Monthly Archives: Marzo 2020

Coronavirus, i contagi negli Usa al 14 marzo

I casi sono 2.500, con almeno 50 morti. New York lo Stato più colpito. Intanto Trump si sottopone al test e twitta le frecce tricolori.

Gli americani si preparano al peggio e l’incubo di uno ‘shutdown’ generalizzato a causa dell’emergenza coronavirus cresce di ora in ora, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale e con l’aumentare dei contagi che negli Usa oramai superano i 2.500, con almeno 50 morti. «Non abbiamo raggiunto ancora il picco, vedremo altri casi e altri decessi», dicono dalla task force istituita alla Casa Bianca, sottolineando però come il blocco dei voli verso gli Usa, ora esteso anche al Regno Unito e all’Irlanda, contribuirà a contenere la diffusione del virus.

PRIMA VITTIMA A NEW YORK

E si registra la prima vittima anche a New York, lo stato più colpito con oltre 500 casi di cui 213 dentro i confini della città. Si tratta di una donna di 82 anni con problemi di salute pregressi. Ma l’ansia sale e, col diffondersi vertiginoso dei contagi, chi può comincia a lasciare la metropoli, nel timore che arrivi un vero e proprio ‘lockdown‘ con la Grande Mela di fatto isolata dal resto dell’America. Ed è un boom fuori stagione di seconde case aperte, da Long Island agli Hampton, dal Connecticut a Cape Cod. Per chi resta, il fine settimana è l’occasione per l’assalto finale ai supermercati i cui scaffali sono già quasi vuoti da un paio di giorni, in attesa che le autorità prendano decisioni su scuole e uffici pubblici dopo aver già chiuso teatri, cinema, musei.

IN ATTESA DEI RISULTATI DEL TEST SU TRUMP

Non rassicura il fatto che anche il presidente Donald Trump, cedendo alle pressioni, si sia sottoposto al test per il Covid-19, dopo che tre persone da lui ospitate a Mar-a-Lago a inizio di marzo – tra cui il portavoce del presidente brasiliano Jair Boslonaro e l’ambasciatore del Brasile a Washington – sono risultate positive. «L’ho fatto. Per i risultati ci vorranno uno, due giorni», ha annunciato lo stesso presidente. E, nonostante poche ore prima lo stesso medico della Casa Bianca avesse ribadito come Trump non mostri alcun sintomo e dunque non abbia bisogno di essere messo in quarantena, già dalla mattinata tutte le persone che lavorano a più stretto contatto col tycoon e col vicepresidente Mike Pence hanno cominciato ad essere monitorate con il controllo della temperatura corporea, compresi i giornalisti della sala stampa.

TRUMP TWITTA LE FRECCE TRICOLORI

Intanto Trump ha postato a sorpresa la suggestiva immagine dell’esibizione delle frecce tricolori: «Gli Stati Uniti amano l’Italia!», ha twittato. Nella conferenza stampa di 24 ore prima il presidente Usa aveva già detto: «Siamo in contatto con l’Italia, è un Paese che noi amiamo, qui ci sono milioni e milioni di persone che hanno le loro origini in Italia. Lavoriamo con loro, hanno un situazione difficile». Per poi concludere: «L’Italia ha deciso di dare un durissimo giro di vite e dovrebbe vedere dei miglioramenti. Ha preso la medicina».

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Coronavirus, la situazione in Europa al 14 marzo

In Spagna sono più di seimila i contagi. La Francia chiude negozi, ristoranti e luoghi di culto. Risorgono confini ovunque. E gli italiani all'estero non riescono a tornare a casa.

La cartina dell’Europa è una schiera di cerchi rossi che si allargano sempre di più giorno dopo giorno. Si impennano i numeri dei contagi da coronavirus e i Paesi del Vecchio Continente si ripiegano sempre più su sé stessi. Barricati per difendere i loro cittadini e i sistemi sanitari messi sotto stress per l’emergenza generata dalla pandemia.

LA SPAGNA VIETA GLI SPOSTAMENTI NON NECESSARI

La Spagna ha deciso di proibire tutti gli spostamenti non necessari, come fatto dall’Italia. Il Consiglio dei ministri ha decretato lo stato di allarme annunciato il 13 marzo dal premier Pedro Sanchez. Il secondo Paese più colpito in Europa, dopo il nostro, registra ormai più di seimila contagi con aumenti a tre cifre ogni giorno. Nel giro delle ultime 24 ore sono stati più di 1.500 i nuovi casi, secondo l’ultimo bilancio. 189 i morti. Madrid, la più segnata dall’epidemia, è diventata una città fantasma e il sistema sanitario pubblico nella regione della capitale è sopraffatto dall’emergenza, con più pazienti dei letti disponibili.

LA FRANCIA CHIUDE TUTTI I LUOGHI PUBBLICI NON INDISPENSABILI

In Germania i casi sono saliti quasi a quota 4.200. In Francia, dove si sono superati i 4.500 contagi e sono 91 i decessi, il premier Edouard Philippe ha annunciato la chiusura di tutti i luoghi pubblici “non indispensabili”, dai negozi ai ristoranti, ai luoghi di culto. E mentre sembra a rischio pure lo svolgimento del Festival di Cannes, la pandemia non è riuscita a fermare l’ennesima protesta dei gilet gialli. Intanto si registra un secondo caso di positività al virus nel governo di Parigi: si tratta della sottosegretaria Brune Poirson.

IL CANTON TICINO CHIUDE BAR E RISTORANTI

Nella top ten dei contagi mondiali sono entrate anche la Svizzera (1.350 malati) con il Canton Ticino che ha serrato bar, ristoranti ed esercizi commerciali.

LA GRAN BRETAGNA POTREBBE CAMBIARE APPROCCIO

In Gran Bretagna si contano 1.140 contagi e sono anche raddoppiati in un giorno i morti, saliti da 11 a 21. I numeri alla fine potrebbero costringere il governo britannico a rivedere l’approccio flemmatico tenuto finora dal premier Boris Johnson. Secondo i media del Regno, potrebbe essere varata una legge di emergenza con il divieto di raduni di grandi dimensioni. Una misura che rischierebbe di impattare anche sul torneo di tennis di Wimbledon e sul festival musicale di Glastonbury, entrambi in programma a giugno.

LA RUSSIA CHIUDE I CONFINI DI TERRA AGLI STRANIERI

Anche nei Paesi del nord, dalla Danimarca alla Norvegia, dalla Svezia all’Olanda, si viaggia spediti verso i mille casi. Altri Paesi continuano ad adottare via via nuove restrizioni. La Russia ha deciso di ridurre dal 16 marzo i voli con l’Unione europea e di chiudere agli stranieri i suoi confini di terra con Norvegia e Polonia dal giorno precedente. Quello con la Cina era già stato sigillato all’inizio dell’epidemia, una scelta che avrebbe avuto l’effetto di limitare il numero dei contagi nel Paese, appena 47 secondo le autorità russe. La stessa Norvegia ha a sua volta deciso di chiudere i propri porti e aeroporti. La Grecia ha annunciato di aver bloccato tutti i voli per l’Italia. La Lituania ha ripristinato i controlli alla frontiera con Polonia e Lettonia.

ITALIANI BLOCCATI ALL’ESTERO

Oltre ai confini che risorgono all’interno dell’Europa è però il Vecchio Continente nel suo complesso ad essere visto sempre di più come l’untore dal resto del mondo. Washington ha allargato anche a Regno Unito e Irlanda la restrizione dei viaggi verso gli Stati Uniti. E il governo marocchino si è aggiunto alla lista di chi ha chiuso le frontiere per evitare l’ingresso di stranieri. Mentre nel mondo i contagi hanno superato i 150 mila casi e i decessi sono oltre 5.600, i blocchi, in Europa e altrove, hanno anche una ripercussione su migliaia di italiani che vorrebbero rientrare in Italia e si ritrovano invece prigionieri all’estero. Per loro è arrivata una nuova rassicurazione della Farnesina. Si lavora per far rientrare tutti, anche con navi e pullman. «Sto parlando con i miei colleghi ministri degli Esteri per assicurare che ogni singolo caso venga risolto», ha promesso il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

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Cosa sappiamo sul primo farmaco contro il coronavirus

Progettato dall'Università olandese di Utrecht, è un anticorpo monoclonale. Che, però, deve ancora essere sperimentato. Ci vorranno mesi.

Finora sono stati utilizzati medicinali nati in passato per altre malattie, come quelli anti-Aids o quelli contro l’artrite reumatoide, ma finalmente è stato messo a punto il primo farmaco progettato espressamente per aggredire il coronavirus Sars-CoV2. Al momento è chiuso nei laboratori dell’Università olandese di Utrecht e deve affrontare la lunga serie di sperimentazioni sugli animali e poi sull’uomo prima di arrivare in commercio. I ricercatori guidati da Chunyan Wang chiariscono che le tempistiche non sono certo brevi. Si parla di mesi prima della commercializzazione.

UN ANTICORPO STUDIATO IN TUTTO IL MONDO

Il farmaco è un anticorpo monoclonale specializzato nel riconoscere la proteina chiamata ‘spike‘ (punta, artiglio) o semplicemente indicata con la lettera S, che il virus utilizza per aggredire le cellule respiratorie umane. È la più potente arma del vaccino e per questo è stata subito studiata in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, fino a ottenere la struttura molecolare e perfino a vederla in azione mentre invade le cellule, grazie all’aiuto di potentissimi microscopi. Non è comunque l’unico fronte di ricerca.

INFUSIONI DI PLASMA DI PAZIENTI GUARITI

Lascia sperare anche la possibilità di utilizzare il plasma di pazienti guariti dalla Covid-19, con alti livelli di anticorpi: è l’obiettivo del protocollo firmato in Italia da alcuni centri regionali con capofila il Policlinico San Matteo di Pavia. Per le infusioni di plasma ai malati si attende adesso il via libera dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).

LO STUDIO SUL FARMACO CONTRO L’ARTRITE

C’è ottimismo anche sul farmaco contro l’artrite reumatoide tocilizumab, la cui sperimentazione è partita da Napoli e si sta progressivamente estendendo in altre regioni, dalla Toscana alla Puglia e alla Calabria, fino alla Lombardia e alle Marche. La Roche ne ha annunciato la distribuzione gratuita. «Si sono fatti studi in Cina su grandi numeri di pazienti, in Italia lo stiamo studiando, ma è ancora presto per trarre conclusioni», ha osservato Giuseppe Remuzzi, dell’Istituto farmacologico ‘Mario Negri’ di Bergamo. Le armi principali attualmente utilizzate sono comunque le combinazioni sperimentali dei vecchi farmaci anti-Aids, progettati per bloccare l’enzima che permette al virus Hiv di penetrare nelle cellule.

