Jannik Sinner ha battuto Andrej Rublev e si è così qualificato per la finale del torneo Atp 500 di Vienna. L’azzurro, numero 4 Atp, si è imposto in due set, per 7-5 7-6 (7-5), sul russo n.5. In finale, Sinner sfiderà Daniil Medvedev, numero 3 al mondo, che ha superato il greco Stefanos Tsitsipas per 6-4 7-6.
È stata registrata alle 17.29 di sabato 28 ottobre, la scossa di terremoto di magnitudo 4.2 (inizialmente la stima era 4.4) avvertita a Ceneselli, in provincia di Rovigo. Secondo l’istituto nazionale di oceanografia e geofisica di Trieste, ha avuto una profondità di 10 chilometri. Solo tre giorni fa, il 25 ottobre, si era verificata un’altra scossa, sempre di magnitudo 4.2 con epicentro nello stesso paese.
Il terremoto è stato avvertito in 211 Comuni delle province di Rovigo, Padova, Verona, Vicenza, oltre che nella vicina Emilia Romagna, in particolare a Ferrara e a Bologna. «Le strutture della nostra Protezione Civile stanno effettuando una ricognizione per verificare le eventuali conseguenze della scossa di terremoto registrata poco fa nel Rodigino» ha rassicurato il presidente del Veneto, Luca Zaia. Al momento, ha fatto sapere, non sono state registrate «particolari segnalazioni» anche se le verifiche della situazione sono ancora in corso. Il Comune di Bologna ha riferito di non aver rilevato alcuna anomalia sulla torre della Garisenda.
“Palestina libera” e ancora “Intifada fino alla vittoria”, sono solo alcuni dei cori del corteo nazionale pro Palestina partito a Roma da piazza Porta San Paolo il 28 ottobre, con destinazione San Giovanni. Organizzato da comitati e associazioni tra cui i Giovani Palestinesi, è stato caratterizzato da alcuni momenti di tensione in particolare quando alcuni manifestanti hanno rimosso la bandiera di Israele davanti alla Fao, in viale Aventino.
Corteo a Roma. Un manifestante a sostegno della Palestina ha strappato la bandiera israeliana dal quartier generale della FAO.
Lo riporta il corrispondente di Tass che sottolinea come subito dopo sia arrivata la polizia e ha arrestato il manifestante.
Le contestazioni hanno coinvolto anche alcuni giornalisti, definiti “complici del massacro, parte del nemico, amici di Netanyahu e del governo Meloni“. Gli organizzatori hanno invitato i partecipanti a rimuovere le bandiere italiane presenti nel corteo per far spazio solo a quelle palestinesi. «Vogliamo vedere solo bandiere palestinesi: fuori tutti i fascisti e nazionalisti dalla nostra manifestazione», è stato l’invito alla folla, che, secondo le stime, ha coinvolto circa 15 mila partecipanti. Sette pullman di manifestanti sono arrivati da Napoli.
Imponente corteo a Roma in sostegno del popolo palestinese mentre continuano massicci bombardamenti su #Gazapic.twitter.com/YcVlsmHlGw
«Un fiume palestinese per le vie di Roma per fermare l’aggressione dello Stato israeliano contro Gaza e il suo popolo. La Palestina va liberata e si deve porre fine ai crimini di guerra e contro l’umanità che sta compiendo il governo israeliano». Sono le parole di Luigi de Magistris, leader di Unione Popolare, che ha partecipato al corteo per la Palestina. «Immediato cessate il fuoco e corridoi umanitari per poi arrivare alla completa autodeterminazione del popolo palestinese. Senza diritti ai palestinesi non ci sarà mai pace e sicurezza» ha aggiunto. «Da cittadino onorario palestinese mi schiero per la verità, la giustizia e la pace».
Nella mattinata del 28 ottobre, sempre a Roma, circa mille persone hanno partecipato a un’altra manifestazione in favore della Palestina. Una iniziativa, nata come sit in a piazza Vittorio, che si è trasformata in un corteo che ha raggiunto piazzale Aldo Moro, nella zona dell’università la Sapienza. Anche nella capitale francese, nonostante il divieto del prefetto si è svolta una manifestazione filopalestinese nel centro di Parigi, con la partecipazione di diverse migliaia di persone.
Il raduno era a Chatelet ma i manifestanti non hanno potuto dirigersi, come previsto dal programma, in direzione di place de la République, perché a bloccarli hanno trovato un cordone di poliziotti e gendarmi che hanno verbalizzato oltre 80 fra i presenti. Al grido di “Cessate il fuoco ora”, migliaia di manifestanti, per la maggior parte ebrei, hanno manifestato alla stazione di Grand Central, a New York, in solidarietà con i palestinesi. Tutti indossavano una maglietta nera con la scritta “non in mio nome”, come quella dalle decine di manifestanti che nei giorni scorsi hanno protestato in Congresso.
«C‘è un bisogno disperato di calore umano». L’83enne Marliss Myers lo ricorda alla cassiera del supermercato nel quale si reca ogni settimana a fare shopping. «Hai ragione tesoro», risponde abbracciandola Sharon Hechler, dietro la cassa della catena Albertsons. L’unica, forse ultima, cassiera in carne e ossa rimasta nel punto vendita di Arcadia, una città della contea di Los Angeles.
