Dopo l’avvio di settimana incerto, c’è grande attesa per le Borse europee e per lo spread tra Btp e Bund tedeschi. Nella giornata di ieri, lunedì 4 dicembre 2023, i listini del Vecchio Continente hanno chiuso in ordine sparso. A Piazza Affari il Ftse Mib ha concluso la seduta a 29.914 punti. Il differenziale a 176,6 punti.
UniCredit è stata nominata, per la prima volta, Global Bank of the Year 2023 alla cerimonia annuale dei TheBanker’s Awards a Londra. Ha anche ottenuto i riconoscimenti di Banca dell’anno in Europa occidentale, Banca dell’anno in Italia e Banca dell’anno in Bulgaria. Considerati tra i principali standard del settore per l’eccellenza bancaria, i Bank of the Year Awards di The Banker valutano le principali istituzioni finanziarie del mondo in base alla loro capacità di generare rendimenti, ottenere un vantaggio strategico e servire i propri mercati.
Una conferma della trasformazione culturale e industriale della banca
Negli ultimi due anni, dal lancio del piano strategico UniCredit Unlocked, l’istituto bancario ha lavorato incessantemente alla propria trasformazione culturale e industriale, razionalizzando i propri sistemi, aumentando le proprie capacità digitali e di raccolta e analisi dei dati e incorporando i principi ESG in tutte le sue attività, al fine di diventare una banca migliore e più forte per le comunità che serve. Un processo testimoniato anche dagli Euromoney Awards for Excellence, dove la banca è stata nominata Miglior Banca dell’Europa Centrale e Orientale, Miglior Banca e Miglior Banca d’Investimento in Italia e Miglior Banca in altri quattro paesi in cui è presente.
Orcel: «Continueremo ad alzare il livello del nostro servizio»
Andrea Orcel, ceo del Gruppo e responsabile Italia di UniCredit, ha dichiarato: «Siamo immensamente orgogliosi di questi risultati, che dimostrano la forza delle nostre 13 banche in Europa e di come sappiano mettere il cliente al centro della nostra attività. Tutto ciò è stato reso possibile dal lavoro di squadra dei nostri colleghi, che sono impegnati a sostenere la nostra strategia e la cultura dell’eccellenza che abbiamo promosso all’interno della banca. Continueremo ad agire per alzare il livello del nostro servizio, a nome dei nostri clienti e delle comunità in cui operiamo, in un percorso volto a trasformarci nella banca per il futuro dell’Europa».
Macknight: «Da UniCredit migliori risultati di sempre nel primo trimestre 2023»
Joy Macknight, direttrice di The Banker, ha invece affermato: «UniCredit rappresenta un’impressionante storia di turn around, registrando un aumento di oltre il 200 per cento dei profitti durante l’intero anno in esame, riducendo la base dei costi e ottenendo i migliori risultati di sempre nel primo trimestre del 2023. È sulla buona strada per realizzare il suo Piano strategico 2022-2024 UniCredit Unlocked, facendo anche meglio a oggi delle sue previsoni. La banca si trova nella seconda fase della sua trasformazione industriale, dopo aver effettuato investimenti significativi nel digitale e nei dati. Oltre a rinnovare la propria architettura IT tramite API e infrastruttura cloud, sta investendo nella digitalizzazione di tutti i suoi processi per migliorare l’esperienza dei dipendenti. I suoi impegni ESG sono all’avanguardia e, in particolare, i suoi sforzi per rafforzare l’attenzione sulle questioni sociali. Le sue partnership con Allianz e Azimut illustrano la lungimiranza della banca nel fornire un servizio e un’offerta eccellenti ai clienti».
Elisabetta Romano, chief network operations & wholesale officer di TIM, ha così affermato intervenendo al convegno Ericsson Day–5G for Critical National Infrastructures: «Le reti mission critical, cioè quelle reti che forniscono alle organizzazioni un’infrastruttura dotata di altissimi livelli di sicurezza e scalabilità, necessitano di tre requisiti tecnici: copertura, banda larga e, ovviamente, resilienza. Tutte le operazioni di sicurezza pubblica possono essere migliorate da soluzioni di rete 4G e 5G che riducono i tempi di risposta, basilari per gestire situazioni di emergenza».
«Reti mobili di TIM soluzione più adatta per i servizi mission critical»
«Il nostro obiettivo», ha proseguito la manager di TIM, «è fornire reti con altissime prestazioni, sicurezza e affidabilità. Per questo le reti mobili, in particolare quella 5G, risultano essere la soluzione più adatta per i cosiddetti servizi mission critical. TIM su questo tema è impegnata in prima linea, avendo vinto la gara Public Safety del ministero dell’Interno per la copertura 4G e 5G in 11 Provincie italiane utilizzando nuove frequenze dedicate a 700 MHz e 3,5 GHz, che si aggiungono a quelle già in uso a 1.800 MHz». Il convegno ha avuto luogo lunedì 4 dicembre 2023 presso lo Spazio Vittoria a Roma.
Nuovi collegamenti per le mete sciistiche e turistiche di montagna, più soluzioni di viaggio integrate con treno, bus e aereo e promozioni ad hoc per famiglie e giovani. La Winter Experience 2023 del Polo Passeggeri del Gruppo FS – composto da Trenitalia, Busitalia, Ferrovie del Sud-Est e FS Treni Turistici Italiani – prende il via dal 10 dicembre e si arricchisce con nuove soluzioni per sviluppare una mobilità sempre più completa, efficiente e sostenibile. In totale sono 24 mila i collegamenti nazionali al giorno in treno e bus e 13 mila i collegamenti in Europa.
Benefici per 1 miliardo grazie ai viaggi in treno
Intermodalità, sostenibilità e innovazione sono i pilastri della nuova Winter Experience. I 45 milioni di passeggeri che hanno scelto di viaggiare con le Frecce hanno permesso di risparmiare circa 1 miliardo di euro di costi per la collettività in termini di minori costi ambientali e sociali: spese per assistenza sanitaria, danni all’ambiente, all’agricoltura, agli immobili e alla biodiversità. Un passeggero che viaggia in treno tutte le settimane fra Milano e Roma, invece che in aereo, riduce di nove tonnellate il peso delle emissioni di CO2 all’anno e, se scegliesse il treno al posto dell’auto, risparmierebbe quattro tonnellate di CO2. Gli spostamenti in treno, secondo un’analisi di Bloomberg elaborata da McKinsey, garantiscono alle imprese migliori performance su rating ESG che si traducono in un risparmio fino a un punto percentuale sul costo del capitale. Le 47 mila aziende che hanno scelto di viaggiare con Trenitalia, inoltre, hanno evitato, nel 2023, l’emissione di 100 mila tonnellate di CO2 rispetto all’auto.
Oltre 270 Frecce e 120 Intercity al giorno
Tra i principali elementi dell’orario invernale la presenza di oltre 270 Frecce al giorno per unire fra loro le grandi città e due nuovi Frecciarossa no-stop da 2 ore e 50 da Roma a Milano, per un totale di oltre 100 Frecciarossa al giorno. E ancora, più treni diretti e soluzioni integrate treno+bus per raggiungere le località di montagna, 120 Intercity da Nord a Sud per raggiungere le medie località e i capoluoghi di provincia, passando per città d’arte e luoghi turistici di tutta Italia, e 40 treni Eurocity che collegano ogni giorno l’Italia e la Svizzera, di cui una coppia prolungata a Francoforte in Germania. Da venerdì 15 dicembre, inoltre, arriva il nuovo treno notturno Espresso Cadore, che collegherà Roma con Cortina d’Ampezzo. Sarà il primo viaggio di FS Treni Turistici Italiani, la nuova società del Gruppo FS creata con la missione di offrire servizi ferroviari pensati e calibrati per un turismo di qualità, sostenibile e attento a riscoprire le ricchezze del territorio italiano.
