Daily Archives: 19 Ottobre 2023

Giambruno e il nuovo fuorionda di Striscia la Notizia: «Ho una tresca, lo sa tutta Mediaset»

E ora a casa Meloni saranno guai. Il first gentleman Andrea Giambruno è incappato in un nuovo fuorionda da spaccone diffuso da Striscia la notizia, dopo quello che aveva già fatto parecchio discutere sul ciuffo, i complimenti ammiccanti alla collega Viviana Guglielmi («Ma perché non ti ho conosciuta prima?»), le battute sul blu estoril già diventato meme. Ma stavolta è andata persino peggio.

 

«Sai che io e ***** abbiamo una tresca? »

Il tigì satirico di Antonio Ricci ha diffuso altri audio in cui Giambruno la butta in caciara, come si dice a Roma, ma sempre in modalità “provolone”: «Posso toccarmi il pacco mentre vi parlo?». E ancora, parlando a una collega, probabilmente ancora Viviana Guglielmi: «Tu sei fidanzata? Sei “aperturista“? Come ti chiami? Ci siamo già conosciuti io e te? Dove ti ho già vista… Ero ubriaco?». Proprio lui, che stigmatizzava le ragazze che bevono perché poi possono incontrare… il lupo. Nel filmato poi è arrivata anche la sparata: «Sai che io e ***** abbiamo una tresca? Lo sa tutta Mediaset, ora lo sai anche tu». Quindi la proposta indecente: «Però stiamo cercando una terza partecipante. Facciamo threesome. Vuoi entrare a far parte del nostro gruppo? Ti piacerebbe? Però devi darci qualcosa in cambio». E alla domanda se ci sia un «test attitudinale» per entrare, la risposta è stata secca: «Si scopa». Forse è stata tutta una boutade, un modo un po’ sbruffone per fare il simpatico. Quel che è certo è che ora dovrà delle spiegazioni alla premier.

Razzi da Libano e Gaza verso Israele

Sono sei i razzi lanciati dal Libano sul nord di Israele. L’ha fatto sapere lo stesso esercito israeliano che ha risposto attaccando oltre confine. Secondo il portavoce, cinque dei sei razzi sono caduti in area aperta e uno è stato intercettato. Mentre il ministero degli Esteri tedesco ha esortato i connazionali a lasciare il Libano, il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha detto ai soldati del fronte sud che l’ordine di entrare a Gaza arriverà presto. «Ora vedete Gaza da lontano, presto – ha annunciato – la vedrete dall’interno». «L’ordine arriverà», ha aggiunto.

Commando di Hamas sotto effetto di droghe

Emerge intanto un nuovo elemento sull’attacco di Hamas del 7 ottobre: una parte del commando che ha agito contro i civili israeliani era sotto effetto di una droga sintetica nota come Captagon. A diffondere la notizia è stata la televisione commerciale israeliana Canale 12. Pillole dello stesso narcotico erano inoltre ancora nelle tasche di membri di Hamas rimasti sul terreno dopo i combattimenti. Si tratta, ha aggiunto la emittente, di una droga prodotta in Libano e Siria, nota anche come ‘la cocaina dei poveri’. In passato è stata usata dall’Isis.

Mtv Ema 2023, annullata la cerimonia a Parigi

A causa del conflitto in Medio Oriente, gli Mtv Ema 2023, previsti per il 5 novembre a Parigi, sono stati annullati. A comunicare la decisione sono stati gli organizzatori in una nota. La scelta di annullare la serata, hanno fatto sapere, è stata dettata da «molta cautela». L’evento è slittato al 2024.

Interrogazione della Lega contro Zaki: «Può fomentare cellule dormienti»

«Gravi dichiarazioni come quella» di Patrick Zaki, che dopo gli attacchi di Hamas sui social aveva definito «serial killer» il premier israeliano Benjamin Netanyahu, «benché seguita da precisazioni e correttivi, a parere dell’interrogante possono rappresentare un inno alla violenza e fomentare eventuali cellule terroristiche dormienti in Italia». Lo ha dichiarato in una interrogazione alla premier e ai ministri di Interni e Giustizia, il deputato leghista Luca Toccalini chiedendo «quali iniziative il governo intenda adottare al fine di garantire la sicurezza nazionale e prevenire e contrastare il rischio di una attivazione di cellule terroristiche».

Le ospitate cancellate dopo il post su Netanyahu

Dopo l’uscita di Zaki sui social e nonostante le sue precisazioni – «Nel conflitto Israele-Palestina nessuno può essere ritenuto come filo-Hamas se sostiene la Palestina. Non sono con Hamas»  – Che tempo che fa aveva fatto slittare la presentazione del suo libro Sogni e illusioni di libertà, prevista per la puntata inaugurale sul Nove, a data da destinarsi.

 

Pochi giorni dopo era stato cancellato l’incontro all’Arsenale della pace di Torino organizzato dal Servizio missionario Giovani. «L’Arsenale della Pace di Torino da 40 anni è una casa sempre aperta alle tante situazioni che bussano alla porta, in dialogo con persone di ogni orientamento, cultura e religione», aveva spiegato il Sermig. «Con questo spirito, settimane fa, avevamo accolto la richiesta del Salone del Libro di uno spazio per la presentazione dell’ultimo libro di Patrick Zaki. Le condizioni però sono cambiate. Alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni, crediamo non più opportuno confermare la disponibilità ad ospitare tale incontro che rischierebbe di alimentare ulteriori polemiche, divisioni e strumentalizzazioni».

L’escamotage delle pubblicità di scommesse e le contraddizioni di chi fa la predica

Improvvisamente si sono accorti tutti dell’elefante nella stanza. Il (presunto) grosso male che attanaglia il calcio italiano, quello delle scommesse. Sull’onda emotiva dell’ultimo scandalo che ha coinvolto, per ora, giocatori come Nicolò Fagioli, Sandro Tonali e Nicolò Zaniolo, è diventato facile puntare il dito su un sistema in cui tutti perdono, tranne il banco. O, per rovesciare la prospettiva: in cui molti ci guadagnano, tranne chi scommette. Certo, il doveroso distinguo è che i calciatori finiti nei guai e che ora devono fare i conti con lunghe squalifiche – lo juventino ha patteggiato sette mesi, l’ex milanista rischia almeno un anno, se davvero sarà dimostrato che puntava pure sulla sua squadra – giocavano cifre considerevoli sui siti illegali, perché in quanto tesserati impossibilitati ad accedere ai circuiti gestiti dallo Stato, anche in un’ottica di garanzia del regolare svolgimento delle partite e dei campionati. Intanto però l’altro ramo, quello perfettamente legale del gioco pubblico, si è fatto sempre più martellante nella quotidianità di qualsiasi appassionato, in barba a norme che in teoria vieterebbero tutta questa invasività.

Siti di intrattenimento e news per aggirare il decreto Dignità

Ci avete fatto caso? È impossibile assistere a una partita di calcio senza venire bombardati da quelle che a tutti gli effetti sono pubblicità di scommesse, nei pannelli luminosi a bordo campo oppure nelle rubriche inserite dentro i programmi sportivi in tivù (ma anche sul web), affollati da ragazze che comparano le quote offerte dai bookmaker, prima del match e nell’intervallo. Ma come, la pubblicità sul gioco d’azzardo non era stata proibita nel 2018 dal primo governo Conte, quello gialloverde formato da Movimento 5 stelle e Lega, tramite il decreto Dignità? L’obiettivo doveva essere quello di tutelare le categorie più vulnerabili, cioè i minori e gli anziani, ma è bastato creare dei siti di intrattenimento ad hoc e di news sportive con nomi che chiaramente rimandano alle agenzie di scommesse (starcasino.sport, pokerstarsnews.it, leovegas.news, per esempio), per aggirare la norma e far sì che potessero continuare ad apparire sui cartelloni pubblicitari e nei vari banner.

L'escamotage delle pubblicita? di scommesse e le contraddizioni di chi fa la predica
Luigi Di Maio e Matteo Salvini ai tempi del governo gialloverde (Imagoeconomica).