Se una cassa automatica è meglio di un cassiere in carne e ossa
L’articolo del Los Angeles Times con altri dialoghi e altre storie, dal titolo Skipping self-checkout to combat loneliness, build connection, evidenzia un filo rosso investigativo che il quotidiano segue da tempo. Da quando la solitudine è diventata una malattia in veloce propagazione. Un’epidemia. Secondo l’ultimo rapporto del Surgeon General, istituzione sanitaria statunitense, i danni sulla salute causati dalla solitudine e dall’isolamento sono equiparabili a quelli prodotti dal fumo, dall’obesità, dall’inattività fisica. Ma sotto accusa finiscono anche gli effetti della tecnologia sulle relazioni sociali. Due terzi degli americani affermano che la tecnologia ha reso più difficile relazionarsi e comportato una forte diminuzione dell’empatia. Tuttavia, il 66 per cento degli intervistati dichiara di preferire un chiosco self-service rispetto a una cassa gestita dall’uomo, perché il servizio è veloce e non si è costretti a parlare con le persone. Ma mentre l’84 per cento dei Gen Z preferisce le casse automatiche, il numero scende al 46 per cento per i baby boomer.
La solitudine scaturita anche dalla paura dell’estraneo e dello straniero
Tuttavia l’aspetto problematico sul quale concentrare l’attenzione è il venire meno, in assenza del rapporto umano, di relazioni calde ancorché definite “legami deboli”, come appunto quelle che si instaurano al supermarket; che però sono uno strumento fondamentale per mantenere il benessere emotivo. Ma aggiunto che il Covid ha dato un impulso fenomenale al ritrarsi della socialità quotidiana, col distanziamento sociale e le mascherine che hanno nascosto anche i sorrisi, va segnalato che il sentimento crescente di solitudine è generalizzato e scaturisce anche dalla paura del diverso, dell’estraneo/straniero che il montante fenomeno immigratorio sta acuendo in forme quasi patologiche. Come ci ricorda un recente speciale di The Economist dall’emblematico titolo L’arte vitale di parlare agli estranei che magnifica tre libri che sono altrettanti inni all’inclusione: Hello, Stranger, di W. Buckingham, The Power of Stranger di J. Keohane e Fractured di J. Yates. La solitudine è diventata un grande problema socio-sanitario ovunque. Nel mondo sviluppato soprattutto, ma anche in quello non. In Canada come in America Latina, in Cina, dove un anziano su quattro vive solo, e in Giappone dove nel 2017 sono state circa 45 mila le persone decedute in una situazione di totale abbandono e senza esequie. Ma anche in Italia sono lontani i tempi in cui – Anni 80 e 90 – la parola single faceva fine e profumava di libertà. «I soli», cantava Giorgio Gaber, «sono individui strani/non si sa bene cosa sono/forse ribelli forse disertori/ nella follia di oggi i soli sono i nuovi pionieri».
Il 13 per cento dei cittadini Ue dichiara di sentirsi solo
Attualmente secondo un survey dell’Unione europea che ha coinvolto 25 mila persone, il 13 per cento dei residenti Ue ha detto di sentirsi solo per la maggior parte o per tutto il tempo. Mentre un precedente Eurobarometro del 2020 indicava nel Lussemburgo e nell’Italia i Paesi con il maggior numero di persone sole, entrambi con una percentuale del 12 per cento, che dichiaravano di «non avere nessuno a cui chiedere aiuto in caso di bisogno». Sempre nel 2020, in piena pandemia, il 55 per cento degli italiani, ha dichiarato di sentirsi solo e senza amici. Con la novità però che i più colpiti dall’epidemia di solitudine erano i giovani (32 per cento) nella fascia d’età 18-34 anni. Sono però da paura gli scenari prospettati dall’Istat relativamente agli over 75 (che attualmente sono 7.058.755, cioè l’11,7 per cento della popolazione totale) e al numero di famiglie con un solo membro, che attualmente sono 8,5 milioni, ma che secondo le previsioni demografiche dello stesso Istituto, nel 2041 saliranno a 10,2 milioni, +16,2 per cento sul 2021.
Il boom delle casse automatiche in Usa e il passo indietro dell’Olanda
Insomma la solitudine di vecchi e giovani, uomini e donne è tanta e in progressivo aumento. La “società automatica” che si intravvede è un mix paradossale di gente che fa rete e community, ma stando seduta da sola in casa davanti a uno schermo. Scontando come ulteriore fattore di rarefazione di umanità la quasi certa possibilità di dovere fare i conti in molti momenti dello shopping fuori casa con assistenti e cassieri virtuali. Negli Usa le casse automatiche sono onnipresenti, costituiscono quasi il 40 per cento delle corsie nelle catene alimentari e secondo una proiezione del Bureau of Labor Statistics, il numero di cassieri dovrebbe diminuire del 10 per cento dal 2021 al 2031, una perdita di circa 335 mila posti di lavoro (tra il 2011 e il 2021, il numero è rimasto sostanzialmente invariato a 3,3 milioni). In Europa e in Italia il trend è meno marcato, ma secondo un rapporto di McKinsey, del 2017 però, si prevedeva che nel nostro Paese circa la metà dei lavoratori avrebbe potuto essere sostituita nel giro di pochi anni dai robot e che i settori più a rischio fossero quelli più semplici e ripetitivi come, appunto, le casse dei supermercati. In Olanda invece, che è stato uno dei Paesi più avanti nella introduzione di casse automatiche, si sta cercando di tornare indietro. La catena di supermercati Jumbo ha iniziato a creare corsie intenzionalmente lente in diversi punti vendita per gli acquirenti più anziani o per chiunque desideri più tempo per conversare con i cassieri.