Corradi: «Viaggi ancora più confortevoli e sostenibili»
Le novità della stagione invernale sono state presentate lunedì 4 dicembre 2023 a Milano da Luigi Corradi, amministratore delegato e direttore generale di Trenitalia. Queste le sue dichiarazioni: «Trenitalia e tutte le aziende del Polo Passeggeri stanno investendo in treni e bus di ultima generazione per garantire ai passeggeri un viaggio ancora più confortevole e attento all’ambiente. Stiamo impegnando oltre 1 miliardo di euro l’anno per il trasporto regionale e, nei prossimi tre anni, i treni saranno quasi completamente rinnovati. Abbiamo siglato un contratto di circa 1 miliardo di euro per la fornitura di 40 nuovi Frecciarossa 1000 e, nell’ambito dei fondi del Pnrr, stiamo investendo in nuovi treni e carrozze Intercity, con particolare attenzione alle regioni del Sud. Con la Winter Experience consolidiamo ulteriormente i nostri sforzi e, nei prossimi mesi, offriremo ai nostri viaggiatori nuovi collegamenti per un’esperienza più completa e flessibile».
La formazione dei manager aumenta la produttività delle imprese. È quanto attesta l’ultima ricerca Fondirigenti, il fondo interprofessionale leader in Italia per il finanziamento della formazione dei dirigenti, promosso da Confindustria e Federmanager, a cui si affidano 14 mila imprese e più di 80 mila manager. La survey è stata presentata in anteprima per i 25 anni di Fondirigenti, alla presenza della ministra del Lavoro Elvira Calderone e di Nicolas Schmit, commissario europeo per il lavoro e i diritti sociali.
Centrali le competenze legate a tecnologia, informatica e AI
Dallo studio, effettuato con l’Università di Trento su 10 mila imprese che hanno fruito dei finanziamenti del Fondo nel corso di un decennio, emerge un impatto positivo sulla produttività, con incrementi dello 0,04 per cento nella produttività totale e dello 0,14 per cento nella produttività del lavoro. L’impatto varia a seconda della maturità aziendale, della localizzazione e del settore. Le imprese più mature e quelle nel Centro-Nord ne beneficiano maggiormente, così come le imprese manifatturiere rispetto a quelle dei servizi. La survey condotta da Fondirigenti in collaborazione con Data Hubs, sulle competenze e le prospettive della formazione continua in Italia vista da un campione di 500 imprenditori, 500 manager e 500 cittadini, ha mostrato la centralità delle competenze legate alla tecnologia, all’informatica e all’intelligenza artificiale.
Preoccupa l’effettiva disponibilità delle competenze richieste
Sono ampie le preoccupazioni sull’effettiva disponibilità di tali competenze. Il 40 per cento dei rispondenti teme, infatti, la perdita di posti di lavoro a causa del cambiamento tecnologico. È elevato, tuttavia, anche il consenso sul ruolo fondamentale che può svolgere la formazione continua nella riduzione di tali divari, a condizione che sia mirata agli effettivi fabbisogni di imprese e lavoratori. Chi ha frequentato corsi di formazione ne sottolinea l’impatto positivo e nel 70 per cento dei casi è disposto a investire risorse proprie per la crescita delle proprie competenze.
Sabatini: «Il Fondo si colloca in un crocevia strategico»
Il direttore generale di Fondirigenti Massimo Sabatini si è così espresso: «Oggi, le sfide di un contesto in profonda trasformazione lasciano intravedere ampi spazi per l’ampliamento del perimetro di attività del Fondo. In un mondo in cui le competenze faranno sempre più la differenza, un soggetto come Fondirigenti che è in grado di analizzarle e promuoverle, finanziando la formazione per colmare i relativi fabbisogni, e valutandone l’impatto e i risultati, si colloca in un crocevia strategico, tanto per la competitività delle imprese quanto per l’occupabilità dei lavoratori».
Sei mesi dopo l‘inizio della controffensiva, cominciata ai primi di giugno del 2023, anche il presidente Volodymyr Zelensky ha dovuto prendere atto della realtà e dichiarare che la guerra in Ucraina è entrata in una nuova fase: per Kyiv non si tratta più di attaccare e di pensare a riconquistare i territori perduti, ripristinando i confini del 2014, ma di difendersi, per evitare di perderne altri. Così all’inizio di dicembre ha dichiarato la svolta e la volontà di fortificare la linea del fronte, alzando quasi una sorta di muro, tra fortificazioni di terra e sistemi antiaerei, per arginare l’avanzata russa nel Donbass. A Sud, nella regione di Kherson, dove le truppe del Cremlino sono sulla difensiva, le cose non cambiano, e lo stallo invernale, come quello dell’anno precedente quando sono stati i russi a rafforzare le difese, darà la possibilità a Mosca e Kyiv di riflettere sulla strategia futura.
Armi e tecnologie? Il problema più grosso per l’esercito ucraino è quello degli uomini
In questa fase del conflitto l’Ucraina è in estrema difficoltà sul campo e il problema di una guerra di logoramento è invertire le tendenze che si cristallizzano con il tempo: il quadro lo aveva fatto il comandante delle forze armate ucraine, il generale Valery Zaluzhny, dicendo che è difficile uscire da questa situazione se non ci saranno cambiamenti sostanziali con il maggiore sostegno da parte degli alleati occidentali per quel riguarda i rifornimenti di armi e tecnologie. Se quelle attuali non bastano, il problema forse maggiore è però quello degli uomini, con l’esercito ucraino che non può quantitativamente reggere quello russo. E qui non ci sono alternative. È noto da tempo che i dissidi interni stanno aumentando intorno a Zelensky, tanto che anche il sindaco di Kyiv, l’ex pugile Vitali Klitschko, è stato chiaro nell’attaccare il presidente: «La gente si chiede perché non fossimo meglio preparati a questa guerra. Perché Zelensky ha negato fino alla fine che si sarebbe arrivati a questo. C’erano troppe informazioni che non corrispondevano alla realtà. Naturalmente possiamo mentire al nostro popolo e ai nostri partner, ma non per sempre».
Narrazione rivista: anche in Occidente ci si chiede se non stia vincendo la Russia…
Se Zelensky aveva all’inizio smentito Zaluzhny e le altre accuse, ha poi dovuto correggere se stesso davanti a quello che sta accadendo sul campo e anche alla conseguente narrazione, che sia a livello politico sia mediatico ha subito un mutamento radicale: ora anche molti tra i politici e i media occidentali si chiedono se in effetti la Russia non stia vincendo la guerra e l’Ucraina non stia per perderla. A dire il vero però lo scenario non è fresco, visto che negli ultimi 12 mesi la linea del fronte si è mossa solo di qualche chilometro nel Donbass a favore di Mosca, dopo la riconquista di alcune cittadine tra Kharkiv e Donetsk, con le dure battaglie a Soledar, Lysychansk, Bakhmut e ora ad Avdiivka, mentre a Sud è rimasta la stessa, con l’eccezione della leggera avanzata ucraina verso Robotyne e la testa di ponte sulla riva sinistra del Dnipro, con le posizioni adesso bloccate.
Dalle ambizioni sulla Crimea a un realismo più sobrio
Patta, come ha scritto dunque Zaluzhny sull’Economist? Oppure la sta spuntando il Cremlino? La cartina geografica indica, ancora una volta, che la Russia sta vincendo questa guerra e a Kyiv come altrove se ne sta prendendo atto: se nel 2022 di questi tempi l’Ucraina, dopo la riconquista di alcuni territori a Est e a Sud, pensava di arrivare in Crimea entro l’estate, accompagnata dai peana di servi sciocchi e Von Clausewitz della domenica, adesso anche questi ultimi si sono convertiti al più sobrio realismo da cui non prescinde più nemmeno lo stesso Zelensky.
Da una parte probabilmente Vladimir Putin e i suoi generali non sono proprio un manipolo di incompetenti e la seconda fase del conflitto, dopo il fallimento della guerra lampo a tra febbraio e marzo 2022, è iniziata per Mosca già nell’aprile dello scorso anno, non quindi di recente; dall’altra gli Stati Uniti e le cancellerie europee, sapendo di non poter ingaggiare un duello diretto con la Russia, hanno caricato l’Ucraina di una responsabilità impossibile da sostenere con aiuti limitati: e anche questo era prevedibile.
Il Cremlino si accontenterà davvero del Donbass e delle ultime annessioni?