NO AGLI ANTI-INFIAMMATORI

Intanto il ministro francese della Salute, Olivier Véran, ha sconsigliato l’assunzione di anti-infiammatori a base di ibuprofene o di cortisone: «Potrebbe essere un fattore aggravante dell’infezione. In caso di febbre, prendete del paracetamolo», ha scritto su Twitter. Una delle possibili controindicazioni di questi farmaci è che in alcuni casi potrebbero provocare insufficienza renale, ha rilevato Remuzzi.

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Coronavirus, le cose da sapere sul decreto del 15 marzo

In arrivo misure da 16 miliardi che prevedono anche lo stop ai mutui, il rinvio delle scadenze fiscali e l'estensione della cassa integrazione in deroga a tutte le categorie.

Quasi 16 miliardi. Il maxi-decreto del governo per arginare l’impatto del Coronavirus sull’economia, sembra destinato a crescere ben oltre gli annunciati 12 miliardi. Le misure sono attese sul tavolo del consiglio Consiglio dei ministri previsto domenica 15 marzo. Tavolo che per la prima volta potrebbe svolgersi in scala ridotta con pochi ministri o addirittura in videoconferenza. Quattro i grandi capitoli del provvedimento: sanità; lavoro, con misure che vanno dagli ammortizzatori sociali alla fornitura di mascherine fino al supporto del turismo; sostegno alla liquidità di famiglie e imprese; rinvio delle scadenze fiscali e burocratiche. Dovrebbero essere accolte anche proposte dell’opposizione come stop ai pedaggi per gli autotrasportatori: il governo punta a un’ampia condivisione.

SEGUIRANNO MISURE PER LA RIPARTENZA

Dopo la nottata delle trattative con sindacati e imprese per il protocollo sul lavoro, il premier Giuseppe Conte è impegnato con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri al varo di un decreto legge dell’entità di una manovra. Un primo intervento, cui accompagnare in una seconda fase una serie di misure per la ripartenza che dovrebbero andare dallo sblocco dei cantieri ai ristori per le aziende più colpite dalla crisi.

RINVIO DELLE SCADENZE FISCALI

Da subito arriveranno il rinvio delle scadenze fiscali del 16 marzo e anche, annuncia l’Inps, la proroga del termine per il versamento dei contributi previdenziali. Il governo sarebbe pronto a varare anche un pacchetto di ammortizzatori sociali con l’estensione della cassa integrazione in deroga a tutte le categorie. E ci sarebbe poi un corposo sostegno alla sanità (si ipotizzano due miliardi e oltre). Sembra tramontare l’ipotesi di separare le misure per la sanità dagli altri interventi. Anzi, il maxi-decreto, una volta arrivato in Parlamento dovrebbe assorbire, attraverso un emendamento, tutti gli altri decreti approvati finora per fronteggiare l’emergenza coronavirus, in modo da consentire alle Camere di ridurre al minimo i lavori, in un momento in cui una parte dei parlamentari spinge per consentire, come mai avvenuto nella storia repubblicana, almeno in commissione le votazioni a distanza.

FONDI PER LA DISTRIBUZIONE GRATUITA DI MASCHERINE AI LAVORATORI

L’obiettivo è comunque coinvolgere il più possibile l’opposizione, provando a sminare polemiche quotidiane come quella di Matteo Salvini che accusa la Protezione civile di non distribuire abbastanza mascherine e torna a puntare il dito contro gli sbarchi di migranti. La produzione e fornitura di mascherine e disinfettanti è uno dei fronti su cui il governo più spinge: dovrebbero arrivare fondi per la distribuzione gratuita ai lavoratori ma soprattutto c’è il tentativo, affidato al commissario Domenico Arcuri, di intensificare la produzione in Italia di mascherine per tutta la popolazione.

RINVIO DEI MUTUI PER FAMIGLIE E IMPRESE

L’altro capitolo corposo, che si va definendo in queste ore, è quello del rinvio dei mutui per le famiglie e le imprese: i partiti premono perché la sospensione valga per tutti ma i criteri sono ancora in via di definizione. Per gli autonomi arriverà un indennizzo, diretto o attraverso le casse professionali, che potrebbe valere fino a un tetto di reddito.

NUOVE RISORSE PER GESTIRE L’EMERGENZA ALITALIA

Arrivano anche nuove risorse per gestire l’emergenza di Alitalia, aggravata dalle riduzioni dei voli a causa del coronavirus, e la creazione di una newco pubblica per prendere in affitto la parte aviation.

BRACCIALETTI ELETTRONICI PER I CARCERATI

Per le carceri le risorse potrebbero salire a 20 milioni ed è allo studio l’ipotesi di più braccialetti elettronici per alleggerire gli istituti di pena.

CONGEDI E BONUS BABY SITTER IN ALTERNATIVA ALLO SMART WORKING

Ancora da definire anche il capitolo per le famiglie, con il pacchetto di congedi e bonus baby sitter che potrebbero essere alternativi allo smart working.

RINVIO DELLA SCADENZA DELLA TARI

Dovrebbero anche arrivare norme per i comuni e un corposo pacchetto di rinvii di scadenze, dalla Tari ai documenti d’identità. Dovrebbe essere invece affrontato in un secondo momento il tema del rinvio del referendum e delle amministrative.

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Coronavirus, Bertolaso consulente personale di Fontana

Il presidente della Regione Lombardia ha scelto l'ex capo della Protezione civile per la realizzazione del progetto riguardante la costruzione di un ospedale dedicato ai pazienti Covid_19.

Guido Bertolaso è il «consulente personale» del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, per la realizzazione del progetto riguardante la costruzione di un ospedale dedicato ai pazienti Covid_19 presso le strutture messe a disposizione della Fondazione Fiera di Milano al Portello. Fontana, si legge in una nota della Regione, ha ringraziato Bertolaso per aver accettato l’incarico per il quale riceverà un compenso simbolico pari ad un euro.

BERTOLASO: «NON POTEVO RIFIUTARE»

«Come potevo non aderire alle richieste del presidente della Lombardia di dare una mano nella epocale battaglia contro il Covid-19 se la mia storia, tutta la mia vita è stata dedicata ad aiutare chi è in difficoltà e a servire il mio Paese?», ha commentato Bertolaso in una nota. «Se ho aperto l’ospedale Spallanzani vent’anni fa ed ho lavorato in Sierra Leone durante la micidiale epidemia di ebola forse qualcosa di utile con il mio team spero di riuscire a farlo», ha aggiunto. «Il mio pensiero va ai medici -quelli veri- agli infermieri ed ai tecnici sanitari e ai farmacisti che da settimane danno l’anima rischiando ogni istante per combattere e vincere questa battaglia», ha concluso.

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Coronavirus: la Sardegna è in quarantena

Un decreto della ministra dei Trasporti Paola De Micheli sospende i collegamenti con l'isola. Bloccati anche i treni notturni verso il Sud Italia.

Il panico in alcune regioni del Sud per il timore di un nuovo esodo dal Nord, dopo quello di una settimana fa, con i governatori di Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna in pressing sul governo per fermare i treni ed evitare rischi di contagio del Covid-19, costringe la ministra dei Trasporti a correre subito ai ripari. Pur precisando che il 13 marzo non c’è stata alcuna fuga di massa da Milano, Paola De Micheli ha bloccato i treni notturni. Niente partenze già a partire dalla sera del 14. Ma sopratutto la ministra ha deciso di mettere in quarantena un’intera regione: la Sardegna. E l’ha fatto con un decreto che sospende i collegamenti e i trasporti ordinari delle persone da e per l’isola. Si vola solo tra Roma Fiumicino e Cagliari, mentre sulle navi potranno viaggiare solo le merci. Il trasporto delle persone su traghetti e aerei può avvenire soltanto su autorizzazione della Regione.

CONTROLLATI TUTTI I PASSAGGERI DA MILANO

Intanto, tutti i passeggeri partiti in treno da Milano e diretti verso le regioni del Sud – 438 persone in tutto – sono stati controllati dalla Polizia Ferroviaria. Gli agenti hanno verificato in partenza l’identità e le motivazioni del viaggio e tutti, dice la Polfer, «hanno dimostrato di avere una giusta motivazione». A destinazione i viaggiatori sono stati nuovamente fermati ed è stata anche rilevata la temperatura.

EMILIANO: «SITUAZIONE GIÀ DRAMMATICA»

Ad alzare, per primo, la voce era stato la mattina del 14 marzo il Governatore pugliese Michele Emiliano, che ha poi esteso la quarantena a chiunque torni in regione: «Ci state portando tanti altri focolai di contagio che avremmo potuto evitare: in pochi giorni migliaia e migliaia di persone hanno fatto rientro in Puglia aggravando la nostra già drammatica situazione». A stretto giro gli ha fatto eco dalla Sicilia l’assessore alle Infrastrutture Marco Falcone: «Si blocchino in giornata i treni per il Sud, per chiudere così potenziali linee di contagio e garantire la tutela della salute della popolazione, nelle regioni dove ancora il virus sembrerebbe darci il tempo di issare un argine».

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I dati sui contagi da coronavirus in Italia del 14 marzo

Secondo i dati ufficiali della Protezione civile, sono 21.157 casi totali, di cui 17.750 gli "attivi", 1.441 i decessi e 1.966 i guariti.

Sono 17.750 i malati di coronavirus in Italia, 2.795 in più del 13 marzo, mentre il numero complessivo dei contagiati – comprese le vittime e i guariti – ha raggiunto i 21.157. Il dato è stato fornito dal commissario per l’emergenza Angelo Borrelli in conferenza stampa alla Protezione Civile. Che ha spiegato come il numero delle vittime sia salito a 1.441, 175 morti in più in un solo giorno, contro i 250 del 13 marzo. Sono invece 1.966 le persone guarite, 527 in più in 24 ore.