In Italia il problema della solitudine della terza età viene confinato nelle Rsa
E qui si evidenzia in modo clamoroso come l’attenzione al problema forse sia più presente nell’ambito privato che in quello pubblico. Tuttavia, ribadito che da soli ci si ammala di più (20 punti percentuali), si deve anche osservare come non esistano dati, anche economici, sui danni procurati dalla solitudine. In Inghilterra nel 2018, con il governo di Theresa May à stato istituito un ministero della Loneliness e tre anni dopo analoga istituzione è stata inaugurata in Giappone. Da noi invece si fa finta di niente. A eccezione di istituzioni caritatevoli, la nostra classe politica è incapace di misurarsi seriamente con la solitudine della terza età, confinandola a mera questione da Rsa. Quando invece, soprattutto dopo la pandemia, servirebbero urgenti politiche attive per le terza e quarta età, avendo come obiettivo “vecchi in forma” o se preferite “nonni atletici”. Ma ancor più grave è l’assenza di percezione e visione dei pericoli incombenti sulla società intera. Dove il rischio di sentirsi, ma anche di essere, realmente soli è una minaccia reale. Che riguarda tutti, ma soprattutto i più giovani. Automazione e digitalizzazione, ovvero i due driver di cambiamento più forti per i prossimi anni, sono oggettivi nemici della socialità, della comunanza e in ultima analisi della solidarietà, della vicinanza. Averne almeno consapevolezza è la precondizione perché non ci si ritrovi più o meno tutti e in numerosi momenti della nostra vita nella condizione di sentirsi «come quando qualcuno ti invita a una festa… tu non ci vai… E nessuno se ne accorge…».
Stasera 28 ottobre 2023 andrà in onda alle ore 21.00 su Iris il film La prossima vittima. Il regista è John Schlesinger mentre la sceneggiatura è stata scritta da Amanda Silver e Rick Jaffa. Nel cast ci sono Ed Harris, Sally Field, Olivia Burnette e Alexandra Kyle.
La prossima vittima, trama e cast del film stasera 28 ottobre 2023 su Iris
La trama racconta la storia di Karen McCann (Sally Field) una donna che vive una vita tranquilla in una zona comoda di Los Angeles. Karen è sposata con il marito Mack (Ed Harris) e i due hanno due figlie: Julie (Olivia Burnette) di 12 anni e la piccola Megan (Alexandra Kyle) di appena 5 anni. La loro vita scorre tra la routine di sempre e le faccende domestiche e tutto sembra essere normale per loro. Tuttavia, un giorno accade una tragedia. L’adolescente Julie rientra da scuola prima per il compleanno della sorellina ma viene aggredita, accoltellata e violentata brutalmente da un misterioso uomo.
I genitori chiedono giustizia anche perché non si conosce il responsabile di quest’atto abominevole. Il detective Joe Denillo (Joe Mantegna) si mette sulle tracce dell’assalitore e cerca di indagare su chi possa aver compiuto un gesto simile. Dopo aver quasi portato a termine le sue indagini, conclude che a compiere l’atto sia stato Robert Doob (Kiefer Sutherland) un criminale scarcerato solo qualche giorno prima l’aggressione. A quel punto inizierà una sorta di caccia all’uomo ma la famiglia non si tirerà indietro, anzi Karen maturerà l’idea di farsi giustizia da sola, evitando di affidarsi alle istituzioni che hanno tradito la sua fiducia.
La prossima vittima, 5 curiosità sul film stasera 28 ottobre 2023 su Iris
La prossima vittima, un’attrice ha dovuto rinunciare al ruolo di protagonista
Inizialmente, la produzione aveva scelto come attrice protagonista Jamie Lee Curtis. Tuttavia, quest’ultima fu costretta a rifiutare perché era troppo impegnata con le riprese della pellicola Arresti familiari. La produzione decise quindi di dare il ruolo di protagonista a Sally Field.
La prossima vittima, il penultimo film per il regista
Questo è stato il penultimo film diretto dal regista John Schlesinger. Infatti, Schlesinger è morto nel 2003, circa 7 anni dopo la realizzazione di questa pellicola. Dopo tale film diresse nel 2000 Sai che c’è di nuovo? una commedia dai toni drammatici con protagonista la cantante Madonna.
La prossima vittima, la sceneggiatura non è originale
La sceneggiatura di quest’opera non è originale. Il soggetto del film infatti, è tratto dal libro Eye for an Eye scritto dall’autrice statunitense Erika Holzer. Curiosamente, il nome del film in inglese è lo stesso adottato dall’opera letteraria.
La prossima vittima, gli incassi non esaltanti del film
La pellicola ha avuto un budget pari a 20 milioni di dollari. Tuttavia, secondo quanto riportato dal portale Box Office Mojo, gli incassi al botteghino non sono stati esaltanti e hanno superato di poco il budget: in totale sembra che il film abbia incassato circa 27 milioni di dollari.
La prossima vittima, un remake fatto in India
Curiosamente, nonostante il successo non esaltante al botteghino, questa pellicola ha avuto un remake indiano girato a Bollywood. Il suo nome è Dushman ed è stato realizzato nel 1998, appena due anni dopo il lancio nei cinema dell’opera originale.
Produce la birra cinese più conosciuta al mondo, vanta oltre 100 anni di storia e radici europee. Tsingtao Brewery è finita però nei guai per colpa di un video diffuso sul web. In un breve filmato che ha totalizzato milioni di visualizzazioni si intravede un individuo, presumibilmente un operaio dello stabilimento Tsingtao della città cinese di Pingdu, urinare in un serbatoio contenente gli ingredienti utilizzati per produrre la bevanda. L’azienda ha subito segnalato quanto accaduto alle autorità, salvo poi affermare che il lotto “incriminato” era sigillato e che la sua integrità era garantita. In un secondo momento, la stessa società ha sottolineato che l’urinatore misterioso e l’autore della clip non erano dipendenti di Tsingtao. Il mistero resta irrisolto, in attesa di ulteriori chiarimenti utili a salvaguardare l’immagine del gruppo, le cui azioni in Borsa sono crollate da 81 a 75 yuan (da 10,45 a 9,67 euro) prima di stabilizzarsi.
