Daily Archives: 29 Ottobre 2023

Le menzogne di Trump e i rischi per l’Europa

Truccato, rubato, un imbroglio. Tutti i giorni Donald Trump continua a definire così il voto del 2020, vinto dall’attuale presidente Joe Biden, e continuerà a farlo fino al prossimo voto presidenziale fra un anno esatto, quando spera di vincere e vendicarsi. E potrebbe farcela, perché tra il 30 e il 40 per cento degli americani, con vari livelli di certezza, continua a credergli. Rigged, truccato, è il suo termine preferito. La Corte Suprema che fino all’ultimo da presidente aveva infeudato con giudici “amici” gli ha dato torto nel dicembre 2020 in un procedimento d’urgenza avviato dai repubblicani del Texas per invalidare il voto in quattro Stati-chiave e portarli via a Biden; in dozzine di cause legali aperte dai suoi fedelissimi su presunti brogli in vari Stati ha sempre perso, con ricostruzioni fantasiose di casse di voti artefatti comparsi dal nulla smontate da giudici spesso di nomina repubblicana; e nell’aprile scorso Fox News di Rupert Murdoch, suo grande sostenitore, che aveva rilanciato la sua accusa di trafugamento di voti fatto con i computer elettorali della Dominion Voting Systems, secondo lui legata a George Soros, è stata condannata a pagare a Dominion un risarcimento di 787 milioni di dollari, perché persino le mail interne dei dirigenti di Fox esprimevano seri dubbi sulla credibilità del tutto. Ma non fa nulla, il 6 gennaio 2021, con l’attacco scomposto e violento al Congresso, è ora «una bella giornata».

Le menzogne di Trump e i rischi per l'Europa
Trump al processo per frode a New Tork (Getty Images).

The Donald parla all’America anti-sistema per la quale le sue menzogne sono la verità

Raramente l’Europa ha avuto così tanto in gioco in un’elezione americana. Finite le speranze del dopo Guerra Fredda, l’Europa ha una guerra in casa, in Ucraina, e sul problema storico dei rapporti difficili con la Russia non ci sono illusioni. Finora, e da oltre 70 anni, l’equilibrio si chiama Nato. Con Trump di nuovo a Washington, e con Putin che già apertamente lo sostiene, tutto si complicherebbe, e molto. Con Trump la politica è diventata il trionfo della menzogna perché ciò che conta è “caricare” la base ogni giorno. È questa la verità suprema. Mente su tutto, come fa da sempre anche prima della politica, e la sua credibilità è a zero, ma parla a un’America diventata anti-sistema, convinta che sia giusto rispondere con il falso alle falsità che Washington produce a getto continuo, perché il falso di Trump è il vero. È una crisi mentale e morale non solo americana, l’Europa ne ha dato di recente vari esempi, Italia compresa, ma oltre Atlantico ha raggiunto il parossismo. Ed è arrivata al cuore del sistema, con il voto del 2024 destinato a dare il giudizio finale. Se vince Trump si apre una crisi culturale di immensa portata, perché l’America è un Paese ideologico nato attorno alla Costituzione del 1789, mentre le nazioni europee, ad esempio, esistevano con forti legami storici anche ben prima delle loro prime carte costituzionali. Senza il rispetto di principio della legge suprema invece, non c’è più America. Due importanti procedimenti, uno federale a Washington e uno statale ad Atlanta, sui fatti drammatici del 6 gennaio 2021 e sulle forti pressioni per cambiare il voto in Georgia, dovrebbero imporre la forza della legge. Ma non è ancora chiaro il risultato. È chiaro invece che la decisione finale, condanna o trionfo, spetterà agli elettori fra un anno. Preoccupa il giudizio del senatore dello Utah Mitt Romney, sfidante di Barack Obama nel 2012, uno dei pochi repubblicani a non essersi mai inchinato a Trump, convinto che «una porzione notevole del partito in realtà non crede alla Costituzione». È una scelta, la fedeltà a Trump che disprezza la legge suprema viene prima. Per questo nel discorso di commiato, a fine settembre, il massimo capo militare, il generale Mike Milley, ha detto con forza: «Noi giuriamo sulla Costituzione, e non per un aspirante dittatore».

Le menzogne di Trump e i rischi per l'Europa
Trump a un evento elettorale in New Hampshire, il 23 ottobre 2023 (Getty Images).

Trump con lo speaker Mike Johnson sfiderà le istituzioni Usa

È impossibile con un anno di anticipo azzardare pronostici sul voto del 2024. Vincere potrebbe essere per Trump più difficile che nel 2016, perché scalzare un presidente in carica non è semplice per uno sfidante molto forte con un terzo dell’elettorato, ma molto debole con il resto. Ma quanto accaduto in questi giorni alla Camera federale invita a non sottovalutare Trump. Alla Camera i repubblicani hanno una maggioranza risicatissima e poiché i deputati sono sempre sotto elezione, con un mandato solo biennale, tutti temono le primarie nei collegi e la forza della base trumpiana. In un ottobre di fuoco, la Camera ha cacciato il suo presidente, il repubblicano Kevin McCarthy, trumpiano tiepido; il gruppo repubblicano ha poi bruciato in poche ore le ambizioni del suo capogruppo Steve Scalise, anche lui tiepido; si è fatto avanti il puro e duro Jim Jordan, un puro MAGA (Make America Great Again), che nei giorni dell’assalto al Campidoglio fu il volto del trumpismo al Congresso, ma non ce l’ha fatta, perché i sempre prudenti non trumpiani doc sono comunque riusciti a bloccarlo; terzo, un altro tiepido, il vice di Scalise, Tom Emmer, bloccato con da Trump in persona in quanto troppo poco trumpiano; e alla fine è emerso Mike Johnson, avvocato della Louisiana, non meno vicino a Trump di Jordan, anche se con uno stile soft e non urlato. Ultraconservatore su tutto il fronte, contrario agli aiuti all’Ucraina, l’ignoto Johnson è ora dopo il vicepresidente Kamala Harris il terzo in linea di successione e la più alta carica dopo quella presidenziale.

Le menzogne di Trump e i rischi per l'Europa
Il giuramento di Mike Johnson, speaker della Camera (Getty Images).

Se Jordan era il volto della rivolta del gennaio 2021 alla Camera, Johnson ne fu la mente, e fu lui a raccogliere le firme di oltre il 60 per cento dei deputati repubblicani a favore del ricorso texano alla Corte Suprema per annullare il vantaggio elettorale di Biden in Georgia, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Sicuramente Trump vorrà farne un emblema del futuro prossimo e una sfida istituzionale al potere della Casa Bianca democratica. La regola repubblicana da quasi mezzo secolo, dai tempi di Newton Gingrich che così voleva spezzare il dominio ininterrotto dei democratici dal ’54 al ’94, è opposizione totale a qualsiasi mossa dell’avversario. Sul seggio più alto della Camera siede quindi una bandiera della vittoria tradita e un ambiguo difensore della Costituzione. Parlando di Jordan, ma lo stesso vale per Johnson, scrive Ronald Brownstein su The Atlantic: «La sua ascesa, come l’ampia leadership di Trump nella corsa per la nomination repubblicana, dimostra che per la prima volta dalla Guerra Civile il fattore dominante in uno dei due maggiori partiti non è più legato ai principi della democrazia così come il Paese li ha conosciuti finora». Al voto trumpiano non importa nulla dell’Ucraina, dell’Europa e del resto del mondo. Il populismo americano, quello di destra in particolare, è sempre stato isolazionista, e la demagogia non ama la storia, che può sempre contraddirla.

Le menzogne di Trump e i rischi per l'Europa
Donald Trump (Getty Images).