I DATI TERRITORIALI

Dai dati della Protezione Civile emerge che sono 9.059 i malati in Lombardia (1.327 in più rispetto al 13 marzo), 2.349 in Emilia Romagna (+338), 1.775 in Veneto (+322), 814 in Piemonte (+20), 863 nelle Marche (+165), 614 in Toscana (+159), 320 nel Lazio (+78), 243 in Campania (+30), 384 in Liguria (+80), 271 in Friuli Venezia Giulia (+35), 150 in Sicilia (+24), 156 in Puglia (+35), 199 in Trentino (+42), 106 in Abruzzo (+23), 103 in Umbria (+30), 17 in Molise (+0), 47 in Sardegna (+4), 41 in Valle d’Aosta (+14), 59 in Calabria (+22), 170 in Alto Adige (+47), 10 in Basilicata (+0).

LEGGI ANCHELe buone notizie del 14 marzo contro l’ansia da coronavirus

Quanto alle vittime, se ne registrano: 966 in Lombardia (+76), 241 in Emilia Romagna, (+40), 55 in Veneto (+13), 59 in Piemonte (+13), 36 nelle Marche (+9), 6 in Toscana (+1), 27 in Liguria (+10), 6 in Campania (+4), 13 Lazio (+2), 13 in Friuli Venezia Giulia (+3), 8 in Puglia (+3), 3 in provincia di Bolzano (+1), 2 in Sicilia (+0), 2 in Abruzzo (+0), uno in Umbria (+0) uno in Valle d’Aosta (+0), 2 in Trentino (+0). I tamponi complessivi sono 109.170, oltre 74 mila dei quali in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

IL BOLLETTINO DELLA LOMBARDIA

In Lombardia, invece, sono 11.685 i contagiati dal coronavirus, mentre 966 i morti, 732 le persone in terapiaintensiva (85 in più rispetto al 13 marzo).

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Quando sono attesi i picchi del coronavirus nelle regioni italiane

Fine marzo in Piemonte, Toscana, Liguria, Trentino e Friuli. Ad aprile in Emilia Romagna, Veneto e Marche. Ma i dati sono ancora troppo incompleti per fare previsioni precise.

L’epidemia di coronavirus viaggia a velocità diverse a seconda delle regioni: è quanto emerge dall’analisi fatta dal matematico Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le applicazioni del calcolo ‘Mauro Picone’ del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Iac Cnr). Utilizzando i dati pubblicati dalla Protezione civile, Sebastiani ha rilevato che fra il 10 e l’11 marzo si è registrato un aumento del tasso di crescita, dopo un precedente calo, in Sicilia e Lazio e meno marcatamente in Puglia, «forse causato dall’esodo dal Nord al Sud avvenuto in seguito al decreto che l’8 marzo istituiva la zona rossa in Lombardia».

IN EMILIA ROMAGNA IL PICCO POTREBBE ARRIVARE AD APRILE

Sulla base degli stessi dati, inoltre, il ricercatore ha elaborato le previsioni relative all’arrivo del picco in otto regioni, ossia ha calcolato il periodo «in cui si raggiunge il numero stabile dei contagiati e dopo i quali inizia la fase calante». Nelle otto regioni analizzate si distinguono due gruppi: uno comprende Piemonte, Toscana, Liguria, Trentino e Friuli, dove alla luce dei dati raccolti finora il picco dovrebbe arrivare a fine marzo; l’altro comprende Emilia Romagna, Veneto e Marche, dove il picco dovrebbe arrivare tra metà e fine aprile.

I DATI PERÒ SONO ANCORA INCOMPLETI

Tuttavia, secondo il direttore dello Iac Cnr, Roberto Natalini, allo stato attuale e sulla base dei dati a disposizione, ancora incompleti, «è impossibile per chiunque poter prevedere quando l’epidemia di Covid-19 raggiungerà il picco in Lombardia, e poi finirà». Natalini ha osservato inoltre che, sebbene i modelli matematici esistano, «questa è una situazione molto complicata perché non si hanno tutti i dati necessari per fare i calcoli. Non si sa infatti quanto siano gli infetti e quante persone esattamente siano morte per la Covid-19, perché in Italia se una persona con altre patologie e positiva al virus muore, viene classificata come deceduta per il coronavirus, mentre magari potrebbe essere morta per altre cause». Tra l’altro è ancora difficile avere i dati regione per regione.

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Le buone notizie del 14 marzo contro l’ansia da coronavirus

Zero contagi a Vo' Euganeo, nuovi casi che crollanno in Cina e Corea. Le donazioni dell'Inter e l'azienda che vuole produrre mascherine gratis nel Sannio. Pillole di ottimismo quotidiane per affrontare l'angoscia da pandemia.

L’emergenza coronavirus è reale ed è giusto affrontarla, così come è giusto rispondere alla domanda di informazioni riguardanti l’interesse pubblico per definizione: la salute. Ma il sovraccarico di notizie genera spesso un allarmismo controproducente. Per questo, abbiamo deciso di cercare di placare il senso di ansia generalizzata con i fatti positivi legati alla pandemia che ogni giorno avvengono, ma nessuno nota. Un piccolo calmante per affrontare la crisi (passeggera).

VO’ EUGANEO “SI È FERMATA”: NESSUN NUOVO POSITIVO

Da venerdì 13 marzo Vo’ Euganeo non ha nessuno caso nuovo di positività al coronavirus. È quanto emerso dai dati ufficiali della Regione Veneto. La cittadina padovana, prima zona rossa insieme alla lombarda Codogno, ha imboccato la strada della guarigione. Il sindaco Giuliano Martini ha raccontato all’Ansa: «Abbiamo applicato la quarantena con grande senso di responsabilità e fatto due screening a cui ha aderito il 95% della popolazione». La località euganea era uscita dall’isolamento domenica 8 marzo. Proprio a Vo’ era stata registrata la prima vittima veneta del coronavirus, il 67enne Adriano Trevisan.

CALO IN COREA DEL SUD, SOLO 107 CASI GIORNALIERI

La Corea del Sud ha registrato venerdì 107 nuovi casi d’infezione al virus, aggiornando i nuovi minimi da oltre due settimane: secondo il Korea Centers for Disease Control and Prevention (Kcdc) il totale supera le 8 mila unità, a 8.086. Il dato del 13 marzo, che segue i 110 casi di giovedì, sottolinea i segnali positivi dall’adozione delle misure di contenimento dell’infezione, anche se a Seul permangono alcune criticità. I decessi si sono portati a quota 72, cinque in più rispetto all’ultimo bollettino.

IN CINA QUATTRO CONTAGIATI A WUHAN, AI MINIMI ASSOLUTI

In Cina invece solo quattro i casi di infezioni al coronavirus registrati venerdì a Wuhan, capoluogo della provincia dell’Hubei e focolaio della pandemia. Secondo gli aggiornamenti forniti dalla Commissione sanitaria nazionale (Nhc) cinese, si tratta del livello più basso da quando da gennaio è iniziata la raccolta dei dati. Per la prima volta, inoltre, i casi importati di infezione hanno superato quelli locali: sugli 11 complessivi del 13 marzo, oltre ai quattro di Wuhan, gli altri sette sono “contagi di ritorno”, di cui quattro a Shanghai, due nel Gansu e uno a Pechino.

L’INTER LANCIA UNA CAMPAGNA GLOBAL DI CROWDFUNDING

Together as a team“, l’Inter ha lanciato una campagna global di crowdfunding, coinvolgendo il club ma anche i tifosi di tutto il mondo. Il ricavato sarà devoluto al dipartimento di Scienze biomediche e cliniche dell’ospedale Luigi Sacco di Milano. La società nerazzurra in una nota ha spiegato: «Alla campagna di raccolta fondi ha contribuito l’Inter nella sua totalità, dai giocatori della Prima squadra, allo staff tecnico e ai dipendenti del club che hanno donato in totale 500 mila euro».

NEL SANNIO UN’AZIENDA PRONTA A PRODURRE MASCHERINE GRATIS

I titolari di una piccola azienda hanno fatto un annuncio sul tema cruciale delle mascherine. D’accordo col sindaco di Limatola (Benevento) Domenico Parisi, hanno spiegato: «Siamo pronti a riconvertire provvisoriamente la nostra fabbrica di maglieria nella produzione gratuita di migliaia di mascherine al giorno da distribuire ai cittadini per fronteggiare l’emergenza da coronavirus, considerato che non se ne trovano, nemmeno a peso d’oro, in tutta la regione». Il sindaco ha spiegato: «Abbiamo segnalato questa nostra iniziativa anche alla Regione Campania, specie dopo l’appello del governatore De Luca che è alla ricerca di mascherine. In via sperimentale questa piccola fabbrica con le sue maestranze ha già realizzato con successo dei campioni, ma francamente non sappiamo se la burocrazia coi suoi tempi, specie in questo periodo di emergenza, ci consentirà di avviare al più presto la produzione totalmente gratuita di mascherine per essere distribuite ai cittadini di Limatola e a coloro che ne facessero richiesta».

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Come gestire l’emergenza Covid-19? Ce lo insegnano i disabili

Rallentare, convivere con i limiti, gestire l'incertezza usando la creatività sono comportamenti che le persone disabili adottano quotidianamente. Prassi da adottare ora ma anche a pandemia debellata.

Le misure messe in atto per fronteggiare l’emergenza Covid-19 stanno destabilizzando tutti gli italiani, chi più, chi meno. L’intera collettività sta facendo i conti con le limitazioni e le restrizioni imposte per salvaguardare la salute di tutti. Negozi chiusi (eccetto gli alimentari), strade semi deserte, obbligo di stare a casa per l’intera cittadinanza.

Di colpo siamo costretti a dover convivere con il limite, l’incertezza, la dipendenza e, soprattutto, l’immobilismo. Il Covid-19 ci ha trovato impreparati e sta mettendo in ginocchio il mondo intero. Solo con lo sforzo e l’impegno di tutti riusciremo a debellarlo e limitarne i danni. Ma forse non tutto il male viene per nuocere. Credo che la pandemia, oltre a mietere vittime in tutto il mondo, ci stia portando un messaggio. È giunta l’ora di rallentare e darci una calmata a livello globale.

Parlare di immobilità o di lentezza al giorno d’oggi, in Occidente, pare una bestemmia. Corri perché, più velocemente riesci a portare a termine i tuoi compiti, più in gamba sei. Questo sembra essere il motto imperante. È il tempo omologato del progresso da cui sono tagliate fuori tutte le persone che non possono o non vogliono stare al passo. Le persone con disabilità spesso hanno tempi più lenti e anche per questo sono ai margini della vita socio – economica.