This is the viral video showing how an alleged worker at the Tsingtao Beer Factory 3 climbs over a wall at the raw material production site and starts to urinate. Many people think it's an undercover operation by a rivaling company: one person peed, another leaked the video? pic.twitter.com/eJcYljo2aQ
Il nome Tsingtao è la traslitterazione di Qingdao, città cinese situata nella provincia dello Shandong. È qui che, nel 1903, è nata l’azienda che sarebbe arrivata a controllare il 15 per cento della quota del mercato interno cinese della birra e la metà delle esportazioni nazionali della stessa bevanda made in China. Agli inizi del XX secolo, la Germania controllava la baia di Kiao-Ciao, un’area di oltre 550 chilometri quadrati incastonata nella costa meridionale cinese, con capitale, appunto, Qingdao. In quel periodo, i tedeschi pensarono bene di sfruttare la loro colonia asiatica per produrre birra. Portarono oltre la Muraglia il luppolo dall’Europa e costruirono in loco un birrificio, puntando sulle sorgenti d’acqua locali provenienti dal vicino monte Laoshan.
L’azienda è stata privatizzata all’inizio degli Anni 90
Fu così che nell’agosto del 1903 nacque la Germania Brewery, di proprietà della Anglo-German Brewery Company, società anglo-tedesca con sede a Hong Kong che mise in vendita le prime birre “cinesi” il 22 dicembre dello stesso anno. In seguito allo scoppio della Prima guerra mondiale, e complice l’avanzata del Giappone in territorio cinese, il birrificio finì sotto il controllo dell’Impero nipponico. Il passaggio nelle mani dello Stato cinese, prima nazionalista poi comunista, avvenne invece al termine della Seconda guerra mondiale. L’azienda è stata quindi privatizzata all’inizio degli Anni 90, mentre nel 1993 si è fusa con altri tre birrifici di Qingdao dando vita alla Tsingtao Brewery Company Limited, che nel 1993 è diventata la prima azienda cinese quotata alla Borsa di Hong Kong.
Il “Festival della birra di Qingdao”, l’Oktoberfest asiatico
Il logo presente sulle etichette Tsingtao coincide con il padiglione Huilan, uno dei siti architettonici più iconici di Qingdao, a conferma dell’importanza della bevanda per l’intera città. Prima dell’avvento del Covid, non a caso, da queste parti andava in scena il “Festival della birra di Qingdao”, una sorta di Oktoberfest asiatico con più di 1.300 tipi di birra provenienti da oltre 30 Paesi e regioni diverse. Al netto del valore culturale di questo prodotto, dando uno sguardo ai numeri scopriamo come, nel 2016, Tsingtao risultasse essere la seconda birra più consumata globalmente con una quota pari al 2,8 per cento. Anche se a livello nazionale la birra cinese più venduta è la Snow di Shenyang (a sua volta, proprio come Tsingtao, dotata di radici coloniali essendo stata fondata dai giapponesi durante la loro occupazione della Manciuria), la bevanda di Qingdao risulta essere la più famosa. Non a caso, è venduta in oltre 120 Paesi del mondo e rappresenta oltre il 50 per cento delle esportazioni estere di birre cinesi.
L’industria cinese della birra è quella in più rapida crescita al mondo
Ricordiamo che la Cina nel 2022 ha esportato birra per un valore complessivo di 327 milioni di dollari, in crescita rispetto ai 279 milioni dell’anno precedente. Sempre nel 2022, le vendite del birrificio Tsingtao hanno toccato quota 8,07 milioni di kilolitri, in aumento rispetto ai 7,93 kilolitri del 2021. Considerando che l’industria cinese della birra è quella in più rapida crescita al mondo, con un fatturato totale che dovrebbe raggiungere i 131,5 miliardi di dollari entro la fine del 2023, si capisce perché lo scandalo del video Tsingtao rischia di compromettere l’avanzata silenziosa del colosso di Qingdao. Che, per altro, nei primi sei mesi dell’anno corrente ha registrato un fatturato di 21,6 miliardi di yuan (2,96 miliardi di dollari), in crescita del 12 per cento su base annua, vendendo 5,02 milioni di chilolitri di birra, in crescita del 6,5 per cento.
Il consiglio europeo per la Ricerca ha assegnato 395 milioni di euro a 37 progetti europei tramite gli Erc Synergy Grant, finanziamenti dedicati a studi condotti su tematiche ambiziose e complesse. I fondi sono stati assegnati a 135 ricercatori di 114 università e centri di ricerca di 19 Paesi europei. La Germania ospita il maggior numero di progetti (27), seguita da Francia (12) e Paesi Bassi (7). L’Italia è quarta, con 5 progetti, insieme a Spagna, Israele, Svezia e Norvegia.
Results of the 2023 ERC Synergy Grant competition are out!
37 research groups win a total of €395 million in #ERCSyG funding This will enable them to pool diverse expertise and resources to push the frontiers of knowledge.
— European Research Council (ERC) (@ERC_Research) October 26, 2023
Tra i progetti vincitori, 37 su 395 candidati, quello che coinvolge Alberto Arezzo, docente del dipartimento di Scienze chirurgiche dell’università di Torino e i colleghi Kaspar Althoefer dell’università Queen Mary di Londra, Bruno Siciliano della Federico II di Napoli e Sebastien Ourselin del King’s College di Londra. Per il progetto sono previsti dieci milioni di finanziamento per i prossimi sei anni. L’obiettivo è quello di intervenire nella lotta contro il tumore al colon attraverso una diagnosi precoce e la terapia mininvasiva per le neoplasie del colon-retto. Lo studio infatti, come riportato da Repubblica, permetterà di intervenire con nuovi modelli diagnostici e trattamentali su uno dei tumori tra i più comuni.
