Daily Archives: 22 Ottobre 2023

La tragica attualità dell’opera The Death of Klinghoffer di Adams

Portare in palcoscenico la storia di oggi – così recente che ancora la tensione della cronaca cova sotto la cenere, così presente che la successione di tragici eventi sembra un ordine seriale non modificabile – è stata a lungo la sfida di uno dei più importanti compositori contemporanei, John Adams. Dal suo debutto con Nixon in China (1987), il 76enne musicista del Massachusetts, uno dei grandi nomi del cosiddetto minimalismo, ha variamente percorso le strade suggerite dagli avvenimenti contemporanei. Poco a che vedere – almeno sul piano dei soggetti – con la maggior parte delle scelte del caposcuola, Philip Glass, di 10 anni più anziano, che nell’ultimo ventennio del secolo scorso andava proponendo per la scena personaggi come Einstein o il faraone Aknaten, o Galileo Galilei, oppure faceva ricorso alla letteratura, com’è il caso di The Fall of the House of Usher, da Edgar Allan Poe, lavoro portato al debutto nello stesso anno in cui Adams raccontava in musica lo storico incontro fra il presidente Usa e Mao-Tse-Tung.

La tragica attualità dell'opera The Death of Klinghoffer di Adams
I ringraziamenti di John Adams dopo aver ricevuto il premio Erasmo nel 2019 ad Amsterdam (Getty Images).

Le polemiche su The Death od Klinghoffer a partire dalla prima a Bruxelles nel 1991

Il secondo lavoro per il palcoscenico di Adams, The Death of Klinghoffer (La morte di Klinghoffer), ha avuto una vita complicata fin dal suo primo apparire, al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, nel marzo del 1991, con la regia di Peter Sellars. E il motivo è facilmente intuibile. Si tratta infatti di una rievocazione del dirottamento della nave da crociera Achille Lauro da parte di quattro terroristi appartenenti al Fronte per la Liberazione della Palestina, avvenuto nell’ottobre 1985. L’azione culminò nell’omicidio del cittadino americano di religione ebraica Leon Klinghoffer, che aveva 69 anni ed era costretto su una sedia a rotelle e dopo essere stato ucciso con due colpi di pistola fu gettato in mare dai terroristi. Concluso il dirottamento e arrestati i suoi responsabili, che furono processati in Italia perché la nave batteva bandiera italiana, a proposito specialmente di questo feroce delitto si scatenò la cosiddetta “crisi di Sigonella”, che vide i rapporti fra Stati Uniti e Italia arrivare al punto più basso dal Dopoguerra a oggi.

Le controversie statunitensi sul presunto antisemitismo dell’opera di Adams

Più che in Europa, l’opera ha avuto vita difficile negli Stati Uniti, a causa dell’aspra e prolungata, ricorrente controversia sul suo presunto antisemitismo, addebito sempre sdegnosamente respinto dal compositore, che ha ripetutamente affermato di essersi ispirato a un rigoroso equilibrio nell’illustrare le posizioni dei palestinesi e quelle degli ebrei. Posizioni riflesse nell’ampio spazio dato alle pagine corali nelle quali, appunto, i due popoli esprimono il loro sentire. In ogni caso, lo stesso Adams aveva provveduto almeno inizialmente (poi le esecuzioni integrali non sono mancate) a eliminare una scena dell’opera, nella quale i vicini di casa dei Klinghoffer negli States sono rappresentati secondo quelli che sono stati da più parti accusati di essere stereotipi antisemiti. E quella scena non è presente neanche nella sola registrazione discografica oggi reperibile. Ma il musicista ha tenuto la posizione sull’impianto generale del lavoro, nonostante nel tempo sia stato attaccato anche da intellettuali autorevoli come il musicologo Richard Taruskin.

Nel gennaio 2002 la prima a Ferrara pochi mesi dopo l’attacco dell’11 settembre

Rappresentata negli Stati Uniti, durante gli Anni 90 e i primi anni Duemila, sempre con accompagnamento di proteste, l’opera è approdata sul massimo palcoscenico operistico americano, quello del Met di New York, soltanto nell’autunno del 2014, a 23 anni dalla prima assoluta. In quell’occasione, è stata sospesa la programmata trasmissione in streaming della rappresentazione, scelta che ha causato la risentita protesta di Adams, ma lo spettacolo è andato in scena con il calendario stabilito senza ulteriori problemi. In quel momento, la prima assoluta in Italia (a quanto ci risulta, anche l’unica produzione) era già avvenuta da oltre un decennio. The Death of Klinghoffer è stata infatti rappresentata al teatro Comunale di Ferrara nel gennaio del 2002, pochi mesi dopo il sanguinoso attacco terroristico alle Due Torri dell’11 settembre 2001, in un intrigante allestimento firmato dal regista Denis Krief, poi replicato il mese successivo anche a Modena (direttore Jonathan Webb). Per capire il clima, nel novembre di quell’anno il coro dell’opera di Boston si era rifiutato di eseguire in concerto alcuni dei cori dei palestinesi e degli ebrei contenuti nella partitura. Nella città dei Finzi Contini, sede di una delle più importanti comunità israelitiche italiane, non si è dovuta registrare alcuna contestazione. Alla fine – chi scrive era presente – il successo è stato pieno.

