Alla fine ho capito che il trapper raccontato da Robertini sono io: il racconto della settimana

«La vita è rap!», dice dal palco della Feltrinelli di Piazza Piemonte Giovanni Robertini alla presentazione del suo ultimo romanzo Morte di un trapper, con accanto Jake La Furia, davanti a una selezionatissima platea che comprende ex direttori di giornali, creativi di vario genere, conduttrici televisive di successo, uffici stampa di varie case editrici e un nutrito gruppo di ragazzini con le Jordan ai piedi e il cappellino da baseball a tesa larga infilato sulla testa. Tra i vari libri che le case editrici mi hanno mandato da leggere in anteprima quest’estate questo di Robertini è stato in assoluto quello che mi è piaciuto di più, ed essenzialmente è questo il motivo per cui stasera sono qui, invitato dall’autore in persona, con la t-shirt di Kaws e le Nike da runner ultracolorate ai piedi, come si usa tra noi del “mondo dello spettacolo”, (come direbbe Dodo). Anche se abbiamo passato i 40 da un pezzo. Esattamente come il protagonista del libro, rap star in disarmo che, suo malgrado, si troverà invischiato in una storia di omicidi, tra droga, soldi e sesso, in una Milano nera per certi versi simile a quella di Scerbanenco, ma con i Club Dogo in sottofondo e i grattacieli di City Life alle spalle. La storia di un perdente, come la mia, o di un «resistente», come ho sentito dire durante la presentazione. Un tizio esattamente come me.

Ho capito che il trapper di Robertini sono io: il racconto della settimana
La presentazione di Morte di un Trapper (dal profilo Instagram di Giovanni Robertini).

«La vita è rap!», dice dal palco della Feltrinelli di Piazza Piemonte Giovanni Robertini, ed è la stessa cosa che pensavo la settimana scorsa con davanti Sofia (che tra l’altro nel libro potrebbe benissimo essere la protagonista femminile, quella che fa innamorare la rap star 40enne), mentre dubbioso stavo quasi per accettare l’invito ad andare con lei al Marrageddon. La osservavo zompettare, con indosso un paio di mini-short di jeans strappati, i capelli sciolti e i suoi occhi color nocciola, poi vacillando le avevo chiesto: «Ma non viene Brando?». «No, vado da sola, a meno che tu non decida di venire con me», aveva risposto, tagliando corto. Io avevo tergiversato, facendo finta di non sentire, e a distanza di sicurezza l’avevo salutata, dopo aver raccolto la mia sacca con dentro i vinili di De Gregori e di Battiato che avevo appena preso da Serendeepity, inforcando la mia bici color blu diplomatico, diretto a un incontro di lavoro al quale non potevo assolutamente mancare.

Per potenziarmi ho anche pensato di iscrivermi a un corso di thai chi e andare ad assistere a un incontro in via Watt, tra i Navigli e la Barona, al Moysa, il più grande e importante hub musicale a livello nazionale, con Sadhguru, il santone che riempie gli stadi. Poi il giorno stesso DFA mi ha detto: «La gente lo ascolta solo perché è figo e somiglia ad Omar Sharif. Metti al suo posto un vecchio che dice le stesse cose e non se lo fila nessuno»
Morte di un trapper di Giovanni Robertini (HarperCollins).