Pure La Gazzetta e Dazn hanno le loro piattaforme di scommesse

Persino il giornale sportivo più letto d’Italia, La Gazzetta dello Sport, ha una sua piattaforma di scommesse, così come Dazn, che ha i diritti per trasmettere le partite della Serie A: prima di accedere a qualsiasi contenuto l’immancabile spot di Dazn Bet Fun ti invita a pronosticare quanti calci d’angolo ci saranno, o magari quanti cartellini, con in palio, tra le altre cose, buoni Amazon.

Il controverso ok dell’Agcom e la restaurazione annunciata da Abodi

In più ci si è messa pure l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), che nel 2019 ha dato il suo ok alle già citate rubriche di confronto delle quote, contenitori considerati di informazione e non pubblicità. Risultato: divieti quasi completamente elusi e continui messaggi, più o meno impliciti, che assillano ogni tifoso durante la fruizione dell’evento. E la situazione potrebbe anche peggiorare visto che il ministro dello Sport Andrea Abodi si è detto pronto a «rendere nuovamente legali pubblicità e sponsorizzazioni delle aziende del betting», coi relativi introiti per i club e tutto il sistema calcio.

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Il ministro dello Sport Andrea Abodi (Imagoeconomica).

Un milione e mezzo di persone soffrono di dipendenza dal gioco d’azzardo

Di fronte a questo quadro, era complicato che soprattutto gli addetti ai lavori non si accorgessero di tanta invadenza. A cui spesso, anzi, hanno contribuito. I numeri certificano l’incremento di un fenomeno che ha ripercussioni anche sociali. L’Agenzia delle accise, dogane e monopoli (Adm) ha calcolato in 136 miliardi di euro la cifra totale delle puntate degli italiani nel 2022, in netta crescita sugli anni precedenti. Qualcuno sviluppa una forma di dipendenza dal gioco d’azzardo: secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, aggiornati al 2018, si tratta di un milione e mezzo di persone. Tra questi, stando agli sviluppi delle inchieste della procura di Torino, ci sarebbe anche qualche giocatore professionista, che si rifugia nell’illegalità gestita dalla criminalità organizzata per poter dare sfogo al “vizio”, come lo definisce qualcuno, o alla patologia, come sarebbe meglio dire. E qui si arriva al secondo punto centrale, quello delle prediche che si rincorrono nei confronti di «giovanissimi milionari dotati di talento che stanno buttando via un dono e la carriera».

L'escamotage delle pubblicita? di scommesse e le contraddizioni di chi fa la predica
Sandro Sabatini.

Il giornalista di Mediaset ed ex addetto stampa dell’Inter Sandro Sabatini è stato tra i più duri a condannare quello che sta succedendo ai calciatori italiani finiti nel tunnel: «È un affare per tutti, meno gli scommettitori. Il banco vince, la punta perde. Alla lunga, va soltanto così. Non potrebbe essere altrimenti», ha scritto su calciomercato.com dopo l’uscita dei primi nomi coinvolti. Per poi aggiungere: «Tutti inzuppano nella torta, che però è dolce per pochi e amara per gli scommettitori, che pure accettano quasi “godendo” di perdere soldi. È il segnale del vizio. La malattia. Ludopatia».

L’ascesa dei tipster, che danno consigli sulle quote

Sabatini è lo stesso che si vede ospite del talk show online su Twitch e YouTube Kick off, assieme ad altri personaggi di un certo rilievo come il telecronista Riccardo Trevisani o il campione del mondo Luca Toni, e dove il conduttore è il Pengwin, influencer da oltre 870 mila follower su Instagram che di “mestiere” fa il tipster, cioè colui che dà le dritte (dall’inglese “tip”) sulle scommesse. Si autodefinisce il più seguito in Italia, «nonché quello con maggiore esposizione mediatica». E in effetti lo si vede su Sportitalia, è il volto social di Prime video per la partite di Champions league, fa i pronostici sul Corriere dello Sport. Tra le altre cose, è ideatore di un presunto “metodino”, un sistema che dovrebbe «costruire un rendimento costante nel tempo a basso rischio», come spiega lui stesso, permettendo «a migliaia di persone di speculare». Tutto fornito gratis, o al massimo «a pagamento invece per 4/5 benestanti milionari, perché solo un milionario può permettersi di acquistare il mio tempo».

L'escamotage delle pubblicita? di scommesse e le contraddizioni di chi fa la predica
Il Pengwin con Fabio Caressa.

Non esiste metodo, perché «il ruolo della fortuna è predominante»

Il problema è che “metodo”, da definizione, è un procedimento atto a garantire il risultato. E nelle scommesse sportive nulla è garantito. Sul sito di Sisal si legge: «Non è possibile elaborare precisi calcoli percentuali che indicano le probabilità di vincita di una scommessa sportiva. Sono infatti infinite variabili che condizionano un evento. Un atteggiamento razionale può avere una certa positiva influenza sull’esito della giocata. Tuttavia, ancora una volta non bisogna ingannarsi. Anche nelle scommesse il ruolo della fortuna è predominante. I singoli episodi in campo, spesso, hanno la meglio perfino sulla più meditata delle decisioni».

Guru dei pronostici che guadagnano sui nuovi iscritti (e sulle perdite?)

Ma come guadagnano i tipster, che spesso si vantano di offrire agli utenti i loro preziosi suggerimenti senza pretendere soldi in cambio? Di solito grazie ad accordi coi siti di scommesse, venendo pagati a ogni nuova iscrizione che riescono a procacciare. Poi ci sono i banner pubblicitari presenti nei loro portali a ingrossare il flusso degli introiti. Alcuni guru del betting sfruttano abbonamenti “premium” ai propri canali, indicando ulteriori giocate per i follower che versano un canone mensile o annuale. C’è infine, in certi casi, una possibilità tanto logica quanto inquietante, analizzata dalla Bbc già nel 2016: e cioè che i tipster, prendendo una percentuale da un bookmaker, guadagnino quando il giocatore perde. Quindi paradossalmente non hanno nessun vantaggio se la loro soffiata risulta vincente, ma al contrario sono spinti a incoraggiare la propria community a reinvestire sempre di più, in modo da incassare una quota maggiore dalle scommesse andate male. A lungo termine quindi ai tipster conviene essere seguiti da giocatori d’azzardo perdenti.

Il creator che vuole «educare il pubblico», ma sbaglia come tutti

Su X, l’ex Twitter, è pieno di video impietosi che ripercorrono tutte le previsioni sbagliate del Pengwin: lui suggerisce una puntata, ma la partita va inesorabilmente nella direzione opposta. Capita. Il Pengwin in realtà si chiama Kristian, è un creator di origini polacche nato a Latina e ha 26 anni. Promette di «educare il pubblico» – i suoi follower sono prevalentemente giovanissimi – con degli insegnamenti. Ogni tanto gli è capitato di uscire dal seminato e di spaziare su altre sfere, tipo i diritti. Per esempio commentando il bacio tra Fedez e Rosa Chemical sul palco di Sanremo 2023, aveva scritto su Instagram: «È esattamente la società del domani che non voglio e nella quale non mi identifico! E lo dico senza paura perché sono stufo di una società che va sempre di più al contrario!». Una specie di antesignano del generale Vannacci in salsa betting, insomma.

Durante lo scorso campionato ha puntato 10 mila euro sulla vittoria del Napoli contro la Cremonese quotata a 1,19, guadagnando in questo modo quasi 2 mila euro netti. Si è giustificato così: «L’ho fatto alla faccia di tutti gli invidiosi che ci sono in Italia. La prossima volta ne metto anche 100 mila, qual è il problema? Mentre voi per fare 2 mila euro vi dovete fare un culo così per un mese, io li faccio sul Napoli».

Sabatini, prima di tirare fuori tutta la sua indignazione per gli speculatori del mondo delle scommesse, andava (e andrà ancora?) in trasmissione col Pengwin mostrandosi interessato al suo “metodino”: «Mi devi spiegare cos’è. Se c’è da guadagnare… io volentieri, capito? Perché io mi fido di questo ragazzo».

Guai però a parlare di ludopatia col Pengwin, che su Instagram si scalda facilmente, minimizza e bolla come «patetici» e «ridicoli» quelli che avanzano qualche dubbio sul presunto incitamento al gioco d’azzardo veicolato tramite i social: per parlare della patologia è stato persino invitato dalla redazione del quotidiano Libero in qualità di esperto del mondo scommesse. In un intervento sul sito del Corriere dello Sport (ovviamente nella sezione scommesse), ha scritto che «la ludopatia è una malattia, non un alibi da utilizzare sotto consiglio del proprio legale».