La tragica attualità dell'opera The Death of Klinghoffer di Adams
La protesta degli studenti ebrei all’esterno del Metropolitan Opera in occasione della prima di The Death of Klinghoffer nel 2014 (Getty Images).Le grandi pagine corali che punteggiano il dramma 

Una drammaturgia essenziale da cui emergono l’ideologia e le radici culturali dei personaggi

Anche se tutta l’opera, a partire dal prologo con i suoi due grandi cori, si basa su una sorta di “simmetria” che in qualche modo mette di fronte la prospettiva dei palestinesi e quella degli ebrei, o più generalmente dell’Occidente, il tema politico finisce per essere trascinato dalla tensione dell’evento che si racconta, secondo una logica drammaturgica asciutta, essenziale. Ne sortisce una sorta di epica tesa, drammatica, densa di implicazioni psicologiche che non riguardano tanto i personaggi (sono quelli della cronaca, ma nessuno ha un reale rilievo individuale) quanto la loro ideologia, i loro sentimenti di popolo, le loro radici di cultura. La partitura di Adams ha molte più frecce al suo arco del ricorso agli stilemi ricorrenti del minimalismo musicale. Certo, rimane il gusto per i piani sonori ben definiti, omogenei, per le progressioni armoniche, per le tinte soffuse e le dinamiche sottili, per un’invenzione melodica a tratti rarefatta. Qui però, fermo restando un eloquio comunque trasparente e “comprensibile”, senza astrusità, s’impone anche una cifra espressiva effettivamente drammatica, molto ricca di sostanza ritmica, plasticamente teatrale. Non c’è distacco intellettualistico, ma partecipazione a tratti vibrante, comunque efficacemente comunicativa, specialmente nelle grandi pagine corali che punteggiano il dramma secondo una logica che affonda le radici nella tragedia greca e ha i suoi antecedenti musicali nell’Oratorio. Meno incisiva la scrittura vocale dei singoli personaggi, soprattutto per l’insistenza su un declamato anche duttile ma in qualche caso almeno rinunciatario nella sua ripetitività.

Il libretto di Alice Goodman non perde mai di vista il dramma di popolo

Il libretto della poetessa Alice Goodman (la stessa autrice di Nixon in China) è spesso ridondante, complesso nella gran mole di riferimenti coranici o biblici (l’autrice è anche ministra di culto della Chiesa Anglicana al Trinity College di Cambridge), ma non perde di vista, ed è essenziale, il filo rosso del dramma di popolo che racconta. E il dramma, da tutti i punti di vista, sta in queste atroci parole pronunciate dal terrorista Mamoud: «Il giorno che io / E il mio nemico / Staremo tranquillamente seduti / Ognuno dei due a esporre il suo caso / Sforzandoci di raggiungere la pace / Quel giorno morirà la nostra speranza / E anch’io morirò». Dopo 30 anni, parole ancora di sconvolgente e tragica attualità.

Belluno: ucciso Bambotto, il cervo allevato dagli abitanti di Pecol

Bambotto era di casa a Pecol, nel Bellunese, dove era stato lasciato dalla madre sullo zerbino di un’abitazione del paese. La morte del cervo, probabilmente causata da un cacciatore, ha suscitato diverse reazioni. A denunciarne la morte con un post su Facebook è stata Donatella Zendoli: «Questo era Bambotto. Era nato 7 anni fa a Pecol e da subito la sua mamma Minerva lo aveva portato sullo zerbino di Giorgio, affidandolo a noi abitanti e fidandosi come aveva fatto lei per tutta la sua vita».

 

«Da allora» ha scritto la donna «è diventato il nostro amatissimo cervo. Ho scritto era perché Bambotto è morto. Ammazzato da un miserabile che crede di aver compiuto un’impresa e invece si è solo marchiato a vita come un poveraccio che ha sparato a un animale che ti mangiava dalle mani e si faceva coccolare fino ad addormentarsi tranquillo».

«Mi teneva tanta compagnia»

«Era diventato bellissimo e maestoso» – ha aggiunto Donatella- «e credo che siano davvero pochi quelli che non lo conoscano. Lo potevi incrociare per strada mentre raggiungeva tutte le frazioni limitrofe e si fermava a mangiare ovunque da chi lo amava come noi. Spesso mi entrava in casa e poi era un impresa farlo uscire perché i suoi palchi erano immensi. Ho trascorso anni stupendi e mi teneva tanta compagnia perché se decideva di restare si addormentava su per le scale o davanti alla porta di ingresso mi seguiva ovunque docilmente». Al termine del post, l’accusa: «Cosa può esserci» – scrive Donatella – «nel cuore di un caso umano che uccide per puro divertimento? La caccia non è uno sport. È una barbarie senza alcun senso. Con tutto il dolore possibile voglio dire a questo essere che lo disprezzo dal profondo dell’anima. Vigliacco vergognati».

Codacons: «La guerra spinge il gas, in arrivo gli aumenti»

Dallo scoppio del conflitto in Israele «le quotazioni del gas sui mercati internazionali sono salite del +34 per cento, passando dai 38 euro al megawattora del 6 ottobre ai 51 euro di venerdì scorso», un incremento che, «se traslato sulla voce ‘approvvigionamento materia prima energia’ nelle prossime bollette di luce e gas, determinerebbe sul mercato tutelato una spesa aggiuntiva pari a +355 euro su base annua a famiglia». Lo ha affermato il Codacons in una nota, plaudendo alla proroga del mercato tutelato che lunedì 23 ottobre verrà varata dal Cdm.

Gli aumenti della bolletta media

«Con il nuovo fronte di guerra», spiega l’associazione, «la bolletta media del gas potrebbe salire di 210 euro, attestandosi a 1.537 euro annui a nucleo, mentre quella dell’elettricità aumenterebbe, nell’ipotesi di prezzi costanti, di 145 euro, portandosi a quota 909 euro annui, con una spesa complessiva per le forniture energetiche di 2.446 euro e un incremento complessivo del +17 per cento rispetto alle tariffe attualmente in vigore.

Mourinho espulso durante la partita Roma-Monza

José Mourinho finisce la partita con il Monza da espulso, ma «oggi» – domenica 22 ottobre – «l’unica panchina che ha fatto un grande show e pressione sull’arbitro è stata la loro» ha spiegato lo Special One. «Non critico questo, critico che dopo una partita non devi usare parole brutte» – ha specificato – «Le mie parole per loro sono state brava squadra, bravissimo allenatore». A chi gli chiede come mai sia stato espulso, invece, risponde: «Non lo so. Ho solo messo le dita davanti alla bocca e mimato il gesto di chi piange sempre alla panchina avversaria, ma non ho usato parole offensive. Se per l’arbitro è rosso va bene».

«Meglio una brutta verità che una bugia bella»

Quanto alla squalifica in arrivo che gli impedirà  di stare in panchina in Inter-Roma, Mourinho ha commentato: «Mi dispiace non esserci? Come tutte le volte che non ci sono».