In this #ERCSyG call, 37 different research projects were approved for funding.
To give you an idea of the range and breadth of the #FrontierResearch that will be covered, read about some of the new projects & teams.
— European Research Council (ERC) (@ERC_Research) October 26, 2023
Il soft robot
Per intervenire precocemente, prima che la malattia possa giungere alle ultime fasi, lo studio del professor Arezzo ha pensato a uno strumento meglio tollerato della colonscopia perché costituito da materiali soffici, un cosiddetto “soft-robot”. Lo strumento diagnostico sarà anche il veicolo che condurrà all’interno dell’intestino un microrobot che, manovrato dall’esterno, consentirà di asportare eventuali lesioni.
Ha tentato di strangolare la moglie dopo una lite per futili motivi, ma quando si è reso conto della gravità del suo gesto ha chiesto l’intervento del personale medico. L’uomo è stato arrestato per tentato omicidio dai carabinieri di Savona mentre la donna, rianimata per diversi minuti, è ricoverata in condizioni critiche presso l’ospedale San Paolo di Savona.
La confessione e l’arresto
La violenta aggressione è avvenuta in un’abitazione del centro cittadino, dove il personale del 118 è intervenuto per rianimare la donna, vittima del tentativo di strangolamento. Immediato l’arrivo dei carabinieri. Il 42enne di origini albanesi, da anni residente a Savona, in preda alla disperazione ha confessato davanti ai militari di aver tentato di strangolare la moglie 31enne, fermandosi solo quando si era accorto che non respirava più.
Zerocalcare non andrà al Lucca Comics & Games. A dare la notizia è stato lo stesso fumettista sul suo profilo social. Il motivo, ha spiegato, è il patrocinio alla manifestazione dell’ambasciata israeliana in Italia. «Purtroppo per me rappresenta un problema» – ha scritto Zerocalcare – «in questo momento in cui a Gaza sono incastrate due milioni di persone che non sanno nemmeno se saranno vive il giorno dopo, venire a festeggiare lì dentro rappresenta un cortocircuito che non riesco a gestire. Mi dispiace nei confronti della casa editrice, dei lettori e lettrici e anche per me stesso».
«Un governo che sta perpetrando crimini di guerra»
«Sono stato a Gaza diversi anni fa, conosco persone che ancora ci vivono e persone che ci sono andate per costruire progetti di solidarietà, di sport, di hip hop e di writing», ha affermato nel post. «Quando mi chiedono com’è possibile che una manifestazione culturale di questa importanza non si interroghi sull’opportunità di collaborare con la rappresentanza di un governo che sta perpetrando crimini di guerra in spregio del diritto internazionale, io non riesco a fornire una spiegazione».
«Nessuna lezione o giudizio morale»
«Non è una gara di radicalità» – ha aggiunto – «e da parte mia non c’è nessuna lezione o giudizio morale verso chi andrà a Lucca, soprattutto non è una contestazione alla presenza dei due autori del poster Asaf e Tomer Hanuka, che spero riusciranno ad esserci e che si sentiranno a casa, perché non ho mai pensato che i popoli e gli individui coincidessero coi loro governi. Spero che un giorno ci possano essere anche fumettisti palestinesi che al momento non possono lasciare il loro paese». E ancora: «Lo so che quel manifesto è solo un simbolo, ma quel simbolo per persone a me care rappresenta in questo momento la paura di non vedere il sole sorgere domattina».
Stasera 28 ottobre 2023 andrà in onda sul canale Rete 4 alle ore 21.25 il film Rocky Balboa. Il regista è Sylvester Stallone che ha scritto anche la sceneggiatura. Nel cast, oltre allo stesso Stallone, ci sono Burt Young, Milo Ventimiglia, Geraldine Hughes e Antonio Tarver.
Rocky Balboa, trama e cast del film stasera 28 ottobre 2023 su Rete 4
La trama racconta la storia di Rocky Balboa (Sylvester Stallone) ormai ritirato dall’attività sportiva e lontano dai palcoscenici che aveva calcato come campione un tempo. Inoltre, Rocky sta affrontando un brutto periodo della sua vita perché la moglie Adriana, sua storica compagna, è morta a causa di un tumore. Nel frattempo, Rocky ha aperto un ristorante che si chiama Adrian’s e riesce a stupire i clienti con i suoi racconti e i suoi aneddoti. Un giorno in televisione viene effettuata una simulazione di un’eventuale scontro tra Rocky e il nuovo pugile del momento Mason Dixon (Antonio Tarver).
La simulazione da come vincente il pugile di origini italiane e ciò scatena la furia di Dixon che sfida pubblicamente Rocky a un incontro di pugilato. Anche se molto stanco e avanti con gli anni, Rocky sembra essere ferito nell’orgoglio e vorrebbe accettare la sfida, così da difendere il suo onore come atleta e pugile. Il figlio Robert (Milo Ventimiglia) e il cognato Paulie (Burt Young) cercano di consigliarlo e gli chiedono di evitare di tornare sul ring, continuando a gestire il ristorante in tranquillità. Ma Rocky non si è mai tirato indietro e sarà pronto a questo ultimo scontro epocale.
Rocky Balboa, 5 curiosità sul film stasera 28 ottobre 2023 su Rete 4
Rocky Balboa, un grande ritorno sullo schermo
In questo film ritorna l’attore Pedro Lovell che riprende il ruolo di Spider Rico: si tratta della seconda volta che l’attore interpreta questo personaggio visto che l’aveva già fatto nel primo film della saga, Rocky del 1976. Spider Rico è il pugile che Balboa sconfigge nella prima scena del film d’esordio.
