Daily Archives: 1 Ottobre 2023

Cosa c’è dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian

In appena un paio di giorni l’Azerbaigian è riuscito a occupare il Nagorno Karabakh. Quella che Baku ha chiamato «operazione anti-terrorismo» è in realtà l’ennesimo atto di un conflitto che va avanti da decenni e che vede Armenia e Azerbaigian contendersi questa regione montuosa storicamente popolata da armeni, ma formalmente parte del territorio azero. Dall’armistizio del novembre 2020 che aveva congelato la situazione sul terreno, l’Azerbaigian si è ulteriormente rafforzato potendo contare del supporto dall’estero: Turchia, ma anche e soprattutto Israele.

Cosa c'e? dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian
Netanyahu durante una visita a una scuola ebraica a Baku, nel 2016 (Getty).

A Quba abita una comunità ebraica da record: 3.500 persone

Pur contando una netta maggioranza di popolazione azera e musulmana, ai confini dell’Azerbaigian risiede una solida comunità ebraica. Quella degli ebrei del Caucaso, noti anche come ebrei della montagna, è una presenza che affonda le radici nella Storia: le prime comunità si sarebbero trasferite qui già diversi secoli avanti Cristo. Se gli ebrei della montagna costituiscono la parte per così dire “autoctona” della comunità ebraica azera, questa si completa di altri due sottogruppi la cui migrazione in Azerbaigian risale a tempi più recenti: da una parte gli ebrei aschenaziti, provenienti dall’Europa centrale, si stabilirono principalmente a Baku a partire dall’Ottocento, e dall’altra gli ebrei georgiani. Il principale luogo di residenza della più nutrita comunità di ebrei della montagna è il villaggio di Q?rm?z? Q?s?b? nel distretto nord-orientale di Quba: qui abitano circa 3.500 persone che rappresentano l’insediamento giudaico più grande al di fuori dei confini israeliani e statunitensi, e godono di una speciale protezione da parte dello Stato azero.

Cosa c'e? dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian
Il distretto nord-orientale di Quba.

Il sodalizio tra Israele e Azerbaigian: armi in cambio di energia

Per questo motivo, già dall’aprile del 1992 Israele e Azerbaigian hanno intrecciato forti relazioni diplomatiche, al punto che lo Stato ebraico fu uno dei primi a riconoscere l’indipendenza di Baku. Nel corso degli anni il sodalizio si è rafforzato all’insegna di un trade-off tra i due Stati che prevedeva da parte israeliana la fornitura di armamenti e da parte azera l’apertura di un canale preferenziale sulle fonti energetiche e sul mercato interno che ha permesso a diverse compagnie israeliane di fare affari nel Caucaso.

Cosa c'è dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian
L’autocrate azero Ilham Aliyev, a sinistra (Getty).

Così Israele è diventato in poco tempo il primo fornitore di armi dell’Azerbaigian, superando alleati storici come la Turchia e la Russia. L’uomo cardine di questa intesa è l’attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che durante i suoi scorsi mandati ha compiuto notevoli sforzi nella direzione di creare un’intesa con il suo omologo, l’autocrate azero Ilham Aliyev, in carica dal 2003. Secondo una ricerca condotta nel 2021 dallo Stockholm International Peace Research Institute l’esportazione di armi israeliane verso l’Azerbaigian ha conosciuto un drastico incremento nel corso degli ultimi 10 anni. Nel decennio 2011-2020 Israele ha pesato sul 27 per cento delle forniture belliche azere, ma la maggior parte di questi scambi hanno avuto luogo nel quinquennio 2016-2020, quando le esportazioni israeliane hanno toccato il picco del 69 per cento.

Importazioni soprattutto di droni e missili balistici

Il grosso delle importazioni riguarderebbe droni e missili balistici di ultima generazione, ritenuti da molti analisti la chiave dell’attuale superiorità azera nel conflitto contro l’Armenia. L’altro lato della partnership riguarda, come si è detto, l’energia. Si calcola che circa il 30-40 per cento del fabbisogno petrolifero israeliano provenga dall’Azerbaigian attraverso l’oleodotto che collega Baku al porto turco di Ceyhan passando per Tbilisi e dunque bypassando il territorio armeno: negli anni, come ha documentato il ricercatore Alexander Murinson, questi legami si sono saldati all’insegna di concessioni all’estrazione petrolifera a largo delle coste israeliane.

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Benjamin Netanyahu (Getty).

Il dissenso israeliano: «Niente accordi con uno Stato genocida»

Non tutta l’opinione pubblica israeliana è però schierata a favore di questa intesa. Già nel 2014 il quotidiano Haaretz ospitò un contributo dello storico Yair Auron, vicino alla causa armena, che attaccava il proprio governo spiegando che «vendere armi a uno Stato che sta commettendo un genocidio sarebbe per Israele come vendere armi alla Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale»: il punto per lo storico riguardava l’attitudine a fare affari con uno Stato colpevole di violare i diritti umani della popolazione armena dell’Artsakh – questo il nome armeno della regione del Nagorno Karabakh – mettendosi così sulla scia del genocidio che gli armeni subirono durante la Prima guerra mondiale e che tuttora non è riconosciuto come tale da Turchia e Azerbaigian. Ancora più di recente, un’inchiesta dello stesso quotidiano condotta dai giornalisti Avi Scharf e Oded Yaron ha denunciato il traffico di armamenti che collega i due Paesi: i reporter hanno contato 92 voli condotti dalla compagnia azera Silk Way dall’aeroporto israeliano di Ovda situato nel sud del Paese a uno scalo militare azero nella periferia della capitale Baku.