POSSIAMO RISCOPRIRE LA BELLEZZA DELLA LENTEZZA

Il giornalista scientifico David Squammed, nel suo libro Spillover, sostiene che la diffusione di questo e altri virus sia correlata con l’invasione degli ecosistemi da parte dell’uomo. Il mondo occidentale viaggia a un ritmo che esclude chi non si adegua, oltre a non essere ecologicamente più sostenibile. Ora siamo tutti obbligati a rallentare, quando non addirittura a fermarci. Credo che per noi cittadine e cittadini disabili l’imposizione non sia stata particolarmente traumatica perché lenti lo siamo già. Personalmente amo la lentezza perché offre la possibilità di assaporarsi le giornate, senza venirne travolti. La lentezza intesa come stile di vita penso sia una forma di rispetto degli esseri umani e dell’intero ecosistema.

L’incertezza, messa al bando dai “bipedi” da molti anni, è tornata al potere lasciando nel panico la maggioranza della popolazione

Chissà se ora ci accorgeremo che che non è un limite ma un’occasione per vivere in modo migliore. Il limite. Oggi più che mai questa parola assume i connotati di realtà, una realtà molto pesante da sopportare. Si fatica ad accettare il limite perché viviamo in un contesto storico-culturale e politico in cui di fatto quasi tutto è possibile. L’uomo e la donna occidentali e “normaloidi” s’illudono di essere quasi onnipotenti e di riuscire a controllare ogni aspetto della loro vita. L’incertezza, messa al bando dai “bipedi” da molti anni, è tornata al potere lasciando nel panico la maggioranza della popolazione.

Code ai supermercati a Padova.

Nessuno può sapere con sicurezza se e quando la pandemia sarà debellata, quali saranno le sue conseguenze a livello individuale e socio-economico mondiale né se e come cambierà la nostra vita dopo aver superato l’emergenza. L’infezione di Covid-19 ha smantellato l’illusione umana di poter avere il controllo totale della situazione, obbligando ognuno di noi a confrontarsi con la propria vulnerabilità. È stato uno choc per molti ma non credo che lo sia stato altrettanto per le persone con disabilità.

DOBBIAMO IMPARARE AD ACCETTARE L’INCERTEZZA

Con tutti i limiti del generalizzare noi donne e uomini disabili sappiamo di essere vulnerabili e che la nostra vita è governata dall’incertezza. Essere dipendenti dall’assistenza di altri e vivere in una società a misura di “normaloidi” significa dover imparare a gestire una buona dose di incertezza giornaliera. Se l’operatrice domiciliare che mi aiuta al mattino resta imbottigliata nel traffico ed io ho degli appuntamenti, per esempio, rischio di arrivare in ritardo. Un’altra occasione di sperimentare l’incertezza ci si presenta quando usciamo di casa e non sappiamo quante e quali barriere architettoniche incontreremo e se riusciremo a superarle. Molti di noi, poi, soffrono di condizioni sanitarie cronicamente instabili e convivono giornalmente con l’incertezza riguardo la propria salute.

Riscoprire la lentezza come valore da promuovere anche quando l’emergenza sanitaria sarà stata superata

Come abbiamo fatto a non estinguerci nonostante le nostre vite siano in sua balia? I principali trucchi sono due: il primo è anticiparsi il maggior numero di scenari possibili, sapendo che ce ne potrebbero essere degli altri che non ci siamo immaginati, ed escogitando anticipatamente possibili modi di gestirli. Il secondo è accettare l’incertezza, senza contrastarla ma imparando a gestirne le conseguenze usando la creatività. Noi persone disabili cerchiamo da sempre di anticipare il più precisamente possibile come si svolgeranno le nostre giornate, consapevoli che dovremmo sapere abbandonare i nostri piani e affrontare l’imprevisto nel caso in cui si presentasse.

Un striscione di ringraziamento per i medici legato al cancello dell’ospedale Spallanzani.

Rispettare le ordinanze, inventarsi nuovi modi di entrare in relazione con gli altri (avete già provato lo whatsapp spritz con gli amici? Ognuno a casa propria ma uniti dalla voglia di ridere, nonostante tutto), riscoprire la lentezza come valore da promuovere anche quando l’emergenza sanitaria sarà stata superata, accettare i nostri limiti. Sono comportamenti adatti a pochi sfigati o un’occasione per dare una svolta all’organizzazione individuale e sociale indirizzandola verso una gestione più sostenibile per tutti, da mantenere anche a emergenza conclusa? La pandemia ci sta offrendo un’occasione per ripensare a nuovi stili di vita. Sta a noi scegliere se invertire la rotta o andare alla deriva.

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Per le vittime di violenza domestica il decreto #iorestoacasa è un problema

La convivenza forzata in alcuni casi significa dividere 24 ore su 24 gli spazi familiari con il proprio maltrattante. Ma i numeri d'aiuto, come spiega la presidente del Telefono Rosa, restano attivi: «Fra 1-2 settimane rischiamo un picco di chiamate».

«Restate a casa». Un imperativo necessario in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo in Italia a causa del Covid-19. Ognuno di noi ha stravolto le proprie abitudini, imparare a vivere dentro quattro mura è difficile, soprattutto nel gestire i rapporti e la solitudine. Ma alle donne vittime di violenza domestica chi pensa? Ai bambini spettatori delle liti tra i genitori che rischiano di aumentare drasticamente a causa della convivenza forzata, chi pensa?

LA COMPONENTE FEMMINILE SOVRACCARICATA

L’emergenza coronavirus, ha detto il presidente dell’associazione WeWorld Marco Chiesara, «sta mettendo alla prova molte famiglie» a causa della «convivenza forzata con bambini, mariti e spesso anziani da accudire», con un carico che «ricade quasi esclusivamente sulla componente femminile della coppia». Ma non solo: «Se questa è la situazione nella normalità, le donne in situazioni problematiche o vittime di violenza in ambito domestico, in questi giorni stanno vedendo un drastico peggioramento della propria situazione».

A TORINO L’ULTIMO FEMMINICIDIO

E per le donne vittime di violenza «restare a casa significa dividere 24 ore su 24 gli spazi familiari con il proprio maltrattante, significa essere isolate da tutti e tutte e vedere il proprio spazio personale assottigliarsi di ora in ora». L’appello #restateacasa, che è sacrosanto per contenere il contagio, per tante donne può significare pericolo e violenza. La mattina del 13 marzo un vigile urbano di 66 anni alle porte di Torino ha ucciso moglie e figlio e colpi di pistola prima di togliersi la vita. Casi simili accadono quasi quotidianamente, la differenza è che in un momento simile andarsene non è possibile. Chiedere aiuto tramite telefonate o servizi online però si può.

I NUMERI ANTI-VIOLENZA SONO ATTIVI

Maria Gabriella Moscatelli, presidente del Telefono rosa, ci ha ricordato che il servizio anti-violenza è sempre attivo. «Per ogni necessità passiamo le avvocate, per la consulenza legale. Le volontarie capiscono di che tipo di necessità ha bisogno la donna e le indica il numero apposito. Se serve una psicologa, vale lo stesso. Il telefono rosa continua». I Cavcentri antiviolenza – sono attivi, ma chiaramente tutto telefonicamente e online. Le persone purtroppo non possiamo riceverle. Le case-rifugio funzionano regolarmente come chiesto dal decreto del presidente del Consiglio».

Stare a #casa non ci ferma.Nonostante la situazione difficile che stiamo vivendo il Telefono Rosa è attivo e pronto a…

Posted by Telefono Rosa – Pagina Ufficiale on Friday, March 13, 2020

È PRESTO PER RISCONTRARE UN AUMENTO DEI CASI

Abbiamo chiesto alla presidente Moscatelli se in questi giorni avessero riscontrato un aumento delle richieste d’aiuto. «Non ancora», ci ha spiegato. «Ci sono stati tanti femminicidi nell’ultimo periodo, le donne continuano a chiedere aiuto come sempre. Semmai stanno telefonando perché si sentono sole, ma in questo momento l’andamento è il solito, non abbiamo avuto picchi soltanto perché siamo ancora in una prima fase. Riparliamone tra una o due settimane».

ORA PREVALE ANCORA LA PREOCCUPAZIONE DEL CONTAGIO

Sì, perché mentre la Lombardia è blindata già da un po’, nel resto d’Italia le misure restrittive sono valide da pochi giorni. «In questo momento le popolazione è preoccupata di non essere contagiata, di avere la spesa a casa, di assistere gli anziani, di gestire i bambini che non vanno a scuola. A lungo andare probabilmente scoppieranno le liti, si manifesteranno le criticità già presenti nelle coppie o nelle famiglie, ma è presto. Dovremmo fare un bilancio tra un po’ di giorni. Ricordiamoci che fino a tre giorni fa la gente andava in giro senza aver recepito il rischio reale di questa pandemia». Moscatelli ha ricordato che i femminicidi non si fermano. Quello di venerdì mattina come quello avvenuto due giorni prima a Trento. «Purtroppo continuiamo a tenere alta la media».

Il numero per chiedere aiuto è 06 37518282.

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I viceministri Sileri (M5s) e Ascani (Pd) positivi al coronavirus

Il medico grillino, n.2 al dicastero della Salute, era entrato in contatto con un caso sospetto: «Ho seguito i protocolli, mia moglie e mio figlio stanno bene». La dem (Istruzione) era già in isolamento a casa: «Ho febbre e un po' di tosse».

Il coronavirus sempre più dentro le istituzioni. In principio fu il segretario del Parito democratico e governatore del Lazio Nicola Zingaretti, risultato positivo il 7 marzo. Ora l’infezione ha colpito anche il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, del Movimento 5 stelle, e la viceministra all’Istruzione Anna Ascani del Pd.

AMBIENTI SEPARATI IN CASA CON MOGLIE E FIGLIO

Sileri è uno di quei volti che il pubblico ha imparato a conoscere durante l’emergenza Covid-19. Medico e politico, 47 anni, è stato spesso ospite negli studi televisivi a dare indicazioni su come contenere l’infezione. È risultato positivo al test dopo esser stato in contatto con un “caso sospetto“. Lo ha reso noto lui stesso affermando di essersi messo in isolamento «appena mi sono accorto di avere dei sintomi». Poi ha spiegato: «Ho seguito da subito tutti i protocolli come indicato dal ministero. Mia moglie e il piccolo stanno ancora bene e, seppur nella stessa casa, abbiamo diviso gli ambienti».