E adesso? Se è vero che l’Occidente sta tirando il freno e qualcuno tra Stati Uniti ed Europa sta pensando a come far arrivare Mosca e Kyiv al tavolo delle trattative, c’è anche da considerare il fatto che magari al Cremlino non tutti hanno voglia di fermarsi davvero al Donbass e alle annessioni di settembre, ma il partito della guerra vorrebbe ritornare a puntare Kharkiv e forse Odessa, contando appunto sul fatto che l’Ucraina verrà lasciata al suo destino. La Russia pare aver trovato un equilibrio interno ed esterno per poter reggere un conflitto pluriennale, a differenza dell’Ucraina e dell’Occidente che sembra impantanato nella terra di mezzo. Tutte le guerre prima o poi comunque finiscono e forse quest’inverno si potranno mettere i presupposti, sempre che le ali più moderate tra Mosca e Washington riescano a chiudere gli spazi ai falchi.
Il sultano Al-Jaber, presidente della Cop28 in corso a Dubai, ha precisato di «rispettare le raccomandazioni della scienza sul cambiamento climatico». Lo ha fatto all’indomani delle polemiche sorte da un audio rubato e poi diffuso dal consorzio di giornalisti investigativi Centre for Climate Reporting, in cui affermava che «nessuna scienza dimostra che l’uscita dai combustibili fossili è necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi sopra i livelli pre-industriali».
Al-Jaber aveva detto che senza combustibili fossili il mondo tornerebbe «all’era delle caverne»
Nel contestato audio, Al-Jaber, aveva aggiunto che seguire la strada dello stop al carbone, al petrolio e al gas naturale ostacolerebbe il cammino verso uno sviluppo realmente sostenibile, «a meno che qualcuno non voglia riportare il mondo indietro all’era delle caverne». Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, aveva parlato di «affermazioni gravissime e assolutamente preoccupanti, sull’orlo del negazionismo climatico».
La precisazione del sultano: «La scienza è al centro del mio progresso nella carriera»
«Sono ingegnere, ho rispetto nella scienza, sono un economista e combino la passione per la scienza e il business. La scienza è al centro del mio progresso nella carriera. Rispetto numeri e dati. C’è confusione e cattive interpretazioni. Aiutatemi a chiarire questi concetti», ha detto Al Jaber in conferenza stampa, sottolineando che «nessuno deve essere lasciato indietro» e che «tutti devono salire a bordo» della Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici.
Al-Jaber sulla Cop28: «Stanno crescendo positività, speranza e determinazione»
«C’è una nuova cultura, un nuovo Dna che fa accadere le cose, c’è un’agenda di azione, progressi reali», ha detto il presidente della Cop28 elencando i vari progressi fatti già nei primi quattro giorni di lavoro e i tanti impegni economici annunciati sia per aiutare i Paesi più poveri contro le perdite e i danni provocati dai cambiamenti climatici, così come per sostenere lo sviluppo di alcuni settori come l’agricoltura e sia nelle tecnologie per ridurre le emissioni di CO2: «Positività, speranza, determinazione stanno crescendo» nel corso della Cop28 di Dubai, ha concluso Al-Jaber, che è amministratore delegato di Adnoc, ovvero la società petrolifera degli Emirati Arabi Uniti.
Il generale Roberto Vannacci ha preso un mese di licenza «per motivi familiari», a poche ore dall’incarico ricevuto di capo di Stato Maggiore delle Forze operative terrestri. A spingerlo verso questa scelta è stata la notifica per l’apertura dell’inchiesta interna dell’Esercito, che gli è arrivata proprio poche ore dopo l’ufficializzazione della nomina. L’indagine è stata avviata dopo le polemiche nate in seguito alla pubblicazione del libro Il mondo al contrario. Vannacci, prima della licenza, era arrivato a Roma, a Palazzo Esercito, per iniziare il periodo di affiancamento e poi prendere assumere l’incarico.
Proprio nel commentare la notizia del nuovo incarico, nelle ore precedenti alla notifica, Vannacci è tornato sulla vicenda. In un’intervista all’Adnkronos, infatti, ha dichiarato: «Una nomina in linea con il mio grado, con la mia funzione e con la mia esperienza. Un incarico prestigioso che assumerò con grande determinazione e passione e che mi vedrà nella Capitale dove presterò servizio. Un comando che si occupa della validazione delle unità che devono partire con ruoli operativi all’estero, della loro preparazione, del loro addestramento». Poi il passaggio su Il mondo al contrario, sottolineando di essere «assolutamente convinto di non aver violato alcuna norma né legale né disciplinare» e di non aver temuto per la carriera «nonostante le polemiche».
Il processo relativo al caso di Giulio Regeni, sequestrato e ucciso al Cairo nel 2016, è ripartito il 4 dicembre con l’udienza preliminare, grazie allo sblocco della Consulta a fine settembre. Un passo avanti verso la ricerca della verità su quanto accaduto sette anni fa al giovane ricercatore friulano, per la cui morte risultano imputati quattro 007 egiziani. Si tratta di Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, finora mai comparsi davanti al giudice. La novità è che la presidenza del Consiglio dei ministri è stata ammessa come parte civile.
Elly Schlein al sit-in per Regeni: «Vicinanza alla famiglia»
Durante l’udienza preliminare, davanti al Palazzo di giustizia si è tenuto un sit-in per Giulio Regeni, organizzato dai gruppi di sostegno ai genitori del ricercatore. Ha partecipato anche Elly Schlein, segretaria del Pd. La leader dem ha dichiarato: «Siamo qui per confermare la piena vicinanza alla famiglia di Giulio. E non solo alla scorta mediatica che questa mattina è qui per seguire quello che speriamo essere finalmente la partenza di un processo che è stato molto atteso e a lungo ostacolato. Ma anche a quel popolo giallo che ha tenuto accesa l’attenzione in questi anni di mobilitazione fin dal febbraio del 2016».
Domani #4dicembre riparte il processo agli imputati per sequestro, tortura e assassinio di Giulio #Regeni ci troviamo 10,30 Piazzale Clodio, circondiamo di solidarietà gialla Paola e Claudio. Ripartiamo dal 4 Dicembre o meglio … CONTINUIAMO tutti insieme!
Elly Schlein ha proseguito: «Siamo qui perché bisogna stare accanto ai familiari di Giulio fino a quando non otterremo la piena verità su chi ha ucciso, su chi ha torturato e su chi sono i mandanti dell’efferato omicidio di un ricercatore italiano, di un ricercatore europeo. Chiediamo verità e giustizia e non ci fermeremo fino a quando non verrà fuori».
Mario Roggero, il gioielliere di Grinzane Cavour che ha ucciso i due rapinatori che avevano assaltato il suo negozio il 28 aprile 2021, è stato condannato in primo grado a scontare la pena di 17 anni di carcere. La sentenza, pronunciata dal Tribunale di Asti dopo due ore e mezza di camera di consiglio, è andata oltre le richieste del pm Davide Greco, che aveva avanzato la proposta di 14 anni di pena. L’imputato, che è difeso dagli avvocati Dario Bolognesi e Nicola Fava, ha ottenuto la concessione delle attenuanti generiche e quella di aver agito dopo una provocazione.
Il gioielliere aveva invocato la legittima difesa
Roggero ha sempre respinto le accuse a lui rivolte, dicendo di aver agito in protezione della propria famiglia e per legittima difesa. Il suo team legale, infatti, spingeva sulla totale assoluzione, anche considerando che già anni prima la gioielleria era stata vittima di una rapina e questo evento aveva fortemente turbato Mario. A rendere vane queste richieste, tuttavia, sono state le telecamere di videosorveglianza del negozio, sia interne che esterne, che hanno mostrato come il gioielliere abbia inseguito i suoi rapinatori fuori e li abbia uccisi. Contro Roggero ha giocato anche il fatto che lo stesso si sia accanito sul cadavere di uno dei rapinatori, colpendolo con dei calci.
Il risarcimento provvisionale alle famiglie delle vittime
Così come deciso dalla Corte d’Assise del Tribunale di Asti, presieduta dal giudice Alberto Giannone, a Mario Roggero è stata applicata una provvisionale di 460 mila euro, con il risarcimento effettivo alle famiglie delle vittime che verrà poi stabilito in sede civile. Si ricorda che in seguito alla rapina, il gioielliere ha ucciso i due rapinatori Giuseppe Mazzarino di 58 anni e Andrea Spinelli di 44 anni, ferendone un terzo, Alessandro Modica, di 34 anni. Quest’ultimo sta attualmente scontando una pena di quattro anni e 10 mesi di reclusione patteggiati a seguito della rapina.