L’Europa potrebbe dover fare i conti con il menefreghismo del tycoon

Lo studio degli archivi sovietici fatto negli Anni 90, quando furono aperti, ha documentato come il progetto di Mosca fosse il controllo dell’Europa, come zona d’influenza, fino alla Manica. Putin ricalca quelle orme. L’ambasciatore a Mosca Averell Harriman scriveva nel settembre 1944, rispondendo a una richiesta di Washington circa i progetti di Stalin sul controllo diretto di Polonia e altri: «Quello che mi spaventa, tuttavia, è che quando un Paese incomincia a estendere la sua influenza con metodi forti oltre i propri confini in nome della propria sicurezza è difficile capire dove si può tracciare una linea di demarcazione…Se si accetta la politica che l’Unione Sovietica ha il diritto di entrare per motivi di sicurezza nei Paesi immediatamente confinanti, la penetrazione in altri Paesi successivamente confinanti diventa a un certo punto ugualmente logica». Tutto questo Biden, che si è sempre occupato di Europa, lo sa. Trump non lo sa e non potrebbe importargliene di meno. L’establishment diplomatico, di intelligence e militare americano lo sa e questo pesa. I trumpiani lo ignorano e vogliono ignorarlo. E per gli europei si tratta di questioni vitali, che le menzogne di Trump non scalfiscono, perché con l’Ucraina l’ombra di che cos’era l’Europa quasi 80 anni fa ha ripreso ad agitarsi.

Tennis, Jannik Sinner vince il torneo di Vienna

È terminata con la vittoria di Sinner la finale del torneo Atp 500 di Vienna contro Daniil Medvedev, con lo score di 7-6(7), 4-6, 6-3 dopo 3 ore e 4 minuti di gioco. L’altoatesino, reduce dalla vittoria del 28 ottobre su Andrej Rublev, si è imposto dopo una partita non facile, vinta anche grazie alla sua tenuta mentale. Per l’azzurro è il decimo titolo in carriera, eguagliato Adriano Panatta.

«Tra le cinque partite più belle della mia vita»

Le parole di Sinner dopo la finale: «È stata una lotta fisica e mentale. Ho giocato bene nel primo set, sono riuscito a rientrare quando lui era avanti di un break. Nel secondo set lui ha cercato di allungare gli scambi, nel terzo ho avuto tante palle break e sono riuscito a sfruttarle. Sono contento di come ho gestito il match. È tra le prime cinque partite della mia vita. Giocare finali è speciale, soprattutto contro Daniil con cui ho perso tante volte. La vittoria a Pechino mi ha dato fiducia, ma stavolta è stato diverso perché mi sono adattato».

Medvedev: «Spero di giocare altre finali con te»

«Congratulazioni Jannik, a te e il tuo team. Spero di giocare altri finali con te. Il risultato non è quello che avrei voluto, spero di fare meglio la prossima volta» ha detto il russo Daniil Medvedev al vincitore.

Report stasera su Rai 3, tra Desideri Sauditi e rifiuti pericolosi

Stasera 29 ottobre 2023 alle ore 20.55 andrà in onda sul canale Rai 3 la nuova puntata della trasmissione Report, condotta come sempre da Sigfrido Ranucci. Questa sera il programma si concentrerà sulle trame dell’Arabia Saudita e del Principe bin Salman che da tempo sta cercando di fare affari con l’Italia, in particolare per quanto riguarda il mondo dello sport. Spazio anche alla gestione rifiuti nel Veneto e alla condizione degli autisti dei bus sul territorio. La puntata sarà disponibile on demand e in streaming anche sulla piattaforma Rai Play.

Stasera andrà in onda una nuova puntata di Report, ecco le anticipazioni sulla trasmissione presentata da Sigfrido Ranucci.
Il conduttore Sigfrido Ranucci (X).

Report, le anticipazioni della puntata di stasera 29 ottobre 2023 su Rai 3

La prima inchiesta di questa sera che andrà in onda per Report si intitola Desideri Sauditi ed è stata realizzata da Daniele Autieri in collaborazione con Federico Marconi e Carlo Trecce. L’inchiesta parlerà dell’influenza che l’Arabia Saudita del Principe bin Salman sta avendo sull’Europa. In questi anni, l’Arabia Saudita sta cercando di stringere legami con l’Italia non solo dal punto di vista finanziario ma anche in ambito sportivo. Infatti, il sogno del principe sarebbe quello di disputare i Mondiali di Calcio in terra saudita, collaborando con l’Egitto e con l’Italia stessa. Oltre a ciò, sembra che l’Arabia Saudita abbia presentato, con una strategia opaca e decisamente poco chiara, la candidatura per l’assegnazione dell’Esposizione Universale 2030 che si deciderà ufficialmente il prossimo 28 novembre a Parigi. Report cercherà di fare chiarezza sui piani del paese per ottenere la leadership in campo geopolitico e mostrerà agli spettatori testimonianze inedite e documenti esclusivi.

La seconda inchiesta si intitola La tragedia del bus ed è stata realizzata da Giulia Presutti con la collaborazione di Lidia Galeazzo e Andrea Tornago. Quest’inchiesta analizza l’incidente avvenuto a Mestre lo scorso 3 ottobre, nel quale a causa della caduta di un bus elettrico da un cavalcavia persero la vita 21 persone. Il team di Report ha cercato di ricostruire la dinamica dell’incidente e cercherà di rispondere ad alcune domande ancora aperte: perché la continuità della barriera del cavalcavia era interrotta da un’apertura che si è rivelata fatale? E perché il bus, che era guidato da un autista esperto, negli ultimi metri sembrava essere totalmente fuori controllo? La Presutti e i suoi collaboratori hanno fatto verifiche sulla società che possedeva il bus, la Martini Bus, controllata da La Linea SpA, e sul comune di Mestre che nel tratto di strada dell’incidente stava procedendo con dei lavori per la messa in sicurezza del viadotto. Inoltre, per l’incidente la procura di Mestre ha iscritto nel registro degli indagati due tecnici del Comune e l’AD di La Linea.

Report, le altre inchiesta della puntata di stasera 29 ottobre 2023 su Rai 3

Un’altra inchiesta che completerà la puntata di Report si intitola Falde e faldoni ed è stata realizzata da Lucina Paternesi con la collaborazione di Giulia Sabella. Il team ha fatto un viaggio in Veneto e si è soffermato sul l’unico luogo nel quale viene prodotto il pregiato riso vialone nano IGP: Sorgà, in provincia di Verona. Nonostante la qualità del riso prodotto, tra una coltivazione e l’altra, incombono le ruspe che stanno lavorando per realizzare una discarica di rifiuti speciali non pericolosi: il car fluff, un pulviscolo che contiene gli elementi delle auto rottamate che non si possono riciclare.

Com’è possibile che la Regione Veneto abbia dato il permesso per un progetto simile? A questa domanda cercherà di dare una risposta il team di Report. Oltre a ciò, al piccolo comune di Sorgà è toccato fare dei lavori per i rilievi della falda acquifera ma il tutto è stato fermato dal Tar che dovrà decidere sul futuro della discarica in provincia di Verona. Ma tutto questo quanto è costato all’amministrazione? Anche su questa domanda Report cercherà di dare una risposta.

In vendita la casa del film Il ragazzo di campagna

La casa in cui Renato Pozzetto ha girato il film Il ragazzo di campagna è stata messa in vendita. Situata a Gambolò, frazione Molino Isella in provincia di Pavia, è apparsa da qualche giorno sul portale di annunci Immobiliare.it.

L’annuncio del casolare in vendita

A evidenziare nell’annuncio che si tratta dell’immobile in cui è stato girato il film di Castellano e Pipolo, sono stati gli stessi venditori. Ad accompagnare le foto, la frase: «Un’occasione unica per acquistare la casa che ha fatto la storia del cinema italiano! Situata all’interno dell’area protetta del Parco del Ticino, questa casa indipendente è stata il set cinematografico del film ‘Il ragazzo di campagna’ con Renato Pozzetto».

Il prezzo del casolare

L’intera proprietà, comprensiva di giardino, è in vendita per 380.000 euro. Costruita nei primi del Novecento, si legge sull’inserzione, da visura ha una superficie di 206 mq, di cui 173 mq sono interni. È composta da soggiorno, cucina abitabile, camera da letto, studio con cabina armadio e soppalco, bagno e sgabuzzino. Gli interni sono in stile rustico, con travi a vista, tavelle sabbiate in cotto e pavimenti sempre in cotto. noltre, prosegue il testo dell’annuncio, la casa è stata completamente ristrutturata nel 2013, mantenendo le caratteristiche originali.

Roma, scoppia la protesta al carcere minorile di Casal Del Marmo

Piccoli roghi, danneggiamento dei materassi e di alcuni oggetti: è il bilancio della protesta dei detenuti nella sezione del carcere minorile di Casal Del Marmo. I disordini, avvenuti nella notte tra sabato 28 e domenica 29 ottobre, sono stati subito placati dagli agenti delle forze dell’ordine presenti nell’istituto.