L’errore di aver riposto la sicurezza del Paese nelle mani della Russia

Ad agosto 2023 una protesta organizzata dalla comunità armena in Israele ha radunato appena 30 persone di fronte al ministero degli Esteri di Gerusalemme per manifestare contro la chiusura del corridoio di Laç?n, unico collegamento tra l’Armenia e l’Artsakh, volta ad affamare la popolazione armena della regione indipendentista. La protesta è però rimasta inascoltata e non ha riscosso il successo sperato. In un’intervista pubblicata a settembre da Repubblica al premier armeno Nikol Pashinyan, il primo ministro ha ammesso l’errore strategico di aver riposto la sicurezza del suo Paese nelle mani della Russia, alleato abituato da sempre a fare da paciere nel Caucaso ma che oggi appare scomodo e impegnato in un altro teatro bellico ben più impegnativo, l’Ucraina. L’unico alleato internazionale dell’Armenia ora pare essere la sua nutrita e rumorosa diaspora che però non riesce a influenzare i governi nei confronti di questa invasione. Così, nel silenzio della comunità internazionale, l’Azerbaigian si prepara a reintegrare la regione favorendo l’esodo forzato degli armeni.

A un metro da te stasera su Rai Movie: trama, cast e curiosità

Stasera 1 ottobre 2023 andrà in onda sul canale Rai Movie il film A un metro da te alle ore 21.10. Il regista è Justin Baldoni mentre la sceneggiatura è stata scritta da Mikki Daughtry e Tobias Iaconis. Nel cast ci sono Cole Sprouse, Haley Lu Richardson, Claire Forlani, Parminder Nagra e Moises Arias.

A un metro da te è il film che andrà in onda questa sera su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità su questa pellicola.
Una scena con i protagonisti (X).

A un metro da te, trama e cast del film stasera 1 ottobre 2023 su Rai Movie

La trama racconta la storia di Stella (Haley Lu Richardson) una ragazza solare e vivace che è affetta da una malattia genetica, la fibrosi cistica, una patologia che la rende la vita difficile e le causa tanti problemi. Tuttavia, Stella non si perde d’animo e ha anche la passione del vlogging, dove spiega i problemi che ha a causa della malattia. Inoltre, Stella si reca molto spesso in ospedale perché spera di ricevere un trapianto di polmoni che possa aiutarla e farla vivere senza più tante preoccupazioni. Un giorno, mentre è in ospedale, Stella conosce Will (Cole Sprouse) un ragazzo che come lei è affetto da fibrosi cistica.

La differenza sta nel fatto che Will è stato colpito da una forma acuta della malattia e per lui non c’è alcuna speranza di guarigione. I due ragazzi si conoscono ma sono praticamente diversi: per lei lui è cinico, disordinato e ribelle mentre per lui lei è irritante perché troppo entusiasta. Tuttavia, a poco a poco, la positività di lei coinvolge anche lui e il suo modo di vedere la vita cambia drasticamente. I due sviluppano anche un sentimento profondo, ma il destino è beffardo con loro: potranno solo rimanere a una distanza di due metri tra loro a causa della malattia e non potranno abbracciarsi o baciarsi. Ad ogni modo, sono determinati a rimanere insieme, perché il loro amore è più forte del tempo e dello spazio.

A un metro da te, 5 curiosità sul film stasera 1 ottobre 2023 su Rai Movie

A un metro da te, un contributo speciale 

La produzione ha collaborato con la Claire’s Place Foundation un’associazione che aiuta i malati con fibrosi cistica. Gli attori hanno lavorato con veri pazienti per creare scene realistiche e accurate.

A un metro da te, il break che ha consentito a un attore di partecipare

Cole Sprouse, attore protagonista di questo film, ha potuto partecipare alle riprese grazie al break della serie che lo vede come protagonista. Nel dettaglio, l’attore ha potuto partecipare grazie alla pausa intercorsa tra la stagione 2 e 3 di Riverdale.

A un metro da te è il film che andrà in onda questa sera su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità su questa pellicola.
Cole Sprouse in una scena (X).

A un metro da te, ruoli particolari per due attori

Nel film vengono rappresentati un personaggio chiamato Julie in compagnia di suo figlio. A interpretare questa parte ci hanno pensato Emily Baldoni e Maxwell Baldoni, vale a dire moglie e figlio del regista Justin Baldoni.

A un metro da te, un colore scelto non a caso in una scena

In una scena, il personaggio di Stella usa per il compleanno di Will un palloncino di colore viola. Non si tratta di una scelta casuale, visto che il viola è il colore ufficiale dei pazienti affetti da fibrosi cistica.

A un metro da te, un grandissimo successo al botteghino

Questa pellicola ha ottenuto un grandissimo successo al botteghino. Infatti, è stato realizzato con un budget di soli 7 milioni di dollari e ha guadagnato circa 92 milioni di dollari.

Matteo Salvini e la spesa da Esselunga: «Niente pesche, ma tanta roba!»