Amadeusha annunciato il cast del prossimoFestival della Canzone Italiana di Sanremo, edizione 74. Cast che verrà poi rimpinguato dai tre nomi che accederanno alla categoria Big per aver vinto l’imminente contest Sanremo Giovani, portando a 30 il numero dei concorrenti in gara.
Un cast che sorprende, ma solo a metà
Sì, 30. Perché Amadeus, giunto alla sua ultima, per ora, edizione alla conduzione e alla direzione artistica – con questa del 2024 saranno cinque di fila – ha ancora una volta deciso che il regolamento del Festival, da lui stesso redatto, poteva essere tranquillamente modificato in corsa, andando ad allargare il range dei concorrenti. Se infatti domenica tutti ci aspettavamo i 23 nomi, molti pronti a dire «era già tutto previsto», come nel noto inciso cantato una vita fa da Riccardo Cocciante, il presentatore veronese di origini siciliane, con un vero colpo di teatro, ha sorpreso tutti annunciando all’inizio del Tg1 che il numero sarebbe stato più alto, e andando poi a sciorinare i 27 nomi da se medesimo scelti, 13 in un primo blocco, 14 nel blocco successivo. Se è vero che in parte i nomi presentati erano assolutamente telefonati – erano presenti in tutte le liste fake che nelle ultime settimane, come ogni anno, intasano la Rete – come Annalisa, Angelina Mango, The Kolors approdati al Festival come per acclamazione universale forti di hit messe a segno durante l’estate, è altrettanto vero che ci sono anche delle sorprese davvero inaspettate, nomi che hanno fatto letteralmente saltare sulla sedia i tanti addetti ai lavori che a casa aspettavano di sapere chi avremmo visto calcare le assi dell’Ariston a febbraio, in quelle che a questo punto si prospettano come interminabili serate.
Amadeus ha accolto il gotha del mercato: da Geolier ad Annalisa, da Mr Rain ad Alfa e Rose Villain
Questo quindi l’elenco che Amadeus ha annunciato: Fiorella Mannoia, Geolier, Dargen D’Amico, Emma, Fred De Palma, Angelina Mango, La Sad, Diodato, Il Tre, Renga e Nek, Sangiovanni, Alfa, Il Volo, Alessandra Amoroso, Gazzelle, Negramaro, Irama, Rose Villain, Mahmood, Loredana Bertè, The Kolors, Big Mama, Ghali, Annalisa, Mr Rain, Maninni e i Ricchi e Poveri. Un cast incredibile, va detto, e non fossimo lucidamente a fissare il sistema musica da lungo tempo si potrebbe quasi azzardare un ce n’è per tutti i gusti. In realtà Amadeus – che non crediamo affatto mollerà l’osso nel 2025, con una conduttrice posta frontalmente per ricordare che il mondo della musica è saldamente e indissolubilmente in mano agli uomini – ha definitivamente spostato a Sanremo quello che un tempo era lo spirito del Festivalbar. Con la scusa di inseguire il gusto delle radio, proprio oggi che le radio a causa di Spotify e affini stanno morendo in una costante emorragia di ascoltatori e di hype, Amadeus ha raccolto a sé il gotha del mercato, reale o apparente. Quindi ecco ancora una volta il campione di vendite, Geolier, che a fine anno sarà titolare dell’album più ascoltato, il suo Il coraggio dei bambini è infatti il lavoro che andrà a sostituire in vetta Sirio di Lazza, a sua volta a sostituire Taxi Driver di Rkomi, tutti di volta in volta poi in gara al Festival. Ecco Annalisa, nostra signora del pop con la tripletta Bellissima, Mon Amour e Ragazza sola, il suo primo Forum roba di poche settimane fa. Ecco i The Kolors, la cui ItaloDisco è diventata da outsider il vero tormentone dell’estate. Ecco Angelina Mango, che a oggi è la donna dei record per ascolti e velocità di raggiunta del vertice delle classifiche in questo anomalo 2023. Ecco Alfa, uno dei pochi in gara senza una major alle spalle, lui è con Artist First, forte del megasuccesso di Bellissimissima, hit assolutamente jovanottiana che ha portato un po’ di solarità in un tempo altrimenti musicalmente spesso oscuro. Volendo anche ecco Mr Rain, che con la sua Supereroi è stato uno dei vincitori morali dell’ultima edizione del Festival a metà con Tananai, e anche ecco Rose Villain, nome magari non notissimo a un pubblico mainstream, ma che coi suoi duetti ha conquistato un bel numero di dischi di platino, spesso facendo da traino ad artisti non esattamente in splendida forma, è il caso di questa estate di Fragole con Achille Lauro.
La carica degli ex vincitori: un modo per rimettersi in gioco
Poi c’è chi al Festival ci è stato e lo ha anche vinto, con alterne fortune. Partiamo da Diodato, che è arrivato primo nell’anno peggiore, il 2020, giusto un paio di settimane prima che la pandemia ci chiudesse tutti in casa, di nuovo a Sanremo per provare a capitalizzare un talento indubbio. Segue Emma che invece non è mai sparita dalla scena, spesso dalle parti di Maria De Filippi, ma che negli anni ha visto il proprio gradimento erodersi, al punto da essere finita a fare un tour in locali decisamente meno ambiziosi di quelli cui avrebbe dovuto puntare, la necessità di rifarsi il maquillage è quindi assolutamente stringente. Ecco Mahmood, anche lui un po’ in affanno, nonostante le due vittorie nei suoi due ultimi passaggi sanremesi, da solo con Soldi e in coppia con Blanco con Brividi. I concerti però non hanno incontrato il plauso del pubblico. Poi c’è Il Volo, che torna a Sanremo dopo aver conquistato il mondo, di nuovo all’Ariston per presentare il primo progetto pop, lontano dai classici e dalla lirica, una delle attese più curiose del Festival. Ecco anche Francesco Renga, vincitore nel 2005 con Angelo, stavolta in gara con Nek, dopo un album e un tour in coppia, anche in questo caso una carriera un po’ da rimettere in sesto, e comunque la voglia di far conoscere un progetto atipico, che vede due popstar di mezza età mettersi in gioco.
La categoria streaming: tante visualizzazioni, ma poca notorietà mainstream
Altra categoria presente, e non poteva che essere così, quella di chi si muove o si è mosso proprio nel mondo dello streaming, portando a casa risultati importanti, anche senza necessariamente essere entrato nell’immaginario collettivo (lo streaming è trasversale anagraficamente solo nella narrazione di chi lo pratica, nei fatti è appannaggio di un pubblico esclusivamente di giovanissimi). Quindi la presenza di Fred De Palma, re indiscusso dei tormentoni estivi in odor di reggaeton, di Il Tre, rapper invero piuttosto interessante e originale, di Sangiovanni, già passato da Sanremo dopo essere esploso a Amici, e incappato in un semiflop con il brano proposto in coppia con Mr Rain, e dello stesso Ghali, recentemente fuori con un lavoro duramente stroncato dalla critica, va letta in questa maniera. Irama, che è uno con numeri pazzeschi e con una carriera interessante alle spalle, torna a breve giro per rilanciare, si suppone, il lavoro split con Rkomi, No stress, presentato come un futuro blockbuster ma al momento abbastanza fermo ai blocchi di partenza… staremo a vedere.
I pezzi da novanta – Mannoia, Bertè, Negramaro – e la sottocategoria Granny rappresentata da I Ricchi e Poveri
Arrivano poi i pezzi da novanta, si parli di carriera o di numeri. Ecco quindi Fiorella Mannoia, che si mette nuovamente in gioco dopo aver sfiorato la vittoria nel 2017 con Che sia benedetta –Occidentalis Karma di Gabbani a sfilarle il primo posto da sotto il naso – Loredana Bertè, in ritrovato stato di grazia, una delle nostre artiste più originali e dotate di propria personalità; i Negramaro, che avevano a suo tempo giurato non sarebbero più tornati al Festival dopo l’ingiusta eliminazione proprio nel Sanremo di Angelo con Mentre tutto scorre, ma che si rimettono in gara anche per lanciare, si suppone, il prossimo tour negli stadi. I Ricchi e Poveri – che potrebbero rientrare sia nella categoria dei pezzi da novanta, seppur si dovrebbe più dire pezzi da 70 e da 80, come in quella degli ex vincitori – rientrano in realtà nella classica categoria Granny, tanto cara ad Amadeus, quella occupata in passato da Orietta Berti, o dai Cugini di Campagna. Un contentino al pubblico over 60 di Rai1, verrebbe da ipotizzare. Comunque un felice ritorno per chi la storia di Sanremo l’ha fatta davvero.