Al 90esimo è arrivato il gol di El Shaarawy, al termine di una settimana che ha visto il faraone al centro di rumors legati al caso scommesse. «Se sono stato vicino a Stephan? Per due minuti. Ho un rapporto con i miei giocatori molto vero. Anche quando sono critico sono diretto» – ha spiegato – «Loro sanno che con me è meglio una verità brutta di una bugia bella. Quando lui e il bambino (Zalewski, ndr) mi hanno detto di non preoccuparmi perché loro non erano coinvolti, per me è stato facile».

Medici multati per troppi straordinari in emergenza Covid, sospeso il procedimento

La ministra del Lavoro, Marina Calderone, “ha avuto un colloquio telefonico con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al quale ha riferito delle attività in corso” in merito alla vicenda del policlinico di Bari. È quanto si legge in una nota del ministero. La ministra il 24 ottobre incontrerà il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, Filippo Anelli.

Medici multati per troppi straordinari

La vicenda riguarda i tre primari del policlinico di Bari che sono stati multati per i troppi straordinari fatti durante l’emergenza Covid e per non aver rispettato le norme sui riposi di medici e infermieri. In queste ore, l’ispettorato Nazionale del Lavoro ha sospeso il procedimento: «Nei prossimi giorni» – si spiega – «farà ulteriori approfondimenti per valutare l’annullamento delle sanzioni».

Sangiuliano: «Sul tax credit sono stato crocifisso dalla casta»

«Sono stato crocifisso sui giornali da una casta molto, molto ricca, solo perché mi sono permesso di dire che ci sono cose sospette che ti fanno riflettere, film che ricevono milioni e milioni di contributi pubblici e vengono visti da pochissime persone, solo perché mi sono permesso di toccare questo santuario di potere». Sono le parole del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, intervenuto all’evento L’Italia vincente. «Il tax credit» ha aggiunto durante la festa di FdI per un anno di governo «è passato dai 400 milioni del 2019 ad oltre 800 milioni, una cifra enorme con cui si potrebbero fare tante cose».

«Faremo un piccolo taglio»

Il ministro ha poi precisato: «Faremo un piccolo taglio, ma vogliamo incidere sul meccanismo di spesa e renderlo più efficiente». Con i fondi del tax credit, «si potrebbero per esempio acquistare tante macchine per la Tac per abbattere liste di attesa», ha sottolineato Sangiuliano rivolgendosi al ministro della Salute Orazio Schillaci, anche lui presente all’evento. «Aver parlato di una riforma» – ha ribadito – «non significa non ritenere l’audiovisivo fondamentale, un’industria importante per l’Italia, che riconosco e davanti alla quale mi inchino. Ma solo per aver pensato di rendere il sistema più efficiente, uno viene crocifisso”.

Il processo per l’omicidio di Saman e la piaga dei matrimoni forzati

È entrato nel vivo il processo per l’omicidio di Saman Abbas, la 18enne di origini pakistane è stata uccisa a Novellara nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 per essersi opposta al matrimonio forzato con un cugino nel suo Paese natale. Tra gli imputati, oltre al padre, i due cugini e lo zio, c’è anche la madre, l’unica a essere ancora latitante. Il clamore mediatico suscitato dal caso Saman non deve però far dimenticare le centinaia di ragazze di origine straniera fuggite da nozze combinate e forzate che vivono in Italia. Non esiste una stima accurata del fenomeno, ma secondo l’ultimo report di Action Aid nel nostro Paese ogni anno sono a rischio 2 mila minorenni, in maggioranza originarie di Bangladesh, Mali, Somalia, Nigeria, India, Egitto e Pakistan. Mentre da quando il matrimonio forzato è stato inserito come reato all’interno del Codice Rosso nel 2019, si sono registrati 35 reati di costrizione o induzione al matrimonio (nel periodo che va da agosto 2019 – dicembre 2021).

Il processo per l'omicidio di Saman e la piaga dei matrimoni forzati
Saman Abbas (Ansa).

Quando la comunità di appartenenza diventa una comunità di controllo

Tiziana Dal Prà ha fondato l’associazione interculturale Trama di terre e da anni è in prima linea per contrastare i matrimoni forzati in Italia. Secondo Dal Prà non c’è dubbio che la causa principale sia l’esclusione delle donne straniere dal circuito di tutela istituzionale. «Parlo con tante ragazze tutti i giorni, ma quello dei matrimoni forzati è un tema nuovo, anche nel mondo dell’antiviolenza», dice a Lettera43. Le ragazze straniere, anche quando dispongono di strumenti culturali, sono schiacciate dalle famiglie, la comunità di appartenenza diventa una comunità di controllo. «Tante giovani tramite il ricongiungimento familiare vengono portate qui in Italia, in una condizione di povertà educativa ed economica di cui le istituzioni non si occupano davvero», denuncia l’esperta. «Una volta in Italia ritrovano l’isolamento a cui erano obbligate nel Paese di origine in contesti svantaggiati e marginalizzati.

Dispersione scolastica e difficoltà di inserimento restano i problemi più gravi

Oltre al patriarcato imperante, pesa anche un contesto esterno che non vuole vedere il fenomeno. Ragazzine e donne finiscono così in trappola. E nulla o poco si fa per rompere queste catene. La scuola, per esempio, potrebbe essere il primo luogo di liberazione, ma vi si investe ancora troppo poco. Basta ricordare che la spesa pubblica destinata in Italia all’istruzione è appena del 4,1 per cento, a fronte di una media europea del 5. Nemmeno l‘obbligo di frequenza è rispettato. Dal recente report pubblicato da Save the Children Il mondo in una classe emerge che «solo il 77,9 per cento dei bambini con cittadinanza non italiana è iscritto e frequenta la scuola dell’infanzia (percentuale che sale all’83,1 per cento per i nati in Italia) contro il 95,1 per cento degli italiani. Tra gli studenti con background migratorio si registrano inoltre maggiori ritardi scolastici, casi di dispersione e abbandono scolastico. Mentre gli studenti di origine italiana in ritardo nell’anno scolastico 2021/22 rappresentavano l’8,1 per cento, quelli con cittadinanza non italiana erano il 25,4». Non solo: il 17,9 per cento degli studenti stranieri senza cittadinanza italiana ha dichiarato di non sentirsi mai o quasi mai parte della scuola. Con queste percentuali è facile immaginare come molte ragazze disertino le lezioni, diventando per le istituzioni dei fantasmi.

