dopo le fallite elezioni generali del dicembre 2021, ultima speranza di riunificazione. Nel febbraio scorso la Camera dei rappresentanti, il parlamento con sede a Tobruk, nella Libia orientale, ha giudicato scaduto il termine del governo di unità nazionale di Tripoli, sostenuto dalla comunità internazionale, e ha nominato un nuovo esecutivo appoggiato da Haftar e guidato dall’ex ministro dell’Interno Fathi Bashagha che ha recentemente lasciato il posto a Osama Hamad. Il capo del governo di Tripoli, il premier Abdul Hamid Dbeibah, ha più volte respinto questa presa di posizione del parlamento, affermando che cederà il potere solo a un governo eletto ed è rimasto saldamente al proprio posto. Da allora nel Paese convivono due amministrazioni parallele, in competizione anche della gestione degli aiuti umanitari ai civili colpiti dalle inondazioni di settembre. La maggior parte degli aiuti è infatti stata ricevuta dal governo di Tripoli che gode di riconoscimento internazionale, a differenza del governo della Libia orientale, vicino solamente a Egitto e Russia. La ripartizione degli aiuti in loco è però appannaggio totale dell’esercito di Haftar e delle squadre di soccorritori che coordina. Questi due centri di potere, che in qualche modo alla fine collaborano, secondo molti analisti hanno però rallentato la risposta umanitaria, a discapito dei cittadini colpiti. Le autorità orientali hanno annunciato che ospiteranno una conferenza internazionale a inizio novembre per discutere della ricostruzione di Derna, ma il timore è che Haftar e i suoi sfruttino il processo di ripresa per arricchirsi ulteriormente, secondo quanto dichiarato da Emadeddin Badi, dell’Atlantic Council, al Wall Street Journal. A prova di questo, nei giorni scorsi un gruppo di cittadini di Derna, non si sa quanto spontaneamente, ha letto un comunicato durante un sit-in con cui ha dato mandato all’LNA di seguire direttamente la ricostruzione della città e negoziare con le compagnie internazionali.
La rete di potere degli Haftar in Libia
Episodi del genere sembrano dimostrare quanto il controllo di Haftar sulla Libia orientale sia ancora saldo. Secondo un rapporto di esperti delle Nazioni Unite pubblicato all’inizio di ottobre l’uomo forte «ha lavorato per costruire una rete clientelare che ha dato capacità di controllare direttamente i rapidi movimenti militari, il settore pubblico e il processo decisionale politico», il che significa che «ha un’influenza diretta sul processo politico nazionale, che non può andare avanti senza il loro consenso». Di recente Haftar, la cui famiglia ha raccolto ingenti ricchezze negli anni, ha consolidato maggiormente la sua posizione spingendo i figli Khaled, Elseddiq e Saddam a ricoprire ruoli pubblici. Saddam è apparso a Derna come membro di un comitato di emergenza, mentre la brigata Tariq bin Ziyad da lui comandata ha partecipato ai soccorsi. Elseddiq, che non ha ruoli pubblici o militari ed era in Europa durante l’alluvione di Derna, in un’intervista pochi giorni dopo il disastro si è presentato come possibile futuro candidato alla presidenza, se mai si terranno elezioni, nel solco del padre.