Daily Archives: 8 Ottobre 2023

La nostra vita stasera su Rai Movie: trama, cast e curiosità

Stasera 8 ottobre 2023 andrà in onda sul canale Rai Movie il film La nostra vita alle ore 21.10. Il regista è Daniele Luchetti mentre la sceneggiatura è curata dallo stesso Luchetti in collaborazione con Sandro Petraglia e Stefano Rulli. Nel cast ci sono Elio Germano, Raoul Bova, Isabella Ragonese e Luca Zingaretti.

La nostra vita andrà questa sera in diretta su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità su questa pellicola con Elio Germano.
Elio Germano in una scena del film (X).

La nostra vita, trama e cast del film stasera 8 novembre 2023 su Rai Movie

La trama racconta la storia di Claudio (Elio Germano) un operaio edile che lavora in uno dei tanti cantieri della periferia di Roma. Ha due figli, quasi tre, visto che la moglie Elena (Isabella Ragonese) è in dolce attesa. Con la moglie poi, Claudio ha un bel rapporto fatto di complicità, sensualità e vitalità. Tuttavia, questa vita idilliaca e apparentemente regolare viene sconvolta da un evento improvviso: Elena muore e Claudio non è pronto per vivere da solo, prendendosi cura di tutte le responsabilità della sua famiglia.

Dopo un periodo duro, Claudio si impegna per sfidare il destino e assicurare ai suoi figli tutte le cose che non ha mai avuto: ricchezza, agi, capricci, vacanze e molto altro ancora. Tutto ciò che Claudio vuole dare ai suoi bambini però, ha dei costi e da solo l’uomo si accorge che non può continuare così per molto. Decide quindi di rivolgersi alle persone che gli sono rimaste vicine, la sorella (Stefania Montorsi) anche se troppo attaccata a lui e quasi materna, il fratello timido e a tratti imbranato (Raoul Bova) e il pusher (Luca Zingaretti) vicino di casa. Forse però, Claudio deve capire che non tutto si aggiusta con il denaro, come gli confida il figlio di un collega.

La nostra vita, 5 curiosità sul film stasera 8 novembre 2023 su Rai Movie

La nostra vita, le location del film

Il film è stato girato principalmente a Ostia. Inoltre, alcune scene sono state girate a Porta di Roma e a Porta di Nona.

La nostra vita, il premio speciale per Elio Germano

Per la sua interpretazione, Elio Germano è stato premiato al Festival di Cannes per la miglior interpretazione. Tuttavia, ha dovuto condividere il premio con Javier Bardem, visto che si è trattato di un ex aequo con il protagonista di Biutiful.

La nostra vita andrà questa sera in diretta su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità su questa pellicola con Elio Germano.
Una scena con Elio Germano (X).

La nostra vita, i premi vinti dalla pellicola

Oltre alla grande interpretazione di Elio Germano, la pellicola ha vinto anche altri premi per i suoi dettagli tecnici. Nel dettaglio, ha ottenuto ben 3 David di Donatello nelle categorie Miglior regia, Miglior attore protagonista e Miglior sonoro.

La nostra vita, gli incassi della pellicola in Italia

Secondo il sito Box Office Mojo, la pellicola in Italia ha incassato in totale circa 3 milioni di euro. Si tratterebbe di un incasso non convincente visto che Cattleya avrebbe prodotto questo progetto insieme a Rai Cinema e alla casa di produzione francese Babe Films investendo in totale circa 6.2 milioni di euro.

La nostra vita, le musiche originali composte da uno stretto collaboratore del regista

A firmare le musiche originali della colonna sonora della pellicola c’è Franco Piersanti. Quest’ultimo e il regista Luchetti avevano già collaborato insieme nel film del 2007 Mio fratello è figlio unico.

Inaugurata in Brasile una statua della Madonna più alta del Redentore

Una gigantesca statua di Nostra Signora Aparecida, patrona del Brasile, è stata inaugurata ad Aparecida, la città nell’entroterra di San Paolo che ospita il maggiore santuario al mondo dedicato alla Madonna. Il monumento, che misura 50 metri, è più alto del Cristo Redentore di Rio de Janeiro, che è alto 38 metri. La scultura, creata dall’artista Gilmar Pinna, è stata realizzata in acciaio ed è costata circa 10 milioni di reais (1,8 milioni di euro).

L’installazione è avvenuta sei anni dopo il previsto

Il luogo dove è stata montata si trova a tre chilometri dalla basilica ed è visibile a sei chilometri di distanza. L’installazione è avvenuta sei anni dopo il previsto, alla vigilia della festa patronale, che sarà celebrata giovedì 12 ottobre. Il progetto era stato annunciato nel 2017, ma ha subito un lungo ritardo in seguito a una causa intentata dall’Associazione brasiliana degli atei e degli agnostici.

Come la cultura della guerra si infila nelle scuole e nelle università

Buttare la guerra fuori dalla scuola: è questa la missione dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, attivo dai primi mesi del 2023 nel monitorare le attività scolastiche che coinvolgono esercito e corpi armati e contribuiscono alla cultura della guerra. Secondo l’osservatorio, la tendenza alla militarizzazione è in aumento, sintomo di un generale cambiamento nell’atteggiamento verso la guerra.

Carriera militare inserita nei percorsi di orientamento

Partito come una serie di corsi di aggiornamento per insegnanti promossi dal Centro studi per la scuola pubblica (Cesp), l’osservatorio raccoglie diversi gruppi della società civile appartenenti al mondo pacifista italiano: associazioni di stampo cattolico, gruppi informali, ma anche centri sociali e sindacalismo di base. I membri hanno raccolto decine di segnalazioni da tutta Italia: tra percorsi educativi e formativi con le forze dell’ordine, visite alle caserme e carriera militare inserita nei percorsi di orientamento, i membri dell’osservatorio ritengono preoccupante l’ingerenza di questi attori nelle questioni didattiche.