L'escamotage delle pubblicita? di scommesse e le contraddizioni di chi fa la predica
Alcune stories dal profilo del Pengwin.

I calciatori esposti a due fattori di rischio maggiori

Il tema è che l’insorgere di una dipendenza dal gioco d’azzardo (Tonali ha ammesso di aver iniziato un percorso di terapia per curarsi) può colpire chiunque a prescindere dal portafogli: anzi, è stato sottolineato come tra i calciatori esistano due fattori di rischio maggiori: innanzitutto il contesto di perenne e forte competitività e il sottile equilibrio tra vittoria e sconfitta che respirano durante la loro vita in campo, che li potrebbe portare a ricercare quella stessa adrenalina anche “fuori”. A questo si aggiungono le ingenti disponibilità economiche che li possono spingere a osare sempre di più, sottovalutando la portata delle perdite.

A qualcuno servono puntate sempre più alte e frequenti

Chi ha un disturbo psicologico non riesce a tenere a bada l’impulso di giocare d’azzardo in maniera abitudinaria, manifestando un’irrefrenabile necessità di scommettere. Servono puntate sempre più alte e frequenti per continuare a provare le stesse emozioni. Nella sua ultima “sfida” lanciata sui suoi canali, il Pengwin si è dato l’obiettivo di una “scalata” fino a 100 mila euro, con 10 puntate consecutive che raddoppiano la somma precedentemente giocata. Oltre 162 mila persone sono pronte a seguirlo in questo tentativo.

Caressa e quel consiglio su come non farsi beccare

«Delle tante cose che si sono scritte vedo che c’è un po’ di ignoranza sulle scommesse», ha detto Fabio Caressa, storico telecronista di calcio e uno dei condirettori di Sky Sport. «Sento parlare di ludopatia, ma non è che se uno gioca è ludopatico. C’è una serie di cose che devono andare al posto giusto per definire la ludopatia». E ancora: «Non è semplice, perché questa è una dipendenza psicologica ed è difficile da dimostrare. C’è una dimensione economica ormai insopportabile perché c’è una quantità di denaro ingestibile e facciamo credere ai giovani che i soldi siano tutto». Durante la puntata di sabato 14 ottobre della trasmissione Deejay Football Club condotta assieme al direttore del Corriere dello Sport Ivan Zazzaroni, Caressa aveva fatto discutere per un commento con tanto di suggerimenti su come non farsi beccare: «È un problema soprattutto culturale e di educazione. Tonali piange? Perché ti hanno beccato, piangi. Sono sconcertato dalla stupidità di queste azioni. Se proprio vuoi giocare, non c’hai un amico tuo che si può iscrivere a un sito legale e giochi in maniera moderata con lui? Ma dai, ma chi li segue questi ragazzi?».

Anche Caressa è stato ospite del Pengwin, il maghetto dei pronostici. A cui ha riconosciuto le capacità di predizione: «È facile analizzare la partite dopo, è più difficile fare come fai te, che le analizzi prima. Non t’ho seguito su alcune scommesse quest’anno, ho fatto male…».

@ilpengwin

Avete visto la mia puntata speciale con Fabio Caressa? Vi è piaciuta? ??

? suono originale – Kristian Pengwin

Dov’è il valico di Rafah e perché è importante nella guerra tra Israele e Hamas

In questi giorni il valico di Rafah viene quotidianamente citato dalla stampa internazionale, in quanto è diventato un luogo chiave nella guerra tra Hamas e Israele. La strettoia è l’unica via di uscita dalla Striscia di Gaza e si trova sul confine meridionale con la penisola egiziana del Sinai. La riapertura del valico è stata annunciata mercoledì 19 ottobre dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi dopo il colloquio con Joe Biden, ma Israele ha posto come condizione la liberazione degli ostaggi israeliani catturati da Hamas.

Perché è importante la strettoia di Rafah

Quando i miliziani del gruppo di Hamas hanno attaccato il valico di Erez il 7 ottobre, Israele ha dichiarato chiusi i valici di Erez e Kerem Shalom fino a nuovo avviso, lasciando il confine di Rafah come l’unica via di entrata e di uscita nella Striscia. Rafah è quindi l’unico punto di passaggio per gli aiuti umanitari di cui Gaza necessita dopo il blocco delle forniture di cibo e carburante imposto da Tel Aviv, nonché l’unica via di uscita per i civili di Gaza. È stato lo stesso Israele ad aver invitato gli abitanti di Gaza a spostarsi in massa verso Sud per ripararsi dai bombardamenti e dall’operazione via terra che l’Idf potrebbe mettere in atto nei prossimi giorni.

Mentre arrivano gli aiuti umanitari permane l’incertezza sull’apertura del valico

In questi giorni, però, Rafah è stato più volte bombardato da Israele, perché ritenuto luogo di entrata della armi per Hamas e dei terroristi stessi. L’intenzione di riaprire il valico è stata confermata giovedì 19 ottobre da Joe Biden a margine dei colloqui con Netanyahu e al-Sisi, ma Israele ha posto come condizione la liberazione degli ostaggi israeliani catturati da Hamas. Nonostante permanga l’incertezza sull’apertura di Rafah, negli ultimi giorni all’aeroporto El Arish del Sinai sono atterrati almeno otto aerei che trasportavano aiuti provenienti da Turchia, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Tunisia e un convoglio di oltre 100 camion, secondo quanto ha riferito la Mezzaluna Rossa egiziana. Le Nazioni Unite hanno anche iniziato a posizionare sul confine scorte salvavita, tra cui cibo e forniture mediche. Domenica 16 ottobre l’Oms ha portato all’aeroporto El Arish 78 metri cubi di forniture mediche essenziali, sufficienti per 300 mila persone. «L’assistenza si sta accumulando al confine mentre le persone che si trovano a pochi chilometri di distanza sono disperate e soffrono la fame», ha detto ad Al Jazeera il portavoce del Programma alimentare mondiale dell’Onu Abeer Etefa.

Dov'è il valico di Rafah e perché è importante nella guerra tra Israele e Hamas
Un convoglio di aiuti umanitari giunto sul confine di Rafah il 16 ottobre (Getty Images).

Anche l’Egitto è esitante nell’aprire il varco sul confine

Ma non è solo Israele ad avere il potere di controllo del valico. L’Egitto è infatti disposto a riaprire Rafah per consentire solo l’uscita dei titolari di passaporto straniero e l’ingresso degli aiuti umanitari, temendo un massiccio afflusso di rifugiati palestinesi in fuga dalla guerra. Il 12 ottobre il presidente egiziano al-Sisi ha avvertito che un esodo da Gaza rischierebbe di «liquidare» la causa palestinese e ha invitato i palestinesi a «rimanere saldi nella loro terra». È anche preoccupato per la possibilità che militanti islamici entrino nel paese, che ha dovuto affrontare un’insurrezione jihadista nel Sinai per quasi un decennio. Da quando Hamas ha preso il controllo di Gaza nel 2007, l’Egitto ha contribuito a imporre il blocco dell’enclave e ha fortemente limitato il flusso di persone e merci e, nel 2008, decine di migliaia di palestinesi sono entrati nel Sinai dopo che Hamas ha aperto dei buchi nelle fortificazioni di confine, spingendo l’Egitto a costruire un muro di pietra e cemento. Anche le Nazioni Unite hanno espresso la propria preoccupazione per la potenziale migrazione di massa di palestinesi verso l’Egitto, avvertendo che potrebbe provocare una grave crisi umanitaria.

Settore orafo, l’export italiano metà del totale Ue anche nel primo semestre 2023

Nel primo semestre 2023, il settore orafo italiano ha realizzato esportazioni per 4,7 miliardi di euro con una crescita del 16,4 per cento, confermando il proprio ruolo di protagonista nel contesto europeo (poco meno della metà delle esportazioni dell’UE27 sono riferite all’Italia). Tra i mercati di sbocco, grazie a una crescita del 68 per cento e un importo di 780 milioni di euro, la Svizzera ha superato gli Stati Uniti, che comunque hanno presentato una crescita sia in valore (5 per cento), sia in quantità (14 per cento) con 578 milioni di euro. Seguono gli Emirati Arabi Uniti con 544 milioni di euro, in linea come valore al dato del primo semestre 2022 e la Francia con 478 milioni di euro. Da rilevare, inoltre, tra i diversi mercati di riferimento, il continuo rafforzamento delle vendite verso l’Irlanda (+21 per cento), che negli ultimi anni ha assunto il ruolo di hub logistico per il gioiello Made in Italy.

