Girls Power? No, Poder Feminino. Perché ciò che sta accadendo in Spagna va ben oltre il calcio e riguarda un mutamento sociale complessivo, al quale i Paesi dell’Europa mediterranea farebbero bene a guardare con attenzione. Qui succede infatti che le professioniste del calcio hanno intrapreso una durissima battaglia per i diritti, sulla linea di confine fra lotta di classe e rivendicazione di genere. Nel farlo possono anche giovarsi di una posizione di forza, che viene dall’essere il movimento calcistico femminile fresco campione del mondo. E che invece di adagiarsi sulla gloria è partito all’attacco per rivendicare in via definitiva il ruolo che alle calciatrici compete. Perché le spagnole, nel pallone, non sono l’altra metà del cielo (che poi nemmeno metà sarebbe, vista la pesantezza del grado di sperequazione); loro sono un cielo a parte e per questo chiedono di essere trattate nella loro specificità. Per riuscire nell’intento hanno accettato di affrontare la lotta dura. L’hanno condotta fino in fondo. E infine sono riuscite a spuntarla, portando a casa tutti gli obiettivi che si erano prefissate. In questo momento le donne spagnole del calcio sono una chiara potenza. E da loro parte un segnale forte per tutti gli altri sistemi sportivi nazionali, che al calcio femminile continuano a conferire, sia pure per gradi diversi, un’importanza secondaria.
Rubiales e il bacius belli della protesta
Sarà banalizzante far partire tutto da lì, eppure è un dato di fatto. Il bacio inflitto dall’allora presidente della Federcalcio spagnola, Luis Rubiales, alla calciatrice Jenni Hermoso ha fatto da detonatore. I motivi di malessere nel movimento erano già vasti e nemmeno tanto latenti. Ma dopo l’episodio che si è verificato sul palco della premiazione dei Mondiali di Australia e Nuova Zelanda la scena è cambiata. Che ciò sia avvenuto a causa di un episodio estemporaneo e di un gesto assolutamente sconsiderato è l’ennesimo segno di come, sovente, le grandi mobilitazioni esplodano per caso, nonostante esistano tutte le pre-condizioni per farle scaturire. Ma al di là di tali considerazioni resta il fatto che da quella vicenda giunge una dimostrazione netta su quanto il tempo sia cambiato e su come le calciatrici non abbiano più intenzione di rassegnarsi a un ruolo di subalternità. E le dimissioni di Rubiales ne sono evidente dimostrazione. Quanto il personaggio sia attaccato al potere è noto, e il suo tentativo di resistere a capo della RFEF nonostante avesse un Paese intero schierato contro è stata l’ennesima prova di impermeabilità al senso etico-morale della leadership. Con formidabile faccia da tolla Rubiales aveva persino provato a far passare per consensuale il bacio dato alla calciatrice fresca campione del mondo. Il fatto che un soggetto così resistente a qualsiasi pressione sia stato costretto a farsi da parte per effetto di una mobilitazione del calcio femminile è un segno potente. Da qui in avanti le cose sono cambiate e il nuovo regime politico del calcio spagnolo non potrà non tener presente questo mutamento sociale.
La defenestrazione del ct campione del mondo e la sfida di Montessat Tomé
Da questo mutamento nella distribuzione del potere non si salva nessuno. Nemmeno il commissario tecnico campione del mondo, giusto colui che aveva appena portato la nazionale femminile in cima al mondo, Jorge Vilda. A lui non è bastata la gloria conquistata sul campo. Sulla bilancia dei meriti e dei demeriti ha pesato molto di più l’atteggiamento di consenso verso il presidente federale arroccato alla poltrona. Il pessimo spettacolo di quel giorno di fine agosto, quando tutti si aspettavano le dimissioni di Rubiales e invece hanno dovuto constatare che bisognasse rimuoverlo con la gru, ha lasciato il segno sul Ct. Quel giorno Jorge Vilda era in prima fila e quando Rubiales ha esclamato per ben cinque volte «No voy a demitir!» ha applaudito. Da quel momento in poi il suo rapporto con le campionesse del mondo è finito. Tutte hanno preteso il suo licenziamento, annunciando che altrimenti non avrebbero più risposto alle convocazioni. A ricoprire il suo posto è stata chiamata una donna, l’ex calciatrice Montessat Tomé. Che certo dovrà misurarsi con un’eredità scomoda (quando sostituisci il commissario tecnico campione del mondo in carica puoi soltanto pareggiare), ma che se la si mette sul piano del nuovo potere femminile nel calcio spagnolo è una risposta perentoria.
La battaglia per la dignità salariale
Rubiales o non Rubiales, il fronte del conflitto fra il calcio femminile spagnolo e la RFEF era comunque aperto sul versante del professionismo e dei diritti salariali. Che come succede in altri Paesi è un fronte estremamente turbolento. La questione era in agenda da tempo, ma dopo il trionfo della nazionale ai Mondiali è diventata ancora più urgente. Le calciatrici si sono trovate in una posizione di forza e l’hanno sfruttata. Come era giusto che accadesse. Al centro delle rivendicazioni c’era la questione del salario minimo, da portare a livelli di dignità. Che nella fattispecie significa fargli toccare i 25 mila euro lordi annui entro il 2026. Cifre lontanissime da quelle dei colleghi uomini, ma che costituiscono già una conquista. Per ottenere l’obiettivo le calciatrici hanno minacciato il blocco del campionato nazionale e, ancora una volta, il rifiuto di rispondere alle convocazioni in nazionale. La RFEF, che deve pure fare i conti col vuoto di potere lasciato da Rubiales, non è riuscita a controbattere. È dovuto intervenire il Consiglio Superiore dello Sport per convocare un tavolo delle riforme che vada incontro alle richieste delle calciatrici. Dunque per adesso lo sciopero è revocato, ma rimane lì come opzione nel caso si dovesse scoprire che sono in corso tentativi di cincischiare. Le ragazze del calcio non scherzano né sono disposte a farsi prendere in giro.