Come la cultura della guerra si infila nelle scuole e nelle universita?
Un Osservatorio monitora i valori militari inculcati, in modo diretto o indiretto, nelle scuole (Imagoeconomica).

«A scuola bisogna imparare innanzitutto il senso critico»

«Ci battiamo perché riteniamo che il compito istituzionale e costituzionale della scuola sia in contrasto con i valori promossi dall’esercito e dalle forze dell’ordine», spiega Serena Tusini, membro dell’osservatorio. I valori militari di dovere, amore incondizionato per la Patria e di cieca obbedienza sono in netto contrasto con quello che la scuola, di ogni ordine e grado, dovrebbe insegnare: «A scuola bisogna imparare innanzitutto il senso critico», continua Tusini.

Commemorazioni storiche come il 4 novembre

I membri dell’osservatorio svolgono diverse attività per monitorare i casi, in crescita, di ingresso delle forze armate nei percorsi educativi di ragazzi e ragazze. Tra le attività, la preparazione di proposte pedagogiche dedicate alla pace; la creazione di vademecum per genitori e insegnanti che vogliano opporsi alle attività di stampo “bellico”; la scrittura di dossier a catalogo di segnalazioni e iniziative; la diffusione di volumi divulgativi. Inoltre, ci si impegna per gettare una luce critica sulle commemorazioni storiche proposte a scuola. Una di queste è la giornata delle forze armate del 4 novembre, suggerita come giornata da celebrare nelle scuole in modo acritico, che «dà una visione distorta del ruolo dell’esercito, soprattutto nella Prima guerra mondiale», commenta Tusini.

Come la cultura della guerra si infila nelle scuole e nelle universita?
Il ministro della Difesa Guido Crosetto (Imagoeconomica).

Protocollo d’intesa fra ministero dell’Istruzione e della Difesa

Come avviene l’ingresso delle forze armate nella scuola? Tusini spiega che esistono innanzitutto dei protocolli di intesa a livello ministeriale – il più recente dei quali, appena rinnovato, con la Marina militare – ma poi ci sono singoli accordi a livello regionale e anche per ciascuna scuola.

Come la cultura della guerra si infila nelle scuole e nelle universita?
Studenti a scuola (Imagoeconomica).

Sul sito dell’osservatorio si legge che, solo a livello nazionale, «nel 2014 è stato firmato un protocollo d’intesa fra ministero dell’Istruzione e della Difesa seguito da una circolare ministero dell’Istruzione (ancora senza “Merito”) che elencava i percorsi progettuali da affidare alle forze armate (…). Nel 2017 è stato sottoscritto dai ministeri dell’ Istruzione, della Difesa e del Lavoro un protocollo d’intesa per la mutua collaborazione nell’ambito dell’Alternanza scuola-lavoro (l’attuale Pcto), mentre con l’arma dei carabinieri il Miur ha siglato un Protocollo d’intesa nel 2019».

Tra le altre cose, pure l’inserimento di un poligono di tiro militare

«Un esempio è il dirigente dell’ufficio scolastico della Regione Marche, che ha sollecitato tramite circolare le scuole a presenziare a un alzabandiera militare come attività di educazione civica», racconta Tusini. Oppure la proposta di inserire nei percorsi di alternanza scuola lavoro (Pcto) attività nelle caserme, la visita di scuole dell’infanzia all’aeroporto militare a Marsala, l’inserimento del poligono di tiro militare come proposta di Pcto in una scuola sarda. «Anche nei percorsi di orientamento professionale sono presenti e fortissimi, proponendo la carriera militare come un lavoro qualunque».

Come la cultura della guerra si infila nelle scuole e nelle universita?
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (Imagoeconomica).

Zaini a tema militare e diario scolastico della polizia

Senza menzionare gli specifici valori associati a questo campo: obbedienza cieca, dovere, promozione della guerra.
C’è poi la creazione di un immaginario legato all’esercito e alle forze armate: recente è la campagna promossa proprio dall’osservatorio contro la diffusione di uno zaino Giochi preziosi a tema militare. Esiste anche un diario scolastico della polizia, che riporta le indicazioni di questa professione e le ricorrenze militari: lo scopo è familiarizzare i più piccoli con la figura militare.

La scuola vista come un bacino di nuove leve da reclutare

«Sono i militari che cercano contatti con le scuole, per due motivi principali: uno è che la scuola rappresenta un bacino di nuove leve da reclutare. Il secondo è la volontà di mostrare un lato civico e positivo dell’apparato militaresco». Infatti le visite di esercito, carabinieri, polizia e simili avvengono per trattare temi come il cyberbullismo, la violenza di genere e la sicurezza stradale. «Di questi temi dovrebbero occuparsi gli insegnanti, anche per andare oltre l’approccio legalitario e il paradigma di norma-infrazione-pena», sostiene Tusini, aggiungendo che si tratta di temi complessi. Sulla violenza di genere, per esempio, le lezioni avvengono da un ambiente, quello dei vari corpi armati, notoriamente sessista. «Le pratiche belliche sono anche portatrici di razzismo e sessismo, liberarsene significa rendere le scuole dei luoghi di pace».

In università commistione fra ricerca e industria bellica

Neanche le università sono risparmiate dalle ingerenze militari. Che però avvengono in altre forme, la più eclatante delle quali è il rapporto tra ricerca e industria bellica. La fondazione Med Or di Leonardo, per esempio, nel suo comitato scientifico coinvolge almeno 14 atenei italiani nella figura dei loro rettori. Secondo l’Osservatorio, quella del rettore è una figura istituzionale che deve rappresentare tutta la comunità accademica e trovare accordi con chi finanzia guerre è ritenuto inadeguato.