Rocky Balboa, la mancata apparizione di un personaggio storico della saga
In questo film avrebbe dovuto fare un’apparizione anche il personaggio di Apollo Creed, interpretato dall’attore Carl Weathers. Tuttavia, prima della realizzazione della pellicola, Weathers fece causa a Stallone e alla casa di produzione MGM per il mancato pagamento di alcuni proventi derivanti dagli altri capitoli della saga del pugile. Per questa ragione, il personaggio di Apollo Creed non appare nel film.
Rocky Balboa, i flashback nella pellicola
Nel corso del film è possibile ammirare diversi flashback che derivano dalle scene dei vari film della serie Rocky. Si tratta di una vera chicca per tutti coloro che amano questo genere di film con Sylvester Stallone.
Rocky Balboa, la prima scena a essere girata
La prima scena a essere girata è stata quella dell’incontro tra Rocky Balboa e il suo sfidante Dixon. Questo perché Sylvester Stallone si era sottoposto a un duro allenamento durato 6 mesi ed era in perfetta forma all’inizio delle riprese. Dopo aver girato questa scena, Stallone avrebbe dovuto concentrarsi sul dirigere la pellicola come regista e difficilmente avrebbe mantenuto la forma fisica che aveva ottenuto grazie all’allenamento, ecco perché si decise in questo modo. In totale, le riprese sono durate 38 giorni.
Rocky Balboa, i quadri che si vedono nel film sono reali
Nel film si vedono diversi quadri che sono stati realizzati dal personaggio di Paulie. In realtà, l’attore che interpreta Paulie, il compianto Burt Young, ha realmente realizzato i dipinti perché era un avido pittore.
A far scattare l’allarme bomba in piazza del Colosseo, al centro di Roma, uno zainetto lasciato a terra. Secondo le prime informazioni, una persona lo avrebbe appoggiato allontanandosi subito dopo. L’area accanto al Colosseo era stata isolata. Sul posto sono intervenuti gli artificieri e diverse auto delle forze dell’ordine.
All’interno, delle bottigliette d’acqua
Poco dopo i controlli, la situazione è tornata alla normalità. Lo zaino all’interno conteneva delle bottiglie d’acqua e potrebbe essere stato abbandonato da qualcuno dei venditori abusivi presenti nella zona del Colosseo. Quando è stato tolto il nastro adesivo che interdiva la zona, i turisti hanno applaudito e hanno ripreso le visite nel parco archeologico.
Come riferito dalla polizia, il cadavere di Card è stato trovato intorno alle 19.45 locali di venerdì 27 ottobre. Gli agenti hanno comunicato la notizia alle famiglie delle vittime e alla famiglia del killer che è stata “molto cooperativa”. La polizia ha anche confermato che Robert Card è morto a causa di ferite che si è autoinflitto.
La perdita del lavoro e la fine della relazione
La notizia del ritrovamento era stata anticipata durante la notte dalla Cnn, citando fonti locali. Di recente l’uomo aveva perso il lavoro. Una perdita pesante che si era aggiunta – secondo indiscrezioni – alla fine di una storia sentimentale. Card, come riporta l’Ansa, sembra aver aperto il fuoco proprio nei luoghi che frequentava con la sua ex, la sala da bowling e un ristorante.
Un tizio, curiosamente lo stesso che ha scritto il libro dei due che si erano lasciati di cui parlavo qui la settimana scorsa, l’altra sera, mentre mi ordinava una media rossa al banco del bar, mi ha detto: «Ho appena finito di scrivere un pezzo torrenziale su Lou Reed. Sono esausto!». Inizialmente non ci avevo prestato molta attenzione. Sì, ok, sapevo che era in uscita una monumentale biografia di cui avevo letto da qualche parte ma non vedevo altri particolari motivi per dedicargli un pezzo fiume. Poi il tizio mi ha liquidato velocemente, perché ha visto seduto ai tavolini fuori un interlocutore più interessante di me, un editore credo, e a Lou Reed non ci ho più pensato. Poi la mattina dopo apro Facebook (ma lo usa ancora qualcuno Facebook?), e nella sezione “ricordi”, che tra l’altro essendo un vecchio nostalgico è l’unica che uso, mi accorgo, vedendo un post muto con sopra la “banana” dei Velvet Underground, che sono 10 anni esatti che è morto Lou Reed.
«Ma tu li conosci i Velvet Underground, fratello?», mi chiese una mattina d’inverno DFA, «hai mai ascoltato Transformer di Lou Reed?». Mentre dalle casse dello stereo di suo padre suonavano le note di Vicious a tutto volume. Fu per il me 20enne una specie di epifania
Da un po’ di settimane sto facendo una ricerca andando a comperare i vinili degli album che uscirono nel 1973, dischi che hanno fatto la storia della musica, di cui quest’anno si celebra il cinquantenario e che ancora oggi suonano pazzescamente bene. Tanto per intenderci nel 73 uscirono in ordine sparso: Dark side of the moon dei Pink Floyd, Selling England by the pound dei Genesis, il debutto di Tom Waits Closing Times, Quadrophenia degli Who, Head Hunters di Herbie Hancock, Let’s Get It On di Marvin Gaye, Aladdin Sane di David Bowie. Oltre a, naturalmente, Berlin di Lou Reed, album strepitosamente difficile ma bellissimo, che narrava la storia d’amore maledetta di due tossicodipendenti americani a Berlino. Album bollato dalla critica semplicemente come un disastro ma che successivamente, come era accaduto ad esempio ai Clash di Sandinista o ai Beastie Boys di Paul’s Boutique, venne rivalutato arrivando perfino a essere definito un capolavoro. Berlin emanava all’ascolto amore tossico, poesia, puzza di piscio che ristagna e malattia cattiva. Un disco che probabilmente racconta meglio di altri cosa fosse realmente Lou Reed, uno che, tanto per citare Lester Bangs «è la persona che ha dato dignità, poesia e una sfumatura di rock’n’roll all’eroina, alle anfe, all’omosessualità, al sadomasochismo, all’omicidio, alla misoginia, all’inettitudine e al suicidio».