Clima teso tra detenuti e direttrice

Secondo quanto riportato da Repubblica, già dal mese di maggio, all’interno della struttura carceraria si sarebbe instaurato un clima molto teso tra i detenuti e la neo direttrice dell’istituto, in particolare per come la responsabile gestirebbe le sanzioni e le punizioni ai detenuti.

Fns Cisl: «Garantire la tutela del personale»

Il segretario generale della Fns Cisl del Lazio, Massimo Costantino, in una nota: «La Fns Cisl Lazio chiede una forte azione da parte dell’amministrazione penitenziaria nei confronti del personale di polizia penitenziaria, comandanti, direttori inclusi, e una vicinanza maggiore alle richieste di aiuto che pervengono da una realtà già di per se difficile e peggio ancor provata da frequenti episodi con un invio consistente e concreto di unità di Polizia Penitenziaria tale da garantire, anche, la tutela del personale tutto».

L’annuncio di Kyiv: trecentomila soldati russi uccisi dall’inizio della guerra

Secondo quanto rivelato dallo stato maggiore delle Forze armate di Kyiv, il bilancio dei soldati russi uccisi in Ucraina dall’inizio della guerra ha sfiorato, fino sabato 28 ottobre, la soglia dei 300 mila. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha però affermato che i due schieramenti sarebbero «in una situazione di grave stallo» aggiungendo, come riportato dal Guardian, che «nessuno può fare nulla per rafforzare o far avanzare sostanzialmente la propria posizione».

La nuove versione del drone kamikaze

I media statali russi hanno riferito che più di 100 soldati ucraini sono stati uccisi a Yuzhno-Donetsk nelle ultime 24 ore. L’Institute for the Study of War ha rivelato che le forze russe starebbero utilizzando una nuova versione del drone kamikaze Lancet. In un report, l’intelligence britannica ha affermato che il governo di Putin starebbe vietando agli atenei di parlare di trend politici negativi.

The Great Debaters – Il potere della parola stasera su Rai Movie: trama, cast e curiosità

Stasera 29 ottobre 2023 andrà in onda il film The Great Debaters – Il potere della parola su Rai Movie alle ore 21.10. Il regista è Denzel Washington mentre la sceneggiatura è stata scritta da Suzan-Lori Parks e Robert Eisele. Nel cast, oltre a Denzel Washington, ci sono Jurnee Smollet, Forest Whitaker, Jermaine Williams e Nate Parker.

The Great Debaters - Il potere della parola è il film che andrà in onda stasera su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità.
Una scena con Denzel Washington (X).

The Great Debaters – Il potere della parola, trama e cast del film stasera 29 ottobre su Rai Movie 

La trama racconta la storia di Mel Tolson (Denzel Washington), un docente del Wiley College che vive in Texas nel 1935. Il docente da sempre è impegnato per combattere le discriminazioni e si impegna nel difendere i diritti degli afroamericani. Dopo un duro scontro verbale con 360 studenti, Tolson ha un’idea: quella di formare un gruppo di dibattito all’interno del college, così da istruire una nuova generazione di studenti a difendersi verbalmente, evitando scontri e critiche senza fondamento. Al gruppo si uniscono subito 4 «debaters»: Hamilton Burgess (Jermaine Williams), Samantha Brooke (Jurnee Smollet), Henry Lowe (Nate Parker) e James Farmer Junior (Henry Whitaker).

Quest’ultimo è il figlio del rinomato professor Farmer (Forest Whitaker) colui che diventerà un punto di riferimento e una figura chiave per la lotta ai diritti degli afroamericani. Il gruppo, dopo qualche difficoltà per i caratteri diversi dei suoi componenti, diventerà sempre più unito e si distinguerà per la sua capacità di intraprendere dibattiti e soprattutto di vincerli. Inoltre, il professor Tolson li aiuterà a credere in principi sani e a sfidare le opposizioni razziali del tempo.

The Great Debaters – Il potere della parola, 5 curiosità del film stasera 29 ottobre su Rai Movie

The Great Debaters – Il potere della parola, una particolare curiosità sul nome di un attore

Nel cast è presente l’attore Denzel Whitaker che interpreta il figlio dell’attore Forest Whitaker. Nella realtà, l’attore non ha alcun grado di parentela con quest’ultimo né con Denzel Washington, protagonista della pellicola. Tuttavia, i suoi genitori gli diedero questo nome in onore dell’attore Washington.

The Great Debaters – Il potere della parola, un noto rapper poteva essere nel film

A quanto pare, un noto rapper avrebbe fatto un provino per entrare a far parte del cast del film: si tratterebbe di Drake ma la produzione ha scartato la sua candidatura come attore.

The Great Debaters – Il potere della parola, la donazione di Denzel Washington

Dopo aver preso parte a questo film, l’attore e protagonista Denzel Washington ha deciso di donare al Wiley College circa 1 milione di dollari affinché potesse essere riaperto il noto gruppo di dibattito.

The Great Debaters - Il potere della parola è il film che andrà in onda stasera su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità.
Una scena della pellicola (X).

The Great Debaters – Il potere della parola, un permesso speciale per le riprese

Questo è il primo lungometraggio dal 1979 a ottenere un permesso speciale per le riprese: la troupe ha infatti potuto filmare le varie scene all’interno dell’esclusivo campus di Harvard.

The Great Debaters – Il potere della parola, gli incassi della pellicola

Il film è stato realizzato con un budget di circa 15 milioni di dollari. Al cinema ha ottenuto un buon risultato, visto che stando a quanto riportato dal portale Box Office Mojo, ha incassato circa 30 milioni di dollari.

Stefano Tacconi lascia l’ospedale, le parole della moglie Laura e del figlio Andrea

L’ex portiere della Juventus e della Nazionale, Stefano Tacconi, sabato 28 ottobre è stato dimesso dall’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, dove era ricoverato dal 21 giugno scorso per proseguire la riabilitazione dopo l’emorragia cerebrale che lo aveva colpito nell’aprile del 2022. Come riportato dall’Ansa, prima di partire, in compagnia della moglie Laura e del figlio Andrea, Tacconi ha incontrato tutti gli operatori dell’unità di Medicina Fisica e Riabilitativa, salutando medici, infermieri, fisioterapisti e personale sanitario.

«È stato da stimolo per gli altri»

«Stefano è un uomo forte ha affrontato il percorso riabilitativo con tanta tenacia. È stato da stimolo e da esempio per gli altri e i risultati si sono visti» ha spiegato il primario Domenico Intiso. «Ha colto sempre di buon grado anche il fatto che molti si avvicinassero per delle foto con lui o per scambiare due chiacchiere  Questo suo lato umano è andato sempre migliorando nel tempo. Io con lui scherzavo molto sulle nostre differenti fedi calcistiche. Mi diceva sempre col sorriso: ‘A me che sono juventino proprio un medico interista doveva capitarmi» ha sottolineato Michele Gravina, medico fisiatra, che lo ha conosciuto in questi mesi.

I ringraziamenti della famiglia

La moglie di Stefano, Laura Speranza, ha ringraziato l’intero ospedale Casa Sollievo con queste parole: «Ringrazio tutti, i medici, i fisioterapisti, gli infermieri, gli operatori sociosanitari e i religiosi che ci sono stati sempre vicini. Stefano tornerà a casa a Milano dove proseguirà la riabilitazione. Ma ci torna con una grande carica emotiva e fisica. A San Giovanni Rotondo abbiamo trovato veramente un mondo di emozioni, di aiuto, di forza. Sia da parte della scienza, sia da parte della fede, con Padre Pio, al quale, come sapete, siamo sempre stati molto devoti. Torniamo a Milano con tutto questo nel cuore e nella mente».

Il figlio: «Finisce un incubo»

«Finalmente finisce un incubo durato quasi due anni. Ieri è stata una grande emozione vedere papà finalmente fuori dall’ospedale. Ovviamente dovrà continuare a Milano un percorso di mantenimento ma si parla di un paio d’ore a settimana», ha detto Andrea, figlio di Stefano Tacconi. «Abbiamo lottato con lui fino ad oggi» – riporta l’agenzia – è un traguardo di tutta la famiglia, non ci siamo mai abbattuti e ci siamo dati supporto a vicenda. Ringrazio le tantissime persone che ci sono state vicine in questo percorso».