ERA STATO ANCHE SULL’AEREO DA WUHAN

È da un paio di mesi che Sileri è in prima linea durante questa crisi sanitaria. A inizio febbraio era a bordo dell’aereo che riportava a casa gli italiani di Wuhan. Tanto che Forza Italia gli intimò di mettersi in quarantena, una volta tornato, per precauzione. Lui spiegò che non ce n’era il bisogno perché aveva seguito rigidamente tutte le regole.

INFORMATI SUBITO I SUOI COLLABORATORI

Ora però ha contratto davvero il virus. «Appena mi sono accorso di avere dei sintomi mi sono isolato e ho iniziato a lavorare a pieno ritmo da remoto», ha detto, informando della positività tutti i suoi collaboratori e le persone che sono state a contatto con lui. Al momento «tutti stanno bene».

«IL MIO IMPEGNO NON VIENE MENO»

Adesso continuerà a lavorare? «Il mio impegno non viene assolutamente meno e ancora una volta voglio ringraziare il Sistema sanitario nazionale, medici e infermieri che stanno dando orgoglio al nostro Paese. C’è una sola possibilità: essere responsabili, coraggiosi e solidali e ce la faremo tutti insieme».

Anna Ascani. (Ansa)

LA ASCANI ERA GIÀ IN ISOLAMENTO DA UNA SETTIMANA

Restando nell’area politica “giallorossa“, anche un’altra viceministra, in questo caso dell’Istruzione, si è ammalata: si tratta della 32enne Anna Ascani del Pd: «Da una settimana sono in isolamento domiciliare. Purtroppo, qualche ora fa, si sono manifestati i primi sintomi riconducibili al coronavirus. Per questo motivo ho effettuato il tampone che è risultato positivo. Questo dimostra quanto sia fondamentale rispettare le indicazioni sanitarie: se fossi uscita, avrei incontrato molte più persone. Restando a casa, ho certamente evitato possibili contagi».

«STO BENE, INSIEME CE LA FAREMO»

Le condizioni di salute sono buone: «Io sto bene, ho qualche linea di febbre e un po’ di tosse. Ci tengo a ringraziare, ancora una volta, il personale medico che sta lavorando assiduamente, con turni senza sosta, prendendosi cura di noi. Insieme ce la faremo, vinceremo questa battaglia, mettendocela tutta. Ne sono sicura, #andràtuttobene».

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Cosa si sta facendo per proteggere i senzatetto dal coronavirus

In Italia vivono oltre 50 mila clochard. In strada sono tra i più fragili di fronte alla pandemia. L'assistenza ora è ridotta, così i Comuni provano a prolungare i "piani freddo". Cercando di allestire mense e centri senza favorire gli assembramenti. Il problema spiegato (anche) con numeri e grafici.

Nella lotta per fermare il contagio da coronavirus c’è un paradosso. Alcune delle persone più fragili ed esposte sono anche quelle meno protette. È il caso dei senzatetto che vivono e si spostano nelle nostre città. Mentre il governo metteva in quarantena il Paese e sui social impazzava la campagna #iostoacasa, qualcuno ha ricordato che le migliaia di clochard d’Italia non hanno un posto dove andare.

IL 76% DEI CLOCHARD È DA SOLO

L’ultimo “censimento” che ha fotografato la situazione è stata una ricerca dell’Istat nel 2014. Secondo quella rilevazione le persone senza dimora in Italia sono 50.724. Di queste l’85% è uomo, il 58% straniero e la gran parte, il 76%, vive da solo.

L’ASSISTENZA VERSO DI LORO SI È RIDOTTA

Mario Furlan, fondatore e presidente dell’associazione di volontariato City Angels, spiega a Lettera43.it: «Oltre ai commercianti e agli imprenditori fra le categorie che più soffrono per questa situazione c’è sicuramente quella dei senza tetto, perché da quando è scoppiata la pandemia l’assistenza verso di loro si è ridotta».

NIENTE POSTI A SEDERE IN MENSA: UN SACCHETTO COL CIBO E VIA

Che la situazione sia molto delicata è dimostrato proprio da una stretta al sistema di assistenza: «Ci sono alcune mense che sono chiuse, perché bisogna evitare gli assembramenti e diventa difficile evitarlo in una struttura in cui la gente si mette in fila. Altre mense non sono state chiuse, ma non accolgono più con posti a sedere al tavolo: danno un sacchetto veloce e via. In generale ci sono meno associazioni di volontariato che assistono sulla strada i senza tetto perché alcuni volontari non se la sentono e hanno paura».

IL 60% VIVE NELLE AREE METROPOLITANE

Sempre secondo gli ultimi dati disponibili dell’Istat, il 38% dei senza dimora vive nelle regioni del Nord-Ovest. Seguite da quelle del Centro (23,7%), del Nord-Est (18%), poi Sud (11,1%) e Isole (9,2%). Di questi oltre il 60% vive nelle aree metropolitane, mentre il restante 28% vive in Comuni tra i 70 e 250 mila abitanti. Quindi i sistemi di supporto ai clochard si snodano soprattutto nelle città.

  • La distribuzione dei senza dimora da Nord a Sud.

Gli stessi City Angels, attivi in 21 città e presenti in nove centri della Lombardia, hanno dovuto ridurre le attivà sul campo. «Tutti gli inverni grazie all’Atm andavamo in giro con un autobus da 12 metri con l’autista che tutte le sere ci portava in vari punti della città», ha raccontato Furlan, «Facevamo salire i senzatetto e gli davamo da bere, da mangiare, vestiti, coperte, sacchi a pelo. Da quando c’è il coronavirus abbiamo dovuto rinunciarci».

VOLONTARI CON MASCHERINE E DISINFETTANTE

Le associazioni hanno dovuto ridisegnare l’assistenza intorno a un principio cardine: “evitare degli assembramenti”. «Oggi quello che facciamo è andare in giro in squadre di massimo tre volontari, con mascherine, guanti, e disinfettante stando bene attenti a evitare che ci siano gruppi di persone vicine». Una pratica non semplicissima, dato che spesso vivono in piccole comunità da 2-3-4-5 persone. «Dobbiamo andare andare da loro uno per uno singolarmente dicendo: “no, voi state là, non vi avvicinate”».

Il problema principale ora si concentra nella gestione dei centri, anche perché il 59% dei clochard intervistati dall’Istat raccontò che nel corso di un mese capitava spesso di appoggiarsi a strutture notturne per passare la notte e lavarsi.

MILANO PROLUNGA IL PIANO FREDDO

Per cercare di limitare il contagio tra i senza dimora il Comune di Milano ha deciso di prolungare il piano freddo tenendo attive quante più strutture possibile. «Noi», ha continuato il presidente degli Angels, «non possiamo buttare le persone sulla strada. A Milano abbiamo due centri di accoglienza, uno da 90 e uno da 10». Nel capoluogo meneghino i clochard sono circa 2.600 e nei mesi in cui è attivo il piano di Palazzo Marino le strutture sono in grado di ospitarli tutti. «Vista l’emergenza coronavirus il Comune ha deciso, giustamente, di tendere i senzatetto tutto il giorno lì, perché se a noi che stiamo in casa viene detto di stare in casa, i senzatetto non hanno una casa dove stanno?».

Il concetto alla base della decisione è quello di tenerli protetti e isolati evitando i movimenti in gruppo. Fuori dalle strutture, ha spiegato Furlan «è più difficile vedere come stanno, mentre nei centri c’è il medico e da noi se c’è qualcuno con tosse o febbre il medico lo tiene d’occhio». Nel 2014 gli intervistati avevano spiegato che in una settimana si appoggiavano almeno 3-4 volte a mense e dormitori. Questo implica un impegno quotidiano non indifferente. Nei centri gestiti da City Angels vengono prese tutte le precauzioni possibili: «Compatibilmente con gli spazi non riusciamo a farli stare a 2 metri l’uno dall’altro, ma mentre prima si dava da mangiare a tutti quanti insieme, adesso si fanno vari turni, il che vuol dire un lavoraccio, però cerchiamo di evitare che stiano a ridosso l’uno dell’altro».

CONSAPEVOLI E SPAVENTATI

Furlan ha raccontato a L43 che in generale tutti i clochard con cui sono in contatto hanno preso coscienza della situazione «molto bene». «I senzatetto», ha voluto chiarire, «non sono persone fuori dal mondo che non sanno cosa accade, loro sono informati esattamente quanto noi. Nei centri come il nostro c’è la televisione, quindi seguono i telegiornali e leggono i giornali gratuiti, sono perfettamente informati. Hanno paura anche loro del coronavirus. Alcuni di loro ci chiedono le mascherine e dunque capiscono molto bene la situazione».

PIANO ATTIVO ANCHE A BOLOGNA

A Bologna il piano freddo, che offre assistenza a circa 320 persone, resterà attivo almeno fino al 31 marzo. Ma, ha avvertito il presidente dell’associazione Piazza Grande, Francesco Carlo Salmaso, «bisogna farsi trovare pronti» se l’emergenza si prolungherà. Salmaso ha spiegato che in questa fase gli operatori si sono occupati di informare le persone più deboli: «Abbiamo puntato molto sull’informazione e sulle regole da seguire, chi passa la giornata in strada sa che deve evitare assembramenti e rispettare la distanza di almeno un metro con gli altri». Molti servizi, come le mense e i colloqui non urgenti con gli assistenti sociali sono stati sospesi. «Alcune mense stanno consegnando pranzo e cena da asporto», ha detto ancora il presidente, «e le persone aspettano il loro turno in fila, sono disciplinate. Nei dormitori sono state potenziate le misure igieniche e finora non ci sono stati contagi».

L’APPELLO DI AMNESTY PER TROVARE SOLUZIONI

Anche Amnesty International Italia ha lanciato un appello: «Come è stato recentemente messo in evidenza», ha sottolineato in una nota, «dalle associazioni di volontariato laiche e religiose e della Protezione civile, occorre garantire il diritto alla salute anche alle oltre 50 mila persone che in Italia vivono in strada, in situazioni di estrema precarietà, isolatamente o in quelli che potrebbero essere definiti assembramenti di necessità».