La prima volta che ascoltai un disco di Lou Reed fu intorno al 2000, avevo 20 anni, vivevo un disagio psichico esistenziale senza precedenti e le mattine, piuttosto di andare a scuola, vagabondavo per la città senza meta, strafatto di hashish a braccetto con la mia inadeguatezza. Era un periodo abbastanza tragico anche perché la casa di mia zia dove abitavamo in Piazza Adigrat era appena stata ipotecata dalla banca e sapevamo che da lì a poco ce ne saremmo dovuti andare. Dove non era chiaro. Mia zia da un paio d’anni lottava con un cancro ai polmoni che l’aveva fiaccata nell’animo e soprattutto nel fisico e la situazione economica in famiglia era a dir poco disastrosa. Per salvare la casa era stato dato come garanzia il fondo fiduciario che avevo ereditato da mia madre, avevo personalmente chiesto un fido in banca ma non era bastato. Frequentavo la quinta liceo scientifico in un Istituto per disadattati rampolli di famiglie bene in Via Ferrante Aporti ma non riuscivo a stare seduto in classe per più di mezz’ora, così, di punto in bianco, smisi di andarci. Spesso mi rifugiavo nello studio che il padre di DFA aveva di fianco all’istituto per disadattati rampolli di famiglie bene e, con lui, ascoltavamo musica e ci imbottivamo di polveri e resine fino all’ora di pranzo.
Berlin emanava all’ascolto amore tossico, poesia, puzza di piscio che ristagna e malattia cattiva. Un disco che probabilmente racconta meglio di altri cosa fosse realmente Lou Reed, uno che, tanto per citare Lester Bangs, «è la persona che ha dato dignità, poesia e una sfumatura di rock’n’roll all’eroina, alle anfe, all’omosessualità, al sadomasochismo, all’omicidio, alla misoginia, all’inettitudine e al suicidio»
«Ma tu li conosci i Velvet Underground, fratello?», mi chiese una mattina d’inverno DFA, «hai mai ascoltato Transformer di Lou Reed?», aggiunse, mentre dalle casse dello stereo di suo padre suonavano le note di Vicious a tutto volume. Fu per il me 20enne una specie di epifania, mi feci masterizzare i due cd e iniziai ad ascoltarli a ripetizione per tutto il giorno, tutti i giorni. In particolare trovai The Velvet Underground and Nico assolutamente perfetto, perché si sposava con il mio stato interiore, simile al disastratissimo studio nel Greenwich Village di Nyc dove fu registrato e perché, in definitiva, ero sempre fuori come una scimmia. Venus in Furs, Sunday Morning, i deliri di Heroin e di Run run run accompagnavano le mie giornate distorte e le mie disturbatissime notti, durante le quali con uno spino tra le labbra e completamente nudo, incidevo sulle pareti della casa di Piazza Adigrat, con un affilatissimo coltello da cucina, ovunque la frase: LA TUA CASA È MIA!
Dieci anni fa invece quando Lou Reed morì lavoravo per Rolling Stone e con Alb già conducevamo un format sperimentale di radio itinerante chiamato Juke Box on the Rocks. Avevamo liquidato l’ultimo album prodotto dal Re di New York con i Metallica, mi pare si chiamasse Lulu, come pura spazzatura ma, pochi giorni dopo la sua morte, a un party di Halloween dietro Porta Genova dove eravamo andati a trasmettere, aprimmo il programma con Walk on the wild side e gli dedicammo la puntata. Ricordo anche che disannunciando il pezzo dissi: «E lo sapete chi suonava il basso in questo disco di Lou Reed? Un ragazzino di nome David Bowie!».
Per corroborare la retorica contro l’immigrazione il governo Meloni ha scelto, intanto, di investire sui centri di detenzione. Una non-soluzione del genere consente nel breve periodo di cavalcare i sentimenti al limite della xenofobia che servono per tenere buoni gli elettori più affamati che hanno dovuto ingoiare l’impennata estiva di sbarchi. Nelle intenzioni del governo la costruzione di nuovi Cpr (i centri di permanenza e di rimpatrio) dovrebbe avere lo stesso effetto di una caserma dei carabinieri costruita in una movimentata periferia per rassicurare i passanti sulla presenza dello Stato. Fa niente che secondo i dati Eurostat l’Italia sia fanalino di coda nel secondo trimestre del 2023 con soli 735 rimpatri, mentre la Germania nello stesso periodo ne ha effettuati 2.700 seguita da Francia, Svezia e Grecia. Al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi toccherebbe spiegare che le principali nazioni di appartenenza dei migranti rimpatriati sono Georgia, Albania, Moldavia, Turchia e India, mentre i Paesi di provenienza della maggior parte dei migranti che raggiungono le coste italiane sono quelli dell’Africa mediterranea e dell’Africa subsahariana: Tunisia, Egitto, Guinea e Costa d’Avorio. Si tratta di Stati che spesso non hanno stretto alcun accordo con Roma per i rimpatri, nonostante il gran daffare della presidente del Consiglio nei suoi viaggi internazionali in nome del cosiddetto piano Mattei.