Cresce la domanda cinese, giù quella americana

Nel periodo preso in esame, la domanda mondiale di gioielli in oro è stata pari a oltre 950 tonnellate, con una dinamica più vivace nel secondo trimestre (+3,1 per cento) rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Il mercato cinese, per effetto anche del rimbalzo in seguito all’eliminazione delle misure restrittive, presenta una crescita sostenuta (+19 per cento) trainata dalla ripresa della socialità e anche dal ritorno ai matrimoni sospesi negli anni precedenti. In riduzione, invece, la domanda dall’India, che rappresenta il secondo mercato per domanda di gioielli e che ha mostrato un calo pari al -12 per cento e si è attestata a 207
tonnellate. Particolarmente rilevante la crescita della domanda turca, che mostra per il quarto trimestre consecutivo una crescita a doppia cifra e
raggiunge nei primi sei mesi il valore di circa 20 tonnellate, con un incremento dettato soprattutto dalla domanda per investimento. La domanda americana, invece, ha mostrato un calo del 7 per cento, frutto anche di un progressivo spostamento dei consumi verso i servizi e condizionata dall’elevato prezzo dell’oro.

Giambruno non conduce Diario del giorno dopo il servizio di Striscia, ma è a Pavia per un evento

Andrea Giambruno non ha condotto la puntata di Diario del giorno di oggi, giovedì 19 ottobre, poche ore dopo il servizio di Striscia la notizia in cui è stato mostrato un suo fuorionda. La trasmissione, in onda su Rete4, è stata condotta invece dalla giornalista Manuela Boselli. Su X e sugli altri social, dove per ore gli utenti hanno commentato il video di Giambruno che apprezza la collega Viviana Guglielmi e che si lamenta per le critiche al suo look, in tanti si chiedono se sia soltanto un caso.

Giambruno forse a Pavia per un evento

Mediaset non ha chiarito se l’assenza sia solo temporanea o se l’avvicendamento sarà permanente. Sui social e sul sito dell’azienda non c’è alcuna nota in cui si parla del cambio di conduzione. Sui social le indiscrezioni si susseguono tra chi parla di assenza prevista e chi, invece, di decisione a sorpresa. A svelare l’arcano è il giornalista Giuseppe Candela, che su X ha twittato che Giambruno si trova a Pavia, impegnato in un evento dal titolo Stati generali sul cammino e il turismo sostenibile. Tra gli ospiti anche la ministra del Turismo, Daniela Santanchè. Ma in tanti si chiedono se sia davvero solo una coincidenza.

Fiorello a Giorgia Meloni: «Ormai si divorzia in 24 ore»

Anche Fiorello, durante Aspettando Viva Rai 2, ha ironizzato sulla vicenda. Ha finto di chiamare la premier Giorgia Meloni, compagna di Giambruno, e ha dichiarato: «Giorgia, sei un po’ arrabbiata ancora per il servizio di Striscia di ieri? Ma ti posso dire? Ormai si divorzia in 24 ore».

Intensificati i controlli antiterrorismo nel porto di Genova

Dopo l’attacco di matrice islamica di Bruxelles e la scoperta che il terrorista Abdesalem Lassoued era stato a Genova (sicuramente nel 2011, ma forse anche dopo), ad essere sorvegliato speciale è soprattutto il porto del capoluogo ligure, già considerato obiettivo sensibile o ora ancora di più. Non solo perché è un’area dove transitano ogni giorno migliaia di passeggeri, ma anche perché lo scalo genovese rappresenta l’unico porto italiano con numerosi collegamenti diretti con il Nord Africa, in particolare con Tunisia e Algeria.

Si tratta dello scalo italiano con più collegamenti col Nord Africa. Il terrorista Abdesalem Lassoued, autore dell’attentato di Bruxelles, era stato nel capoluogo ligure.
Il porto di Genova (Getty Images).

Il porto di Genova è uno dei più trafficati dell’intero Mediterraneo

In generale il porto di Genova è uno scalo molto importante per il Mediterraneo: qui si imbarcano spesso passeggeri che arrivano, oltre che dall’Italia e dalla Francia, anche dal Belgio e dal Nord Europa. A gestire i controlli e gli alert di segnalazione su possibili passeggeri ritenuti sospetti è la polizia di frontiera, in collaborazione con la Digos, quest’ultima impegnata in prima linea soprattutto nelle indagini su tutto il territorio ligure alla ricerca di possibili fiancheggiatori di Lassoued o più in generale a fenomeni di radicalizzazione di stranieri residenti a Genova.

A Genova otto pakistani sono stati condannati per terrorismo

Controlli intensificati anche da parte della Polfer sui treni diretti in Francia o provenienti dal Paese d’Oltralpe. Il tribunale di Genova, tra l’altro, ha appena condannato otto cittadini pakistani per aver costituito nel capoluogo ligure una cellula terroristica collegata al “Gruppo Gabar”, a sua volta vicino a Zaheer Hassan Mahmoud, che a settembre del 2020 attaccò l’ex sede del giornale satirico Charlie Hebdo, ferendo due persone a colpi di mannaia.

«I neri piacciono alle donne perché hanno una dote sotto»: la Liga Veneta espelle il consigliere regionale

Le scuse di rito non sono bastate. La Liga Veneta ha espulso il consigliere regionale eletto con la lista Zaia Fabiano Barbisan che, come ha spiegato il segretario locale Alberto Stefani, si è reso responsabile «di affermazioni indegne e vergognose, da punire con massima severità». Martedì 17 ottobre, durante il talk show Focus sulla rete locale Medianordest, Barbisan parlando di immigrazione aveva prima definito i migranti in fuga dalla fame «più sgionfi de mì» (più gonfi di me), poi si era lasciato andare a commenti sessisti: «I ragazzotti neri, bisogna dire di colore adesso, forse alle donne piacciono perché hanno un’altra dote sotto». Parole da cui persino il conduttore della trasmissione si era immediatamente dissociato. Nemmeno due giorni dopo è arrivato il provvedimento di espulsione.

«Parole a dir poco indegne», la reazione dei consiglieri veneti del Pd

Questi ragionamenti «ci riportano al tempo dei cavernicoli», hanno tuonato i consiglieri veneti del Pd parlando di «una vera vergogna, che cancella ogni rispetto per le donne, per chi soffre e cerca di scappare dagli orrori, e per lo stesso Consiglio regionale». Non le ha mandate a dire neanche Luana Zanella capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera che ha affondato il colpo: i migranti, «rispetto a Barbisan hanno di sicuro doti anche di sopra».

Le scuse del consigliere

Dopo lo scoppio della polemica, Barbisan aveva cercato di buttare acqua sul fuoco. «Sono profondamente rammaricato e mi scuso per quanto accaduto l’altra sera in televisione. Quelle mie parole non rappresentano né i miei valori, né, soprattutto, il pensiero del movimento e del gruppo al quale appartengo», ha spiegato. «Sull’onda emotiva della diretta televisiva, purtroppo, mi sono fatto colpevolmente trascinare dagli argomenti e dalla discussione. Chi scappa da una guerra ha tutti i diritti ad essere assistito, a prescindere dalla propria corporatura. Mi scuso pertanto per queste mie parole, così come mi scuso se ho ferito la sensibilità delle donne e chiunque si sia sentito offeso dagli improvvidi termini che ho utilizzato». Scuse che però non sono bastate, nemmeno alla Liga.