Il ministro e vicepremier Matteo Salvini ha postato sui social le immagini di una giornata di spesa da Esselunga, catena di supermercati diventati il cui nuovo spot è diventato un caso (anche politico). «Niente pesche, ma tanta roba! Le domeniche belle all’Esselunga», ha scritto il leader della Lega. E sul web è arrivata una pioggia di critiche.

I commenti al post di Salvini

«Ci sono 30 gradi e fai una foto mentre acquisti le castagne. Niente, non farcela mai, neanche per sbaglio», sottolinea Luca Paladini, anima dei Sentinelli di Milano e consigliere regionale della Lombardia. «Le castagne a 5 euro al kg e le persone si muoiono di fame!», scrive il pentastellato Daniele Diaco. Ma sono tanti i cittadini comuni ad commentare e a lanciare frecciate al vicepremier. «Sei senza vergogna e con un cervello di un criceto, in un momento così delicato non si può vedere e sentire», si legge tra i commenti. Ma anche: «Mentre l’Italia è alle prese con l’inflazione il famigerato sceriffo di Nottingham, ostenta la sua spesa a “spese” degli italiani… Complimenti a chi lo chiama capitano, stesso carrello?». E poi: «Pubblicità occulta a Esselunga (già finanziata da associazioni di destra) a fini propagandistici. Che pena che fai povero becero ignorante». Così un altro utente: «Sei uno dei pochi divorziati/separati che può permettersi un bel carrello pieno. Complimenti per la pubblicità da Esselunga che ha prezzi stellari alla faccia dell’inflazione».

Coppia di sposi non paga il conto da 8 mila euro al ristorante e fugge in Germania

Dopo il banchetto di nozze hanno fatto le valigie e sono partiti per la luna di miele, direzione Germania. Ma senza pagare il conto del un ristorante tipico della Ciociaria di Boville Ernica, in provincia di Frosinone, dove avevano festeggiato con amici e parenti il matrimonio appena celebrato. Sulle tracce dei novelli sposi ora ci sono i carabinieri.

La coppia deve al ristoratore più di 8 mila euro

Lui, piccolo imprenditore edile di 40 anni, è del posto. Lei, 25 anni e passaporto polacco, da tempo è residente a Roma. La coppia aveva opzionato la data da tempo, concordando il menù a base di pesce. E lo avevano persino testato a cena, insieme ai genitori del futuro sposo, pagando poi un acconto da qualche centinaio di euro su un totale di 8 mila euro, bevande incluse. L’impegno era che il saldo sarebbe arrivato il mercoledì successivo allo sposalizio. Ma il giorno pattuito, nessuno si è presentato non s’è visto. Il proprietario del ristorante ha atteso fino a sera lo sposo e a quel punto ha provato a telefonargli: nessuna risposta.

I novelli sposi hanno preso un volo per Francoforte

Chiedendo in giro hanno provato a risalire almeno ai genitori: anche in questo caso nessuna risposta. E così al ristoratore non è rimasto altro da fare che andare dai carabinieri di Ferentino e denunciare il novello sposo per insolvenza fraudolenta. Alla caserma hanno impiegato poco a ricostruire gli spostamenti: la coppia è infatti volata in Germania insieme ai genitori di lui, atterrando a Francoforte. Per poi proseguire con buona probabilità verso la Polonia, dove vivono i genitori della sposa.

Crosetto contro la Germania sui migranti: «Coerente e geniale»

Sul tema della gestione europea dei migranti la tensione resta alta tra Italia e Germania. La distanza è tanta e non appare colmabile per il momento. «Si cerca di bloccare l’immigrazione in una parte d’Europa e se ne agevola il trasporto in un’altra. Coerente e geniale». Così il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato su X l’annuncio del cancelliere tedesco Olaf Scholz di controlli aggiuntivi ai confini con l’Austria e congiunti con Svizzera e Repubblica Ceca per fare fronte ai troppi rifugiati, mentre Berlino allo stesso tempo finanzia ong che nel Mediterraneo offrono soccorso ai migranti partiti su barchini dalle coste africane.

Tajani: «In Germania sono in campagna elettorale»

«Il cancelliere tedesco può dire quello che vuole. Loro hanno immigrazione secondaria, noi abbiamo un problema di immigrazione primaria. Abbiamo previsto una strategia. Noi dobbiamo guardare alla strategia, alla solidarietà europea. In Germania sono in campagna elettorale, però c’è un problema importante da risolvere, non è solo la campagna elettorale.», ha detto ministro degli Esteri, Antonio Tajani, commentando l’annuncio di Scholz. «Noi vorremmo capire qual è la posizione tedesca, non è chiaro quello che dicono. Valuteremo, vedremo, i migranti che vogliono andare in Germania, non è che li devono mandare in Italia».

Crosetto contro la Germania sui migranti: «Coerente e geniale». L’ironia del ministro della Difesa italiano.
Migranti assistiti dalla Croce Rossa a Lampedusa (Getty Images).