Il processo per l'omicidio di Saman e la piaga dei matrimoni forzati
Solo il 77,9 per cento dei bambini con cittadinanza non italiana è iscritto e frequenta la scuola dell’infanzia contro il 95,1 per cento degli italiani (Getty Images).

La mancanza di assistenti sociali

I servizi sociali preposti al controllo dell’obbligo scolastico non hanno sufficienti risorse, numeriche ed economiche, per occuparsi di tutte le fragilità. Dopo una diminuzione consistente, causata anche dalla crisi economica del 2008, i governi hanno ricominciato a investire nel settore dell’assistenza sociale, con il Fondo Nazionale Politiche Sociali e il Fondo Povertà. Secondo i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS, che l’Italia non ha ancora raggiunto) si dovrebbe assicurare un assistente sociale ogni 4 mila abitanti; a causa della competenza regionale in questa materia, i dati sono frammentati, ma fino a pochi anni fa era comune, anche nelle regioni del Nord, avere un assistente in servizio per 30 mila abitanti. «Non è controllo, ma è un tema di diritti. Perché noi abbiamo combattuto? Se la famiglia è isolata, il problema diventa enorme. Esattamente come nel caso di Saman», fa notare Dal Prà.

Perché la piaga dei matrimoni forzati è ancora sottostimata

Quello dei matrimoni forzati è poi un aspetto della violenza di genere molto complesso. I centri antiviolenza, che sono in grado di intercettare il rischio, sono penalizzati dalla scarsità di risorse. Secondo D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) gli investimenti nel settore del contrasto alla violenza maschile contro le donne sono ancora insufficienti, nonostante l’Italia si sia dotata di un Piano nazionale antiviolenza da finanziare annualmente con 15 milioni di euro, oltre ai 13,8 milioni destinati al reddito di libertà nazionale per garantire alle donne inserite in percorsi di fuoriuscita dalla violenza 400 euro mensili per un anno. Ma per le forme di violenza di genere meno note, come i matrimoni precoci e forzati, la situazione risulta ancora più complessa. Sono menzionati nel Piano antiviolenza e sono puniti da norme specifiche (il Codice Rosso), ma sono pressoché inesistenti informazioni sui fondi erogati e le attività realizzate. La legge di bilancio 2021-2023 ha destinato 3.074.103 milioni di euro al dipartimento per le Pari opportunità, ma a oggi, non sono disponibili dati pubblici riguardanti la loro destinazione. Spesso poi ci si affida al terzo settore, al volontariato, e questo indebolisce ulteriormente la rete di tutela. Le vittime dei matrimoni forzati difficilmente chiedono aiuto perché sono escluse dai circuiti di tutela previsti nel nostro Paese, motivo per cui si stima che i numeri del fenomeno siano sottostimati. Tiziana Dal Prà, infatti, insiste sulla necessità di «nuovi contesti di supporto alla povertà, un contatto diretto per garantire i diritti fondamentali»: maggiori fondi contro la dispersione scolastica, progetti sulle questioni di genere nelle scuole, educazione all’affettività, attività extrascolastiche gratuite per bambine e bambini. I numeri delle ragazze e bambine a rischio sono cresciuti in questi ultimi anni e una delle cause è da ricercarsi anche nell’esclusione delle madri dal mondo del lavoro; secondo un’indagine dell’Istat, le donne straniere sono infatti più esposte alla disoccupazione delle italiane e, nel caso della comunità pakistana il tasso di inattività delle donne tocca il 90 per cento.

Dal recente report pubblicato da Save the children Il mondo in una classe emerge che solo il 77,9 per cento dei bambini con cittadinanza non italiana è iscritto e frequenta la scuola dell’infanzia (percentuale che sale all’83,1 per cento per i nati in Italia) contro il 95,1 per cento degli italiani.
Tiziana Dal Prà (dal sito di Trama di terre).

Il senso di lacerazione e senso di colpa di chi riesce a fuggire

Il sistema attualmente in vigore prevede che le minori che denunciano il rischio di un matrimonio combinato vengano collocate in case protette, per cercare di ridurre al minimo il contatto con la famiglia di origine. Ancora una volta però la soluzione diventa l’esclusione. Queste donne, come molte straniere, vivono in una dimensione di accerchiamento e negazione della loro vita, del diritto di vivere un’esistenza felice. Il disinteresse e le poche risorse sono confermate dalla mancanza di dati statistici e studi ufficiali sui matrimoni precoci. Anche quelle che riescono a fuggire da contesti violenti, dice Dal Prà, provano comunque sensi di colpa verso la famiglia, una lacerazione profondissima. Ci sono ragazze che arrivano a chiedere aiuto perché non sanno con chi parlare del dolore che sentono. «Alcune si sono emancipate scappando da un matrimonio forzato, hanno ottenuto una borsa di studio, ma continuano a dare soldi alle famiglie di origine. Sono le istituzioni a dover individuare persone competenti che siano in grado di gestire queste situazioni».

Come l’Albania sta diventando sempre più avamposto strategico della Nato nei Balcani

Mentre il primo ministro albanese Edi Rama chiede che la missione Kfor guidata dalla Nato assuma il pieno controllo del Nord del Kosovo dopo le ultime tensioni regionali, i rapporti fra Albania e alleanza atlantica sono sempre più intensi, ed entro la fine del 2023 la storica base aerea di Kuçovë, a circa 80 chilometri dalla capitale Tirana, è destinata a diventare un centro operativo militare in grado di ospitare una flottiglia di aerei F-16. Lo Stato balcanico negli ultimi anni ha infatti spinto molto per assumere, con una combinazione di pressione esterna e iniziativa individuale, un ruolo rilevante all’interno del patto atlantico, con lo scopo di diventare un «valore aggiunto», parole del primo ministro, per l’alleanza. E lo stesso vale per la Nato, che secondo quanto ha affermato il suo segretario generale Jens Stoltenberg nel marzo del 2023, vede nell’Albania un tassello chiave.