Niente igiene né privacy: «Un processo di deumanizzazione»
Per avere un’idea di cosa siano i Cpr si può leggere il recente dossier dell’associazione Naga e della rete Mai piu? Lager – No ai Cpr che ha spiato dal buco della serratura il centro di Milano in un periodo di osservazione da maggio 2022 al maggio 2023. Il dossier descrive l’ostruzionismo opposto a qualsiasi tentativo di accesso sia fisico sia virtuale al Cpr e tutto quello che abbiamo potuto (intra)vedere: da fuori e da dentro. Cosa accade in un Cpr? Appena arrivate, le persone – si legge nel rapporto – vengono sottoposte a una visita medica, spogliate nude e obbligate a fare flessioni per espellere eventuali oggetti dall’ano, alla presenza del personale medico e di agenti di polizia. La visita medica si riduce alla domanda «come stai?». Niente esami, niente visite. A quel punto ogni nome diventa un numero, in quello che nel report viene definito «un evidente processo di deumanizzazione». Il racconto del trattenimento “tipo” e? caratterizzato dallo squallore dei miserrimi moduli abitativi e dei servizi, passando per la totale mancanza di igiene e privacy dei bagni per arrivare ai pasti impresentabili e farciti di vermi. Lenzuola di carta, armadietti a vista murati e senza ante, bagni e docce senza porte (solo separe? di plastica bianca, aperti in alto e in basso); l’acqua corrente, a periodi e? solo gelata o solo bollente, cartelli di “acqua non potabile” compaiono e poi scompaiono.
Una prigionia tra fame, crisi epilettiche e tentativi di suicidio
Nelle stanze e nel cortile il freddo e? pungente o il caldo e? asfissiante. Il cortile e? coperto da plexiglass che fa da tetto e cio? ha come risultato che e? impossibile fruire di reali spazi aperti e si crea invece un “salutare” effetto serra. E ancora, la fame, le sedie di metallo inchiodate a terra, un tavolo unto e appiccicoso, piccioni che pasteggiano sul pavimento tra gli avanzi di cibo in sala mensa, sbarre sbarre sbarre, il portone metallico pesante della prigione, che si chiude. Il dossier conduce nell’abisso della zombizzazione delle persone trattenute, abbandonate, inascoltate nelle loro necessita? e nei problemi di salute anche gravi. Nel rapporto si legge una quotidianità fatta di pugni sul portone, grida, richieste di aiuto, calci sferrati alla porta, persone sanguinanti, altre che cadono a terra, crisi epilettiche, tentativi di suicidio, ingestione di lamette, pile, tappi, incendi, fumo, migranti costretti a dormire in terra, stare male. Nessuna cura tempestiva, nessuna attenzione, nessun aiuto.
Persone giovani, sane e forti trasformate in zombie scoloriti
Gli avvocati parlano di persone giovani, sane e forti si trasformano in poche settimane in zombie scoloriti e disorientati dagli psicofarmaci. Accade così il capolavoro della più disumana inettitudine politica: «J.M. viene dichiarato inidoneo al trattenimento», si legge, «a seguito di visita oncologica di cui non vi e? traccia nei documenti inviatici. Il suo rilascio e? avvenuto solo dopo che il suo avvocato aveva richiesto la cartella clinica, che non gli e? stata inviata, e grazie all’intervento del Garante nazionale dei diritti delle persone private della liberta? personale. Dopo essere stato liberato, il paziente e? stato certificato come talmente grave che, ai sensi della normativa vigente, non puo? essere rimpatriato».
Costruire un Panopticon, ossia l’incarnazione della sorveglianza totale
Secondo alcune indiscrezioni pubblicate da Domani l’idea del governo sarebbe quella di realizzare strutture circolari a moduli, come le carceri. Saranno nove in tutto. Emergono anche le località selezionate da Piantedosi e Guido Crosetto: da Ferrara a Castel Volturno fino a Bolzano e Aulla in Toscana. Ciascuno costerà almeno 2 milioni di euro e avranno una forma circolare. Con moduli abitativi da assembleare e un Panopticon. Ossia l’incarnazione della sorveglianza totale. Per realizzarli ci vorranno due anni. E i costi supereranno ampiamente quelli previsti dal decreto che li istituisce. Poiché in Italia i diritti umani diventano argomento politico solo dopo la loro violazione ciò che sta accadendo è un’inchiesta che sembra venire dal futuro. Chissà se c’è qualcuno che riesce a leggerla in tempo.
La sedicenne Armita Garawand, in coma da 28 giorni per essere stata picchiata dalla “polizia della morale” per aver indossato male il velo, è morta. La conferma arriva dai media iraniani. L’aggressione era avvenuta lo scorso 1 ottobre, mentre la ragazza si trovava in un vagone della metropolitana di Teheran.
Era stata dichiarata la morte cerebrale
Le condizioni di Armita erano apparse da subito gravi, tanto che i medici, già lo scorso 22 ottobre avevano parlato di “morte cerebrale”. Da quando era stata ricoverata all’ospedale Fajr della capitale iraniana, il quadro clinico della sedicenne era peggiorato. La sua morte avviene dopo circa un anno dalla morte della ventiduenne Mahsa Amini, uccisa per lo stesso motivo.
Ha ucciso la moglie, colpendola alla gola, poi ha lasciato la figlia piccola a un collega e si è tolto la vita buttandosi da un silos. È successo sabato 28 ottobre a Rivoli, in provincia di Torino, in un appartamento di via Montebianco.
Prima del suicidio, ha lasciato la bambina a un collega
Secondo una prima ricostruzione, dopo aver compiuto il gesto, l’uomo ha poi preso la figlia piccola ed è andato a lavoro, in uno stabilimento a Orbassano, sempre nel Torinese, lo stesso in cui si è ucciso. Indagano i carabinieri.