La reggia di Versailles ancora evacuata: è la quarta volta in sei giorni

La reggia di Versailles è stata evacuata per la quarta volta in sei giorni. Lo ha riferito l’emittente Bfmtv, che ha spiegato come l’evacuazione sia stata ordinata dopo l’ennesimo allarme bomba. Il primo caso risale a sabato 14 ottobre e anche il Louvre era stato evacuato. Poi un nuovo allarme martedì 17 e infine il terzo, mercoledì 18. E nella stessa giornata, sono stati evacuati diversi aeroporti francesi, tra cui quelli di Lille, Nantes, Bordeaux e Montpellier. In totale 17 scali erano in stato d’allerta e 15 quelli dai quali è stata fatta uscire ogni persona. Si è trattato di una vera ondata di allarmi finti, che ha portato anche alla cancellazione di 130 voli.

La reggia di Versailles ancora evacuata è la quarta volta in sei giorni
La reggia di Versailles (Getty Images).

Clément Beaune: «Scherzi di cattivo gusto»

Il ministro dei Trasporti francese, Clément Beaune, ha parlato di «scherzi di cattivo gusto». Il riferimento è alle telefonate con i falsi allarmi degli ultimi giorni. Secondo alcuni funzionari si tratterebbe di un gruppo di giovanissimi responsabili. E il ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, li ha definiti «piccoli buffoni, saranno trovati e puniti». E ancora: «Non abbiamo bisogno di piantagrane, di psicosi, in questo momento». La legge francese prevede, per questo genere di falsi allarmi e scherzi telefonici, la reclusione fino a 3 anni e una multa che può salire anche a 45 mila euro.

Armi a Israele, dirigente del dipartimento di Stato Usa si dimette

Un dirigente del Dipartimento di Stato nell’ufficio che sovrintende ai trasferimenti di armi si è dimesso per protestare contro la decisione dell’amministrazione Biden di continuare a inviare armi e munizioni a Israele, mentre assedia Gaza nella sua guerra con Hamas. Nella sua lettera di dimissioni, Josh Paul ha spiegato che il «cieco sostegno a una parte» sta portando a decisioni politiche «miopi, distruttive, ingiuste e contraddittorie» rispetto agli ai valori che gli Stati Uniti sostengono pubblicamente.

Armi a Israele, il dirigente del dipartimento di Stato Usa Josh Paul rassegna le dimissioni in disaccordo con l'amministrazione Biden.
Il benvenuto di Tel Aviv a Joe Biden (Getty Images).

«Stiamo ripetendo gli stessi errori commessi negli ultimi decenni»

«La risposta che Israele sta dando, e con essa il sostegno americano sia a quella risposta che allo status quo dell’occupazione, porterà solo a sofferenze maggiori e più profonde sia per il popolo israeliano che per quello palestinese», ha continuato Paul, che è stato direttore degli affari pubblici e parlamentari per l’ufficio affari politico-militari del Dipartimento di Stato per oltre 11 anni. «Temo che stiamo ripetendo gli stessi errori commessi negli ultimi decenni e mi rifiuto di farne parte per un periodo più lungo».

Armi a Israele, il dirigente del dipartimento di Stato Usa Josh Paul rassegna le dimissioni in disaccordo con l'amministrazione Biden.
Carro armato israeliano (Ansa).

La condanna al taglio di elettricità, acqua e cibo nella Striscia

Paul ha poi affermato che il taglio da parte di Israele dell’acqua, del cibo, dell’assistenza medica e dell’elettricità nella Striscia di Gaza, territorio dove vivono due milioni di persone, dovrebbe far scattare la protezione prevista da una serie di leggi federali di lunga data intese a tenere le armi americane fuori dalle mani di chi viola i diritti umani. Ma queste barriere legali stanno fallendo, ha detto: «Il problema con tutte queste disposizioni è che spetta al ramo esecutivo stabilire se si sono verificate violazioni dei diritti umani. La mossa di prendere una decisione non spetta a qualche entità accademica apartitica, e non c’è alcun incentivo affinché il presidente determini effettivamente qualcosa».

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Maltempo, allerta arancione in alcune zone del Piemonte

Il bollettino meteorologico emesso alle 13 di giovedì 19 ottobre 2023 dall’Arpa (Agenzia regionale per l’ambiente) del Piemonte ha dichiarato l’allerta arancione fino alle 13 di venerdì 20 ottobre nella valli Varaita, Maira, Stura, Belbo, Bormida e Scrivia per rischio idrogeologico, causa possibile esondazione di corsi d’acqua secondari e attivazione di fenomeni di versante dovuti a piogge localmente molto forti. Per questo motivo, come comunicano il presidente della Regione Alberto Cirio e l’assessore alla Protezione civile Marco Gabusi la sala operativa della Protezione civile regionale verrà aperta dalle 8 del 20 ottobre fino al termine dell’evento. Dichiarata inoltre l‘allerta gialla per la pianura settentrionale, per la zona del Toce, per l’alta Valsusa e per le valli Sesia, Cervo, Chiusella, Chisone, Pellice e Po. Allerta verde per il resto del Piemonte (pianure torinese e cuneese, bassa Valsusa, valli Orco, Lanzo e Sangone).

Maltempo marcato sul Piemonte fino a sabato mattina

Secondo le previsioni la bassa pressione, con un minimo estremamente profondo anche al suolo, entrerà progressivamente nel bacino del Mediterraneo occidentale e causerà una graduale estensione delle precipitazioni a partire dalle Alpi, il basso Piemonte e il confine lombardo fino a tutto il territorio piemontese per la sera di giovedì 19 ottobre. Successivamente, nella notte e nella mattinata di venerdì il maltempo diverrà marcato, con precipitazioni moderate diffuse, localmente forti o molto forti sulle Alpi e sull’Appennino, in particolare sulle zone sud-occidentali, sul Verbano e sullo Scrivia, associate anche a un rinforzo della ventilazione, soprattutto sui rilievi e sul settore orientale. Fenomeni particolarmente forti potranno valicare dal versante francese delle Alpi occidentali e dai rilievi al confine ligure, sconfinando sulle zone limitrofe del Piemonte. Nel pomeriggio del 20 ottobre l’instabilità andrà progressivamente attenuandosi, soprattutto sul Piemonte meridionale, mentre le precipitazioni continueranno al Nord (soprattutto sul Verbano) fino a sabato mattina.

Roma, 21enne muore investito da due auto: stava attraversando sulle strisce

Un ragazzo di 21 anni è morto dopo essere stato investito mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali, in via Flaminia a Roma. È successo di fronte alla stazione Labaro, dove il giovane si stava recando per prendere il treno. Trasportato in codice rosso all’ospedale Sant’Andrea, le sue condizioni sono apparse subito critiche. Dopo poche ore il 21enne non ce l’ha fatta. Ora, come evidenzia Repubblica, i vigili urbani del XV gruppo Cassia stanno indagando sulla vicenda. La dinamica non è ancora chiara, perché ci sono due auto coinvolte: un taxi e un Doblò Fiat.

Il giovane è stato investito da entrambe le auto

Il ragazzo sarebbe stato investito prima dal Doblò e poi dal taxi, una Toyota, che viaggiava nel senso di marcia opposto. Gli agenti hanno portato gli automobilisti all’ospedale San Filippo Neri, per sottoporli ai test alcolemici e si attendono riscontri. Sui social, intanto, molti utenti hanno sottolineato la necessità di far limitare la velocità in quell’area. Il giovane è la 155esima vittima sulle strade di Roma dall’inizio del 2023.

Morta una turista di Milano travolta da un Suv

La notizia è arrivata 24 ore dopo la morte di una turista di Milano. La donna, Laura Pessina, stava attraversando la strada sulle strisce pedonali in via del Teatro Marcello, quando è stata travolta da un’auto. Alla guida un 78enne. Il giorno dopo l’incidente, avvenuto il 17 ottobre, la vittima è morta in ospedale. Il marito, Roberto Manzoni, è ancora ricoverato all’ospedale Santo Spirito in condizioni gravissime. Entrambi originari di Brugherio, in provincia di Monza, si trovavano a Roma per qualche giorno di vacanza. Il 78enne alla guida del Suv è indagato per omicidio stradale.

Roma, 21enne muore investito da due auto stava attraversando sulle strisce
Un agente traccia alcuni elementi in un strada dopo un incidente (ANSA).