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Come l'Albania sta diventando sempre più avamposto strategico della Nato nei Balcani
Edi Rama e Jens Stoltenberg (Getty).

Cambio di passo nel 2018 con la ministra della Difesa Xhaçka

Il rapporto fra Albania e Nato è in realtà iniziato nel 2009, quando, dopo gli anni della neutralità post-comunista, il governo guidato dall’ex primo ministro Sali Berisha optò ufficialmente per la scelta atlantica. Nel corso degli anni, il Paese ha mantenuto un profilo secondario e una posizione più defilata all’interno della galassia degli alleati, una tendenza che si è interrotta con il netto cambio di passo del 2018, quando l’allora ministra della Difesa Olta Xhaçka, in un incontro al Pentagono con il segretario statunitense della difesa James Mattis, dichiarò che erano «tempi maturi per una presenza degli Stati Uniti in Albania» e che il Paese avrebbe potuto rappresentare «una roccaforte degli Usa nella regione».

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Olta Xhaçka (Getty).

Xhaçka aggiunse poi che il governo dell’epoca, guidato già allora da Edi Rama, aveva «diverse idee su come rendere disponibile la sua terra, il suo cielo e le sue basi navali, ma anche altre capacità sia bilateralmente sia attraverso la Nato». L’enorme disponibilità albanese nei confronti della Nato si è poi intensificata ulteriormente nel corso del 2022, un anno che, parallelamente all’invasione russa dell’Ucraina, ha rappresentato per il patto atlantico uno storico momento di rinvigorimento e rilancio su scala internazionale.

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La base militare albanese di Kuçovë (Getty).

Dalle presenze sovietiche e cinesi all’asse con la Nato

Quella di Kuçovë però non è una base qualsiasi. A livello simbolico il sito militare negli anni della Guerra fredda è stato il simbolo della presenza sovietica ai bordi del Mediterraneo. Fu realizzato fra il 1952 e il 1955 e usato dal governo albanese prima per ospitare decine di caccia sovietici e poi, dopo la rottura albanese con Mosca, altri di fabbricazione cinese utilizzati fino al 2005. Prima dell’inizio dei lavori ai bordi della pista c’erano ancora le carcasse dei vecchi modelli di aerei da guerra risalenti a più di 50 anni fa. Fra il 2002 e il 2004 la base subì poi degli importanti lavori di ristrutturazione proprio per rientrare all’interno degli standard richiesti dall’alleanza e al suo completamento, che dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno con un finanziamento da 50 milioni di euro messo in campo dalla Nato, avrà un’estensione totale di 350 ettari grazie a una serie di espropri di aree circostanti. Il 20 gennaio a Kuçovë, località che dal 1950 al 1990 si è chiamata “Qyteti Stalin” (Città di Stalin), si è svolta la cerimonia di inizio dei lavori alla presenza del premier Rama, del ministro della difesa Niko Peleshi e dell’ambasciatore degli Usa in Albania Yuri Kim.

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Vecchi aerei da guerra nella base di Kuçovë (Getty).

A Pashaliman anche 12 sottomarini della Russia

Lo stesso valore simbolico lo ricopre la base navale di Pashaliman, situata nel Sud del Paese a circa 180 chilometri dalla capitale, che Tirana ha messo totalmente a disposizione nel maggio del 2022 per gli interessi della Nato a causa dei «tempi difficili» che il continente europeo sta affrontando. La sua costruzione risale anch’essa agli Anni 50, sempre nell’ambito della cooperazione militare in atto fra Tirana e Mosca. Arrivò a ospitare fino a 12 sottomarini sovietici, segnando la più grande minaccia militare del Mediterraneo per il patto atlantico. Con la caduta del regime socialista, l’area venne abbandonata e saccheggiata fino a quando la Turchia, che in Albania ha molteplici interessi economici, militari e politici, intervenne con un’opera di ristrutturazione verso la fine del secolo.

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La base navale di Pashaliman (Getty).

Nuovo impianto militare a Porto Romano, vicino a Durazzo

La dedizione albanese per la Nato non si ferma però a Kuçovë e Pashaliman, ma anche nel Nord del Paese si potrebbe assistere a un ulteriore passo negli ampliamenti dei presidi atlantici. Nel corso del vertice Nato di Madrid nel 2022 infatti, il premier albanese Rama ha comunicato di aver aperto una trattativa con i vertici dell’alleanza per la costruzione di un nuovo impianto militare navale a Porto Romano, località vicino alla città costiera di Durazzo e, in caso di approvazione definitiva del progetto, il porto arriverebbe a essere il più importante e strategico della nazione, con un’area commerciale e una militare. Non si conoscono ancora a sufficienza i dettagli, ma dalle prime indiscrezioni che emergono dai colloqui il progetto dovrebbe essere cofinanziato da entrambe le parti.

Cintura attorno alla sempre tesa area serbo-kosovara

Risulta quindi evidente come la Nato ritenga di notevole importanza il ruolo dell’Albania per il ruolo strategico che il Paese ricopre all’interno dell’area balcanica e, allo stesso modo, come un’intensa militarizzazione del suo territorio aumenti di fatto la presenza navale Nato nel Mediterraneo e rafforzi la cintura attorno alla sempre tesa area serbo-kosovara, in cui la Nato è necessariamente coinvolta nel ruolo di attore protagonista in chiave anti-serba.

Il possibile ritorno alla conduzione di Andrea Giambruno

Attualmente sospeso dopo i fuorionda trasmessi da Striscia La Notizia, il giornalista ed ex compagno della premier Giorgia Meloni, Andrea Giambruno, potrebbe tornare in onda per condurre Diario del giorno, la sua trasmissione, su Rete4. Ad avanzare l’ipotesi è il quotidiano Repubblica. Secondo le indiscrezioni, si legge, «Senza il ruolo di first gentleman anche le gaffe di Andrea saranno molto ridimensionate… E vedrete: anche lui si ridimensionerà parecchio» e ancora «non è il primo e nemmeno l’ultimo fuori onda che Antonio Ricci trasmette. La situazione si deve normalizzare».