Bari, capotreno difende una donna aggredita dal compagno e viene picchiato

Un capotreno delle Ferrovie Sud Est, Vito Carrassi, di 36 anni, ha difeso una ragazza che veniva picchiata dal suo compagno con calci e pugni, nella stazione del quartiere Japigia a Bari. Il 36enne è stato poi a sua volta aggredito dall’uomo quando si è accorto che il capotreno aveva chiamato la polizia.

Nessuno ha fatto nulla

L’aggressione è avvenuta nel pomeriggio di giovedì 26 ottobre. Il capotreno ha cercato di far ragionare l’aggressore che non ha gradito l’intromissione del 36enne, colpito con alcuni pugni che gli hanno procurato un trauma cranico. Sui social, la compagna di Carrassi ha sottolineato che all’aggressione della donna hanno assistito altre persone che non hanno fatto nulla, a differenza di «Vito che ha dei valori e che non si volterebbe mai dall’altra parte».

Nintendo, le presunte mire di Microsoft e il soft power del Giappone

Basta pronunciare il nome Nintendo e il pensiero va subito alle console e ai videogiochi più iconici dell’ultimo trentennio: Nintendo 64, Game Boy e Nintendo Switch, e ancora Super Mario Bros, Pokémon e Animal Crossing. La “fabbrica della fantasia” del Giappone, nonché il più potente esportatore di soft power dell’Asia, in queste ultime settimane è finita sotto i riflettori per una ragione che non ha niente a che vedere con i successi passati. Da un leak di e-mail diffuse per errore in Rete da Microsoft, è parso che la casa di Redmond avesse messo gli occhi sulla grande N con sede a Kyoto. Si è parlato infatti di una possibile acquisizione da parte del colosso Usa. Indiscrezione però smentita da Doug Bowser, presidente di Nintendo of America, che in un’intervista a Inverse ha ribadito che tra le due compagnie c’è una solida partnership.

Nintendo, le presunte mire di Microsoft e il soft power del Giappone
Giocatori di Nintendo Switch (Getty Images).

La N che fa grande il Giappone

Nintendo e Giappone sono un binomio pressoché inscindibile. Per anni la società ha offerto al mondo il volto più cool del Sol Levante, aiutandolo a diventare una potenza dell’intrattenimento. Dall’altro lato, le istituzioni nipponiche hanno contribuito e contribuiscono tuttora al sostentamento della multinazionale, la cui forma societaria, kabushiki-kaisha, può essere definita una sorta di società per azioni. A controllare Nintendo infatti sono The Master Trust Bank of Japan (17,05 per cento), Custody Bank of Japan (5,97 per cento), The Bank of Kyoto (4,16 per cento) e il fondo Nomura (3,59 per cento), oltre a JPMorgan Chase (9,90 per cento) e altri stakeholder. In primis, il Public Investment Fund (PIF), il fondo sovrano dell’Arabia Saudita, arrivato a controllare circa l’8 per cento delle azioni della società, in una scalata iniziata nel 2021. La compagnia che spopola a ogni latitudine è stata fondata nel 1889 da Yamauchi Fusajiro come produttrice e distributrice di carte da gioco. È però soltanto a partire dagli Anni 70 che Nintendo ha fatto breccia nel mondo dei videogiochi. Un’idea vincente confermata dai numeri, visto che dal decennio successivo in poi il gruppo ha sfornato oltre 750 milioni di console e più di 3,5 miliardi di copie di videogiochi direttamente sviluppati. Nell’anno fiscale 2022/2023, terminato a marzo, il colosso ha inoltre segnato un utile di 2,92 miliardi di euro e un fatturato di oltre 10 miliardi.

Nintendo, le presunte mire di Microsoft e il soft power del Giappone
Shuntaro Furukawa (Getty Images).

Perché Nintendo è un asset strategico per Tokyo

Il colosso dei videogiochi, dal 2018 presieduto da Shuntaro Furukawa, detiene la proprietà intellettuale di intrattenimento più preziosa al mondo, escludendo il pianeta Disney. E questo, in un mercato fondamentale per accrescere il soft power rende Nintendo un asset nazionale strategico. Nintendo, intanto, occupa la 39esima posizione nella classifica delle 50 migliori aziende giapponesi stilata da Forbes nel 2022, alle spalle di Fujitsu. Due esempi ancor più recenti dell’impatto della grande N sui mercati mondiali sono il successo quest’estate del film The Super Mario Bros Movie, che ha incassato 1,36 miliardi di dollari al botteghino globale, e quello del gioco per Switch Zelda: Tears of the Kingdom, che ha venduto 18,5 milioni di copie nei primi due mesi dalla sua uscita (a maggio 2023). Ora Nintendo ha pubblicato l’ultimo gioco della serie, Super Mario Bros. Wonder, che si candida a battere nuovi record. Eppure, c’è chi vedrebbe di buon occhio l’acquisizione della società, che vale circa 45 miliardi di dollari, da parte di una Microsoft di turno. Una sua uscita di scena spingerebbe altre aziende giapponesi a fondersi per creare nuovi campioni nazionali. Ma nessuno, a partire da Furukawa, a capo di un gruppo solido, conosciuto e di successo, vorrebbe barattare questo presente con un futuro incerto.

Tutti i dubbi sul controverso mercato dei crediti di carbonio in Africa

L’Africa è il continente che ha meno responsabilità per il cambiamento climatico. Produce solo il 4 per cento delle emissioni inquinanti mondiali, mentre sottrae dall’atmosfera grandi quantità di carbonio, responsabile del global warming, attraverso le sue foreste pluviali e altri habitat naturali. Ora i Paesi africani vorrebbero monetizzare questa ricchezza ambientale tramite il mercato volontario dei crediti di carbonio, tra molte opportunità e parecchi dubbi.

Un credito di carbonio corrisponde all’abbattimento di una tonnellata di CO2 equivalente

Questo mercato consente alle aziende e ai privati di compensare volontariamente la propria impronta di carbonio, quando questi non sono in grado di ridurre tutte le emissioni che producono. Una volta stimato il proprio impatto in termini di CO2, le società possono comprare la stessa quantità in crediti di carbonio. Un credito di carbonio corrisponde infatti all’abbattimento di una tonnellata di CO2 equivalente. I crediti sono generati da imprese che riducono le emissioni tramite progetti sostenibili che comprendono impianti rinnovabili, di potabilizzazione dell’acqua o tramite l’agricoltura sostenibile; altre lo fanno per mezzo di programmi di riforestazione, afforestazione e conservazione in aree a rischio, che significano più CO2 sottratta all’atmosfera. Questi programmi sono conosciuti come Redd+ (Reducing emissions from deforestation and forest degradation) e sono al centro delle speranze africane, come delle mire di altri Paesi.

Tutti i dubbi sul controverso mercato dei crediti di carbonio in Africa
Aziende e privati possono inquinare finanziando progetti sostenibili in Africa (Getty).

Il potenziale africano: solo l’11 per cento dei crediti di carbonio globali vengono da lì

Il mercato volontario dei crediti di carbonio è in rapida crescita a livello planetario grazie a una forte domanda, secondo un report di Shell e Boston consulting group (Bcg). Nel 2021 ha avuto un giro d’affari di due miliardi di dollari, ma si stima che per il 2030 possa raggiungere un valore compreso tra i 10 e i 40 miliardi. Secondo queste proiezioni verranno scambiati 0,5-1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente, rispetto agli attuali 500 milioni di tonnellate. L’Africa in particolare ha un grande potenziale inesplorato: nonostante sia uno dei polmoni verdi del globo secondo i dati, solo l’11 per cento dei crediti di carbonio emessi a livello mondiale tra il 2016 e il 2021 proveniva da progetti nel continente. Proprio per questo durante la Cop27 del 2022 è stata lanciata la African carbon markets initiative (Acmi), che ha l’obiettivo di produrre 300 milioni di crediti di carbonio all’anno entro il 2030. Per fare un raffronto, solo i progetti Redd+ nel 2021 hanno prodotto 150 milioni di carbon credit, generando un mercato da oltre 1,3 miliardi di dollari.