Guerra in Ucraina, a che punto siamo rimasti

Guerra scaccia guerra, da sempre. Come era prevedibile il nuovo conflitto tra Israele e Hamas ha oscurato mediaticamente la guerra tra Mosca e Kyiv. Non solo: anche a livello politico il dossier israelo-palestinese si è sostituto per urgenza e gravità a quello ucraino dato che i rischi di un allargamento del conflitto sono molto più realistici. Anche perché la crisi è polveriera che non minaccia solo il Medio Oriente ma l’intero mondo arabo (e non solo). Non certo una buona notizia per Kyiv che esce dalle priorità – diplomatiche e militari – degli alleati, in un contesto che già prima dell’attacco di Hamas era comunque in fase di transizione dopo oltre un anno e mezzo di guerra e soprattutto dopo quattro mesi di controffensiva ucraina che hanno dato risultati molto contenuti, confermando la situazione di stallo al fronte. Rispetto alle posizioni del novembre 2022, dopo che l’Ucraina aveva riconquistato in autunno importanti territori a sud di Kharkiv e ripreso Kherson occupata dai russi all’inizio della guerra, è cambiato poco o nulla: i combattimenti duri e costanti sia nel Donbass che sulla linea di contatto meridionale non hanno sortito effetti decisivi. E alla vigilia dell’inverno le prospettive sul terreno non sembrano mutate.

Guerra in Ucraina, dove siamo rimasti
Una chiesa danneggiata da un missile russo a Zaporizhzhia il 18 ottobre 2023 (Getty Images).

Gli obiettivi di Zelensky restano immutati: riprendere il controllo di Donbass e Crimea

Per Vladimir Putin la controffensiva ucraina è fallita, per Volodymr Zelensky continua con il suo ritmo, che non è quello previsto, e restano immutati gli obiettivi: riportare sotto il proprio controllo Donbass e Crimea. La fotografia attuale del conflitto, la medesima degli ultimi mesi, vede comunque la Russia mantenere la supremazia sui territori occupati, con l’intensificazione degli scontri sul versante di nordest dove le truppe del Cremlino stanno premendo e mettendo in difficoltà le difese ucraine, e l’Ucraina che tenta di penetrare le linee nella regione di Zaporizhzhia dove però l’opposizione russa ha concesso molto poco. Il risultato è appunto lo stallo, con Mosca che ha ripreso i bombardamenti al sistema energetico alle porte dell’inverno e Kyiv che mette a segno colpi nelle retrovie russe utilizzando droni e i nuovi sistemi missilistici forniti dall’Occidente, come gli statunitensi Atacms.

Guerra in Ucraina, dove siamo rimasti
Vladimir Putin. Alla sua destra il ministro della Difesa Sergei Shoigu (Getty Images).

Allo stallo militare si aggiunge quello diplomatico

L’arrivo delle armi occidentali a Kyiv, compresi i caccia F16 che verosimilmente potranno entrare in azione nei primi mesi del prossimo anno, è considerato dal Cremlino un coinvolgimento diretto nel conflitto da parte dei Paesi Nato, ma non un fattore decisivo in grado di cambiare le sorti della guerra: Putin ha ripetuto nelle ultime settimane che in teoria sarebbe pronto a anche a trattare con Zelensky, partendo dalla situazione attuale sul campo, vantaggiosa per Mosca, ma è Kyiv che si oppone a qualsiasi dialogo, visto che il suo obiettivo, come proposto nel cosiddetto piano di pace presentato agli alleati occidentali la scorsa estate a Gedda e che sarà ridiscusso probabilmente a Malta alla fine di ottobre, è quello di aprire i negoziati solo dopo la riconquista di Donbass e Crimea. Dalla realtà in ogni caso non si può prescindere. E gli obiettivi ucraini devono essere messi in relazione a quello che la Russia sta facendo e farà sul campo e al sostegno che è e sarà dato dall’Occidente. Forse l’inverno e la guerra tra Israele e Hamas offriranno a Kyiv, Mosca e Washington nei prossimi mesi l’occasione per riflettere sulle possibili vie d’uscita.

La guerra tra Israele e Hamas e il fronte della disinformazione

Migliaia di morti. Due milioni di civili intrappolati nella Striscia di Gaza, dove continuano a piovere missili di Tel Aviv. La situazione in Medio Oriente si fa di ora in ora più drammatica ed è sempre più concreto il rischio di escalation. A gettare benzina sul fuoco è (anche) la disinformazione dilagante sul web, dove proliferano contenuti falsi o manipolati, capaci di infiammare ulteriormente gli animi e fomentare gli estremisti.

Guerra Hamas-Israele, una bufala tira l’altra

L’unità di fact-checking di Reuters ha identificato numerosi casi di post sui social media con immagini e informazioni false sul conflitto Israele-Hamas. Dopo la distruzione dell’ospedale di Gaza, al centro di un rimpallo di accuse tra i due fronti (l‘Idf non solo ha diffuso sui social una intercettazione che inchioderebbe Hamas ma ha anche lanciato un appello alla stampa internazionale perché verifichi le notizie prima di rilanciarle), su X l’account “Farida Khan”, che si spacciava per giornalista di Al Jazeera, ha sostenuto di essere in possesso di un video che accertava la responsabilità di Hamas. Al Jazeera poco dopo ha reso noto di non aver alcuna Farida Khan alle proprie dipendenze e l’account è stato successivamente rimosso. Per dimostrare il coinvolgimento dell’Iran nel conflitto, è stato rilanciato un video del 2014 in cui il portavoce dell’ala militare di Hamas, Abu Obaidah ribadiva il sostegno iraniano all’organizzazione palestinese. Tra le tante immagini autentiche delle vittime israeliane di Hamas, è spuntato anche un video del 2015 del linciaggio di una ragazza in Guatemala, fatta passare come una giovane donna israeliana. La lista degli esempi è lunga. Un filmato del 2022 del presidente russo Vladimir Putin è stato ricondiviso con sottotitoli inventati che mettevano in guardia gli Usa di non intervenire nel conflitto in Medio Oriente. Stessa cosa è accaduta con video del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Spopolano poi immagini di videogiochi rilanciate come fossero attacchi missilistici reali. Mentre tra le bufale c’è pure la vendita di armi occidentali a Hamas da parte dell’Ucraina.

Bruxelles contro la disinformazione

Il fenomeno ha assunto proporzioni allarmanti, al punto da costringere l’Unione europea a chiedere a Meta, X, TikTok e YouTube l’immediata rimozione di «contenuti illegali e disinformazione» sul conflitto in corso. TikTok dal canto suo ha dichiarato di aver cancellato più di 500 mila video e 8 mila live streaming.

La Cyber Unit di Tel Aviv ha chiesto la cancellazione di contenuti pro-Hamas

La disinformazione non è una minaccia da sottovalutare. Non è infatti un mistero che il web sia la porta per il proselitismo e la radicalizzazione. È così che tanti lupi solitari aderiscono alla jihad ed è così che le principali organizzazioni terroristiche chiamano alle armi nuovi combattenti. Per questo Israele è corso ai ripari. Dal 7 ottobre la Cyber Unit di Tel Aviv, istituita nel 2015 per di coordinare gli sforzi nella lotta alla criminalità e al terrorismo su Internet, ha presentato circa 4.500 richieste di rimozione di contenuti, la maggior parte delle quali a Facebook, TikTok e X. Rafi Mendelsohn, vicepresidente della società israeliana di monitoraggio dei bot Cyabra, ha affermato che più di 40 mila account falsi hanno diffuso online narrazioni pro-Hamas: migliaia di essi, ha spiegato, sono stati creati più di un anno prima dell’attacco.

Come la disinformazione sul web, con bufale di vario genere, influisce sul conflitto israelo-palestinese e sulla sua espansione.
Manifestanti pro-Palestina ad Atene (Getty Images).

Tel Aviv tenta la mossa degli influencer

Che quella in corso sia una guerra da vincere – anche – online, Israele lo sa bene. E, dopo l’attacco sferrato da Hamas, oltre ad aver richiamato i riservisti ha reclutato anche i blogger più importanti del Paese «a beneficio della difesa israeliana in tutto il mondo», come ha spiegato il ministro degli Esteri Eli Cohen. «I social network e l’influenza sull’opinione pubblica internazionale sono fondamentali durante la guerra, al fine di mobilitare il sostegno internazionale». E ha aggiunto: «Il mondo deve capire che la lotta dello Stato di Israele è la lotta della luce contro le tenebre, una cultura che desidera la vita contro i vili terroristi. Inoltre, gli influencer online possono sollevare il morale dei cittadini israeliani e rafforzare lo spirito di resilienza». Sì, ma occhio alle fake news.