Gli outsider Gazzelle, Big Mama e lo sconosciuto Maninni e il colpaccio Amoroso
Ci sono poi i classici outsider, tali non solo per il pubblico televisivo o musicalmente mainstream, ma in un caso anche per noi addetti ai lavori. Come I La Sad, trio pop-punk o punk-pop assolutamente imprevedibile, con una energia che difficilmente sarà contenibile durante i giorni del Festival e che siamo sicuri ci daranno belle soddisfazioni, diciamo la quota Rosa Chemical di quest’anno. Ecco Big Mama tornata a Sanremo dopo il bellissimo duetto dello scorso anno con Elodie, in una American Woman assolutamente da incorniciare, femminista cazzutissima (vedi il patriarcato che è in me) pronta a regalare sicuramente una ventata di contenuti e potenza. Ecco Gazzelle, la quota indie di questa tornata, lui che ha già fatto uno Stadio Olimpico, che è comunque un nome di peso di quello che viene comunemente indicato come l’itPop e che ha a suo modo plasmato una generazione di 20enni con le sue rime in bilico tra malinconia e disincanto. Segue Maninni, quello che ha fatto chiedere a tutti: «E questo chi è?», cantante barese passato per il preserale di Amici anni fa, vincitore non arrivato al Festival di Sanremo Giovani l’anno scorso, talento tutto da scoprire. Ultima ma non ultima c’è poi il vero colpaccio di Amadeus, quella Alessandra Amoroso annunciata come possibile concorrente tutti gli anni dalla sua vittoria di Amici, ormai nel 2009, e che finalmente arriva in gara, dopo essere transitata di lì più e più volte come ospite. Un ritorno inaspettato, proprio per quel suo essere la Godot del pop italiano, che la riporta in scena dopo la vicenda della shit storm su TikTok che l’ha duramente provata nell’ultimo anno.
Sanremo 2024 all’insegna di un pop omogeneo e molto maschile
Ce n’è per tutti i gusti? No, assolutamente. C’è un pop piuttosto omogeneo, certo con sfumature che passano dal rap all’indie, con punte sul classico, ma che tagliano fuori tutta una fetta di ascoltatori, tipo i 50enni, ancora una volta tagliati fuori del tutto. Non ci sono cantautori, per dire, non ci sono cantautrici, ancora più per dire, la presenza di sole nove donne in gara, a fronte di 30 uomini – tanti sono i maschietti contando i membri delle band e i duetti – grida vendetta. Come sempre a Sanremo non ci sono tutti quegli artisti che non gravitano fuori dal mondo delle major e quindi dal mondo di Spotify, ultimamente divenuto vero e proprio giardino del Re per quel che riguarda la musica. Il Festival di Amadeus incontrerà sicuramente il placet di un vasto pubblico, perché a un vasto pubblico fa l’occhiolino. Il problema è che è del tutto identico alle classifiche di vendita, non è affatto vero il contrario, così come a tutto ciò che è musica e passa dalla televisione (il fatto che nell’era dei social, di Spotify e delle piattaforme si finisca sempre a inseguire la tv prima o poi andrà approfondito). Così anche quest’anno avremo un cast di Sanremo che somiglia a quello del Concertone del Primo Maggio che somiglia a quello dei vari Battiti Live o Power Hits Estate e che somiglia addirittura a quello da seconda o terza serata del Club Tenco, tutto uguale e ad appannaggio dei soliti nomi. Poi, è chiaro, a Sanremo guarderemo tutti con curiosità e anche divertimento, perché quei nomi sono comunque interessanti, in alcuni casi anche sorprendenti. Ah, dopo 10 anni dalla vittoria di Arisa sarebbe il caso vincesse una donna, vuoi vedere che è la volta buona che Annalisa porta a casa la statuetta con la palma e il leone?
Roma ha perso malamente la gara per l’Expo 2030, una figuraccia a livello mondiale. E anche nelle celebrazioni per Maria Callas la Capitale si sente all’ultimo posto: pure Milano è in pole position con addirittura due mostre, una nelle Gallerie d’Italia con i ritratti dell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo e l’altra nel Teatro alla Scala con “Fantasmagoria Callas”. E allora, che si fa? L’assessore alla cultura del Comune di Roma andrà a mettere il nome “corridoio Callas” al passaggio storico tra il Teatro dell’Opera e l’Hotel Quirinale. E pensare che nella città eterna esiste una strada intitolata a lei, accanto a via Dolores Ibarruri…
Zonin jr contro il profitto
Finalmente uno che ha le idee chiare, che non vuole prendere i giro i risparmiatori, che si batte per l’etica: «La sola logica del profitto senza limiti, l’irrefrenabile capitalismo dell’utile, non è più, per la collettività, sinonimo di buona imprenditorialità. Alle aziende è chiesto di esprimere responsabilità nel proprio operato e giustificare le proprie scelte». Sono le parole di Domenico Zonin, presidente del gruppo Zonin1821. Che poi è il figlio di Gianni Zonin. Chi l’avrebbe mai detto…
D’Alema, Craxi e il Cile
Massimo D’Alema, Stefania Craxi, Giorgio La Malfa, Giorgio Benvenuto e Pierluigi Castagnetti sono solo alcuni dei protagonisti delle due giornate del convegno intitolato “A 50 anni dal golpe cileno del 1973. Società italiana e mondo cattolico”, a Roma presso l’Istituto Luigi Sturzo. Tra i nomi non appare quello dell’ex direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, ma tutti sono certi che non mancherà all’appuntamento: la sua consorte è cilena.
Treccani, arriva Fassio
«Con la cultura non si mangia», la frase che è stata attribuita a Giulio Tremonti scatenando le ire dell’ex ministro dell’Economia che assicura di non averla mai pronunciata, piace alla Treccani. Che recependo il messaggio “imbarca” come nuovo consigliere d’amministrazione dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani un personaggio del valore di Ernesto Fürstenberg Fassio, grazie alla Banca Ifis da lui presieduta che ha sottoscritto una quota del 2,4 per cento dell’istituzione culturale nell’ambito dell’aumento di capitale. Fürstenberg Fassio è stato anche protagonista di “Roma Arte in Nuvola”, all’Eur, ma numerosi amici di lunga data lo ricordano nei panni del dj in tante feste allestite in giro nel mondo, anni fa.
Zaia e la galera
«Questo è un Paese dove bisogna mettersi di impegno per finire in galera», ha detto Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, a SkyTg24.
I killer mettili a Verona
Filippo Turetta, l’omicida di Giulia Cecchettin, ha incontrato in carcere a Verona Fra Alberto, il frate cappellano, a cui ha chiesto libri da leggere. Nel penitenziario di Montorio spesso vengono portati coloro che si sono macchiati di gravi delitti di sangue nel Nord-Est: qualche cella più in là si trova Benno Neumair, condannato all’ergastolo anche in appello per aver ucciso i genitori a Bolzano. Comunque, nessuno dei due è veronese. Abitava invece a Terrazzo, a pochi passi dalla città scaligera, Gianfranco Stevanin, serial killer di donne.