Come la cultura della guerra si infila nelle scuole e nelle universita?
Bambini a scuola con una bandiera dell’Italia (Getty).

Applicazione civile, ma di fatto si tratta di tecnologie militari

Molti sono i progetti di ricerca promossi e finanziati a scopo bellico che coinvolgono dipartimenti italiani. Spiega Tusini: «Si stabilisce un sistema duale per cui le industrie militari offrono finanziamenti per portare avanti ricerche che potrebbero avere anche un’applicazione civile, ma sono di fatto tecnologie militari. Il confine non è semplice da trovare», spiega Tusini. Per gli atenei è difficile rinunciare ai finanziamenti e da qui la proliferazione di queste iniziative. Un caso noto e recente riguarda la storia dell’accordo tra Politecnico di Torino e Frontex.

Una tendenza globale e iniziata prima dell’arrivo del governo Meloni

Uno dei primi atti del ministro Guido Crosetto è stato l’istituzione del Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa, tuttavia, secondo l’osservatorio, la tendenza alla militarizzazione delle scuole era presente anche con i governi precedenti. «Crediamo che, con i venti di guerra presenti oggi nel mondo, questo tipo di operazioni serva a riavvicinare la popolazione e l’opinione pubblica al tema della guerra. Crediamo che sia una più generale volontà di coinvolgere la società civile nel solidarizzare con le scelte belliche dei propri Paesi». E non è un fenomeno solo italiano, secondo Tusini: «Stiamo collaborando con docenti e studenti anche in Francia, Regno Unito, Germania e Australia perché si verificano episodi simili».

Kiptum ha vinto la Maratona di Chicago stabilendo il nuovo record mondiale

Un altro fantastico primato del mondo nella maratona dopo quello femminile dell’etiope Tigist Assefa a Berlino, dove lo scorso 24 settembre ha corso in 2h11’53”. Il 23enne keniano Kelvin Kiptum ha infatti vinto la maratona di Chicago con il tempo di 2h 00’35”, tempo che migliora il precedente record di 2h01’19” che apparteneva all’altro keniano Eliud Kipchoge, due volte campione olimpico.

Kiptum vince la Maratona di Chicago con nuovo primato mondiale. Il 23enne keniano ha chiuso con il tempo di 2h00'35".
Kelvin Kiptum (Getty Images).

Per Kiptum record mondiale alla terza maratona della carriera

Il 4 dicembre 2022, all’esordio nella maratona, Kiptum aveva conquistato il successo nella 42 km di Valencia con un tempo di 2h01’53”, diventando così il terzo uomo più veloce della storia (dietro a Kipchoge e Kenenisa Bekele) su tale distanza e, contestualmente, anche il più veloce esordiente di sempre. Il 23 Aprile 2023 a Londra, alla sua seconda maratona della carriera, Kiptum ha vinto ancora, chiudendo con il tempo di 2h01’25”, cioè a soli 16 secondi dal record del mondo fatto segnare dal connazionale Kipchoge a Berlino appena sei mesi prima. Alla terza maratona della carriera, ecco il sorpasso.

Morto in un incidente stradale in Brasile un medico di bordo della Amerigo Vespucci

A causa di un incidente stradale è morto nei pressi di Fortaleza, in Brasile, il tenente di vascello Daniele Marino, imbarcato sulla nave Amerigo Vespucci in qualità di medico di bordo per la campagna in corso. Lo rende noto la Marina Militare. «Il tragico evento è avvenuto durante la sosta in porto della nave. Sono in corso le verifiche del caso per determinare le dinamiche dell’incidente a cura delle autorità locali preposte. La famiglia è stata avvisata e la Marina è vicina ai familiari garantendo ogni necessario supporto». L’incidente di moto, in base a quanto si apprende, è avvenuto a Caucaia, nello nello Stato del Ceará

Morto il banchiere Pacini Battaglia, uno dei protagonisti di Tangentopoli

È morto a 89 anni nella sua casa a Roma, dove si era trasferito da tempo, il finanziere Pierfrancesco Pacini Battaglia, uno dei protagonisti di Tangentopoli. Originario di Bientina (provincia di Pisa) e conosciuto come “Chicchi”, il suo nome entrò nelle cronache nel 1993, quando venne coinvolto in Mani Pulite. E alla fine rimase uno degli uomini simbolo degli anni di quell’enorme scandalo.

La condanna a 6 anni per appropriazione indebita

Il nome di Pacini Battaglia, che nel 1980 aveva fondato a Ginevra la Banque Karfinco, venne fuori nell’ambito dell’inchiesta del pool di Mani pulite sui fondi neri dell’Eni, per la quale fu poi condannato a 6 anni di reclusione per appropriazione indebita. Un banchiere “un gradino sotto Dio”, questa la definizione che lo accompagnò dopo il coinvolgimento nelle indagini di Tangentopoli.

Nel 2010 l’assoluzione per il reato di riciclaggio

La condanna era divenuta definitiva nell’ottobre 2005. Finito in carcere, essendo cardiopatico Pacini Battaglia aveva poi ottenuto la detenzione domiciliare per motivi di salute. Con l’indulto ebbe poi uno sconto di pena di tre anni e la possibilità di accedere alle misure alternative alla carcerazione: venne quindi affidato ai servizi sociali e lavorò alla biblioteca comunale di Bientina. Nel 2010, dopo 17 anni, il banchiere e finanziere di Bientina fu assolto dal tribunale di Perugia che lo ritenne non colpevole per il reato di riciclaggio, al termine del processo nato dalla cosiddetta Tangentopoli 2.

L’Africa dei colpi di Stato e il rischio contagio: il prossimo sarà in Camerun?

Nove colpi di Stato in tre anni. L’Africa è di fronte a una stagione di incertezza come non succedeva da decenni. Le autorità democratiche, o semi-democratiche, sono state spazzate via a partire dal 2020 in Mali, Ciad, Guinea, Sudan, Burkina Faso e Niger. Ultima in ordine di tempo, nell’agosto del 2023 è caduta anche la famiglia Bongo al potere in Gabon da 50 anni. Ma il processo non sembra concluso.