La Tunisia, spiega il governo, «non può agire come un gendarme»

La Tunisia «non può in alcun modo agire come un gendarme» la cui missione è proteggere i confini degli altri. Può solo difendere i suoi confini, le proprie frontiere. Ad affermarlo è stato su Facebook il ministro dell’Interno di Tunisi, Kamel Fekih, aggiungendo che le migrazioni irregolari sono una questione che richiede sacrifici e concessioni reciproche da parte dei Paesi più ricchi del mondo. La Tunisia, ha aggiunto, il ministro è uno Stato che non può accogliere flussi massicci di migranti irregolari aldilà delle sue capacità sociali e finanziarie, né può fare da Paese ospitante.

Prigozhin ha lasciato 116 milioni di euro in eredità al figlio Pavel

Nel suo testamento Yevgeny Prigozhin ha destinato tutti i suoi averi al figlio 25enne Pavel, che però dovrà fare una non meglio specificata «donazione di azioni» e condividere l’eredità con i suoi familiari. Il documento, che sembrerebbe essere l’ultimo in ordine di tempo firmato dal fondatore del Gruppo Wagner, sta facendo il giro dei gruppi Telegram.

LEGGI ANCHE: L’eredità della Wagner post Prigozhin in Africa e gli interessi incrociati

Mosca ha contratto inoltre un enorme debito con le società di Prigozhin

Come scrive il collettivo The Insider, sommando le entrate delle società con il valore delle proprietà, il figlio dell’ex chef di Putin dovrebbe ottenere circa 12 miliardi di rubli (116 milioni di euro). Una stima simile a quella già fatta da Business Petersburg nel 2019, che parlava di una fortuna di 14,6 miliardi di rubli. Senza considerare il debito tra i 75 e gli 80 miliardi di rubli (circa 785 milioni di euro) che il ministero della Difesa ha contratto con le società di Prigozhin e che il figlio Pavel – scrive sempre The Insider – sarebbe intenzionato a riscattare immediatamente.

Dietro il successo dell’app Temu c’è il genio dell’e-commerce cinese Colin Huang

“Compra da miliardario”. Lo slogan di Temu, la nuova applicazione cinese di shopping online, ha fatto breccia anche in Italia. Sempre più persone hanno installato, anche solo per curiosità, questa app che promette di fare concorrenza alle rivali del settore, compresa la regina indiscussa del low cost cinese: AliExpress. La sua presenza sui social network e, più in generale sulla Rete, è in costante aumento, con pubblicità e banner piazzati nei luoghi più strategici per attirare l’attenzione di potenziali clienti. Dietro al successo globale di Temu, basato prevalentemente su prezzi bassi, c’è la mente di Colin Huang, fondatore e amministratore delegato, fino al 2021, di Pdd Holdings, società nata a Shanghai che controlla Pinduoduo, popolarissima piattaforma di e-commerce in Cina, e appunto Temu.

Dietro il successo dell'app Temu c'e? il genio dell'e-commerce cinese Colin Huang
Una delle rare foto di Colin Huang.

Vendita diretta dei prodotti e uso del social commerce

Le creature gemelle “partorite” da Huang si affidano a due particolari metodi di business: la vendita diretta dei prodotti – dai vestiti all’oggettistica per la casa – dai commercianti ai consumatori finali, e l’ampio ricorso al social commerce, cioè l’acquisto di quegli stessi beni all’interno dei social network grazie a video ed eventi ad hoc. Il risultato finale è coinciso con una valanga di clic che hanno trasformato Pdd in una ricchissima azienda, mentre Colin Huang in uno degli uomini più ricchi della Cina (al nono posto nella classifica dei Paperoni del Paese) e del mondo (40esimo), con un patrimonio stimato di oltre 33 miliardi di dollari.

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L’app Temu (Getty).

Umili origini? No, scuole d’élite e grandi aziende

Dimenticatevi la storia di Jack Ma e Alibaba, del ragazzo di umilissime origini che, quasi per caso e dal niente, fonda una compagnia miliardaria. Huang, classe 1980, ha avuto un percorso diverso. Fin da bambino sognava di diventare uno scienziato e, grazie alle sue qualità, ha potuto frequentare le scuole migliori. Ha conseguito un master in informatica all’Università del Wisconsin, negli Usa, ha fatto uno stage a Microsoft, a Pechino poi a Seattle, prima di iniziare la sua carriera a Google, negli Stati Uniti, nel 2004. Due anni più tardi è rientrato in patria con il compito di espandere i servizi della compagna americana oltre la Muraglia. Si dimetterà un anno più tardi per avviare, in proprio, un sito di e-commerce, Oku, che poi rivenderà nel 2010 per 2,2 miliardi di dollari.

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Jack Ma, fondatore di Alibaba (Getty).

Ha capito prima di altri il boom dei pagamenti mobile

Nel 2015, nonostante l’industria dell’e-commerce fosse dominata da Alibaba e JD.com, Huang ha deciso di fondare Pinduoduo. Nel panorama cinese mancava una piattaforma che consentisse ai consumatori delle città di seconda o terza fascia, lontane dalle scintillanti metropoli, di comprare online prodotti non disponibili nei negozi fisici, a un prezzo stracciato grazie al modus operandi sopra descritto. Ebbene, Huang ha capito, presto e prima di altri, che il boom dei pagamenti mobile in Cina avrebbe cambiato la vita delle persone. Da qui la sua scelta di lanciare Pinduoduo (traducibile in “sempre più coupon”). Nel giro di tre anni, l’azienda avrebbe registrato un fatturato 280 milioni di dollari, schizzato a 4,33 miliardi di dollari nel 2019. Nel frattempo, nel 2018, la società era stata quotata in Borsa, negli Usa, in seguito a un’Ipo che aveva raccolto 1,6 miliardi di dollari.