«Il compositore Frank Zappa è partito attorno alle 18 di domenica scorsa per il suo ultimo tour». Così, il 6 dicembre 1993, la famiglia dava la notizia della morte del musicista americano, avvenuta due giorni prima, il 4 dicembre (esattamente 30 anni fa), a causa di un tumore alla prostata diagnosticato troppo tardi. La comunicazione, come immaginabile, colpì gli appassionati di tutto il mondo, anche se non giunse, come si dice, come un fulmine a ciel sereno. I fan sapevano della malattia: nel 1991, per esempio, proprio per problemi di salute, il compositore non poté partecipare allo Zappa’s Universe, un grande evento organizzato come tributo per i 25 anni della sua musica (il suo primo album, Freak Out!, venne appunto pubblicato nel 1966), con al centro l’orchestra Of Our Time, diretta da Joel Thome, e, nel 1992, poté dirigere solo in un paio di brani l’Ensemble Modern, che a Francoforte (poi anche a Berlino e Vienna) eseguì The Yellow Shark, una versione orchestrale/contemporanea di celebri brani dello stesso Zappa, divenuto, l’anno successivo, un disco di culto per i fan del Genio di Baltimora.
Zappa, un genio che sfugge a ogni etichetta
Orfani di Zappa non sono solo gli amanti del rock: tutta la critica, unanimemente, concorda sul fatto che definire rock la sua musica sia piuttosto riduttivo: certamente ne è la componente principale, magari in larga parte predominante, ma sempre in un continuo gioco di contaminazioni con moltissimi altri generi, da quelli più “prossimi”, per esempio il blues, il rhythm and blues o addirittura forme di “proto” rock, come il doo-wop degli Anni 40 e 50, al jazz, alla musica “colta” (contemporanea, sinfonica, dodecafonica, e così via.). «Per Frank Zappa verrà il tempo in cui gli sarà riconosciuto il giusto merito, ossia di essere uno dei più grandi compositori del Novecento». Così ha detto di lui il maestro Pierre Boulez – che commissionò a Zappa una composizione (The Perfect Stranger) per poi dirigerla nel 1984 col suo Ensemble InterContemporain. E a Boulez fa eco un altro grande direttore d’orchestra, Kent Nagano: «Frank è un genio. Questa è una parola che non uso spesso. Ma nel suo caso non è eccessiva. È estremamente istruito musicalmente. Non sono sicuro che il grande pubblico lo sappia… Non è proprio pop, ma è una pop star, non ha fatto proprio rock, ma è pur sempre una rock star, non è nemmeno proprio jazz, ma si è comunque circondato di musicisti jazz. Alla fine non era proprio un ‘compositore serio’, ma ha studiato le opere di Nicolas Slonimsky, Edgard Varèse, e così via. Non si può proprio inserire in alcuna categoria».
Cosa resta del Genio di Baltimora: i 170 album, la “cassaforte” e l’ultimo regalo Funky Nothingness
Se parliamo in termini di produzione, per fortuna l’eredità lasciataci da Frank Zappa è davvero cospicua: non solo possiamo contare ormai su poco meno di 170 album, di cui più della metà usciti postumi, ma possiamo guardare fiduciosi al patrimonio ancora inedito e contenuto nella sua famosa “cassaforte” (the vault) in cui Zappa stesso aveva stivato ogni sorta di registrazione o video, dai concerti a ogni singola performance casalinga o prova. Zappa definiva questa sua vena archivistica compulsiva “project/object”: prima o poi, ogni singolo frammento avrebbe trovato una armonica collocazione e una realizzazione formale e ufficiale. Gli zappiani ne hanno appena avuto una prova con la pubblicazione (lo scorso giugno) di Funky Nothingness, che presenta una serie di inediti e non solo, registrati nel 1969, nelle stesse sessioni da cui nacque Hot Rats, e appunto mai pubblicate prima d’ora. Se per eredità si intende invece la ideale prosecuzione del suo stile, le cose si complicano un po’. Esistono ottimi epigoni, a cominciare da Dweezil Zappa, secondogenito di Frank, che, dal 2006, porta sulle scene, con grande bravura, la musica paterna, o diversi altri ex-alumni zappiani in varie band. E non mancano ottimi musicisti che hanno creato tribute band di grande qualità (non lo dico per mero spirito patriottico, ma, a livello internazionale, tra i migliori citerei la band torinese Ossi Duri, i chitarristi Sandro Oliva e Dan Martinazzi, i Fast & Bulbous e il pianista-tastierista-compositore Riccardo Fassi con la sua Tankio Band). Se parliamo di eredi in senso compositivo, creativo, musicale non saprei fare nomi.
L’attrazione per il politicamente scorretto e l’attualità dei testi
Si potrebbe rispondere in molti modi alla domanda perché ascoltare Zappa oggi. La risposta più banale è che la musica di Frank Zappa è bellissima. Ma è anche assolutamente contemporanea: Zappa ha, di fatto, sperimentato e quindi anticipato di decenni, moltissime forme musicali che oggi ascoltiamo. Compreso il rap. Se ascoltate qualunque disco del Genio di Baltimora, vi sembrerà appena realizzato. Per non parlare dei suoi testi: la sua ironia sferzante, il suo continuo fustigare ogni potere costituito (politico – repubblicano o democratico che fosse – economico, religioso – anche qui, senza distinzione di credo), denunciandone i vizi, ma anche la prepotenza e la tracotanza, il sarcasmo nel colpire i luoghi comuni, i tic e i tabù della media borghesia (statunitense) sono di una attualità quasi sconcertante. Anzi, chissà quali argomenti avrebbero offerto oggi a Zappa personaggi come Trump o Biden, ma anche Putin e tanti altri. Certo, oggi avrebbe qualche problema, ancor più che in passato, per la sua incontenibile attrazione per il politicamente scorretto. La discografia zappiana straripa di testi ironici, qualche volte anche “pesanti” – ma sempre per pura finzione – nei confronti, per esempio, delle donne (non furono in pochi a additarlo come misogino), degli omosessuali, o dei predicatori religiosi o, ancora, di una classe media americana continuamente lacerata dal dissidio interiore tra puritanesimo e pulsioni – a volte perversioni – sessuali. A chi gli chiedeva, per esempio, perché mai avesse intitolato un suo brano Titties and beer (Tette e birra), rispose che la canzone era stata scritta per diventare un classico, perché conteneva esattamente tutto ciò che piace all’americano medio: le tette e la birra. Senza contare le decine e decine di testi dedicati alle varie tipologie di “stupidi”, a qualunque livello: sociale, economico, politico, religioso, artistico, ecc. Del resto, Zappa si è sempre detto convinto del fatto che, nell’universo, l’elemento più abbondante non sia l’idrogeno, bensì proprio la stupidità.
L’amnistia che i partiti del governo spagnolo guidato da Pedro Sánchez puntano a concedere ai secessionisti avrà «effetti benefici, balsamici, per normalizzare la vita politica, economica e sociale in Catalogna». Lo ha detto il premier spagnolo in un’intervista concessa alla radio Cadena Ser, in risposta all’esito di un sondaggio secondo cui quasi il 60 per cento degli spagnoli considera l’amnistia (che gli ha garantito la maggioranza in parlamento) «ingiusta» e «un privilegio».
La spiegazione di Sanchez: l’amnistia ha frenato l’avanzata della destra e normalizzerà la questione catalana
«Mi sembra normale che molte persone in altre parti della Spagna non siano d’accordo o abbiano dubbi sull’eccezione alla norma rappresentata da amnistia e indulti», ha dichiarato Sanchez, sottolineando però che in Catalogna la misura è meglio accolta dai cittadini, secondo lo stesso sondaggio. Il primo ministro spagnolo ha poi messo in risalto due buoni motivi per promuovere l’amnistia: «Uno, il fatto di avere un governo progressista e di mettere freno all’avanzata del Partito popolare e dell’estrema destra» e «due, di seguire una politica coerente con quella di normalizzazione e stabilizzazione seguita negli ultimi cinque anni» per quanto riguarda la Catalogna.
Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro l’amnistia
Rispondendo alla chiamata del Partito popolare di Alberto Nunez Feijoo, centinaia di migliaia di persone avevano invaso le piazze dei capoluoghi spagnoli il 12 dicembre, in una serie di manifestazioni di protesta contro l’accordo del Partito socialista con il partito separatista catalano Junts, che prevede l’approvazione di una legge che garantisce l’amnistia alle persone condannate per il tentativo della Catalogna di secedere dalla Spagna nel 2017.