Tra il 1950 e il gennaio 2022 tentati 214 golpe, di cui 106 riusciti

«È iniziata una nuova era di instabilità», ha avvertito l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea Josep Borrell. L’Africa per tutto il Dopoguerra ha avuto una lunga storia di golpe: 214 tentati tra il 1950 e il gennaio 2022, di cui 106 riusciti, ma negli ultimi tre anni si è assistito a un’escalation, soprattutto in Africa occidentale: 14 tentativi di putsch di cui otto andati a segno. Gli ultimi si inseriscono però in un contesto diverso, a partire dai loro bersagli e dalle motivazioni che li hanno scatenati. In particolare tutti i Paesi ultimamente caduti nelle mani dei golpisti, Sudan a parte, fanno parte della Francafrique, la parte francofona del continente, formata da ex colonie di Parigi, ed è quindi evidente come c’entrino processi incompleti di decolonizzazione e risentimenti anti-francesi.

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L'Africa dei colpi di Stato e il rischio contagio: il prossimo sara? in Camerun?
Josep Borrell (Getty).

I cittadini chiedono sicurezza, lavoro e sviluppo sostenibile

Alla Francia è imputato infatti l’avere sostenuto per decenni élite corrotte in modo da disporre di ampi spazi di manovra nelle economie locali, legate ancora all’ex madrepatria dal Franco Cfa. D’altra parte, anche la massiccia presenza militare francese in Sahel nell’ultimo decennio per combattere il terrorismo jihadista non ha riscosso successo. Oltre a tutto questo, con le dovute differenze, i golpe in Africa occidentale sono stati dettati dalla frustrazione della società nei confronti di una classe politica che ha manipolato le istituzioni per rimanere al potere da decenni ma ora è giudicata incapace di provvedere ai reali bisogni della popolazione, e in particolare dei giovani, come possono essere la sicurezza, il lavoro e lo sviluppo sostenibile. Nel mezzo di queste fratture i militari si sono potuti presentare come gli eroi del momento.

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Una mancata democratizzazione colpa di leader politici incapaci

Quello che l’Occidente teme ora è un effetto contagio nelle zone dell’Africa occidentale e centrale. Partita da Guinea, Mali e Burkina Faso – che insieme formano una zona contigua di 1.500 chilometri chiamata “blocco dei golpisti” – «l’epidemia», come l’hanno definita il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres e il presidente francese Emmanuel Macron, si è già spinta prima a Est, verso il Niger, dove a luglio i militari hanno rimosso e arrestato il presidente Mohamed Bazoum e poi più a Sud, fino al Gabon di Ali Bongo, ma potrebbe non fermarsi lì. Lo pensa, tra gli altri, il giornalista e docente universitario Jean-Léonard Touadi, intervistato dalla rivista Africa. Secondo Touadi «l’ondata di colpi di Stato continuerà» perché le colpe di queste crisi sono imputabili a leader politici africani incapaci e artefici di una mancata democratizzazione. Anche per il politologo Ken Opalo, citato dal sito Semafor, esiste un rischio reale di contagio nella regione, soprattutto per quanto riguarda governanti longevi che si sono dimostrati inefficaci negli anni. Questo vorrebbe dire che a essere potenzialmente a rischio sono tutti gli autocrati di lunga data del continente se continueranno a forzare il sistema democratico senza garantire riforme soddisfacenti.

L'Africa dei colpi di Stato e il rischio contagio: il prossimo sara? in Camerun?
Il presidente del Niger Mohamed Bazoum, rimosso e arrestato con un golpe militare (Getty).

Le speculazioni sul Camerun, dove Paul Biya governa da 41 anni

Gli indiziati sono diversi, ma le ombre più fosche si sono addensate sul Camerun, dove il presidente novantenne Paul Biya, sopravvissuto a un tentativo di rovesciamento già nel 1984, governa da 41 anni. A causa dell’incertezza nella successione al vecchio Biya, della frammentazione etnica e dell’alta instabilità di alcune regioni, molti commentatori hanno previsto per la nazione centrafricana un destino simile a quello degli altri Paesi golpisti. Le voci si sono di recente fatte tanto insistenti da richiedere un intervento del governo. Il ministro delle Comunicazioni e portavoce dell’esecutivo, Rene Emmanuel Sadi, ha dovuto mettere in guardia contro speculazioni di questo genere in una dichiarazione ufficiale. Sadi ha invitato analisti e commentatori a «guardarsi da non stabilire parallelismi insensati e assurdi e da fare ridicole predilezioni sul futuro del Camerun».

L'Africa dei colpi di Stato e il rischio contagio: il prossimo sara? in Camerun?
Emmanuel Macron con il presidente del Camerun Paul Biya (Getty).

Il 66 per cento dei cittadini favorevole a un colpo di Stato militare

Chiunque non si attenga al diktat rischia di essere arrestato e processato. Qualche elemento da tenere in considerazione però c’è. Per esempio un sondaggio di Afrobarometer suggerisce che il 66 per cento dei cittadini camerunesi sarebbe favorevole a un colpo di Stato militare se i leader del Paese abusassero del loro potere. Intanto, dopo il golpe in Gabon, il presidente Biya ha ordinato un rimpasto nello stato maggiore dell’esercito, mandando in pensione alcuni alti ufficiali, per la presumibile paura che qualcuno di loro avesse assunto troppo potere.

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Il presidente autocrate del Ruanda Paul Kagame (Getty).