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Ricci: «Non ci sono altri fuorionda»

«Da una fortunosa pesca estiva avevo due fuorionda del giornalista in frigo. Li ho usati. Così come son solito fare» ha sottolineato Antonio Ricci raccontando dell’utilizzo del materiale su Giambruno, ormai ex compagno della premier Giorgia Meloni. L’ideatore di Striscia ha spiegato di aver letto l’intervista su Chi a Giambruno, una sorta di «beatificazione» a cui ha «pensato subito di utilizzare l’antidoto».

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«Violando la privacy» ha proseguito Ricci «vi posso raccontare della telefonata di Fedele Confalonieri. L’incipit è stato: “Sei il re dei rompicoglioni, anzi sei l’imperatore dei rompicoglioni. Il seguito, essendo stato pronunciato in stretto lombardo anche volendo, non sono in grado di riferirlo».

Giorgia Meloni assente all’evento di Fratelli d’Italia

Lo aveva scritto nel tweet sulla rottura con l’ex compagno Andrea Giambruno, finito nel mirino di Striscia la notizia per alcuni fuorionda imbarazzanti, che Ginevra, figlia della premier e del giornalista, “è la cosa più importante della sua vita”. Così Giorgia Meloni, di rientro dal vertice del Cairo per la Pace e da Israele, non si è presentata alla festa di FdI L’Italia vincente – Un anno di risultati, e ha preferito restare con sua figlia. Si è però collegata con un videomessaggio.

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«Anche io sono un essere umano»

Nel filmato, la presidente del Consiglio, ha dichiarato: «Mi dispiace non essere presente, ma anche io sono un essere umano e se a qualcuno posso chiedere comprensione sono i militanti di FdI», ha detto nel video registrato e trasmesso al teatro Brancaccio, a Roma. «Io sono fiera di quanto fatto, ho sempre camminato a testa alta» ha ribadito.

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Gli interventi alla festa di Fdi

L’inizio lavori è stato avviato da una tavola rotonda alla quale hanno partecipato il co-presidente del gruppo Ecr al Parlamento europeo, Nicola Procaccini, il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano e il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida.

Lollobrigida: «Giorgia Meloni è forte»

Il ministro e cognato della presidente del Consiglio Lollobrigida ha così commentato: «Giorgia Meloni è forte, credo che stia dimostrando anche in queste ore capacità di avere come priorità l’Italia e, sul piano internazionale, anche un quadro di tenuta dei valori di pace, di democrazia, di libertà che ci devono essere in un momento in cui c’è un’aggressione terroristica».

Esplosione nel Ferrarese: crolla una palazzina

Il corpo senza vita di un anziano è stato trovato verso le 8 di domenica 22 ottobre dai vigili del fuoco, mentre una seconda persona risulta dispersa. È il bilancio provvisorio della tragedia avvenuta a Monestirolo, al confine tra i Comuni di Ferrara e Argenta, dove la probabile fuga di gas di una bombola di Gpl ha fatto crollare una palazzina.

Si cerca una donna ancora dispersa

Si sta ancora scavando alla ricerca di una donna, attualmente dispersa. Sul posto, una squadra dei vigili del fuoco di Piacenza sta operando con un macchinario speciale dotato di una pinza per macinare e demolire il tetto pericolante e quindi rischioso per le operazioni di ricerca. Dopo l’esplosione si era sviluppato un incendio che ha reso i primi interventi più complessi.

In campo le unità cinofile

Complessivamente, sono al lavoro 43 vigili del fuoco da Ferrara, Portomaggiore e Molinella, le squadre abilitate per ricerca persone da Bologna, Treviso, Rovigo e Venezia. Coinvolte anche le unità cinofile di Bologna e Parma, e le squadre di movimento terra da Forlì e Piacenza.

Usa, pugnalata a morte la presidente della sinagoga di Detroit

Samantha Woll, 40 anni, leader di un tempio progressista e vicino al partito democratico, è stata trovata senza vita in una pozza di sangue fuori da casa. Secondo le prime ricostruzioni della polizia il suo assassinio l’ha colpita con ferocia e più volte con un coltello. Il sindaco di Detroit, Mike Duggan, ha detto che la morte della presidentessa «lascia un vuoto enorme nella comunità» ricordando che solo poche settimane fa avevano celebrato insieme la fine dei lavori della sinagoga.

Sconosciuto il movente

«Siamo scioccati e rattristati nell’apprendere della morte inaspettata di Samantha Woll», ha riferito il tempio in una nota. La polizia per ora non si sbilancia su un movente ma ritiene che l’omicidio sia avvenuto dentro casa e che poi la vittima si sia trascinata fuori in cerca di aiuto, lasciando dietro di sé «una scia di sangue».

Il ricordo della deputata Slotkin

Woll aveva anche lavorato in passato con la deputata Elissa Slotkin, che l’ha ricordata con un post sui social media. «Ha dedicato la sua breve vita alla costruzione della comprensione tra le fedi, portando la luce di fronte all’oscurità». La deputata dem ha spiegato che la presidente ha lavorato per lei aiutandola a creare l’ufficio e guidandolo durante il suo primo mandato. «Mi fa male il cuore ad aver perso qualcuno così dedito al servizio verso gli altri in un atto così insensato. Mi mancherà il suo incessante desiderio di servire e il suo sorriso luminoso».

Femminismo, perché rileggere oggi Carla Lonzi

Qualche settimana fa ha destato parecchia sorpresa il ritrovamento di quel marito considerato suicida e invece scappato da moglie e famiglia per costruirsene un’altra, altrove. Ci sono tanti modi per cambiare vita, o almeno pensare di farlo mentre invece si stanno semplicemente ripetendo i propri errori. Carla Lonzi, alla fine degli Anni 60, ha meno di 40 anni ed è una delle più importanti critiche d’arte del nostro Paese. Ha pubblicato il libro Autoritratto, nel quale, attraverso l’uso (allora pionieristico) del registratore, ha dato voce ai più interessanti artisti dell’epoca (Accardi, Consagra, Fontana, Kounellis). A molti sembra una consacrazione e invece è un congedo, perché Lonzi, che nel frattempo si è avvicinata al gruppo Rivolta femminile, sta per gettare gli ormeggi e salpare verso un’altra vita. La sua però non è una fuga, ma l’affermazione del diritto a cercare qualcosa di diverso da una carriera confezionata su misura per lei da altri, secondo schemi già preconfezionati. Non è Mattia Pascal, non è un’insoddisfatta Bovary stanca della ripetitività della sua vita. È una rivoluzionaria che crede nella felicità e non nella rivoluzione, nel piacere e non nella vendetta. La sua è una fuga mentale, dalla se stessa che era, per diventare un’altra. Si reinventa la vita letteralmente da sola, pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno, smontando abitudini e retaggi.