Chi frequenta i social si sarà imbattuto sabato 2 dicembre nella foto di Matteo Salvini e Eike Schmidt Open to meraviglia davanti alla Venere del Botticelli. C’era il raduno delle destre-destre a Firenze e il direttore del Museo degli Uffizi non ha perso l’occasione per farsi vedere accanto al ministro delle Infrastrutture. «O fai il direttore di un museo oppure ti dimetti e fai politica», gli aveva intimato Dario Nardella qualche mese fa, quando cominciarono i rumors sulla sua candidatura a sindaco di Firenze per la destra. «Ci penserò quando scadrà il mio mandato agli Uffizi, a Natale», rispose lui. Natale è alle porte e la foto del direttore col ministro lascia presagire che siamo forse alla vigilia di una decisione.
Schmidt, il comunicatore: dall’operazione Ferragni (organizzata però da Vogue) al restyling delle sale
Eike Schmidt, dal 2015 alla guida del più importante museo italiano, è uno di quei super direttori che furono scelti da Dario Franceschini dopo la riforma che apriva agli stranieri quei posti prestigiosi. «Schmidt», lo impallinò Nardella, «si vorrebbe candidare lasciando alla città le due gru del cantiere degli Uffizi, i ritardi sul Corridoio Vasariano e un bel giardinetto di quartiere all’uscita del Museo». Perché, diciamolo, Schmidt non è uomo da infrastrutture come il gruista Salvini: è più che altro affascinato dalla comunicazione. Si prese per esempio il merito di aver invitato Chiara Ferragni – Open to meraviglia anche lei davanti alla Venere del Botticelli con relativo selfie da 17 milioni di visualizzazioni – ma si è scoperto dopo che la celebre influencer era agli Uffizi per conto di Vogue Hong Kong. Sempre meglio delle infrastrutture sono poi gli interventi sugli arredi: il decor è più facile e più comunicativo rispetto al rifacimento dell’Uscita dalla Galleria, ideato dall’archistar Arata Isozaki, bocciato dal Consiglio superiore dei Beni Culturali che, con assist tempestivo, ha sollevato Schmidt da una rogna non da poco. Via allora, con l’aiuto dell’architetto Antonio Godoli, al restyling delle sale. Il primo intervento è sul famosissimo Tondo Doni di Michelangelo che, nel nuovo allestimento, è stato inserito in una struttura aggettante che ne riprende la forma circolare. La luccicante cornice bianca del Tondo è stata paragonata a una lavatrice, a un oblò, a un bersaglio da tiro con l’arco, al woofer di una cassa acustica, al logo dei Looney Tunes ed è stata oggetto di altre centinaia di parodie. Il direttore l’ha presa bene e, per via di quella fascinazione per la comunicazione di cui si diceva, aprì con un tweet sull’account ufficiale del Museo una sorta di gara a creare il layout più fantasioso della sala 41: «Invito i nostri follower a proporre creative rivisitazioni», scrisse incauto. Perché «quando un’opera d’arte, soprattutto se un tesoro dei secoli passati, diventa protagonista del dibattito popolare, è sempre cosa buona».
Il profilo TikTok e la deriva giovanilista degli Uffizi
Sarà per questo che gli Uffizi hanno lanciato ora un profilo TikTok demenziale. Increduli, siamo andati a vedere i TikTok del Metropolitan e del Louvre per vedere se anche quelle istituzioni autorevoli si erano lasciate influenzare dalla deriva giovanilista che ha contagiato gli Uffizi. Ma no, è solo @uffizigalleries che ha arruolato tale “principino” Massimiliano Pedone che dice di visitare il museo «da solo, senza plebe», oppure tale Ray Sciutto, in calzoni corti e bandana, per il quale Michelangelo è «uà, proprio bravo questo guagliò», mentre alla povera Venere del Botticelli, assunta a cottimo, fanno dire: «Lo so di essere odiata dagli altri quadri, perché sono la più fotografata di tutta la Galleria». Potevano mancare il metaverso e gli NFT tra i luoghi comuni che sembrano ispirare la comunicazione di questo luogo d’arte non comune? No, naturalmente. Prudenza avrebbe voluto prendersi un attimo di riflessione, invece di inseguire, per paura di restare indietro, la moda del momento che, purtroppo per gli Uffizi, sembra già tramontata, sostituita da altre più aggiornate: «Dall’America si attendeva la notizia arrivata grazie alla tecnologia dell’azienda Cinello», scriveva con lo stesso stile con cui tratta le piccole medie imprese, Il Sole 24 ore del 18 maggio 2021. «Il Tondo Doni è ora in versione digitale ed è un pezzo unico (chissà cos’era prima ndr). Realizzato attraverso un brevetto esclusivo, il DAW (Digital Art Work) l’opera di Michelangelo è la prima al mondo resa unica (sic) grazie a un sistema crittografato brevettato che impedisce la manomissione e la copia e tramite NFT ne certifica la proprietà». Bene, attendiamo il comunicatore Eike Schmidt alla prova, un po’ più difficile, di sindaco di destra della città di Firenze: è, probabilmente, l’ultima chance che gli resta. Doveva andare a dirigere il Kunsthistorisches Museum ma non se ne è fatto nulla: a Vienna, devono essersi impauriti.
Tramite un discusso referendum i cittadini del Venezuela hanno votato in favore dell’annessione al territorio nazionale della Guayana Esequiba, parte della Guyana ma rivendicato da oltre due secoli dal Paese oggi guidato da Nicolás Maduro, dove è conosciuta come Zona en Reclamación. Per decenni il contenzioso era stato quasi dimenticato, ma nel 2015 è riemerso quando la statunitense ExxonMobil ha rilevato nell’area importanti riserve di petrolio. Oltre il 95,93 per cento degli elettori che ha partecipato al voto (affluenza superiore al 50 per cento) ha scelto di sostenere la creazione di una provincia venezuelana nella regione e di estendere la cittadinanza venezuelana agli abitanti dell’area (scarsamente popolata). Il tutto senza il permesso della Guyana.
Storia di un territorio conteso tra Venezuela e Guyana da oltre due secoli
La Guayana Esequiba è un’area del massiccio della Guyana a est del Venezuela, compresa entro i fiumi Cuyuni e Essequibo. Ha un’estensione di 160 mila chilometri quadrati e, come detto, è ricca di petrolio, così come di oro e gas. Colonizzata inizialmente dagli spagnoli, nel 1811 entrò a far parte della neonata República Bolivariana de Venezuela. Ma dopo soli tre anni Regno Unito e Paesi Bassi stipularono un accordo con cui la Guyana entrò a far parte dell’impero britannico, senza però definire in modo netto i suoi confini occidentali. La Guyana, appunto, sostiene i suoi diritti sull’Esequibo in base a un lodo arbitrale del 1899, che le assegnò la sovranità sul territorio quando era ancora sotto il dominio del Regno Unito, mentre Caracas difende quale meccanismo per risolvere la controversia l’accordo bilaterale raggiunto a Ginevra nel 1966, anno in cui l’ex colonia britannica diventò indipendente.
Maduro esulta: «Il vero vincitore è stato il popolo venezuelano»
«Con la schiacciante vittoria nel referendum sull’Esequibo abbiamo dato i primi passi per una nuova tappa storica», ha dichiarato Maduro. Il vero vincitore, ha aggiunto in un discorso sulla Plaza Bolivar di Caracas, «è stato il popolo venezuelano con l’esercizio pieno della sovranità che gli conferisce la Costituzione bolivariana». Il primo dicembre, su iniziativa della Guyana, la Corte internazionale di giustizia dell’Aia aveva chiesto al Venezuela di «astenersi da iniziative che dovessero modificare la situazione prevalente nel territorio in litigio», ma non ha posto limitazioni al referendum. Da parte sua, Georgetown ha parlato di «livelli di tensioni senza precedenti» tra i due Paesi, sottolineando che non avrebbe riconosciuto i risultati del referendum, dall’esito scontato.
La questione della Guyana Esequiba sta alimentando forti tensioni in Sud America
Tutt’altro che scontato invece cosa riserverà il futuro. La creazione di una provincia venezuelana nell’Esequibo, sulla falsariga di quanto accaduto con Crimea e Russia, è una possibilità remota. Servirebbe infatti modificare la Costituzione del Venezuela e probabilmente, anche un intervento militare. Il Brasile, che confina con la Guyana, guarda con interesse e un po’ di preoccupazione. Il referendum sembrava più un tentativo da parte Maduro di aumentare la propria popolarità in vista delle elezioni del 2024, ma sta alimentando forti tensioni in Sud America.