Le mani degli Emirati Arabi Uniti sull’Africa prima di Cop28

L’interesse verso il mercato africano di questi crediti c’è e si vede. All’Africa climate summit che si è tenuto a inizio settembre in Kenya un consorzio di investitori con sede negli Emirati Arabi Uniti si è impegnato ad acquistare crediti di carbonio africani per un valore di 450 milioni di dollari tramite l’Acmi. Le intenzioni del Paese del Golfo, prossimo organizzatore della Cop28 di dicembre 2023, si evincono anche dalle ultime operazioni di Blue Carbon, una società emiratina presieduta dallo sceicco Ahmed Dalmook al Maktoum, della famiglia reale di Dubai. Secondo un accordo annunciato a fine settembre, in cambio di 1,5 miliardi di dollari Blue Carbon avrebbe il controllo di un quinto del territorio dello Zimbabwe, 7,5 milioni di ettari di foreste, per 30 anni, ha denunciato il sito di notizie Middle East Eye. Blue Carbon sta facendo lo stesso in Liberia, accaparrandosi il 10 per cento del suo territorio, un milione di ettari di foresta, per generare carbon credit da rivendere sul mercato. Un accordo finale deve ancora essere firmato, ma il memorandum, siglato a marzo e rimasto per mesi segreto, non è frutto di nessuna consultazione con le comunità locali.

Tutti i dubbi sul controverso mercato dei crediti di carbonio in Africa
La Cop28 di fine 2023 è in programma negli Emirati Arabi Uniti (Getty).

Dubbi degli ambientalisti: le stime si basano su previsioni

Oltre alla paura di un nuovo sfruttamento ai danni dei Paesi più poveri e delle loro comunità, la maggiore critica degli ambientalisti è che i mercati di compensazione delle emissioni consentano a chi inquina di continuare a rilasciare gas serra. Alcune aziende si affidano infatti a progetti di compensazione invece di ridurre le proprie emissioni perché è una soluzione più a buon mercato e la regolamentazione non è stringente. Qualcuno però contesta anche l’efficacia stessa di questi progetti. Un recente studio pubblicato su Science da un team internazionale di esperti ha preso in esame 18 progetti che attraverso la lotta alla deforestazione vogliono compensare le emissioni di carbonio. Secondo gli studiosi, nella stragrande maggioranza di questi casi i programmi – che si basano su previsioni – non producono gli effetti voluti in termini di conservazione delle foreste, mentre solo il 6 per cento dei crediti di carbonio generati da questi progetti sarebbe legato a interventi che hanno prodotto una vera riduzione della CO2 nell’atmosfera.

Un’inchiesta punta il dito sul sistema di certificazione

Un’inchiesta di Die Zeit, Guardian e Source International ha invece puntato il dito sul sistema di certificazione. Secondo l’indagine servirebbero sistemi più trasparenti ed efficaci per quantificare la reale porzione di foresta che si preserva, per non “drogare” il mercato dei crediti. Più grandi sono i progetti, infatti, più facili gli errori di stima. Per quanto riguarda l’Africa in particolare, ha acceso una spia sull’argomento un rapporto presentato da otto organizzazioni della società civile poco prima dell’Africa climate summit in Kenya. Secondo la pubblicazione l’Acmi rappresenta una rischiosa distrazione e un pericolo, o «un lupo travestito da pecora», come l’hanno chiamata. «Il clamore attorno ai mercati del carbonio in Africa sta creando un Far West per un nuovo tipo di imprenditore il cui unico scopo è produrre crediti di carbonio», hanno affermato. Il rapporto sostiene, in sintesi, che sebbene il continente sia a corto di denaro e abbia bisogno di finanziamenti per la crisi climatica, non dovrebbe ottenere quei soldi consentendo all’inquinamento di continuare. D’altra parte, si tratta dell’unico meccanismo di finanza privata che riduce le emissioni nei Paesi in via di sviluppo, ma il confine tra sfruttamento, truffa e vera sostenibilità sembra ancora troppo labile.

Diciottenne pugliese arrestata in Kazakistan

È stata arrestata l’11 luglio una 18enne pugliese, Amina Milo Kalelkyzy, rinchiusa da tre mesi nel carcere di Astana, capitale del Kazakistan. Secondo quanto riportato dal Quotidiano di Puglia, la giovane, che vive a Lequile in provincia di Lecce, è accusata di traffico internazionale di stupefacenti e rischia dai 10 ai 15 anni di carcere.

L’arresto e la richiesta di riscatto

Amina non parla il russo o il kazako e sarebbe stata arrestata senza la presenza di un traduttore e senza prove. La madre e la stessa 18enne respingono fermamente le accuse, riferendo di essersi recate entrambe  in Kazakistan per visitare alcuni parenti che vivono lì. Il primo fermo della polizia risale al 2 luglio, mentre si trovava con un ragazzo del posto, ma era stata rilasciata dopo una notte in custodia. Il 4 luglio sarebbe stata nuovamente fermata e “portata con l’inganno” – rende noto il quotidiano – da due agenti di polizia in un appartamento privato dove sarebbe stata segregata e maltrattata per 16 giorni. Gli agenti avrebbero poi chiesto telefonicamente a sua madre un riscatto di 60 mila euro per riavere sua figlia.

L’appello al ministro Tajani

Una volta ricevuta la richiesta di riscatto, la donna, sempre secondo il Quotidiano di Puglia, si sarebbe rivolta all’ambasciata italiana ad Astana, ottenendone il rilascio. Trascorso qualche giorno, la 18enne sarebbe stata nuovamente convocata dalla polizia che, dopo la firma di alcuni documenti, l’avrebbe arrestata per traffico di droga. La storia di Amina, si legge nella notizia del giornale pugliese, è arrivata in questi giorni sul tavolo del ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Muore un giocatore di hockey in Inghilterra, il pattino gli taglia la gola

L’incidente mortale è avvenuto nella serata di sabato 28 ottobre a Sheffield. A perdere la vita è stato il 29enne americano Adam Johnson, impegnato con i Nottingham Panthers mentre stava affrontando i padroni di casa degli Steelers in una partita valida per la British Ice Hockey Cup. La tragedia si è verificata al 15emo minuto del secondo tempo, quando il pattino dell’avversario degli Steelers è finito all’altezza del collo di Johnson. L’attaccante americano si è accasciato sul ghiaccio. I medici intervenuti hanno tentato di rianimarlo ma poche ore dopo è stato dichiarato il decesso.

Rinviate le partite del fine settimana

Dopo il violento impatto mortale, gli 8 mila spettatori sono stati invitati a lasciare il palaghiaccio e tutte le partite in programma questo fine settimana sono state rinviate. I Panthers hanno espresso il dolore per la perdita di «uno straordinario giocatore, di un grande compagno di squadra e di un’incredibile persona che aveva tutta la vita davanti».

La carriera di Johnson

Originario di Hibbing nel Minnesota, Johnson, nella stagione 2018/2019, aveva debuttato in National Hockey League con la maglia dei Pittsburgh Penguins con cui disputò sei incontri. Giocò con loro sette match anche nella stagione successiva per poi arrivare in Europa durante la pandemia di Covid. Nel 2020/2021 in Svezia per i Malmoe Redhawks  con cui disputò 21 incontri, poi il ritorno in Nord America (Ontario Reign e Lehigh Valley Phantoms) e infine ancora in Europa, più precisamente lo scorso anno in Germania con gli Augsburger Panthers e in questa stagione era approdato ai Nottingham Panthers.

Harry Potter e la pietra filosofale stasera su Italia 1: trama, cast e curiosità

Stasera 29 ottobre 2023 andrà in onda il film Harry Potter e la pietra filosofale sul canale Italia 1 alle ore 21.25. Il regista è Chris Columbus mentre la sceneggiatura è stata scritta da Steve Kloves. Nel cast ci sono Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson, Maggie Smith, Alan Rickman e Ian Hart.

Harry Potter e la pietra filosofale è il film che andrà in onda questa sera su Italia 1, ecco trama, cast e curiosità.
I tre personaggi principali della saga (X).