Il potere di attraversare le generazioni e di essere ancora oggi attuale

Lonzi è una delle pochissime intellettuali di quegli anni ad aver attraversato le generazioni e a essere ancora oggi amata e discussa, citata e invidiata. A partire da quel libro, con un titolo che indicava già una direzione di marcia, Sputiamo su Hegel, appena ristampato dalle edizioni La Tartaturga. Sputare per togliere di mezzo, per distruggere, ma anche per esistere e non essere più liquidate o ridimensionate a fenomeno di costume, o a meteore passeggere. Occorre rifiutare la lotta di classe per impostare, da donne, il discorso su basi diverse e da qui l’esigenza primaria di “sputare” su Hegel e sulla sua dialettica servo-padrone «regolazione di conti tra collettivi di uomini».

Perché rileggere oggi Carla Lonzi
Sputiamo su Hegel (La Tartaruga).

Il Manifesto di Rivolta femminile e la lotta al patriarcato

All’inizio degli Anni 70, dopo aver abbandonato la professione e ogni attività pubblica, Lonzi si getta a capofitto nel gruppo femminista, partecipando alle sedute di autocoscienza dove emergono necessità, bisogni, diversi da quelli professati dai movimenti politici che vanno per la maggiore: Lotta continua, Potere operaio e così via. Il primo risultato che ne scaturisce è il Manifesto di Rivolta femminile, scritto assieme ad Elvira Banotti e Carla Accardi. Siamo negli anni della centralità operaia, gli studenti picchettano giorno e notte davanti alle fabbriche, gli attori indossano la tuta blu e gli scrittori cercano di adeguare il loro lessico a quello dei lavoratori delle fabbriche. Carla Lonzi ha il coraggio di guardare altrove e di indicare alle donne una direzione diversa, anzitutto quella della lotta al patriarcato. E poi rifiutare la storia scritta sui manuali, smetterla di considerarla come universale, perché in realtà riguarda solo il maschio.

Lo sganciamento del femminismo dal mito del 68

Ma c’è di più, negli anni delle grandi battaglie sociali e civili per i diritti delle donne, Lonzi rifiuta il processo di emancipazione perché frutto a suo parere di un riformismo che non intacca la vita interiore, l’identità delle donne: «La parità di retribuzione è un nostro diritto, ma la nostra oppressione è un’altra cosa. Ci basta la parità salariale quando abbiamo alle spalle ore di lavoro domestico?». Già negli Anni 70, anni caratterizzati da slogan forti, si taccia Lonzi di perseguire un radicalismo che non avrebbe portato a nulla. Lei, però rilancia, facendo ancora un passo più, slacciando il femminismo dalla parentela con il ’68: «Per entrare in uno spirito femminista le giovani hanno dovuto scardinare non poco le parole d’ordine, le mode e i miti sessantotteschi. È stato malgrado il ’68 e non grazie al ’68 che hanno potuto farlo». Abituata a seguire i mutamenti continui dell’arte e del gusto, Lonzi non resta ferma, i suoi scritti ci restituiscono un’intelligenza inquieta e affilata, capace di investire delle proprie riflessioni critiche ogni elemento sia del mondo esterno che di quello interiore, privato. Non tace, anzi, continua a parlare e a provocare, Carla Lonzi, scomparsa il 2 agosto 1982, come il suo diario pubblico e privato – Taci, anzi parla che sarà ristampato dalla Tartaruga come il resto della sua opera, fondamentale per capire quanto lunga e faticosa sia stata la strada percorsa. Una strada nella quale investe tutta se stessa, fino alla fine. Un cammino difficile. Rilette oggi da quelle pagine si coglie la necessità di un percorso da riprendere, quello della riflessione su di sé, dell’autocoscienza. Restando perfino turbati nel ritrovare, oggi, 2023, riflessioni come questa: «Non dimenticheremo che è del fascismo questo slogan: famiglia e sicurezza».

Come la Russia ha ripreso a esportare petrolio e gas neutralizzando le sanzioni

All’inizio di ottobre la Socar, compagnia petrolifera statale dell’Azerbaigian, ha concluso un accordo da 1,5 miliardi di dollari con il colosso russo Lukoil per la fornitura fino a 200 mila barili al giorno di greggio dalla Russia alla raffineria petrolifera Star, di proprietà della Socar, situata però in Turchia. L’intesa è stata realizzata per superare i problemi che la società di Baku stava affrontando nell’acquisto di petrolio da Mosca a causa delle sanzioni imposte dall’Occidente a Vladimir Putin per l’invasione dell’Ucraina, che impediscono alle aziende occidentali di commerciare greggio e prodotti petroliferi russi. Ma né Baku né Ankara partecipano in realtà al cordone di isolamento nei confronti della Russia, anche se l’Azerbaigian è un partner energetico fondamentale per Europa e Stati Uniti sin dagli Anni 90 per la diversificazione dei mercati, e la Turchia è un membro della Nato. Ilham Aliyev, Recep Tayyip Erdogan e Putin tra di loro trovano comunque sempre un accordo.

Come la Russia ha ripreso a esportare petrolio e gas neutralizzando le sanzioni
Una foto del 2013 di Vladimir Putin a pranzo col presidente azero Ilham Aliyev (Getty).