RISCHIANO PURE DI ESSERE DENUNCIATI

La loro salute, si legge ancora nella nota, «è a rischio, così come la salute di tutte le persone che incrociano. Le persone senza fissa dimora, infrangendo il divieto di rimanere in casa senza una valida giustificazione, rischiano per di più di essere denunciate per inosservanza di un provvedimento dell’autorità, che secondo l’articolo 650 del codice penale prevede l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda fino a 206 euro. Un primo caso si è già verificato a Milano il 12 marzo e, anche se la questura ha fatto sapere che la denuncia non andrà avanti, è evidente che questa situazione di fragilità va affrontata senza ulteriore ritardo». Infine: «L’appello a rimanere in casa avrà pieno senso solo se, pur in questo difficile momento, le autorità competenti assicureranno un alloggio provvisorio ma adeguato e sicuro alle persone che non hanno una casa in cui restare».

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Il flashmob dell’Italia che applaude al balcone chi lavora contro il coronavirus

A mezzogiorno di sabato è partito il gesto di ringraziamento e incoraggiamento verso medici e infermieri in prima linea negli ospedali. I video dell'iniziativa nata sui social network.

Dopo le canzoni contro la paura, gli applausi a medici e infermieri. L’Italia chiusa in casa in quarantena per limitare la diffusione del coronavirus si sfoga come può sul balcone. Facendosi forza ed esprimendo solidarietà a chi è in prima linea nella lotta all’infezione.

APPELLO GIRATO SUI SOCIAL

Così è partito il flashmob fissato per mezzogiorno di sabato 14 marzo, un sabato spettrale senza persone in giro per le città. «Tutti alle finestre per un lungo applauso di ringraziamento a coloro che stanno lavorando per noi negli ospedali e di incoraggiamento», era l’appello girato in queste ore sui social network e condiviso da molti. «Un gesto semplice per unire le nostre mani», hanno spiegato i promotori. E gli applausi non sono mancati.

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Ho sognato il mondo post coronavirus che verrà

La pandemia ha proiettato il nostro ieri in un passato remoto. Le parole d'ordine ora sono resilienza e flessibilità. Senza dimenticare, in questo fermo biologico imposto, la riscoperta degli affetti profondi. Ma alla fine dell'emergenza, ci odieremo o ameremo di più?

«Ormai ho più paura della fine del mese che della fine del mondo» (Anonimo). In ogni passaggio d’epoca c’è un detonatore. Un’esplosione. Un’improvvisa accelerazione che pone fine a rivendicazioni, proteste, conflitti che si trascinavano da tempo. Ma che a certo punto, in un preciso momento si risolvono con un brusco, violento scoppio.

Negli ultimi due secoli è stata una grande guerra l’ante e il post di epocali rivolgimenti e trasformazioni. Ora invece è una pandemia, la prima nella storia, ad annunciare la nuova era. Che comunque vada e si risolva – sperando ovviamente bene – segna la fine del mondo e della società nei quali abbiamo sin qui vissuto.

Volendo indulgere nel vezzo del neo e del post, che di solito s’usa quando non si sa bene come classificare un nuovo corso sociale, un’inedita fase economica o culturale, azzarderemo una provvisoria società post coronavirus. Che ovviamente reca in sé fenomeni e processi che abbiamo già in parte visto e vissuto, coi quali, dunque ci siamo già confrontati. Ma che offre molto di inedito, anche nel portare a maturazione situazioni e tendenze da tempo in atto, ma sottotraccia. Oppure disinvoltamente lasciate passare. Perché ritenute mode effimere o fenomeni non in grado di incidere realmente sui vissuti individuali e sociali.

LA SOCIETÀ DELL’ECCESSO CHE SEGUÌ LA CRISI DEL 2008

«Nulla sarà più come prima». Si è detto all’indomani della Grande Depressione scatenatasi nel 2007-2008, e ripetuto allo sfinimento sino all’altro giorno. Ma in realtà appena la bufera è passata, abbiamo ripreso a fare quel che facevamo prima. Cambiando poco o niente, ma al contrario esasperando, stressando tutti gli ambiti, non solo di mercato e finanziari, che erano stati principali cause di quella Grande Crisi. Troppa finanza, troppi prodotti, troppi soldi, troppo mobili: ma nel momento in cui lo si denunciava e si mettevano in evidenza i grandi rischi sottesi a questa folle corsa, si proseguiva ancora più alacremente ad alimentare la società del troppo.

LEGGI ANCHE: Coronavirus, i consigli della psicologa Anna Oliverio Ferraris per tenere su il morale

IL COVID-19 FA APPARIRE IL NOSTRO IERI TERRIBILMENTE VECCHIO

Ora invece con il Covid-19, nel giro di un mese, è successo quel che non era accaduto negli ultimi 12-13 anni. Che l’intero modo di vita che abbiamo fatto tutti sino all’altro ieri ci apparisse e appaia terribilmente vecchio, obsoleto, insostenibile. Città chiuse, frontiere blindate, voli sospesi, turismo finito e tutti chiusi in casa, nemmeno fosse scoppiata la III Guerra mondiale: siamo messi così. Costretti a ripensare e a ripensarci in una società che improvvisamente scopre il senso vero e reale, dunque concreto di parole che abbiamo ripetuto sino allo sfinimento.

LA FLESSIBILITÀ ASSUME UN VALORE POSITIVO

Flessibilità e resilienza, riassumibili anche in sostenibilità, altro termine abusato, sono le parole da cui può partire un esercizio di immaginazione del futuro, che assuma la pandemia come momento di passaggio epocale. La flessibilità è da anni che viene di norma intesa negativamente e associata a precarietà. Ora però il Covid-19 ci dice che essere flessibili, veloci nell’adattarsi a nuove, impreviste condizioni è, e sarà sempre più, fondamentale, in una fase di lunga e forte transizione, quale è quella che ci aspetta. Essere resilienti, in tale prospettiva, diventa la prima regola per essere pronti e preparati all’emergenza. Chi è “resiliente”, da tempeste e sconquassi esce non indenne, certo ammaccato, ma non morto.

NELLA SOCIETÀ DIGITALE TUTTO SI PERDONA TRANNE L’INDECISIONE

Già: ma quanto è flessibile e resiliente il sistema Paese? Anche stavolta l’emergenza ha fatto e sta facendo uscire, con l’eccezione dei politici, il meglio degli italiani. Tuttavia come sistema Paese manca la consapevolezza che creatività e capacità di improvvisare sono qualità, dei plus. Ma se coniugati con strutture, anche di pensiero, solide. Con processi decisionali chiari, rapidi e capacità di mobilitazione massima. Il caso della Cina che è riuscita a sigillare 60 milioni di persone e in parte anche dell’Italia mostrano, appunto, che nella società digitale, mobile e virale tutto è concesso e perdonato, ma non l’indecisione e le risposte parziali, locali. Se c’era bisogno, ad esempio, di prova e controprova che una Sanità regionale, intesa in senso autonomistico, di fronte a flagelli sanitari globali potesse rivelarsi disastrosa, queste sono arrivate con il coronavirus.

OGGI BASTA POCO PER CAUSARE UN DEFAULT

La velocità – che non è fretta –  delle decisioni e dei provvedimenti, coordinati ai diversi livelli territoriali e istituzionali, è ormai fondamentale. Perché la società dell’istante, del momento non è solo un’immagine pubblicitaria. E il rischio che qualcosa o tanto vada storto, come ha scritto il sociologo Ulrich Beck più di 20 anni orsono, non è più una remota possibilità. Ma un’eventualità abbastanza probabile. Il classico incidente è quasi sempre dietro la porta. Per la semplice ragione che tutto, dal clima alle produzioni agricole, dalla finanza alle imprese, dalle organizzazioni urbane ai bilanci familiari e personali non ha più margini: è così tirato, stressato, portato al limite estremo, che basta poco per entrare in crisi, in default. Anche perché paracaduti, uscite di sicurezza e piani B sono quasi sempre teorici. Se il coronavirus ci ha gettati nel panico è perché viviamo in una società che è strutturalmente ansiogena.

IL GAP TRA TECNOLOGIA E IGNORANZA DIGITALE

Tuttavia nel disastro che si sta rivelando la pandemia, ci sono alcune ragioni di ottimismo. Per quanto in grande ritardo ci stiamo rendendo conto che quel che stiamo facendo ora in emergenza era da tempo nelle nostre possibilità. Scuole e università stanno infatti scoprendo che possono fare video-lezioni, e che la formazione a distanza è una soluzione praticabile anche in tempi normali. Cosi come lo smart working, lavoro agile o telelavoro, del quale si parla da 30 anni, ma nella sordità di aziende private e amministrazioni pubbliche. Siamo in coda all’Europa, anche come competenze digitali (solo il 20% degli italiani le ha). E così nell’epoca dell’home banking, ci troviamo di fronte a lunghe file di persone in strada, con mascherine e guanti, davanti agli sportelli delle banche. Ma anche nell’impossibilità di chiudere pratiche o atti amministrativi, perché l’ufficio comunale o statale, se non è stato chiuso, continua a chiedere documento e presenza personale, mentre potremmo risolvere da casa usando Skype e la firma digitale.

È GIUNTA L’ORA CHE LA SBUROCRATIZZAZIONE COMINCI DAVVERO

Ma perché #iorestoacasa sia una possibilità effettiva e non contingente, occorre che la tanto invocata sburocratizzazione cominci davvero. E contestualmente si dia avvio su larga scala a corsi e attività formative in ambito digitale rivolti a tutta la popolazione. Qualcosa di simile, nello spirito, al celebre programma tivù Non è mai troppo tardi che insegnò a leggere e scrivere a milioni di italiani. Evocazione questa che consente anche di segnalare un piccolo miracolo. «La Rai cambia i suoi palinsesti: più cultura e uno speciale per la scuola». Un titolo d’agenzia che riassume l’invito del ministro Dario Franceschini alla tivù di Stato di programmare musica, teatro, cinema, arte al fine di fare arrivare la cultura nelle case degli italianidurante questo periodo in cui sono chiusi cinema, teatri, concerti, musei.