Altri possibili candidati: occhio a Ruanda, Senegal, Guinea Equatoriale

Come Biya, lo stesso ha fatto anche il presidente autocrate del Ruanda Paul Kagame, al potere dal 2000 e in corsa nel 2024 per un quarto mandato, dimostrando di avere imparato la lezione. Tra gli altri Paesi da seguire con attenzione c’è anche il Senegal, il cui presidente Macky Sall ha recentemente escluso di candidarsi per una terza volta dopo violenti disordini, ma dove la scena politica è mutevole, e la Repubblica del Congo che ha dovuto smentire le voci di un colpo di Stato a settembre mentre il presidente Denis Sassou Nguesso – in carica da 38 anni – era a New York per l’Assemblea Generale dell’Onu. Presenta caratteristiche simili anche la Guinea Equatoriale governata e sfruttata da 44 anni dalla famiglia Obiang.

Intervento su un cavalcavia di Mestre vicino a quello della strage

Intervento dei vigili per fuoco per la messa in sicurezza del cavalcavia-ferrovia “Della Giustizia”, vicino a quello della strage del bus di turisti avvenuta a Mestre. L’intervento si è reso necessario a causa della presenza di intonaco pericolante, segnalata da alcuni passanti: risalente al primo decennio del XX secolo, il cavalcavia-ferrovia “Della Giustizia” è uno dei manufatti cittadini più antichi e permette di superare la linea ferroviaria per Treviso e Trieste.

Uomo investito e ucciso da un bus sulle strisce pedonali a Milano

A Milano un uomo di 48 anni è morto dopo essere stato travolto da un autobus dell’Atm in viale Forlanini, all’angolo con via Eugenio Bellosio. L’incidente è avvenuto attorno alle 9.30. Secondo quanto si è appreso, l’uomo stava attraversando sulle strisce pedonali ma il conducente del mezzo, che era preceduto da un altro autobus, non lo ha visto. Quando è arrivata l’ambulanza i sanitari hanno solo potuto constatarne il decesso.

L’autobus viaggiava a velocità bassa, ma l’impatto è stato fatale

Si sta cercando di capire se un’auto che pare fosse parcheggiata sulle strisce o nei pressi di queste possa aver in parte ostacolato la visione del conducente. L’autobus viaggiava a una velocità bassa, ma l’impatto col mezzo è stato fatale. Il conducente dell’autobus, che ha 50 anni, è stato portato in stato di choc in ospedale con codice verde. In una nota l’Atm, azienda di trasporti milanese «esprime la sua profonda vicinanza ai famigliari in questo momento di grande dolore». Sul posto gli agenti delle Polizia locale che devono ricostruire la dinamica dell’incidente. Sul posto anche i tecnici dell’Atm.

Terremoto in Afghanistan, oltre 2 mila morti

Il bilancio provvisorio della violenta serie di terremoti che ha colpito la provincia afghana di Herat il 7 ottobre ha superato i 2 mila morti e sfiora i 10 mila feriti. Lo afferma il regime talebano di Kabul attraverso l’autorità per la gestione delle emergenze. Oltre 1.300 case sono state totalmente o parzialmente distrutte. La principale scossa, di magnitudo 6.2, ha avuto l’epicentro a Islam-qala, città di confine nella provincia occidentale di Herat, vicino al confine tra Afghanistan e Iran. Ed è stata poi seguita da numerose scosse di assestamento, tra cui una di magnitudo 5.5.

Report, stasera su Rai 3 il caso Visibilia, la famiglia La Russa e gli incidenti ferroviari

Stasera 8 ottobre 2023 alle ore 20.55 andrà in onda la nuova stagione di Report. Come sempre alla conduzione del programma ci sarà Sigfrido Ranucci ma a quanto pare la trasmissione ha rinnovato alcuni aspetti. Le novità sono state apportate in vista della nuova collocazione del palinsesto ma anche perché il team di Report vuole continuare a stupire i suoi spettatori. Questa sera la puntata si concentrerà su tre inchieste principali: il caso Visibilia, la famiglia La Russa e gli incidenti ferroviari in Italia. La trasmissione sarà disponibile anche in streaming e on demand sulla piattaforma Rai Play.

Report torna per la prima puntata della stagione questa sera, ecco le anticipazioni e le inchieste analizzate.
Sigfrido Ranucci, conduttore del programma televisivo (X).

Report, le anticipazioni della puntata di stasera 8 ottobre 2023 su Rai 3

L’inchiesta principale di questa sera si chiamerà Non sono una Santa ed è stata realizzata da Giorgio Mottola. Il giornalista e il suo team tornano sulla vicenda Visibilia che ha coinvolto il ministro Daniela Santanché. Infatti, a tre mesi dall’intervento al Senato in cui aveva dichiarato di pagare la liquidazione agli ex dipendenti di Ki Group e di avviare operazioni in Visibilia, il team del programma è andato a verificare come si procede. Mottola e i suoi collaboratori hanno indagato per scoprire quali sono le azioni concrete che la Santanché sta attuando ma sembra che non ci siano grossi cambiamenti. Inoltre, nel corso dell’inchiesta verranno riprodotti audio esclusivi che confermano come altri dipendenti di Visibilia avrebbero lavorato nonostante in cassa integrazione a zero ore.

Collegata a quest’inchiesta ci sarà la seconda della puntata di Report questa sera intitolata All’origine del potere dei La Russa realizzata sempre da Giorgio Mottola. In quest’inchiesta verrà analizzata la figura di Ignazio La Russa, considerato da alcuni come il padrino politico di Daniela Santanché. Mottola e il team di Report viaggeranno nel paese che sembra essere il centro del potere dell’attuale Presidente del Senato, Paternò, in Sicilia. L’inchiesta esaminerà anche documenti esclusivi e testimonianze inedite che faranno luce sugli inizi dell’impero economico dei La Russa. Giorgio Mottola cercherà di comprendere anche il legame che ci sarebbe tra l’esponente politico di Fratelli d’Italia e un controverso finanziere originario di Paternò, Michelangelo Virgilito.