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Colin Huang ha un patrimonio stimato di oltre 33 miliardi di dollari.

Si poco o nulla sulla vita privata di Colin Huang

I media cinesi hanno sempre descritto Huang come persona misteriosa. Sappiamo poco o niente sulla sua vita privata, compreso il fatto se sia o meno sposato. Questa segretezza, ha notato anche il Financial Times, si estende fino a Pinduoduo, dove i dipendenti sarebbero soliti usare soprannomi e risulterebbe raro conoscere i veri nomi dei colleghi. L’azienda ha oggi un valore che supera i 135 miliardi di dollari, una valutazione superiore a quella di Uber e Sony. Su Pinduoduo le persone acquistano oggetti a prezzo di saldo, giocando a coinvolgere gli amici per “acquistare in gruppo” e usufruendo così di sconti enormi.

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Un disegno del fondatore di Temu Colin Huang.

La società prende solo una piccola commissione e fa affari d’oro

L’azienda si limita a prendere una piccola commissione e fa pagare i venditori per promuovere i loro prodotti sulla sua app. Nel 2022, il gruppo ha lanciato negli Stati Uniti una app gemella di Pinduoduo, chiamata Temu. I prezzi sono bassi e l’approccio è pressoché identico. Di conseguenza, anche quest’ultima applicazione, pensata appositamente per fare breccia in Occidente, ha attirato masse di acquirenti. A loro volta, i venditori son ben felici di pagare per avere la loro pubblicità sulla piattaforma. È questa, in sostanza, la chiave del modello commerciale dell’azienda.

Il nuovo disagio giovanile in tre libri

Li chiamavano cannibali ed erano un gruppo di giovani «sfrenati e intemperanti scrittori» che a metà degli Anni 90 incendiarono la scena letteraria. Il nome gli fu affibbiato dopo l’uscita di una fortunata raccolta di racconti pubblicata dalla allora neonata collana Stile Libero di Einaudi che comprendeva scritti, tra gli altri, di Niccolò Ammaniti, Aldo Nove, Daniele Luttazzi e Andrea G. Pinketts. Le loro storie avevano quasi sempre come protagonisti giovani arrembanti che si barcamenavano tra violenze carnali, efferati omicidi, consumo smodato di droghe, alcolici e psicofarmaci, nonché pratiche sessuali estreme e promiscue. Sono passati quasi 30 anni da allora ma in letteratura il tema del disagio giovanile funziona ancora, sebbene con sfumature totalmente diverse. Tre titoli appena sbarcati nelle librerie lo dimostrano.

25 di Bernardo Zannoni (Sellerio)

Era attesissimo, e non ha deluso, 25, il secondo romanzo di Bernardo Zannoni, il golden boy della letteratura italiana del momento. Torna a far parlare di sé il giovane autore di Sarzana, classe 1995, dopo la riuscitissima prova d’esordio I miei stupidi intenti, che oltre ad aver vinto una vagonata di premi tra cui il Campiello è stata tradotta in oltre 10 Paesi. Il nuovo romanzo, già bollato dalla critica come il ritratto di una generazione, vede protagonista Gerolamo, un ragazzo disoccupato di 25 anni che fa tardi la notte e dorme la mattina. Le parole chiave sono sempre le solite: crisi, inappartenenza al mondo, paura del futuro. Zannoni riesce però con la sua scrittura a uscire dai cliché in maniera sorprendentemente efficace raccontando la storia di Gerolamo con uno sguardo allo stesso tempo divertito e sgomento che lascia intravedere un briciolo di speranza in fondo al tunnel che porta il problematico post-adolescente verso l’età adulta. In tre parole, una piacevole conferma.

Il nuovo disagio giovanile in tre libri
25 di Bernardo Zannoni (Sellerio).

Polveri sottili di Gianluca Nativo (Mondadori)

Torna in pista anche Gianluca Nativo, autore napoletano classe 1990, anche lui alla sua seconda fatica letteraria ambientata tra Napoli, Londra e Milano che narra la storia d’amore di due ragazzi, Eugenio e Michelangelo, alle prese con il delicato momento di passaggio dall’adolescenza all’età adulta: dall’amore sbocciato tra i vicoli del quartiere universitario di Napoli a una proposta di lavoro in un ospedale londinese, fino al trasferimento di entrambi in un altro mondo che mette a dura prova il loro rapporto e la loro stessa identità. Un romanzo, Polveri sottili, che cita Tondelli, già dalla frase in esergo, e che non privo di malinconia racconta la necessaria uscita dalla bolla di un’amore giovanile praticamente uguale a quello che ognuno di noi nella vita ha vissuto almeno una volta.

Il nuovo disagio giovanile in tre libri
Polveri sottili di Gianluca Nativo (Mondadori).