TORNIAMO AGLI AFFETTI E ALLE RELAZIONI PROFONDE

Tuttavia l’opportunità più grande che ci offre la prima pandemia della storia non è solo il “fermo biologico” che ci viene imposto, ma soprattutto la riscoperta del “nucleo sociale primario”, ossia della famiglia. Dello spazio domestico come luogo di affetti e relazioni profonde ritrovate. Anche se non so prevedere, per mettere un po’ di veleno in conclusione, come questa stretta e costretta vicinanza a cui non eravamo abituati ci lascerà una volta finita l’emergenza. Ci ameremo o ci odieremo di più?

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Ci risiamo con l’esodo da Nord a Sud che espande il rischio contagio

Nella notte altri treni pieni di persone che fuggono dalla Lombardia e dalle zone più colpite dal coronavirus. Emiliano: «Ci state portando altri focolai». In Puglia già 158 positivi. La Regione Sicilia: «Il governo blocchi i collegamenti col Mezzogiorno».

Un nuovo e pericoloso esodo verso il Sud? Dopo il panico e la fuga dal Nord Italia in quarantena di sabato 7 marzo alle prime fughe di notizia sulla serrata della Lombardia, anche nel weekend successivo sono state segnalate “migrazioni” verso il Meridione. Nonostante i divieti e nonostante tutto il Paese sia stato dichiarato dal governo zona protetta per l’emergenza coronavirus.

EMILIANO: «CONTAGIO CHE AVREMMO POTUTO EVITARE»

Qualcuno però non sembra averlo capito. Tanto che su Facebook il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, con riferimento ai treni partiti nella notte, ha lanciato l’allarme: «Ci state portando tanti altri focolai di contagio che avremmo potuto evitare».

IN PUGLIA BALZO DI 50 NUOVI CASI IN UN GIORNO

In Puglia il 13 marzo si è registrato un balzo di 50 nuovi casi di pazienti positivi al Covid-19 che ha portato i contagiati a 158. «Di nuovo ondate di pugliesi che tornano in Puglia dal Nord. E con loro arrivano migliaia di possibilità di contagio in più», ha scritto il governatore.

«SPERO ABBIATE MASCHERINE E SIATE DISTANTI TRA VOI»

Ma come hanno fatto a muoversi? Emiliano l’ha spiegata così: «Avrete probabilmente esibito ai soldati alle stazioni le vostre legittime autocertificazioni sulla motivazione del vostro ritorno, spero che abbiate le mascherine e che teniate la distanza di un metro l’uno dall’altro in treno».

OBBLIGO DI QUARANTENA E DICHIARAZIONE DI PRESENZA

Poi ha ricordato: «In pochi giorni migliaia e migliaia di persone hanno fatto rientro in Puglia aggravando la nostra già drammatica situazione. Vi ricordo che appena arrivate dovete rinchiudervi in casa e che dovete stare lontani da genitori, fratelli, nipoti, amici, nonni e malati che rischiano di morire se contagiati». Le norme prevedono l’obbligo di quarantena domiciliare per 14 giorni e la dichiarazione della propria presenza sul sito della Regione Puglia.

LA SICILIA: «COSÌ VANIFICHIAMO I SACRIFICI»

Ma è tutto il Mezzogiorno a essere in fibrillazione. Anche l’assessore regionale alle Infrastrutture della Regione Sicilia, Marco Falcone, ha detto che «gli enormi sacrifici che gli italiani hanno accettato di compiere per fermare il coronavirus rischiano di essere vanificati dalle zone d’ombra del decreto #iorestoacasa come il mancato blocco dei treni. Nelle ultime ore, infatti, sembra che sia ripreso il flusso di viaggiatori che lasciano le Regioni del Nord per raggiungere via rotaia il Sud, un’emorragia che richiede divieti ancora più stringenti da Roma».

L’APPELLO PER IL BLOCCO DEI TRENI

Quindi l’appello lanciato al governo nazionale: «Si blocchino in giornata i treni per il Sud per chiudere così potenziali linee di contagio e garantire la tutela della salute della popolazione, dal personale viaggiante fino ai cittadini delle Regioni dove ancora il virus sembrerebbe darci il tempo di issare un argine. Da ieri in Sicilia il governo Musumeci ha dimezzato le corse degli autobus pubblici e privati e delle navi traghetto, sospendendo le linee non essenziali».

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Cosa cambia per i lavoratori con il protocollo firmato sul coronavirus

Al via la messa in sicurezza delle aziende. Prevista una sospensione delle attività, l'uso di ammortizzatori sociali e smart working, una diversa organizzazione. I punti chiave dell'intesa raggiunta tra sindacati e imprese sotto la supervisione del governo sul tema della salute di impiegati e operai esposti al contagio.

Sembrava che a loro nessuno pensasse: i lavoratori che, senza possibilità di smart working da casa, sono costretti ad andare in azienda rischiando il contagio in piena emergenza coronavirus. Invece ora è stata raggiunta un’intesa tra sindacati e imprese proprio sulla loro sicurezza: dopo un lungo confronto andato avanti nella notte, anche in videoconferenza con il governo, è stato firmato il «protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro».

REGOLE DA ATTUARE IN OGNI LUOGO DI LAVORO

In cosa consiste? Lo ha spiegato la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, dopo la firma del documento: «È un protocollo molto chiaro e dettagliato che ora va attuato in tutte le aziende e in tutti i luoghi di lavoro anche utilizzando un periodo di sospensione della produzione e delle attività». Insomma «si potranno usare gli ammortizzatori sociali, il lavoro agile, una diversa organizzazione, sino a quando gli interventi di messa in sicurezza del luogo di lavoro non saranno ultimati».

«IMPOSTA A TUTTI LA MASSIMA RESPONSABILITÀ»

Cgil, Cisl e Uil in una nota congiunta hanno parlato di «un risultato molto importante in una fase che impone a tutti massima responsabilità nel garantire, prima di ogni altra cosa, la sicurezza e la salute dei lavoratori e delle lavoratrici».

Poi i sindacati hanno aggiunto: «Sappiamo che il momento è difficile e sappiamo che i lavoratori e le lavoratrici italiane sapranno agire e contribuire, con la responsabilità che hanno sempre saputo dimostrare, nell’adeguare l’organizzazione aziendale e i ritmi produttivi per garantire la massima sicurezza possibile e la continuazione produttiva essenziale per non fermare il Paese». È stata poi sottolineata «l’importanza della sottoscrizione del testo da parte del governo che, per ciò che è di sua competenza, favorirà la piena attuazione del protocollo».

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Cortina non vuol fare da rifugio ai furbetti del virus

La Regina delle Dolomiti, ancora scottata dai blitz anti-evasori dell'epoca Monti, si rifiuta di passare come "buen retiro" per gli sfollati della noia in quarantena. Strade sbarrate ai turisti e via i non residenti. I carabinieri: «Controlli capillari, anche nelle malghe».

Eternamente in bilico fra ricchezza e cialtroneria, fra intellighentsja e cafonaggine, immensamente vanziniana “due giri di Rolex”, Cortina questa volta si rifiuta di valicare il confine, di finire additata al generale ludibrio come ai tempi del blitz anti-evasori di Mario Monti, che ne danneggiò il business per un lustro buono e la reputazione a tempo indefinito. Un’amica ampezzana che sta facendo sloggiare gli affittuari stagionali perché no, non vuole guai, ci gira su whatsapp l’ordinanza emanata dal sindaco di Cortina Giampietro Ghedina.

STRADE SBARRATE AI TURISTI

È lunga trenta righe, ve la riassumiamo in una: verranno sbarrate le strade agli sfollati della noia in quarantena. Seconde case di proprietà o meno, in questo momento Cortina è aperta solo per gli ampezzani, cioè per i residenti, insieme con le sue strutture ospedaliere che, certo, non potrebbero accogliere folle di gitanti eventualmente infettati dal coronavirus: «Nonostante la vocazione turistica della nostra città, il soggiorno e le escursioni per turismo e svago non sono contemplate», scrive il primo cittadino, «ci si vede costretti ad evidenziare a quanti non residenti avessero intenzione di raggiungerci, che ciò si porrebbe in contrasto con le disposizioni normative, potendo configurare un illecito penale».

I CARABINIERI PRONTI AD ANDARE CASA PER CASA

Segue la nota del Comando provinciale dei carabinieri di Belluno, che chiarisce la questione: andrà a prendere i furbetti casa per casa, fino nelle malghe. E nessuno creda di farla franca: «A partire dal 13 marzo e per tutto il week end, il Comando realizzerà un capillare servizio di controllo del territorio provinciale battendo a tappeto la viabilità primaria e secondaria, sfruttando anche l’ausilio degli elicotteri (…) Non verrà tralasciato nulla: disposte pattuglie di Carabinieri Rocciatori per il controllo di rifugi e malghe e luoghi più impervi, ove i più sfacciati potrebbero pensare di trascorrere il fine settimana, lontani dalle proprie abituali residenze (…) e in spregio al bene comune».

NON DIAMO CORDA ALLE ACCUSE DI FURBIZIA

Nelle grandi città desertificate dai provvedimenti per arginare l’epidemia di coronavirus, tanti hanno infatti pensato bene di rifare le valigie appena riposte dopo la settimana bianca e, interpretando a proprio comodo le disposizioni del governo, hanno riaperto in fretta persiane e scuri sotto le Tofane, ma a Cortina la rabbia contro chi tenta di aggirare le norme è palpabile. Non vorremmo finire per dar ragione al New York Times che, tre giorni fa, ha tacciato il Paese di «furbizia» (scritto in italiano) e di intolleranza alle regole: eppure la «sfacciataggine» che i carabinieri del Comando di Belluno evocano le assomiglia molto.

LA RICONVERSIONE DELLA MIROGLIO

Proprio per questo, speriamo che, fra le tante nequizie nazionali fatte filtrare ai media e all’opinione pubblica straniera, venga dato sufficiente risalto al bellissimo gesto della Miroglio che invece, come ai tempi della Seconda Guerra Mondiale quando le fabbriche di tessuti e abbigliamento confezionato vennero riconvertite nella fabbricazione di paracaduti, lenzuola e coperte, ha raggiunto un accordo con la Regione Piemonte per produrre mascherine a uso sanitario, azzerando la problematica sollevata dalla 3M e dai suoi «limiti alle esportazioni» imposta dalla Germania (nota a margine: l’Europa uscirà a pezzi e piena di rancori da questa emergenza), la Miroglio Group di Alba ha dichiarato di essere in grado di fornire le prime 15 mila mascherine già dal 14 marzo. A regime, dovrebbe produrre 25 mila mascherine al giorno, in esclusiva per il Piemonte, dopo aver messo al lavoro tutti i suoi façonisti su un modello con alta percentuale di elastan e una struttura speciale, molto aderente. Al momento, sono in corso le verifiche per la certificazione da parte dell’Istituto superiore di Sanità.