Report, le altre inchieste della puntata di questa sera 8 ottobre 2023 su Rai 3

Nella puntata di questa sera di Report ci sarà anche un’altra inchiesta chiamata Ultima fermata e realizzata da Danilo Procaccianti. Nel corso di quest’inchiesta Procaccianti esaminerà l’attuale stato delle infrastrutture delle Ferrovie Italiane. Ci sono stati diversi incidenti ferroviari in Italia come quelli di Bressanone, Viareggio e Pioltello che sono costati la vita a molte persone. Recentemente poi, a Brandizzo 5 operai hanno perso la vita mentre stavano lavorando senza la dovuta autorizzazione. Procaccianti e il suo team cercheranno di fare luce su questa vicenda e non solo, visto che anche la Procura d’Ivrea sta indagando per individuare eventuali responsabili.

Nel corso dell’inchiesta poi, si cercherà di trovare risposta ad alcune domande: come viene effettuata la manutenzione dei binari e chi è che si occupa di controllare lo stato dei lavori? Quanto è realmente sicura la ferrovia italiana? La verità potrebbe stupire molti, anche perché sembra che Report abbia scoperto che chi segnala in Rfi eventuali problemi viene richiamato e sanzionato.

Israele, continuano gli scontri con Hamas e i raid su Gaza: centinaia di morti

Dopo il lancio dell’operazione militare da parte di Hamas e la risposta di Israele, il bilancio delle vittime continua purtroppo ad aggiornarsi. I palestinesi di Gaza rimasti uccisi nei combattimenti sono oltre 300 e i feriti circa 1.700: le cifre includono i membri dei commando di Hamas penetrato in Israele. Più di 350 le vittime israeliane, a cui vanno sommati quasi 1.900 feriti e oltre 160 ostaggi. Ovviamente le cifre sono destinate a salire.

Israele, continuano gli scontri con Hamas e i raid su Gaza: centinaia di morti. Gli aggiornamenti sulla crisi in Medio Oriente.
Razzi di Hamas intercettati dalle batterie di difesa israeliane Iron Dome (Getty Images).

L’esercito di Israele pronto ad attaccare Gaza via terra con decine di carri armati

Hamas attaccato dalla Striscia di Gaza con migliaia di missili, incursioni via terra, via mare e persino dall’aria, anche con deltaplani e parapendio, facendo vittime nei kibbutz e prendendo numerosi ostaggi. Colpite anche Tel Aviv e Gerusalemme. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha esteso all’intero territorio nazionale lo stato di emergenza, che nelle prima fasi dell’attacco di Hamas si limitava ad un raggio di 80 chilometri dalla Striscia. L’obiettivo di Israele è di evacuare entro 24 ore tutti i residenti delle cittadine vicino al confine: lo hanno riferito le Forze di difesa israeliane (Idf) che, «dopo aver ripreso il controllo di 22 località nel sud», stanno affrontando i militanti di Hamas in otto aree del Paese. No solo. Come dimostrano video condivisi sui social, l’Idf si starebbe preparando a un’incursione di terra nella Striscia di Gaza con decine di carri armati. L’esercito israeliano ha reso poi noto all’alba di aver colpito almeno 10 obiettivi di Hamas, tra i quali anche quartieri generali dell’intelligence del gruppo terroristico.

Israele, continuano gli scontri con Hamas e i raid su Gaza: centinaia di morti. Gli aggiornamenti sulla crisi in Medio Oriente.
Le macerie della torre A-Watan, nel centro di Gaza (Getty Images).

Gli Stati Uniti pronti a fornire aiuti militari a Israele, mentre Hamas ha l’appoggio dell’Iran

«Gli Stati Uniti sono con Israele, al loro fianco. Il sostegno della mia amministrazione è solido e incrollabile», ha dichiarato Joe Biden. facendo sapere che ci sono colloqui in corso per eventuali aiuti militari. Dalla parte di Hamas e dunque della Palestina c’è invece l’Iran. Ghazi Hamad, portavoce dell’organizzazione politica e paramilitare islamista, ha infatti dichiarato alla Bbc che nella suo attacco a Israele ha ricevuto il sostegno di Teheran, che si è detta «orgogliosa dei combattenti palestinesi».

Israele, continuano gli scontri con Hamas e i raid su Gaza: centinaia di morti. Gli aggiornamenti sulla crisi in Medio Oriente.
Carri armati israeliani schierati al confine con il Libano (Getty Images).

Il conflitto si allarga: Hezbollah attacca in aree contese con razzi e colpi di artiglieria

Il conflitto si sta già allargando. Hezbollah ha infatti rivendicato di aver compiuto «tiri di artiglieria e lanci di razzi» su Israele dal territorio del Libano. In una nota, il gruppo paramilitare islamista e sciita, che come miliziani palestinesi vuole la distruzione di Israele, ha affermato di aver preso di mira tre siti militari israeliani nella regione contesa di Har Dov. Immediata la reazione di Israele, che ha risposto anche con droni, colpendo «un’infrastruttura dell’organizzazione terroristica». Non solo: come scrive il il Jerusalem Post, soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro miliziani del gruppo libanese Hezbollah che cercavano di infiltrarsi nel Paese da nord a bordo di motociclette.

Perché la Cina opta per una via della Seta più locale

Dalla via della Seta globale a quella locale. A prima vista potrebbe sembrare un clamoroso depotenziamento della Belt and Road Initiative (Bri), il mastodontico progetto economico e infrastrutturale della Cina annunciato nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping. In realtà si tratta di una strategia che permette a Pechino di continuare a stringere accordi con partner stranieri, evitando però di bruciarsi sotto la luce dei riflettori e di scatenare polemiche e battaglie politiche.