Harry Potter e la pietra filosofale, trama e cast del film stasera 29 ottobre 2023 su Italia 1

La storia racconta la prima fase della vita di Harry Potter (Daniel Radcliffe) orfano che vive con gli antipatici zii Vernon (Richard Griffiths) e Petunia Dursley (Fiona Shaw) e con il cugino Dudley (Harry Melling). Il piccolo Harry subisce diversi maltrattamenti ma il giorno del suo 11esimo compleanno la sua vita cambierà per sempre: riceve una lettera per partecipare alla scuola di Hogwarts, la più importante scuola di magia e stregoneria del mondo. Ad accompagnarlo ci sarà il buon Hagrid (Robbie Coltrane) che stabilirà subito un legame di amicizia con Harry.

Inoltre, una volta arrivato a scuola, il mago conosce altri come lui e finalmente riesce a farsi nuovi amici: Ron Weasley (Rupert Grint), colui che diventerà il suo migliore amico, e Hermione Granger (Emma Watson) saputella ma dal cuore buone. Tuttavia, Harry dovrà affrontare anche i primi rivali come il tenebroso Draco Malfoy (Tom Felton). Comunque, le avventure del giovane saranno davvero divertenti in questo nuovo mondo, anche se il pericolo è dietro l’angolo.

Harry Potter e la pietra filosofale, 5 curiosità del film stasera 29 ottobre 2023 su Italia 1

Harry Potter e la pietra filosofale, un attore scelto direttamente dall’autrice

L’autrice e scrittrice J.K. Rowling scelse personalmente l’attore Alan Rickman per affidargli la parte di Severus Piton. Per fargli comprendere meglio la parte da interpretare, la Rowling rivelò dettagli sul conto di Piton che non erano stati ancora inseriti nei libri originali, perché la saga non era ancora conclusa.

Harry Potter e la pietra filosofale, la rivelazione di J.K. Rowling

Dopo la realizzazione del film, J.K. Rowling rivelò sul suo sito web che la produzione gli offrì di interpretare la madre di Harry in una breve scena. L’autrice rifiutò la parte perché non si riteneva un’attrice ed era convinta che avrebbe rovinato la scena. Al suo posto venne scelta l’attrice Geraldine Somerville.

Harry Potter e la pietra filosofale è il film che andrà in onda questa sera su Italia 1, ecco trama, cast e curiosità.
I protagonisti del film (X).

Harry Potter e la pietra filosofale, il primo attore entrato a far parte del cast

Il primo attore scelto per far parte del cast della produzione è stato Robbie Coltrane che nella pellicola interpreta Hagrid. Anche in questo caso, come per Alan Rickman, fu J.K. Rowling a sceglierlo per tale ruolo.

Harry Potter e la pietra filosofale, il particolare provino di Tom Felton

L’attore Tom Felton durante il suo provino si rese protagonista di un simpatico aneddoto. Il giovane non aveva mai letto un libro di Harry Potter e quando il regista Chris Columbus gli chiese quale fosse la sua parte preferita nei libri, lui rispose nello stesso identico modo del ragazzo che aveva sostenuto il provino prima di lui. Columbus fu colpito da questo atteggiamento scaltro e furbo e decise di affidare a Felton il ruolo di Draco Malfoy, principale rivale di Harry Potter.

Harry Potter e la pietra filosofale, il protagonista era stato già scelto dal regista

Quando al regista Chris Columbus la produzione chiese come doveva essere il bambino che doveva interpretare il protagonista Harry Potter, lui mostrò ai dirigenti una scena di Daniel Radcliffe nel film tv David Copperfield del 1999. A quanto pare, Radcliffe è nato per interpretare il ruolo del piccolo mago.

Cgil: tagli fino a 11 mila euro sulle pensioni dei dipendenti pubblici

Cgil, Fp e Flc, hanno diffuso i dati di un’analisi sul taglio alle future pensioni di migliaia di dipendenti pubblici. «L’Esecutivo con la prossima legge di bilancio riuscirà a peggiorare la Legge Monti-Fornero e a sottrarre dalle tasche dei dipendenti pubblici – futuri pensionati, migliaia di euro», hanno denunciato. Prendendo a riferimento una pensione di vecchiaia con decorrenza nel 2024 con 67 anni di età e 35 anni di contribuzione, in questo caso il taglio può raggiungere, rispettivamente per retribuzioni da 30.000, 40.000 o 50.000, un taglio di 4.432 euro, 5.910 euro o 7.387 euro.

Le categorie interessate 

Secondo quanto riferito dalle sigle «un articolo delle tante bozze della legge di bilancio che fin qui si sono rincorse prevede la revisione delle aliquote di rendimento previdenziali per le pensioni liquidate dal 2024, delle quote di pensione retributive in alcune gestioni previdenziali del comparto pubblico e più precisamente degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali (CPDEL), alla Cassa per le pensioni dei sanitari (CPS) e alla Cassa per le pensioni degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (CPI) e a favore degli iscritti alla cassa per le pensioni degli ufficiali giudiziari, degli aiutanti ufficiali giudiziari e dei coadiutori (CPUG)».

L’impatto dei tagli

Ciò significherebbe, riporta l’analisi, calcolando tale impatto sull’attesa di vita media, un taglio cumulato che potrà raggiungere per i casi con retribuzione pari a 30.000 euro, un minor guadagno pari a 70.912 euro; con 40.000 euro di retribuzione, un minor guadagno pari a 94.560 euro, e con una retribuzione da 50.000 euro, un minor guadagno pari a 118.192 euro.

Cgil: «Governo fa cassa sulle pensioni statali»

«Non solo sulle pensioni il governo non darà risposte a giovani, donne e pensionati ma sta decidendo di fare cassa sulle pensioni dei pubblici», proseguono Cgil, Fp e Flc. «Anche per questo motivo» – hanno aggiunto le sigle – «le ragioni della nostra mobilitazione si rafforzano a partire dagli scioperi già proclamati nelle prossime settimane, che vedono al centro il tema delle pensioni».

Tom Hanks, la storia del sorriso d’America

Negli Anni 90 è stato il simbolo dell’America clintoniana, progressista e fiduciosa nel futuro, felice per la vittoria sul comunismo e sicura del suo ruolo egemone nel mondo. È stato lo Spencer Tracy della globalizzazione felice, il suo sorriso ha girato il mondo con quella bontà rassicurante e placida. Proprio quel sorriso è stato qualche settimana fa utilizzato per uno spot di uno studio dentistico, ma Tom Hanks ha avvertito i suoi quasi 10 milioni di follower su Instagram che quell’immagine, riprodotta con l’Intelligenza artificiale, era stata utilizzata senza il suo consenso, dunque di non fidarsi. Tutto questo proprio nel mezzo della vertenza dei sindacati degli attori a stelle e strisce contro le grandi major, per chiedere di tutelare l’unicità di uno sguardo, di un’espressione, di un’emozione, non replicabili solo perché, come si dice in gergo, “funziona” e dunque porta soldi.

Nascita di un capolavoro del cinema ovvero come si pensa a Hollywood

A 69 anni, con un diabete in fase 2 diagnosticato da poco, Hanks mostra di non aver perso la voglia di reagire, di dire la sua, con eleganza e fermezza certo, ma senza indietreggiare di fronte a nessuno. E dopo essere stato diretto da Wes Anderson in Asteroid City (ultima di oltre 50 pellicole da lui interpretate) a suffragare la tesi che certe cose non sono replicabili dall’IA, arriva ora nelle librerie il suo primo romanzo, intitolato Nascita di un capolavoro del cinema (Bompiani). Ovvero il racconto di come nasce un grande film, dalla scrittura della storia fino all’uscita nelle sale. Ma non c’è da spaventarsi: non si tratta di un manuale, bensì di un romanzo pieno di ironia e ritmo che riesce anche a istruirci su come la pensano oggi a Hollywood. Dopo un breve antefatto, la vicenda inizia con un bambino, appassionato di fumetti, che passa un pomeriggio indimenticabile con lo zio, reduce dalla Seconda Guerra mondiale appena conclusa. Una manciata di ore che bastano a rapirne per sempre l’immaginazione e non importa se poi questo zio abbandona il piccolo Robby per andarsi a sbronzare con i suoi ex commilitoni, diventati una banda di motociclisti dedita alle risse, per non tornare mai più. Anni dopo, il piccolo Robbie è diventato uno scrittore di fumetti. Zio Bob, il beatnick con i jeans rivoltati e la motocicletta Indian Four, si trasforma nell’Incendiario, il soldato americano che con il lanciafiamme uccide i cattivi sulla spiaggia di Okinawa. Una sorta di supereroe con la divisa dell’esercito americano, perfetto secondo i produttori per inserirsi in quel filone che sembra non esaurirsi mai, tra un Batman e uno Spiderman. Il romanzo prosegue, sempre con tono brioso, a raccontare come questo plot diventi un film a grande budget, destinato a invadere gli schermi di tutto il mondo. Ci sono le immancabili discussioni fra regista e produttore, le bizze dei divi, ma l’attenzione di Hanks si sofferma piuttosto sui protagonisti invisibili al pubblico, quella pletora di maestranze, tecnici, segretarie, quelle persone comuni che per gran parte della carriera ha incarnato in modo impareggiabile.