A Qbuzz un contratto da un miliardo di euro per servizi bus in Olanda

Una concessione da un miliardo di euro per 10 anni, dal 2024 al 2034, con la previsione di trasportare 155 milioni di passeggeri ogni anno. Qbuzz, società olandese del Gruppo FS italiane controllata da Busitalia, si è aggiudicata i servizi di Trasporto Pubblico Locale (TPL) nella provincia di Fryslan (Frisia), al nord dell’Olanda, che conta 650 mila abitanti. Un ulteriore passo per il Gruppo guidato da Luigi Ferraris che prevede, secondo gli obiettivi del Piano industriale, un aumento dei ricavi dall’estero da 1,8 miliardi di euro del 2019 a 5 miliardi nel 2031. Questo rientra nel ruolo che FS Italiane vuole rivestire in Europa, sempre più considerato mercato domestico, come multidomestic company condividendo esperienze e conoscenze oltre il confine italiano nel settore del trasporto passeggeri e merci su ferro e gomma.

Qbuzz è leader nell’utilizzo di autobus a basso impatto ambientale

Il servizio, gestito con una flotta di 260 autobus, sarà organizzato attraverso 80 linee con una previsione di 26 milioni di km offerti all’anno ai cittadini dei Paesi Bassi. Il contratto prevede l’ingresso di 660 persone nella squadra di Qbuzz per la gestione della nuova concessione e il valore totale del contratto è la somma fra i biglietti venduti e i corrispettivi. Un’aggiudicazione che ha anche una forte impronta green visto che Qbuzz è leader nell’utilizzo di autobus a basso impatto ambientale (nella sua flotta ci sono 310 bus a zero emissioni, di cui 32 alimentati ad idrogeno e 278 elettrici) e nella sperimentazione di carburanti a basso impatto ambientale come HVO, quest’ultimo già utilizzato con ottimi risultati. Proprio in questo ambito la società del Polo passeggeri del Gruppo FS investirà nel corso della concessione oltre 218 milioni di euro nel rinnovo della flotta e in innovazione tecnologica per migliorare comfort e sostenibilità ambientale dei collegamenti.

La società gestisce i servizi di TPL in altre aree dei Paesi Bassi

Qbuzz, già terzo operatore del trasporto pubblico olandese, continua la sua crescita e ambisce a scalare di una posizione la graduatoria dei più importanti operatori dei Paesi Bassi. Qbuzz già gestisce i servizi di TPL nelle aree di Utrecht, Groningen-Drenthe e DMG (Drechtsteden-Molenlanden-Gorinchem) a cui va aggiunta l’ulteriore concessione aggiudicata nel mese di luglio 2023 (valevole nel periodo dicembre 2024-dicembre 2039) nell’area metropolitana nel Randstad tra Amsterdam e Rotterdam e L’Aia.

Al Gruppo FS un contratto da un miliardo di euro per servizi bus in Olanda
Mappa delle concessioni Qbuzz in Olanda (Gruppo FS).

La Provincia di Fryslan (650 mila abitanti) è caratterizzata da aree rurali e cittadine di medie dimensioni e vanta poli turistici di grande attrazione. Il territorio del Fryslan è adiacente all’Area Groningen –Drenthe (GD) dove Qbuzz già gestisce un’importante concessione con importanti possibili sinergie sia dal punto di vista industriale che commerciale.

Captagon, cos’è la droga usata da Hamas in Israele

Una pasticca per scacciare la paura, allontanare la stanchezza e non avere freni inibitori. I soldati di Hamas, durante i loro attacchi del 7 ottobre in Israele, avrebbero fatto uso del Captagon, droga diffusa in Medioriente e nota per essere utilizzata dai terroristi dell’Isis prima di compiere un attentato. Stando a quanto rivela l’emittente locale Channel 12, i soldati di Tel Aviv hanno infatti trovato pasticche della sostanza stupefacente nelle tasche dei guerriglieri palestinesi morti durante gli scontri. Conosciuta anche come cocaina dei poveri dato il suo costo esiguo – una dose non supera i 20 dollari – oppure droga della Jihad, viene prodotta principalmente in Libano e Siria prima di giungere anche in Europa. Il legame fra la metanfetamina e la guerra però ha radici ben profonde nella storia, tanto da risalire all’epoca del nazismo. E persino vichinghi e romani scendevano in battaglia sotto l’effetto dell’alcool.

Prima di Hamas, anche l'Isis ha fatto uso della metanfetamina Captagon. La droga e la guerra sono però legate già dall'epoca del nazismo.
Decine di buste con Captagon ad Aleppo, in Siria (Getty Images).

Captagon, quali effetti provoca e come arriva in Israele

Come molte altre metanfetamine, il Captagon è in grado di restituire a coloro ne fanno uso una sensazione di onnipotenza. Chi la assume infatti può evitare di mangiare o dormire per giorni, dato che non avverte stanchezza. In parallelo, una pasticca aumenta l’eccitazione e l’euforia, scacciando ogni paura o dolore. I primi effetti si registrano dopo circa 30 minuti e possono durare anche per diverse ore. Diffuso tra i miliziani dello Stato islamico, il Captagon è stato trovato nelle case degli attentatori di Parigi al Bataclan nel 2015 e nel sangue di uno dei terroristi che attaccarono nello stesso anno un hotel di Sousse, in Tunisia. Come ha sottolineato infatti l’Osservatorio europeo per le droghe, la sostanza giunge nel Golfo dopo un rapido passaggio in Europa, cardine della distribuzione, alimentando un business da 10 miliardi di euro all’anno.

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Dal nazismo al Vietnam, il vecchio legame tra metanfetamina e guerra

La droga al fronte in Medioriente non rappresenta tuttavia una novità assoluta. Nel corso dei secoli, infatti, studiosi e ricercatori hanno sottolineato numerosi precedenti di sostanze stupefacenti in battaglia. I nazisti, per esempio, è probabile facessero uso del Pervitin, un farmaco dopante sintetizzato nel 1937 dal medico Fritz Hauschild. Secondo Der Spiegel, più di 35 milioni di dosi da circa tre milligrammi sarebbero giunte nelle mani delle truppe di terra e dell’aviazione tedesche soltanto fra l’aprile e il giugno 1940. Persino il Führer Adolf Hitler e il suo generale Erwin Rommel pare ne facessero uso. Soprannominate Panzerschokolade, ossia il cioccolato per i carri armati per via della distribuzione in tavolette, consentirono di conquistare l’Olanda in soli quattro giorni. Nel corso della Seconda guerra mondiale, anche l’esercito giapponese avrebbe utilizzato metanfetamine per resistere al dolore, mentre gli Alleati se ne sarebbero serviti per le lunghe sessioni di volo.

Prima di Hamas, anche l'Isis ha fatto uso della metanfetamina Captagon. La droga e la guerra sono però legate già dall'epoca del nazismo.
Una pasticca di Captagon allevia il dolore e scaccia la paura (Getty Images).

La droga fu protagonista anche durante la guerra in Vietnam. Marijuana, ma anche eroina e altre droghe, circolavano liberamente tra i Marines, tanto che si ritiene che il 15 per cento ne rimase dipendente anche dopo la fine del conflitto. Gli americani hanno fatto uso di sostanze stupefacenti anche in tempi recenti. Durante la guerra in Iraq, i piloti dell’Air Force ingerivano pasticche di Modafinil, in grado di prolungare le ore di veglia. L’abitudine di scendere in guerra sotto l’effetto di sostanze psicotrope risale però addirittura all’antichità. Si ritiene infatti che greci e romani preferissero combattere dopo aver bevuto vino, capace di innalzare la soglia del dolore e inibire la paura. I Berserker vichinghi, temibili guerrieri dell’esercito di Odino, entravano in trance prima della battaglia, mentre gli inca masticavano foglie di coca per restare svegli.