Autoritratto newyorkese di Maurizio Fiorino (e/o)

È la storia di un fotografo 23enne invece quella raccontata da Maurizio Fiorino in Autoritratto newyorkese. La scelta di un ragazzo che decide di lasciare la provincia italiana e trasferirsi negli Stati Uniti a cercare fortuna. Finirà a fare il go-go boy nei locali di Alphabet City e il modello di nudo per pittori di quart’ordine. Si prostituirà e si drogherà e il tutto verrà accompagnato da una storia d’amore tossica con Louis, un disadattato che passa il suo tempo leggendo libri fantasy appollaiato su un albero fuori Manhattan. Un libro amaro, crudo, che trascina il lettore, insieme ai suoi protagonisti, in un vortice senza che la benché minima soluzione si prospetti all’orizzonte. Un’indagine esistenziale pasoliniana che non lascia scampo.

Il nuovo disagio giovanile in tre libri
Autoritratto newyorchese di Maurizio Fiorino (e/o).

Israele ha scarcerato Khaled El Qaisi

Khaled El Qaisi, il giovane italo-palestinese detenuto in prigione in Israele dal 31 agosto, è stato scarcerato. Lo ha deciso un tribunale di Rishon le Tzion, ma a condizione che per sette giorni resti a disposizione delle autorità e lasci il passaporto in consegna. La notizia è stata confermata dalla moglie Francesca Antinucci: «Per una settimana non può muoversi dai Territori».

Israele ha scarcerato Khaled El Qaisi ma per sette giorni il ricercatore italo-palestinese deve restare a disposizione delle autorità.
Il valico di Allenby, dove El Qaisi è stato fermato (Ansa).

Era stato fermato al valico con la Giordania il 31 agosto

El Qaisi dovrebbe trascorrere a Betlemme i sette giorni, che terminano l’8 ottobre e che sono legati alle indagini sul suo conto ancora in corso da parte delle autorità inquirenti. Era stato arrestato il 31 agosto da agenti di polizia israeliani al valico con la Giordania, mentre era diretto verso l’aeroporto di Amman per far rientro a Roma con la famiglia, dopo aver trascorso un periodo di vacanza in Cisgiordania con la moglie Francesca e il figlio piccolo.

Nei suoi confronti non era stato formulato alcun capo di accusa

Studente di lingue e civiltà orientali all’università La Sapienza di Roma, fondatore del Centro documentazione palestinese e attivista dei Giovani Palestinesi d’Italia, El Qaisi ha subito ben quattro udienze, nelle quali non è stato formulato nessun capo di accusa. Secondo quanto emerso, le autorità di Israele lo hanno fermato e poi detenuto perché insospettite da alcune frequentazioni del ricercatore, una volta tornato a casa a Betlemme, nell’ambito di un’inchiesta più ampia per terrorismo condotta dalla magistratura di Tel Aviv.

Citofona ai vicini e accoltella 17enne, la ragazza è grave

Una 17enne è stata accoltellata all’addome a San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, ed è ora ricoverata in gravi condizioni in ospedale. I carabinieri hanno fermato il presunto autore del gesto, un 52enne, accusato di tentato omicidio. Secondo una prima ricostruzione l’uomo, che soffrirebbe di problemi psichici, avrebbe citofonato nella notte a casa dei vicini, per poi colpire la giovane che ha aperto la porta. Le forze dell’ordine hanno acquisito ulteriori testimonianze per ricostruire l’intero contesto dell’episodio e per accertare un eventuale movente dell’aggressione.

Spagna, incendio in una discoteca di Murcia: ci sono vittime

Almeno sette persone sono morte nell’incendio divampato nella notte tra sabato 30 settembre e domenica 1 ottobre nella discoteca Teatre di Murcia, nel sud della Spagna. Secondo le prime informazioni date dai soccorritori, non è escluso che il numero dei morti potrebbe aumentare: al momento infatti, come ha confermato anche il sindaco della città, ci sono molte persone disperse delle quali non si hanno ancora notizie.

Di sicuro, oltre alle sei vittime ci sono anche alcuni feriti, quattro al momento, tutti intossicati dal fumo. A nome del governo, su X, è intervenuta la vicepresidente Yolanda Diaz: «Seguiamo con preoccupazione la notizia della tragedia di Murcia. Il mio affetto a tutte le persone colpite e le mie condoglianze alle loro famiglie».

 

Biella, corpo di un uomo trovato in un cassonetto: fermate quattro persone

Quattro persone sono state fermate per la morte di un uomo, trovato in un cassonetto dell’immondizia davanti alle case popolari di via Felice Coppa, nella frazione Chiavazza di Biella. Ancora da chiarire il movente del delitto, così come restano per ora sconosciuti gli elementi a carico dei fermati.

Biella, corpo di un uomo di 33 anni trovato in un cassonetto in un sacco di plastica: fermate quattro persone.
Il luogo del ritrovamento del cadavere.

Nella notte la polizia ha arrestato tre uomini e una donna

Durante la notte la polizia ha arrestato tre uomini di 42, 32 e 24 anni e una donna di 34 anni, accusati di omicidio e occultamento di cadavere. La vittima aveva 33 anni e viveva nel Biellese: nel suo passato precedenti per droga, ma non episodi recenti che possano fornire un movente per l’omicidio. Una delle persone fermate vive proprio in via Coppa, non lontano dal luogo del ritrovamento, gli altri sono tutti residenti a Biella ma non in quella zona.