Tom Hanks, la storia del sorriso d'America
La copertina di Nascita di un capolavoro del cinema, primo romanzo di Tom Hanks.

Il primo ruolo da protagonista grazie a Ron Howard in Splash

Figlio di un cuoco e di una cameriera, dopo la separazione fra i due Hanks inizia a viaggiare lungo gli Stati Uniti al seguito del padre. Inizia prestissimo a recitare, perlopiù in piccoli ruoli e soprattutto in serie televisive dei primi Anni 80 come Love Boat, Casa Keaton e Happy Days. Ed è proprio l’ex Richie Cunningham compagno di Fonzie della serie cult, ovvero Ron Howard, gli offre la prima opportunità da protagonista. È il 1984, Hanks ha 28 anni e si trova a recitare accanto a Daryl Hannah, la replicante di cui si innamora il cacciatore di taglie Harrison Ford in Blade Runner. Splash. Una sirena a Manhattan raccoglie un buon successo, lanciando la carriera di Hanks.

Tom Hanks, la storia del sorriso d'America
Una scena di Splash. Una sirena a Manhattan.

Dall’Oscar con Philadelphia a Forrest Gump

Siamo nell’America reaganiana, impazzano gli eroi muscolari di Stallone e Schwarzenegger, Hanks si ritaglia una posizione in ruoli brillanti, ma il momento di svolta nella carriera  arriva alcuni anni dopo, in tutt’altra temperie. Nel ’93 è il protagonista di Philadelphia in cui interpreta il ruolo di Andrew Beckett, l’avvocato yuppie e omossessuale che, scoperto di aver contratto l’Aids, inizia un travagliato percorso di cambiamento interiore. Film di Jonathan Demme, con quella memorabile canzone di Bruce Springsteen, Streets of Philadelphia, a farne il ritratto di una generazione. Hanks vince un Oscar. Ma è solo l’inizio perché l’anno successivo interpreta il suo personaggio più importante, Forrest Gump, l’ingenuo antieroe che attraversa 30 anni di storia americana, trovando ovunque del buono, perfino nella sporca guerra del Vietnam, dove salva i suoi commilitoni e trova una via di salvezza per l’arrabbiato tenente Dan, facendolo uscire dal cliché del reduce senza speranze. È un personaggio che lo plasma e che si porterà dietro per sempre, volentieri o suo malgrado non importa, sulle dune della Normandia di Salvate il soldato Ryan o su quelle di Okinawa. Due battaglie tremende, due carneficine, attraversate con il passo sicuro di chi sente di essere in missione per qualcosa di superiore, forse il diritto alla felicità, forse il buon vecchio sogno americano non importa.

 

Il Consiglio olimpico d’Asia e le losche trame della famiglia Al Sabah

È un gioco dell’Oca di nome e di fatto. E a giocarlo è la famiglia regnante del Kuwait, gli Al Sabah, che nel patrimonio personale annoverano un asset cui molte altre dinastie della penisola araba aspirerebbero: la presidenza dell’Olympic council of Asia, il Consiglio olimpico d’Asia, cioè l’associazione dei comitati olimpici del continente. Il cui acronimo è Oca, appunto. L’organizzazione-ombrello che raduna 45 comitati olimpici asiatici è roba loro. Lo rimarrà ancora per poco, come ha chiesto il comitato etico del Cio presieduto dalla giurista francese Paquerette Girard-Zappelli. Fine del gioco che riporta tutto alla casella di partenza, quella degli Al-Sabah. Ma che sia stato necessario un fatto eclatante, per rompere una situazione in cui una dinastia regnante è proprietaria di un segmento rilevante dello sport internazionale, è già di per sé elemento indicativo di cosa sia lo sport internazionale e di quanto di feudalesimo persista in seno al Comitato olimpico internazionale (Cio). Che dal canto suo si sforza di proiettare all’esterno un’immagine di modernità e dinamismo, ma poi continua a fare i conti con sacche di pre-modernità.

Il Consiglio olimpico d'Asia e le losche trame della famiglia Al Sabah
Fahad Al-Ahmed Al-Jaber Al Sabah (Getty).

Al Sabah senior e la storica scenata al Mundial 1982

Fondata nel 1982, l’Oca ha avuto il suo quartier generale dapprima a New Delhi, per vederlo spostare nel 1991 a Kuwait City, cioè a casa di colui che ne è stato presidente sin dalla fondazione: Fahad Al-Ahmed Al-Jaber Al Sabah. Che è stato un membro di punta della famiglia regnante kuwaitiana ma non è arrivato a veder celebrare il trasferimento di sede: un anno prima era stato ucciso nel corso dell’invasione del Kuwait per mano delle truppe irachene di Saddam Hussein, avvenuta il 2 agosto 1990. Sulle circostanze che hanno portato alla sua morte permane il mistero. Ma ancor più rimane nella memoria ciò che lo sceicco è stato capace di compiere in occasione del Mondiale di Spagna 1982, lo stesso anno dell’elezione a capo dell’Oca. È passata alla storia la scena del suo ingresso in campo durante Francia-Kuwait (4-1) giocata allo stadio José Zorrilla di Valladolid. Convinto che un gol del francese Alain Giresse fosse stato segnato in fuorigioco, lo sceicco scese dalle tribune e ne pretese l’annullamento dall’arbitro sovietico Miroslav Stupar, minacciando di ritirare la squadra dal campo qualora il suo desiderio non fosse stato eseguito. L’arbitro obbedì. Una delle scene più grottesche e vergognose nella storia universale del calcio.

Il figlio non è stato molto più sobrio: un accumulatore di poltrone

Chiaro che i figli di cotanto padre non potessero essere particolarmente sobri. Il primo a proseguire la carriera sportiva è stato Ahmad Al-Fahad Al-Sabah, che nel 1991 è succeduto al padre come presidente dell’Oca e ha deciso di spostare il quartier generale a casa sua. Ahmad Al-Sabah è stato presidente dell’Oca per vent’anni, fino a settembre 2021. Un ventennio durante il quale lo sceicco Ahmad non si è risparmiato di piazzare gesta degne del genitore. Oltre a cumulare cariche sportive (a quella di presidente dell’Oca vanno aggiunte la presidenza del comitato olimpico nazionale, la presidenza della federazione asiatica di pallamano e la vicepresidenza della federazione mondiale della stessa disciplina, oltre a una poltrona da membro Cio mantenuta fino al 2022) è stato anche allenatore della nazionale di calcio kuwaitiana. In quel ruolo è stato protagonista di una polemica contro la nazionale australiana, “colpevole” di avere eliminato il Kuwait dalla corsa al Mondiale di Germania 2006. Nell’occasione lo sceicco Ahmad ha invitato la confederazione asiatica del calcio (Afc) a espellere dai propri ranghi gli australiani, che negli anni precedenti avevano scelto di lasciare la confederazione dell’Oceania per passare da quest’altra parte.

Il Consiglio olimpico d'Asia e le losche trame della famiglia Al Sabah
Ahmad Al-Fahad Al-Sabah (Getty).