A pranzo l’annuncio messianico dei partecipanti al Festival di Sanremo 2024, nel pomeriggio quello di Roberto Vannacci reintegrato con tanto di promozione checché se ne dica nel club dei generali, a cena la strabordante vittoria dell’Inter sul Napoli. Domenica la cronaca si è messa d’impegno per oscurare Matteo Salvini e il suo raduno sovranista di Firenze. Ma il leader della Lega, lesto come un gatto (nero, il colore che ha scelto di indossare forse per essere più in sintonia con le idee dei suoi ospiti) ha in parte parato il colpo mettendo subito il cappello sulla nomina dell’autore de Il mondo al contrario di cui è toccato al povero Guido Crosetto, ossia colui che all’uscita del libro gli aveva dato dell’eversore, difendere le ragioni.
Del resto Giorgia Meloni era in missione in Serbia. Forza Italia alle prese con le sue beghe pre-congressuali, e quindi il Capitano restava assoluto padrone della scena a giocare pesantemente contro la maggioranza che lo vede parte in causa, visto che la sua variopinta compagina di sovranisti raggruppati sotto le insegne di Identità e democrazia si muove su posizioni diametralmente opposte.
Giorgetti in prima fila a Firenze senza fare un plissé: ma come fa?
Come rilevato in più occasioni, l’ultima delle preoccupazioni della premier dev’essere il sorgere alla sua destra di un partito che raggruppi quei camerati e rossobruni che fanno coincidere il suo ingresso a Palazzo Chigi con la clamorosa e sacrilega abiura delle sue idee littorie. Quel partito ce l’ha già in casa, ed è il Carroccio. Come abbiano fatto i suoi esponenti governisti a stare in prima fila a Firenze senza fare un plissé, compreso Giancarlo Giorgetti, è difficile da spiegare. Il titolare del Mef tra l’altro aveva fresca in testa la convinta apologia europeista fatta dal suo mentore Mario Draghi, esattamente il contrario di quanto si è sentito dal palco fiorentino. Un tripudio di finiamola con l’Europa del pluto giudaico massonico Soros, dei banchieri centrali che rovinano la gente, di Von der Leyen e co. che hanno usurpato il posto dove sono seduti, di muri da costruire.
Salvini spinge sulle Europee 2024 a costo di destabilizzare il governo
Bel problema per Meloni, che non può certo cavarsela gettando di continuo acqua sul fuoco delle intemperanze del suo vice. Il quale di qui alle elezioni europee di giugno 2024 caricherà sempre più a testa bassa, convinto che un successo della Lega, quindi suo, valga il rischio di destabilizzare la maggioranza di governo. Prossimo passo, c’è da scommetterci, l’offerta a Vannacci della candidatura a Bruxelles. Nonostante la promozione a capo di stato maggiore del comando delle forze terrestri (non male per uno accusato dal suo ministro di riferimento di aver screditato esercito, difesa e Costituzione) con cui si è provato a scongiurarla.
A Brescia un’operazione antiterrorismo della polizia di Stato, coordinata dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione, ha portato a due arresti eseguiti nei confronti di un cittadino pakistano e di un naturalizzato italiano di origine pakistana. L’operazione della Digos di Brescia è avvenuta all’alba del 4 dicembre.
Sono accusati di diffusione di contenuti legati alla Jihad islamica palestinese, Isis e Al-Qaeda
L’operazione investigativa ha avuto inizio nell’ottobre del 2022, e i due arrestati, che hanno 20 e 22 anni, sono accusati di diffusione di contenuti jihadisti con finalità di proselitismo, riconducibili alle organizzazioni terroristiche Jihad islamica palestinese, Stato Islamico e Al-Qaeda. Gli investigatori sono riusciti a individuare i due soggetti sulla base di evidenze d’intelligence e di elementi acquisiti nel corso del monitoraggio del web.
È Udine la città in cui si vive meglio in Italia. A incoronare la provincia friulana è la 34esima edizione dell’indagine del Sole 24 Ore sulla qualità della vita, i cui risultati sono stati pubblicati sul quotidiano in edicola lunedì 4 dicembre. È la prima volta che la provincia di Udine sale sul gradino più alto, entrando così nella storia della classifica ch4e misura il benessere della popolazione, dopo essersi piazzata tra le prime dieci solamente tre volte dal 1990 a oggi. Suonano più come delle conferme, invece, il secondo e il terzo posto di Bologna, vincitrice dell’edizione 2022, e Trento. Bergamo (quest’anno capitale della cultura insieme a Brescia) sale al quinto posto. Tra le prime dieci anche Milano. Mentre Roma si ferma al trentacinquesimo posto, perdendo quattro posizioni.
Foggia chiude la classifica
Anche questa edizione fotografa nella seconda metà della graduatoria una concentrazione di città del Mezzogiorno, con l’unica eccezione di Cagliari al 23esimo posto. A chiudere la classifica è Foggia che torna a vestire la maglia nera dopo dodici anni. A precederla Caltanissetta e poi Napoli al terz’ultimo posto che nonostante «l’effetto scudetto» sul turismo (non rilevato nei dati presi in esame) è penalizzata – secondo l’indagine – dalla densità abitativa, dalla criminalità predatoria in ripresa, dagli scarsi dati occupazionali e da un saldo migratorio sfavorevole.
È il 59esimo giorno di guerra. Ancora una notte di combattimenti in Palestina, con Israele che ha allargato le sue operazioni di terra a tutta la Striscia di Gaza. Lo hanno annunciato domenica 3 dicembre le Forze di Difesa Israeliane: «L’IDF sta riprendendo ed espandendo le operazioni di terra contro le roccaforti di Hamas in tutta la Striscia di Gaza», ha dichiarato il portavoce dell’IDF Daniel Hagari in una conferenza stampa. Hagari ha anche sottolineato «l’importanza dell’assistenza aerea fornita dall’Aeronautica alle forze di terra», affermando che gli attacchi aerei contro i quartieri generali del terrorismo, gli impianti di produzione di armi, i tunnel del terrorismo e i siti di lancio dei razzi limitano le minacce poste all’operazione di terra». Israele ha dunque accelerato le operazioni militari di terra in ogni parte di Gaza e ordinato evacuazioni anche a sud, dove si sono spostati sono molti dei 2,3 milioni degli abitanti della Striscia dopo i pesanti bombardamenti al nord. Intanto, è’ morto a Gaza Yonatan Samerano, 21 anni di Tel Aviv, preso in ostaggio da Hamas dopo essere stato ferito durante il massacro del festival Nova a Reim il 7 ottobre.
Ucciso un comandante di Hamas, coordinò attacco del 7 ottobre
L’Idf e lo Shin Bet hanno guidato un attacco aereo e ucciso il comandante del battaglione Shati di Hamas, Haitham Khuwajari. Lo ha dichiarato il portavoce dell’Idf Daniel Hagari. Khuwajari, oltre ad essere il comandante delle forze di Hamas nell’area di Shati, è stato uno degli ideatori dell’incursione nel sud di Israele, il 7 ottobre.
Telefonata Al-Thani-Blinken: discusse modalità per cessate fuoco
Il premier e ministro degli Esteri del QatarMohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al-Thani ha ricevuto una telefonata dal segretario di Stato americano Antony Blinken in cui hanno discusso «delle modalità per la de-escalation e il cessate il fuoco» nella guerra in corso tra Israele e Hamas. Lo ha riferito il ministero degli Esteri di Doha in una nota. «Durante la telefonata si è discusso degli ultimi sviluppi nella Striscia di Gaza e nei territori palestinesi occupati, delle modalità per la de-escalation e il cessate il fuoco», si legge nella nota. Il Qatar «è impegnato, con i suoi partner di mediazione, a proseguire gli sforzi per il ritorno della calma, sottolineando che i continui bombardamenti sulla Striscia di Gaza dopo la fine della pausa complicano gli sforzi di mediazione ed esacerbano la catastrofe umanitaria in atto la striscia», sottolinea il comunicato.
Spoke with Qatari Prime Minister Al Thani about ongoing efforts to facilitate the safe return of all hostages and further increase levels of aid to civilians in Gaza.