Ho altro per la testa in questo periodo, non ho tempo da perdere, e così la stessa settimana, uno dopo l’altro, ho declinato gli inviti di Ludovica e di Sofia, sia per Paul Weller che per Marracash. Sono sicuro che più della metà di voi avrebbe dato due dita della mano destra per avere un appuntamento con una di loro. Figurarsi con entrambe. Ma «la vita è rap» amici, e il mio flow in questo momento mi porta altrove, mi costringe a concentrarmi su me stesso, a programmare, a rimanere sul pezzo. Servono innanzitutto un progetto e la disciplina mentale per realizzarlo. Così per potenziarmi a un certo punto ho pensato anche di iscrivermi a un corso di thai chi e andare ad assistere a un incontro in via Watt, tra i Navigli e la Barona, al Moysa, il più grande e importante hub musicale a livello nazionale, con Sadhguru, il santone che riempie gli stadi come una rockstar, e fa sold out in tutto il mondo. Poi il giorno stesso DFA mi ha detto: «Il tipo è un guru come ce ne sono tanti, che la gente ascolta solo perché è figo e somiglia ad Omar Sharif. Metti al suo posto un vecchio brutto che dice le stesse cose e non se lo fila nessuno». Così ho pensato fanculo Sadhguru, e fanculo anche il thai chi, sono andato con Ofelia al cinema a vedere il nuovo film di Wes Anderson e a bordo di una jeep con i finestrini scuri mentre attraversavamo l’incrocio con Piazza Tricolore ho pensato che sarei stato in grado di affrontare qualsiasi cosa.

Per potenziarmi ho anche pensato di iscrivermi a un corso di thai chi e andare ad assistere a un incontro in via Watt, tra i Navigli e la Barona, al Moysa, il più grande e importante hub musicale a livello nazionale, con Sadhguru, il santone che riempie gli stadi. Poi il giorno stesso DFA mi ha detto: «La gente lo ascolta solo perché è figo e somiglia ad Omar Sharif. Metti al suo posto un vecchio che dice le stesse cose e non se lo fila nessuno»

«Quando scrivi il tuo libro?». Questa domanda me la sono sentita ripetere da 15 persone solo negli ultimi tre giorni. Al telefono, in mezzo alla strada, mentre preparavo un negroni dietro al banco del bar, alla presentazione del romanzo di Robertini in Feltrinelli in Piazza Piemonte, a quella del libro di Benjamin Labatut al Piccolo il giorno dopo, in fila alla cassa del supermercato. Poi una mattina di inizio ottobre nella comunità letteraria milanese hanno iniziato a circolare voci, pare diffuse da “fonti attendibili”, su un misterioso manoscritto custodito in una cassetta di sicurezza di una banca svizzera che varie case editrici si stavano contendendo partecipando ad aste furiose che avevano raggiunto ormai cifre astronomiche. Io dal canto mio non confermavo né smentivo queste voci alle presentazioni o ai cocktail a cui venivo invitato, alimentando quella che con i miei amici avevo iniziato a chiamare «la più grande truffa del rock and roll dopo i Sex Pistols». Il libro diventa l’unico argomento di cui parlo nello studio del mio psicologo, agli aperitivi con un writer abbastanza noto, agli appuntamenti in studi di registrazione dove immaginiamo futuri podcast o trasmissioni radiofoniche da me condotte. Poi una sera a una festa di un brand di moda in via Sant’Andrea, mentre i miei occhi vagavano sui ragazzi giovani con i drink in mano e sulle ragazze in tanga tacchi alti e miniabiti che ciondolavano davanti alle vetrine, mi sono reso irrimediabilmente conto che quello era un mondo a cui non appartenevo proprio più.

Alla fine ho capito che il trapper raccontato da Robertini sono io: il racconto della settimana
Sadhguru (Jaggi Vasudev) (Getty Images).

Quando torno a casa, in attesa che Ofelia rientri dal lavoro, siedo davanti al computer nel grosso tavolo al centro del salotto e penso che dovrei smettere di bere e di fumare e anche che dovrei farmi un check-up completo per vedere come sto ma poi come sempre arriva il week end e finiamo nudi, sbronzi di champagne, a cercare isole greche dove trascorrere l’estate, comprare biglietti online per andare a dei concerti jazz, ascoltare le playlist che ho preparato per qualche serata alla quale sono stato chiamato per mettere la musica, dopodiché finiamo sempre per tornare in camera da letto. Ed è in uno di quei momenti, disteso sul letto mentre mi porto alle labbra un calice colmo di champagne, il suo viso sospeso sul mio, che capisco il motivo per cui stiamo insieme da tanti anni: è l’unica persona al mondo con cui non ho bisogno di recitare.

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