Il sospetto di aver intascato tangenti per Qatar 2022

A metterlo fuorigioco dalla presidenza dell’Oca è stata una serie successiva di investigazioni. Fra le altre, il sospetto di avere percepito tangenti per l’assegnazione del Mondiale 2022 al Qatar e una condanna avvenuta in Svizzera nel 2021 riguardo a una falsa accusa di tentativo di colpo di Stato rivolta a un membro rivale della famiglia regnante. In conseguenza di questi scandali Ahmad Al Sabah è stato costretto a lasciare la carica di presidente dell’Oca, oltre a tutte le altre che aveva conquistato nelle organizzazioni dello sport internazionale. A reggere l’associazione dei comitati olimpici asiatici è stato designato l’indiano Randhir Singh, cui è stato dato il compito di pilotare l’organizzazione verso le elezioni del 2023. Missione compiuta con voto tenuto l’8 luglio. Chi ha vinto la corsa? Lo sceicco Talal Al-Ahmad Al-Sabah. Che è figlio di Fahad Al-Ahmed Al-Jaber Al-Sabah e fratello di Ahmad Al Fahad Al Sabah. Sembrerebbe l’ennesimo passaggio di poteri all’interno della famiglia. Ma stavolta il meccanismo si è inceppato.

L’ingerenza fraterna: annullato l’esito dell’elezione di Talal

Prima che si andasse al voto era giunto un ammonimento all’Al-Sabah dimissionario: non provi a influenzare il percorso elettorale, tanto più che uno dei candidati sarebbe stato il fratello Talal. Esortazione inascoltata. Ahmad è intervenuto e Talal ha vinto. Ma a quel punto è arrivata l’investigazione del Comitato etico del Cio, il cui esito ha bloccato gli effetti del risultato elettorale. Risultò ciò che tutti sapevano: il fratello dimissionario era intervenuto pesantemente per favorire la corsa del fratello candidato. Annullata quindi l’elezione del nuovo presidente, con prolungamento dell’interim tenuto dall’indiano Randhir Singh e divieto al fratello appena eletto (Talal) di ripresentarsi alla prossima tornata.

Il Consiglio olimpico d'Asia e le losche trame della famiglia Al Sabah
Talal Al-Ahmad Al-Sabah (Getty).

Il mondo olimpico è un mix di familismi e condizioni feudali

Dunque si dovrebbe essere giunti al termine della vicenda che vede l’Oca come un pezzo del patrimonio personale della famiglia regnante kuwaitiana. Per la prima volta nella sua storia l’organizzazione potrebbe avere un presidente non appartenente alla dinastia degli Al-Sabah. Usiamo il condizionale, perché non si sa mai. Di fratelli, zii e nipoti la famiglia regnante kuwaitiana abbonda, né la sua presa sull’organizzazione può essere smantellata da un giorno all’altro. Ma soprattutto c’è che sullo sfondo rimane il Cio. Che ama definirsi «la famiglia olimpica». Innumerevoli volte è capitato di sentire pronunciare questa espressione. E ogni volta l’intento è stato quello di comunicare il senso del radicato legame che unisce il mondo dello sport e genera concordia fra i vari attori. Ma a forza di concentrarsi sul suo senso metaforico si è finito per smarrirne quello letterale, concreto: che il mondo olimpico è una geografia di familismi e particolarismi, e che il Cio riproduce plasticamente questa condizione feudale nonostante provi in tutti i modi di dare un’immagine di modernità. Arriverà mai il giorno dell’ingresso del Comitato olimpico internazionale nella modernità?

Iran: superata la linea rossa, a Gaza riprendono le comunicazioni

Dopo il black out della notte tra il 27 e il 28 ottobre dovuto all’intensificarsi dei bombardamenti israeliani, a Gaza telefoni e internet hanno ripreso a funzionare, come confermato dall’agenzia Reuters. Intanto, non si ferma l’estensione delle operazioni di terra e Israele resta a Gaza con tank e soldati: le truppe sono infatti attestate nel nord dell’enclave palestinese. Secondo quanto riferito dalle forze di difesa di Tel Aviv, diversi aerei da combattimento, sabato 28 ottobre, hanno colpito circa 450 obiettivi di Hamas nella Striscia.

Iran, superata la linea rossa

Israele ha «superato la linea rossa» e «potrebbe costringere tutti a intervenire». È l’avvertimento del presidente iraniano Ebrahim Raisi pubblicato sui social. «I crimini del regime sionista hanno superato le linee rosse, fatto che potrebbe costringere tutti a intervenire. Washington ci chiede di non fare nulla, ma continua ad assicurare ampio sostegno a Israele. Gli Stati Uniti hanno inviato messaggi all’asse della resistenza, ma hanno ricevuto una risposta chiara sul campo di battaglia».

Hamas: le vittime salgono a 8 mila

Mentre il premier Benyamin Netanyahu ha ribadito i due obiettivi dell’operazione, quelli di «demolire Hamas e riportare indietro gli ostaggi», il numero delle vittime nella Striscia, secondo Hamas, è salito superando gli 8 mila morti. Il capo della fazione palestinese a Gaza Yahyia Sinwar, ha annunciato di essere «pronto ad un accordo immediato per uno scambio dei prigionieri» che prevede la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani per i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.

Lo scontro tra Israele e Turchia

Aumenta la tensione tra Turchia e Israele, dopo il duro attacco del presidente turco Recep Tayyp Erdogan alla manifestazione in favore dei palestinesi a Istanbul che ha richiamato centinaia di migliaia di persone. «È il principale responsabile del massacro» ha dichiarato. Secondo quanto riportato dalla Tass – ha poi annunciato che il suo Paese sta lavorando per dichiarare Israele «criminale di guerra».  Il ministro degli esteri Eli Cohen ha richiamato l’ambasciatore dalla Turchia.

Onu: «Entrati a Gaza poco più di 80 camion di aiuti»

«Ad oggi, poco più di 80 camion di aiuti sono entrati a Gaza in una settimana. Sabato 28 ottobre non vi è stato alcun convoglio a causa dell’interruzione delle comunicazioni». È quanto riportato dall’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) in un comunicato pubblicato sul suo sito. «L’Unrwa, il principale attore per la ricezione e lo stoccaggio degli aiuti nella Striscia di Gaza, non è stata in grado di comunicare con le diverse parti per coordinare il passaggio del convoglio».

È morto Matthew Perry, il Chandler di Friends

Matthew Perry, l’attore che ha interpretato l’indimenticabile personaggio di Chandler nella storica sitcom Friends, è stato trovato morto nella sua casa nell’area di Los Angeles. Non sono ancora stati confermati i motivi del decesso anche se, secondo le prime indiscrezioni, si tratterebbe di annegamento. Perry, che aveva 54 anni, è stato trovato all’interno della sua jacuzzi. Nell’abitazione non c’erano droghe.

L’ipotesi di un arresto cardiaco

L’allarme è scattato nel pomeriggio di sabato 28 ottobre, quando sono stati chiamati i soccorsi  per un “uomo con arresto cardiaco”. Poco dopo, intorno alle 16.10, il dipartimento della polizia di Los Angeles è stato allertato per indagare la morte di un uomo cinquantenne.

La lotta contro le dipendenze

Nato a Williamstown, Massachusetts, nell’agosto del 1969, Perry era cresciuto in Canada. Sua madre era una giornalista e la portavoce del premier Pierre Trudeau, il padre di Justin Trudeau. Approdato a Los Angeles quando era ancora un teenager, aveva ottenuto alcuni ruoli minori nel 1987 e nel 1988. La svolta era arrivata nel 1994 quando Nbc lo aveva scelto per Friends, una serie durata dieci anni e nella quale Perry, nei panni di Chandler, è stato presente in tutti gli episodi. Accanto al successo, l’attore ha dovuto affrontare un periodo particolarmente difficile, dovuto alla dipendenza dagli oppioidi e dall’alcol.

I problemi di salute

Nel 1997, a causa di un incidente, gli era stato prescritto il Vicodin di cui era divenuto dipendente al punto da arrivarne a prendere 55 al giorno. Per disintossicarsi e cercare di abbandonare l’alcol è stato in cura per diverso tempo e in più occasioni. Perry, nel 2018, ha rischiato di morire per una perforazione gastrointestinale, per la quale è stato operato e ha trascorso mesi in ospedale. Nel suo libro di memorie Friends, Lovers, and the Big Terrible Thing, Perry ha raccontato della sua battaglia contro le droghe, che si sommava a seri problemi di salute.

Powered by WordPress and MasterTemplate