A segnalare la presenza del cadavere una donna scesa a buttare i rifiuti

La presenza di un cadavere nei cassonetti dell’immondizia di via Felice Coppa, all’altezza del civico 29, è stato segnalato attorno alle 19 del 30 settembre da una donna, scesa a buttare i rifiuti. Il corpo era avvolto in un telo di plastica. Quando gli esperti della scientifica lo hanno esaminato, hanno scoperto che aveva una calza di nylon calata sulla testa, il volto tumefatto e una profonda ferita sul sopracciglio, oltre a diversi lividi sul corpo.

Ankara, attentato kamikaze davanti al ministero dell’Interno

Paura ad Ankara, colpita da un attentato terroristico nei pressi del ministero dell’Interno, nel giorno in cui in Parlamento inizia il secondo anno legislativo del 28esimo mandato della Grande Assemblea Nazionale turca.

Uno dei due terroristi si è fatto esplodere

«Intorno alle 09.30, ad Ankara, due terroristi sono giunti con un veicolo commerciale leggero davanti al cancello d’ingresso della Direzione generale della sicurezza del nostro Ministero degli Affari interni, hanno messo in atto un attentato. Uno dei terroristi si è fatto esplodere e l’altro è stato neutralizzato. Nell’esplosione sono rimasti uccisi anche due agenti di polizia», ha scritto su X il ministro dell’Interno Ali Yerlikaya.

Prima dell’attentato kamikaze, riportano i media turchi, erano stati uditi alcuni colpi di pistola sul viale ?smet ?nönü, nei pressi della Grande Assemblea Nazionale turca e dei ministeri.

Perché ha ragione Bin Salman nel dire che lo sportwashing in Arabia Saudita non c’è

Fine della discussione. Sua altezza il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman Al Saud, l’uomo che sta guidando la monarchia saudita e il suo Paese verso un nuovo Rinascimento (parole di ex premier italiano sopravvissuto alla rottamazione di sé medesimo) ha esternato sul tema dello sportwashing. Lo ha fatto durante un’intervista concessa all’emittente statunitense Fox News. E ha usato parole che hanno spiazzato soltanto chi insiste a credere che il piano di espansionismo sportivo saudita serva davvero a quella cosa lì, al lavaggio dell’immagine internazionale, anziché essere una mera politica di potenza. E invece adesso dovrebbe essere chiaro a tutti che si tratta soltanto di uno sfoggio muscolare da parte di chi sa che può stravincere e perciò lo fa, per non lasciare il minimo margine a chiunque volesse fare ostacolo. Costui sappia che verrà spazzato via. Rispetto a tutto ciò, cosa c’entrerà mai la presunta volontà di usare lo sport per ripulirsi la reputazione?

Perché ha ragione Bin Salman nel dire che lo sportwashing in Arabia Saudita non c'è
La famigerata “intervista” di Matteo Renzi a Bin Salman (Imagoeconomica).

Uso propagandistico dello sport? Veramente c’entra il Pil

In questo senso il principe ereditario saudita è stato di una schiettezza disarmante. Posto davanti all’accusa di fare sportwashing, Mohammad bin Salman ha risposto né sì né no. Ha scelto una terza via e ha invitato i critici a chiamarlo pure come meglio credano, che sia sportwashing o Pasquale, ché tanto a lui importa altro. Gli importa che il massiccio utilizzo della leva sportiva gli abbia permesso di incrementare dell’1 per cento il Prodotto interno lordo. E se dunque quella cosa che gli fa aumentare il Pil si chiama sportwashing, viva lo sportwashing. Come fosse una marca di detersivo per i piatti. Meglio ancora se quella cosa lì portasse in futuro a un aumento di Pil dell’1,5 per cento, ha aggiunto. Non è arrivato a dire che per un aumento del 2 per cento potrebbe anche farsi tatuare “sportwashing” sull’avambraccio, ma il senso è quello. Ciò dà ragione alla tesi di chi non ha mai creduto alla versione sull’uso propagandistico dello sport. Ai sauditi, come prima di loro ai qatarioti, questo uso non interessa perché non sentono di averne bisogno. Sono altri gli usi cui mirano.

Perché ha ragione Bin Salman nel dire che lo sportwashing in Arabia Saudita non c'è
Un tifoso con le foto del re Bin Salman e del principe ereditario (Getty).

L’obiettivo è il posizionamento internazionale sui grandi eventi

Innanzitutto il posizionamento internazionale, poiché la potenza sportiva è un pezzo della potenza politica nei rapporti fra Stati. In secondo luogo c’è l’importanza di fare sfoggio di capacità organizzative nel caso della grandi manifestazioni sportive internazionali. Ma infine, e soprattutto, ci sono le mire su un’economia cruciale del XXI secolo, quella dello sport e dell’intrattenimento, che viene portata a casa in una logica di diversificazione delle attività d’investimento e di progressiva integrazione-sostituzione della risorsa petrolifera. E se tutto ciò ha anche una grande forza propagandistica e contribuisce a costruire egemonia, tanto meglio. Ma non è certo l’obiettivo primario, che rimane quello della politica di potenza.

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Il principe ereditario saudita Bin Salman (Getty).