L’India ha aumentato l’import di greggio da Mosca dell’80 per cento

Nello stesso periodo il Pakistan, che ha da tempo cominciato a diversificare le sue forniture energetiche, ha iniziato a importare gas russo e Islamabad ha ricevuto la sua prima spedizione di gas liquefatto da Mosca, che ha consegnato 100 mila tonnellate di gnl attraverso la Zona economica speciale iraniana di Sarakhs. Il premier pakistano Shehbaz Sharif ha parlato dell’inizio di una nuova era nei rapporti tra il Pakistan e la Federazione russa. La vicina India ha aumentato le importazioni di greggio da Mosca quest’anno di circa l’80 per cento, riprese a settembre dell’8 per cento dopo un calo durante l’estate: nel subcontinente è arrivato in media un milione e mezzo di barili al giorno a settembre, rispetto agli 865 barili di un anno fa.

Come la Russia ha ripreso a esportare petrolio e gas neutralizzando le sanzioni
Il premier pakistano Shehbaz Sharif (Getty).

Pure l’Europa ha fatto crescere l’afflusso di gas liquefatto

Sono solo alcune tra le più recenti notizie scelte dal mazzo, che vede le carte russe energetiche non proprio perdenti su ogni fronte, considerando anche la congiuntura internazionale fatta di crisi e di guerre che solitamente danno un vantaggio di base ai petrostati, con i prezzi che fisiologicamente si infiammano. E anche sul terreno del gas le cose non vanno tanto diversamente da quello del petrolio, se si pensa che pure l’Europa, che ha ridotto notevolmente le importazioni da Mosca via pipeline, ha invece aumentato quelle di gnl, più del 40 per cento quest’anno rispetto al 2021. La quota non è certo fondamentale, ma indica come la Russia, che ormai da tempo si è concentrata sulle piazze asiatiche, abbia ancora canali aperti verso Occidente nonostante le sanzioni. Come ha mostrato l’incontro tra Putin e Xi Jinping, è la Cina comunque che rimane il partner privilegiato, con il progetto del gasdotto Power of Siberia 2 che non dovrebbe essere comunque operativo prima del 2030.

Come la Russia ha ripreso a esportare petrolio e gas neutralizzando le sanzioni
Vladimir Putin e Xi Jinping (Getty).

Le sanzioni occidentali stanno dimostrando la loro inefficacia

L’aumento dei prezzi del petrolio e la ripresa delle entrate energetiche sui vari fronti stanno dando una mano all’economia russa, con la riduzione della pressione sul deficit di bilancio. Secondo l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale le sanzioni occidentali sull’export di petrolio russo hanno avuto effetti contrastanti, con il greggio che viene scambiato adesso al di sopra del tetto di 60 dollari imposto dalle nazioni del G7. Stando alle previsioni del Fondo, l’economia russa crescerà dell’1,1 per cento nel 2024, più lentamente di quanto previsto in precedenza, dopo il +2,2 per cento previsto per la fine del 2023. Le elevate spese militari collegate alla guerra in Ucraina stanno dando una mano sul breve periodo, ma le prospettive a lungo termine sono meno rosee, tra la discesa del rublo e l’inflazione crescente. Per Putin si tratta in fin dei conti di una situazione interna gestibile, almeno ancora per un po’. Senza contare il fatto che le sanzioni occidentali stanno dimostrando la loro inefficacia, soprattutto se il loro scopo era quello di far cambiare la strategia del Cremlino nel conflitto ucraino.

Raid di Israele su una moschea a Jenin

Al sedicesimo giorno di guerra, si intensificano i bombardamenti israeliani su Gaza. Hamas ha reso noto che il bilancio dei raid notturni di Israele nella Striscia di Gaza è di “oltre cinquanta morti”. Intanto le Forze di Difesa israeliane hanno annunciato di aver lanciato un attacco aereo su un complesso sotterraneo appartenente ad Hamas nella moschea di Al-Ansar, a Jenin, in Cisgiordania. La moschea, secondo quanto reso noto dall’Idf, nascondeva una cellula terroristica che stava organizzando un attacco imminente.

Colpiti gli aeroporti di Damasco e Aleppo

Secondo i media statali, gli attacchi israeliani avvenuti nella notte in Siria hanno danneggiato i due principali aeroporti del Paese di Damasco e Aleppo. Una fonte militare ha precisato che «Intorno alle 5.25 (ora locale), il nemico israeliano ha effettuato un attacco aereo contro gli aeroporti internazionali di Damasco e Aleppo, provocando la morte di un dipendente e il ferimento di un’altra persona».

Usa attivano sistemi di difesa in tutto il Medio Oriente

Gli Stati Uniti hanno annunciato un rafforzamento della loro presenza militare in “tutto” il Medio Oriente a causa della «recente escalation da parte dell’Iran e delle sue forze affiliate» nella regione. Il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, ha annunciato che saranno schierati in tutta la regione «un sistema di difesa antimissile ad alta quota (THAAD) e diverse batterie di missili terra-aria Patriot» e altri mezzi militari sono stati collocati in uno stato di “pre-schieramento”.

Onu: «Il 42 per cento della case di Gaza distrutte o danneggiate»

Almeno il 42 per cento (164.756) di tutte le unità abitative nella Striscia sono state distrutte o danneggiate dall’inizio delle ostilità. Lo ha fatto sapere il ministero dell’Edilizia Abitativa di Gaza, citato dall’Ufficio dell’Onu per gli affari umanitari secondo cui si stima che gli sfollati nell’enclave palestinese siano 1.400.000 con 566.000 di questi rifugiati in 148 strutture di emergenza designate dall’Unrwa, l’agenzia dei profughi. Il capo dell’agenzia umanitaria dell’Onu Martin Griffiths, come riportato dalla Bbc, spera inotre che un secondo convoglio umanitario possa entrare oggi nella Striscia di Gaza, ricordando che sabato 22 ottobre venti tir umanitari sono entrati a Gaza attraverso il valico a Gazadi Rafah.

Evacuate altre 14 comunità al confine libanese

Mentre resta altissima la tensione per i razzi degli Hezbollah, l’esercito israeliano e il ministero della Difesa hanno annunciato la decisione di evacuare altre 14 comunità israeliane a ridosso del confine con il Libano. Già la settimana scorsa è stata avviata l’evacuazione di 28 altre comunità e della di Kiryat Shmona.

 

 

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