UniCredit, i minibond per pmi superano quota 1 miliardo di euro

UniCredit ha superato il traguardo del miliardo di euro mobilitato a favore delle Pmi tramite lo strumento dei minibond, confermandosi leader in Italia nel mercato dei capitali anche nel segmento delle piccole e medie imprese. L’obiettivo è stato raggiunto grazie ai 174 minibond strutturati dalla banca a supporto dei piani di sviluppo e degli investimenti di 160 Pmi italiane da quando, nel 2017, l’istituto è attivo in questo mercato. Numeri che portano UniCredit ad avere una quota di mercato stabilmente superiore al 18 per cento in termini di numero di minibond.

Tra i settori con più emissioni food & beverage, telecom & it e chimico farmaceutico

Da inizio anno sono state 16 le emissioni, per un volume che sfiora i 100 milioni di euro. L’ultima operazione si è conclusa a metà ottobre a favore di Tregenplast, azienda lombarda che opera nel settore del recupero ecologico che ha emesso un minibond ESG da 4 milioni di euro, interamente sottoscritto da UniCredit e con garanzia del Fondo di garanzia per le pmi gestito da Mediocredito Centrale (MCC) per conto del ministero delle Imprese e del Made in Italy. Proprio il tema della ESG ha assunto un’importanza crescente negli ultimi anni, a partire dal primo minibond ESG emesso nel 2020, tanto che l’81,3 per cento delle operazioni effettuate finora nel 2023 incorporano obiettivi di sostenibilità. Il crescente utilizzo dello strumento è testimoniato anche dai dati Bankitalia, secondo cui mentre a inizio 2012 quasi l’80 per cento del debito finanziario delle imprese italiane era rappresentato dal credito bancario e l’utilizzo di obbligazioni era solo all’8 per cento, a fine 2022 tali quote erano rispettivamente pari al 65 per cento e al 14 per cento, a testimonianza di un cambiamento generale in atto cui hanno contribuito anche minibond, basket bond e bond di filiera. Per quanto riguarda i settori delle imprese che ne usufruiscono, il 21 per cento delle 174 emissioni di minibond curate da UniCredit ha coinvolto aziende del food & beverage. Ma molto recettivi sono stati anche i settori Telecom & IT, quello dei beni di consumo e il chimico farmaceutico, così come i servizi, l’agricoltura e il tessile.

Il 50 per cento delle operazioni effettuato al Nord

Se le imprese delle regioni del Nord del Paese hanno effettuato il 50 per cento delle operazioni, molto attive si stanno mostrando anche le pmi del Mezzogiorno, che si attestano al 40 per cento del totale delle emissioni curate da UniCredit – anche grazie al contributo della banca finalizzato alla diffusione dello strumento. Secondo i dati diffusi dal Politecnico di Milano (nell’Osservatorio dei minibond), infatti, da quando esiste lo strumento dei 208 emittenti del Sud circa un terzo (65) sono stati assistiti da UniCredit, con una quota particolarmente significativa in Puglia (86,8 per cento) e in Sicilia (45,5).

Il contributo offerto dai basket bond

Un decisivo contributo al raggiungimento dei risultati finora conseguiti da UniCredit è arrivato dai basket bond, operazioni di portafoglio di minibond che consentono di aumentare l’interesse degli investitori istituzionali per i piccoli tagli e per le piccole e medie imprese. Dei 55 minibond emessi nell’ambito di queste operazioni, 30 riguardano il Basket Bond Puglia, con garanzia della Regione Puglia, 12 il Basket Bond di Filiera, iniziativa promossa con Cdp per lo sviluppo delle principali filiere dell’economia italiana e 13 il Basket Bond Esg, la prima iniziativa di questo genere in Italia legata a obiettivi ESG, nata in collaborazione con Cdp per sostenere gli investimenti delle aziende finanziandone i piani di sviluppo sostenibile.

Taricani: «Evidenti vantaggi per le imprese che utilizzano i minibond»

«In questa fase dell’economia del nostro Paese è importante aggiungere alla tradizionale attività di supporto dell’economia reale anche lo strumento dei minibond, che consente alle pmi di approcciare il mercato dei capitali, diversificando le proprie fonti di finanziamento», ha dichiarato Remo Taricani, deputy head di UniCredit Italia. «Nel corso degli ultimi anni sono divenuti sempre più evidenti per le imprese i vantaggi derivanti dall’uso di questo strumento, che permette di ottenere funding a lungo termine e avere una maggiore stabilità del credito. Anche per questo le aziende italiane si stanno sempre più orientando verso l’utilizzo di minibond, segno anche di una loro crescente maturità finanziaria».

UniCredit, i minibond per pmi superano quota 1 miliardo di euro
Remo Taricani (Imagoeconomica).

E ancora: «Il processo di emissione dei minibond consente alle imprese di familiarizzare con le dinamiche e regolamentazioni dei capital market e rappresenta per le pmi un messaggio di solidità al mercato, grazie al sostegno che esse possono avere da importanti investitori istituzionali. Proprio per questo, come UniCredit continuiamo a sviluppare questo strumento, anche con formule innovative e grazie a partnership con importanti player istituzionali».

Belgio-Svezia termina 1-1, omologato il risultato della gara sospesa per l’attentato

Belgio-Svezia, sospesa a metà gara la sera del 16 ottobre a causa dell’attacco terroristico in cui sono rimasti uccisi due tifosi svedesi a Bruxelles, non si recupererà. La Uefa ha comunicato in una nota ufficiale che la partita è stata dichiarata definitivamente interrotta sul punteggio di 1-1. Il risultato è stato confermato come finale e, quindi, omologato. Entrambe le squadre, quindi, avranno un punto in classifica nel gruppo F del torneo di qualificazione agli Europei 2024. Il Belgio, già qualificato, sale a 17 punti. La Svezia è terza a quota 7. Già qualificata anche l’Austria, seconda con 16 punti.

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Belgio-Svezia termina 1-1, omologato il risultato della gara sospesa per l'attentato
La maglia della Svezia durante una commemorazione dei due tifosi rimasti uccisi nell’attentato (ANSA).

L’Uefa: «Impossibile riprendere il giorno dopo»

Per assumere tale decisione, l’Esecutivo «ha preso atto in primis dell’impossibilità di disputare la restante parte della partita del giorno successivo, quindi che sia la Federcalcio belga sia la Federcalcio svedese, date le circostanze, hanno espresso la volontà di non far disputare il tempo rimanente della partita e di considerare definitivo il risultato all’intervallo. Inoltre, il risultato non incide sulla qualificazione del Gruppo F in quanto il Belgio è già matematicamente qualificato alla fase finale dell’Europe (insieme all’Austria) e la Svezia era già matematicamente eliminata. Infine, i rispettivi calendari non consentono l’utilizzo di alcuna data nella prossima finestra internazionale di novembre, quando dovrà concludersi la fase a gironi preliminare della competizione, seguita dal sorteggio degli spareggi e dal sorteggio della fase finale del torneo».

Belgio-Svezia termina 1-1, omologato il risultato della gara sospesa per l'attentato
I tifosi lasciano lo stadio (Getty Images).

I Musei Vaticani aumentano il prezzo dei biglietti

La direzione dei Musei e dei Beni Culturali ha informato che, a partire dal 1° gennaio 2024, il prezzo dei biglietti ordinari di ingresso alle collezioni pontificie verrà modificato. Il costo del biglietto intero sarà portato da 17 a 20 euro mentre il ridotto, per le categorie che ne hanno diritto, non subirà alcuna variazione e la tariffa agevolata sarà sempre di 8 euro. «La necessità di adeguare il prezzo del biglietto è strettamente connessa all’aumento generalizzato dei costi», hanno spiegato dalla direzione dei Musei.

Una variazione sul biglietto che servirà a migliorare i servizi offerti

La nuova tariffa consentirà di garantire la gestione del complesso museale e la cura del patrimonio artistico, storico e culturale in modo più efficace e congeniale alle attuali esigenze, così come già prospettato nel complessivo riordino delle politiche di accoglienza dei Musei Vaticani. La direzione dei Musei ha sottolineato: «La finalità ultima rimane, come sempre, quella di offrire un servizio migliore, più vicino alle esigenze dei visitatori, con particolare riguardo ai fedeli che desiderano avvicinarsi all’esperienza che solo il più grande complesso di opere della cristianità è in grado di offrire». Rimane confermato, invece, il costo del diritto di prenotazione, non obbligatoria, già fissato a 5 euro.

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