Diritti umani, repressione, pena di morte, leggi anti-Lgbtq+? Spallucce

Sullo sfondo rimane un ulteriore equivoco. Parlare di sportwashing significa presumere che, da parte di chi lo eserciti, venga avvertita l’esigenza di ripulirsi in qualche modo, o di avere qualcosa da farsi perdonare, o comunque di dover distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica rispetto a condotte sanzionabili in termini sia legali sia etici. E invece nel caso della monarchia saudita, come di ogni altro regno o emirato della penisola araba, questa esigenza non è minimamente avvertita. «Ma quale sarebbe mai la macchia che dovremmo lavare via?», sembrano chiedere rivolgendosi alle opinioni pubbliche occidentali. Quindi fanno spallucce quando si parla di diritti umani, di repressione estrema degli oppositori, di pena di morte, di condizioni pre-moderne riguardo al ruolo e alle libertà delle donne in società, di criminalizzazione dei soggetti Lgbtq+. Rispetto a tutto ciò il loro atteggiamento potrebbe essere sintetizzato con la frase: «Sono problemi vostri e non nostri, perché noi questi problemi non li vediamo».

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Bin Salman con Gianni Infantino e Vladimir Putin durante il Mondiale 2018 in Russia (Getty).

Si comprano pure il diritto di esserci antipatici, la facoltà di non piacerci

Governano e si comportano come hanno sempre fatto, secondo ciò che stabiliscono i loro codici culturali. E quale comunità si è mai sentita colpevole di ciò? Sicché, figurarsi come possano mai avvertire l’esigenza di fare sportwashing. Piuttosto, esibiscono le caute aperture in materia di diritti della popolazione femminile come una prova di modernizzazione. Ma intanto proseguono a comprare tutto ciò che ritengono appetibile, sia nel mondo dello sport che in altri settori cruciali dell’economia globale. Possono farlo in virtù di riserve finanziarie inavvicinabili per qualsiasi altro concorrente (la dotazione del Public Investment Fund, Pif, che è anche proprietario del Newcastle, è stimata in 700 miliardi di dollari). Anche a costo di diventare antipatici, perché alla lunga chi vuole stravincere ed esibisce ripetute prove di forza diventa antipatico. Nessun problema, hanno messo in conto anche quello. E si comprano il diritto di esserci antipatici, la facoltà di non piacerci. Ché magari produce pure un altro 1 per cento di Pil.

Il partito del filorusso Fico ha vinto le elezioni in Slovacchia

I socialdemocratici nazionalisti di sinistra dell’ex premier filorusso Robert Fico hanno vinto le elezioni parlamentari in Slovacchia. Secondo i risultati preliminari diffusi dalla commissione elettorale di Bratislava, dopo lo spoglio di quasi il 99 per cento dei distretti elettorali il partito d’opposizione Smer ha ottenuto il 23,3 per cento dei voti. Il partito populista slovacco, contrario agli aiuti all’Ucraina, ha superato i centristi filo-Ue del Progresivne Slovensko (Slovacchia progressista, che si è fermato al 17,03 per cento dopo essere stato in testa nei primi exit poll.

Il partito del filorusso Fico ha vinto le elezioni in Slovacchia. Lo Smer ha ottenuto oltre il 23 per cento. Affluenza più alta dal 2002.
L’affluenza alle urne ha superato il 67 per cento (Getty Images).

L’affluenza alle urne in Slovacchia è stata la più alta dal 2002

L’affluenza alle urne è stata del 67,4 per cento, la più alta dal 2002. Il voto, in un Paese da 5,4 milioni di abitanti membro dell’Ue e della Nato, era considerato decisivo per sapere se la Slovacchia resterà sulla sua strada filo-occidentale oppure se si rivolgerà maggiormente alla Russia. La presidente slovacca Zuzana Caputova ha dichiarato che affiderà la formazione del prossimo governo al leader del partito vincitore, indipendentemente dalle sue «preferenze personali» come ex membro del Ps, partito guidato da Michal Simecka. Smer ha comunicato che non commenterà il voto fino alla sera del primo ottobre.

Il partito del filorusso Fico ha vinto le elezioni in Slovacchia. Lo Smer ha ottenuto oltre il 23 per cento. Affluenza più alta dal 2002.
Slovacchia Progressista si è fermata al 17 per cento (Getty Images).

Ora la sfida di formare una coalizione sufficiente a controllare il Parlamento

Già premier fra il 2012 e il 2018, Fico era stato costretto a dimettersi dopo le proteste innescate dall’assassinio del giornalista autore di inchieste sulla corruzione del partito al potere, Jan Kuciak e della sua compagna. Favorevole allo stop dei rifornimenti di armi a Kyiv e contrario all’adesione dell’Ucraina alla Nato, Fico ora si trova davanti alla sfida di formare una coalizione con una maggioranza sufficiente a controllare il Parlamento e non è scontato che ci riesca. Peter Pellegrini, il cui partito Voice-Sd è arrivato terzo con il 15 per cento dei voti, si è congratulato con il vincitore delle elezioni, offrendosi come partner per i colloqui di coalizione: «Secondo logica Fico sarà il primo a rivolgersi al nostro partito per negoziare un governo». In Parlamento entrano sette partiti, compreso il Partito nazionale slovacco.

Il partito del filorusso Fico ha vinto le elezioni in Slovacchia. Lo Smer ha ottenuto oltre il 23 per cento. Affluenza più alta dal 2002.
Robert Fico (Getty Images).
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