Le partnership del Dragone con amministrazioni locali estere

C’è chi l’ha rinominata via della Seta locale, e questo perché si tratta, in sostanza, di una ramificazione del progetto iniziale. Nel corso dell’ultimo decennio, infatti, accanto alle intese strette tra la Cina e gli Stati stranieri – se ne contano fin qui oltre 150 – sono state intavolate anche partnership con governi locali e amministrazioni cittadine di nazioni estere. Finché il clima geopolitico lo consentiva, il gigante asiatico ha percorso entrambe le strade. Ora però l’aria è cambiata: tra tensioni con gli Stati Uniti, problemi economici e polemiche sulla presunta ingerenza cinese negli affari di Paesi terzi hanno spinto Xi a cambiare strategia ridimensionando la propria grandeur.

La Belt and Road local cooperation, l’altra via della Seta

La Cina ha così apportato un paio di modifiche alla sua agenda. Innanzitutto, sembra esser cambiato il target della Belt and Road. Da strumento con cui raggiungere i ricchi mercati europei, diventa il jolly per penetrare nei Paesi in via di sviluppo. Di pari passo, per coprire l’Europa – e più in generale le nazioni strategicamente più sensibili – Pechino ha pensato bene di rispolverare il lato local della Bri. Non si tratta di una novità. Al contrario, la cooperazione a livello locale, seppur fin qui rimasta in ombra, è sempre stata presente. Ma di che cosa si tratta nello specifico? La Belt and Road local cooperation (Brlc), nata nel 2017, è una ramificazione di gemellaggi sul territorio, diffusa su scala globale ma riguardante partner locali. Le controparti del Dragone non sono gli Stati nazionali ma amministrazioni o municipalità. Il risultato sono due vie della Seta complementari: la prima, e cioè quella tradizionale, che si basa sulla costruzione di grandi piani infrastrutturali e tecnologici, e la seconda che punta invece facilitare i rapporti culturali e turistici tra città e province simili per cultura ed economia.

Gemellaggi e accordi: da Cagliari a Brescia

La situazione, per l’Italia almeno, è paradossale. Mentre il governo di Giorgia Meloni è impegnato a smarcarsi dalla via della Seta, diversi enti locali paiono aver intrapreso un percorso opposto. In attesa di capire come si svilupperanno le relazioni post (eventuale) uscita di Roma dalla Bri, è lecito supporre che l’exit strategy per non irritare Pechino e non impensierire Washington consista nello spostare il focus delle relazioni italo-cinesi sulla via della Seta locale. E regolare, il resto, seguendo, o meglio rafforzando, il partenariato strategico globale tra Italia e Cina in vigore dal 2003. Lo stesso vale per molti altri Paesi. Tra gli accordi più rilevanti si segnalano il gemellaggio tra la megalopoli di Hangzhou e Boston, in essere da 40 anni ma da poco rafforzato, o il progetto di fare entrare alcune città europee in una non meglio specificata “piattaforma” per migliorare le interazioni con la Cina. È lecito supporre che possa trattarsi di uno strumento per favorire le interazioni economiche tra le città, sviluppare il turismo e avviare progetti socio-culturali. La lista dei partecipanti alla Brlc è intanto già corposa e include, ad esempio, Limerick (Irlanda), Leeds (Inghilterra), Dharma (Nepal), Maribor (Slovenia), Lugano (Svizzera), Rio de Janeiro (Brasile), Oulu (Finlandia). E l’Italia? È rappresentata, tra gli altri, dalla provincia di Brescia, che ha siglato l’intesa nel 2018, quindi dai comuni di Carpenedolo, Orzinuovi e Montichiari, entrati nello stesso periodo. In seguito si sono aggiunti Ponte di Legno, Salò, Manerbio, quindi Cagliari, Camagna Monferrato, Fermo e Valdobbiadene. E l’elenco potrebbe allungarsi ulteriormente.

The Dark Side of the Moon Redux, Roger Waters e la decostruzione di un mito

Quale modo migliore di festeggiare il 50esimo anniversario di quello che è universalmente ritenuto uno dei più begli album di tutti i tempi, The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, che andare a destrutturarlo, proponendone una versione dolente e intima, esattamente il contrario di quanto una celebrazione prevederebbe? È quello che ha fatto Roger Waters, a lungo iconica mente (e basso) del gruppo, che di godersi la terza età e l’indubbio status di mito del rock non vuole proprio saperne. Non solo è appena arrivata sugli ormai rari scaffali di dischi veri la sua nuova fatica The Lockdown Session, ma ha deciso di “demolire” un mito come la sua opera, rivendicandone di fatto la paternità assoluta.

Perché Roger Waters è una delle rare rockstar di questi tempi vili

Ma andiamo quindi con ordine. È vero, The Dark Side of The Moon è un album dei Pink Floyd che risente moltissimo dell’influenza e del talento di Roger Waters. Il fatto che si tratti di un’opera rock, ricordiamolo, nella top 100 Fimi ancora oggi, e che a distanza di 50 anni tenga ancora duro con oltre 50 milioni di copie vendute è un miracolo che nella musica cosiddetta leggera capita una volta ogni morte di papa. E il fatto che questo miracolo porti in tutte le tracce la firma di Roger Waters –  suoi tutti i testi, sue alcune musiche, tre in solitaria le altre tutte frutto di collaborazione con i singoli membri della band – pone il suo nome al centro della scena. Il suo però andare contro gli altri, Gilmour in particolare, è figlio di un discorso antico. Quale band ci sarebbe mai stata senza uno scontro tra due giganti, si pensi ai Beatles, ai Rolling Stones e giù a seguire. E inoltre è parte fondante di una mitologia personale costruita a suon di dichiarazioni polemiche, posizioni anche ostili – si pensi al suo rapporto con Israele – e un non voler fare e non volersi fare sconti. Tutto questo, complici canzoni e album immortali, ha creato una delle rare vere rockstar dei nostri tempi vili.