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Così parlò Stephen Hawking

A due anni dalla morte ricordiamo il grande scienziato attraverso le sue teorie sull'origine dell'universo, sul futuro dell'umanità e sull'esistenza di vita al di fuori della terra.

Il 14 marzo 2018 si spegneva a 76 anni uno degli scienziati e fisici più brillanti di sempre. Vera e propria icona, Stephen Hawking dedicò la sua vita alla cosmologia, in particolare allo studio dei buchi neri e alla ricerca delle origini dell’universo.

«Per me non esistono confini o limiti», scrisse nell’ultimo libro Le mie risposte alle grandi domande uscito postumo, «né a ciò che possiamo fare nelle nostre vite personali né quanto ai risultati che la vita e l’intelligenza possono raggiungere nel nostro universo». Quesiti che, alla luce dell‘emergenza coronavirus, sono ancora più attuali.

1. ESISTE UN DIO?

«Chi crede nella scienza pensa che il mondo sia governato da leggi immutabili. Queste leggi, oltre a essere immutabili, sono universali, nel senso che non si applicano solo ai corpi della superficie terrestre ma anche al moto dei pianeti e a tutto ciò che accade nel cosmo.

Stephen Hawking con papa Francesco (Ansa)

Per questo motivo, qualora dio esistesse, anche lui dovrebbe sottostare a tali leggi; magari le ha inventate proprio lui, ma anche in tal caso non ha la libertà di contravvenirvi. L’unica cosa su cui la religione può discutere con la scienza è l’origine dell’universo; io, personalmente, ritengo che si sia spontaneamente creato dal nulla».

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2. COME HA AVUTO ORIGINE L’UNIVERSO?

«Se le galassie si stanno allontanando significa che in passato devono essere state più vicine. È possibile stimare, basandosi sull’attuale velocità di espansione, che tra i 10 e i 15 miliardi di anni fa dovessero essere vicinissime; l’universo potrebbe aver avuto origine allora. Questa idea però non andava giù a molti scienziati, perché implicava che ci fosse stato un momento in cui le leggi fisiche non avevano validità. Io e Roger Penrose riuscimmo a dimostrare, attraverso dei teoremi geometrici, che l’universo doveva aver avuto un inizio, cioè il Big Bang: un momento in cui l’intero cosmo e tutto ciò che conteneva erano compressi in un singolo punto dalla densità infinita».

3. ESISTONO ALTRE FORME DI VITA INTELLIGENTI?

«Se ci fossero, sicuramente si troverebbero molto lontano, altrimenti ci saremmo già accorti della loro presenza. Non lo possiamo escludere, ma allora perché nessuno è ancora venuto a trovarci? Il fatto che ci possano essere però non implica che abbiano una intelligenza; noi diamo per scontata la vita intelligente, come se fosse una conseguenza inevitabile dell’evoluzione, ma non è detto che sia così. Potrebbe essere una fortunata coincidenza il fatto che dai tempi dei dinosauri non ci siano state altre collisioni della Terra con grandi asteroidi, cosa che avrebbe causato la nostra estinzione. Altri esseri su altri pianeti potrebbero non aver avuto la nostra stessa fortuna. Da parte mia preferisco pensare che là fuori ci siano altre forme di vita intelligenti, ma che finora siamo sfuggiti alla loro attenzione».

Hawking durante una conferenza a Londra nel 2015 (Ansa).

4. POSSIAMO PREDIRE IL FUTURO?

«Secondo una concezione deterministica della realtà, sì. In pratica, no. Pierre-Simon de Laplace fu il primo a enunciare questa possibilità: se noi conoscessimo le posizioni e le velocità di tutte le particelle dell’universo in un determinato istante, potremmo calcolare il loro comportamento in ogni altro momento del passato o del futuro. Questa idea è stata un dogma della scienza per tutto il XIX secolo, ma oggi non è più così. Anche se in linea di principio fosse possibile, nella pratica non lo è perché i calcoli sarebbero troppi difficili. Anzi impossibili: nel 1927 Heisenberg enunciò il suo famoso “principio di indeterminazione”, secondo cui è impossibile misurare simultaneamente l’esatta posizione e l’esatta velocità di una particella. Senza questi dati, non è possibile predire il futuro».

5. COSA C’È ALL’INTERNO DI UN BUCO NERO?

«Guardandoli dall’esterno è impossibile stabilirlo: hanno sempre lo stesso aspetto, indipendentemente da cosa contengano. I buchi neri sono delle regioni nello spazio dove la gravità è talmente forte che anche la luce viene risucchiata, e siccome nulla può viaggiare più veloce della luce, anche ogni altra cosa fa la stessa fine. Sembrerebbe che le informazioni riguardanti ciò che cade al loro interno siano perse per sempre, e questo mette in crisi ulteriormente il determinismo: non possiamo sapere che cosa uscirà da un buco nero; potenzialmente, qualunque insieme di particelle. Le uniche cose che sappiamo dei buchi neri sono la massa, la carica elettrica e il momento angolare; tuttavia, abbiamo scoperto che hanno anche una carica di “supertraslazione”, e questo potrebbe restituirci in futuro più informazioni di quanto credessimo possibile».

6. È POSSIBILE VIAGGIARE NEL TEMPO?

«In principio, la teoria della relatività generale permette i viaggi nel tempo; tutto ciò di cui c’è bisogno è un’astronave che vada più veloce della luce. Purtroppo, però, per superare tale limite è necessaria una potenza infinita, e per questo motivo Einstein ai suoi tempi escludeva la possibilità di un ritorno al passato. L’alternativa è quella di creare una curvatura spazio-temporale talmente grande da creare una piccola galleria nello spaziotempo, chiamata wormhole, che collega i capi opposti della galassia, così da poter andare da una parte all’altra in breve tempo. Sembra fantascienza ma è stato seriamente ipotizzato che una civiltà futura potrebbe essere in grado di farlo: spesso la fantascienza di oggi è la scienza di domani».

Stephen Hawking in video conferenza (Ansa).

7. RIUSCIREMO A SOPRAVVIVERE SULLA TERRA?

«Un sacco di cose minacciano la Terra. Le risorse si stanno prosciugando sempre più rapidamente e, soprattutto, abbiamo provocato i cambiamenti climatici. Credo che prima o poi la razza umana finirà devastata da uno scontro nucleare, una catastrofe ambientale o una collisione con un asteroide, come era successo per i dinosauri. Per questo dobbiamo cominciare ad abbandonare la Terra ed esplorare lo spazio: potrebbe essere l’unico modo per salvare noi stessi. Se non lo facciamo, rischiamo l’estinzione».

8. DOVREMMO ESPLORARE LO SPAZIO?

«Sì, anche se questo richiede dei sacrifici economici enormi. Pensa però all’Europa prima del 1492: probabilmente anche ai tempi c’era chi sosteneva che la “ricerca” di Colombo fosse un inutile spreco di soldi, poi invece le sue scoperte hanno completamente rivoluzionato il nostro mondo. Colonizzare lo spazio avrebbe degli effetti ancora più grandi. Luna e Marte sono i due posti più adatti dove andare; secondo la Nasa occorrerebbero solo 260 giorni per raggiungere Marte. Oltre il sistema solare invece, Proxima b, nel sistema Alfa Centauri, presenta delle somiglianze con la Terra. Oggi ci può sembrare fantasia pura raggiungere questi pianeti, ma bisogna pensare ai viaggi interstellari come un obiettivo a lungo termine, da raggiungere magari nei prossimi 200 o 500 anni».

Con Bill Gates.

9. L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SUPERERÀ QUELLA UMANA?

«Se i computer continuano a obbedire alla legge di Moore, secondo cui raddoppierebbero la loro memoria e la loro velocità di calcolo ogni 18 mesi, probabilmente sì. Se le macchine riuscissero a rendersi autonome rispetto agli umani e a perfezionarsi da sole, la loro crescita diventerebbe esponenziale. In tal caso, c’è da sperare che i loro obiettivi siano in sintonia con i nostri. I potenziali benefici dell’intelligenza artificiale sono enormi ma anche i rischi; c’è chi crede che gli umani saranno in grado di conservare il controllo sulla tecnologia ma non c’è da esserne così sicuri. Con l’avvento dell’Intelligenza artificiale cambierà ogni cosa: probabilmente riusciremo a sradicare la povertà e le malattie, ma al crescente potere della tecnologia dovremo far prevalere il buon senso con cui ne faremo uso».

Stephen Hawking all’università di Cambridge.

10. COME POSSIAMO CAMBIARE IL FUTURO?

«Personalmente credo l’umanità abbia due opzioni per il futuro: trovare nuovi pianeti su cui vivere e sfruttare con prudenza i benefici dell’intelligenza artificiale. La Terra sta diventando troppo piccola per tutti noi; il tasso di crescita quasi esponenziale della popolazione non sarà sostenibile nel nuovo millennio. Quel che è certo è che il futuro delle nuove generazioni dipenderà sempre più dalla scienza e dalla tecnologia, molto più di quanto non lo sia state per le generazioni passate. I giovani di oggi non possono non avere una cultura scientifica, essere liberi dalla paura della scienza e desiderosi di confrontarsi con i progressi scientifici e tecnologici, per imparare sempre qualcosa di nuovo. Un mondo dove solo una ristretta élite sia in grado di comprendere la scienza e le sue applicazioni sarebbe, a mio avviso, pericoloso e limitato».

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Trump ha capito cosa rischia e dichiara l’emergenza nazionale

Dopo settimane passate a minimizzare la portata del coronavirus, il presidente Usa ha realizzato che in gioco c'è la sua rielezione. Stanziati 50 miliardi contro la pandemia negli Usa: «Garantiremo i test e i posti letto».

Il presidente americano Donald Trump ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale in tutti gli Stati Uniti per contrastare il diffondersi dei contagi da coronavirus.

Mette sul piatto almeno 50 miliardi di dollari a favore degli Stati Usa più colpiti per combattere il coronavirus.

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