I brani vengono spogliati per dare centralità alla parola

L’idea di sviscerare lati oscuri del nostro essere e del nostro sentire – semplifico – prendono nella nuova edizione e versione di questo grande classico una forma insolita, minimale (per come possa suonare minimale un massimalista), malinconica. Ma queste a dire il vero erano già caratteristiche dell’opera originale che forse è addirittura impietosa, come è impietoso mettere in evidenza le cicatrici e le rughe che ci si ostina a non voler vedere accecati dall’amore, nello specifico l’amore per la musica ma anche per se stessi. The Dark Side of the Moon Redux è quantomai fedele all’idea di riduzione. Waters, cui tutti i collaboratori avevano sconsigliato di fare i conti in questo modo col suo passato, come se volesse sottolineare la centralità della parola, parola che occupa uno spazio fondamentale da tempo nei suoi live (i suoi discorsi sono parte integrante degli show al pari delle canzoni), ha deciso di denudare i brani, togliendo proprio le sonorità che Gilmour e Mason ci avevano messo. Non per disistima, che siano dei grandi musicisti lo ha sempre dichiarato, ma proprio per spostare l’accento sui testi che lascia immutati, arricchendoli però di piccoli inserti. La sua voce, ricordiamo che Waters ha da poco compiuto 80 anni, fatica a volte a reggere le melodie, seppur ridotte all’osso, ma lascia che la carica emotiva che trapela da ogni sussurro faccia il suo sporco lavoro. Un lavoro quindi rischioso, che Waters ha affrontato in solitaria visto che solo i suoi collaboratori erano a conoscenza del progetto, ma che alla fine ci regala la sua versione del capolavoro con tutte le note a margine, le sottolineature, come si trattasse del vecchio diario su cui quelle canzoni presero vita.

The Dark Side of the Moon Redux, Roger Waters e la decostruzione di un mito
David Gilmour, Roger Waters, Nick Mason e Rick Wright nel 2005 (Getty Images).

L’attualità sinistra di The Dark Side of the Moon dovrebbe farci pensare

The Dark Side of the Moon Redux  si iscrive perfettamente in questa fase della sua carriera, in sintonia coi suoi ultimi tour, ma anche con i suoi ultimi lavori in studio. Un lavoro che si distacca da quanto presentato nel 2006 sul palco, quando ripropose l’intero album dal vivo, rimanendo però più fedele all’originale. E dal vivo i suoi sodali ripropongono suoni vicini a quelli di Gilmour e Mason che questa volta sono assenti giustificati: l’arte, quando è arte davvero, pretende i suoi sacrifici. Vedere come oggi, a 50 anni dall’uscita, i temi di The Dark Side of The Moon, pensati e scritti da Waters quando non aveva ancora 30 anni, suonino sinistramente attuali ci dice qualcosa su di noi che nessun libro di storia ancora ci ha riconsegnato. Vedere come a 80 anni Waters sia ancora lì a filosofeggiare potrebbe risultare un’ottima ancora di salvezza per un futuro più sinistro di quanto una mente fertile come la sua, forse, si sarebbe mai potuto immaginare. Sostituire il suono orchestrale e psichedelico col vuoto, la sottrazione, lasciando a una voce quasi cavernosa il compito di reggere il tutto ci dice invece di come il genio non invecchi, semmai cambi e tenda più che mai all’eternità.

Verstappen campione del mondo di F1 per la terza volta consecutiva

Max Verstappen si è laureato campione del mondo di Formula 1 per la terza volta consecutiva in Qatar grazie all’uscita di pista nella gara sprint del compagno di squadra Sergio Perez, secondo nella classifica del Mondiale e unico ancora in grado di raggiungerlo aritmeticamente. Per tenere virtualmente aperto il campionato, il messicano avrebbe dovuto vincere la Sprint e sperare nel flop dell’olandese.

Il pilota della Red Bull Max Verstappen si è laureato campione del mondo di F1 per la terza volta consecutiva.
La Red Bull di Verstappen in Qatar (Getty Images).

Nella sprint race in Qatar la vittoria è andata a Piastri su McLaren

Verstappen ha ottenuto così il terzo titolo iridato della carriera quando mancano ancora sei gare alla fine della stagione. E, per la prima volta nella storia della F1, l’assegnazione del titolo è avvenuto durante la sprint race. La “mini gara” è stata vinta da Oscar Piastri (McLaren), primo davanti a Verstappen. Sul podio anche la seconda McLaren con Lando Norris. Sesto e settimo posto per le Ferrari di Carlos Sainz e Charles Leclerc, alle spalle delle Mercedes di George Russell, quarto, e Lewis Hamilton, quinto.

Il pilota della Red Bull Max Verstappen si è laureato campione del mondo di F1 per la terza volta consecutiva.
Il box della Red Bull (Getty Images).

Tre titoli per Max: come Senna, Lauda, Piquet, Stewart e Brabham

Verstappen aggiorna il suo curriculum stellare, in cui spiccano 48 Gp vinti (ad appena 26 anni). Con tre Mondiali in bacheca, l’olandese aggancia Ayrton Senna, Nelson Piquet, Niki Lauda, Jack Brabham e Jackie Stewart nella classifica all time. Il primato assoluto appartiene a Michael Schumacher e Lewis Hamilton, capaci di vincere il titolo sette volte. «È una sensazione fantastica, abbiamo fatto una stagione incredibile. Sono fiero di fare parte di questo team. Cercheremo di fare il meglio che possiamo anche in futuro». Queste le prima parole di Verstappen dopo la gara sprint in Qatar «La corsa è stata divertente anche con le tante safety car, sono molto contento. Piastri ha fatto una grande gara, specie perché aveva le gomme medie. Pensavo di andarlo a prendere ma non ci sono riuscito».

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