Tutti gli insulti dalla politica che Giorgio Napolitano si è preso da vivo

Terrone, bolscevico, boia. Ma anche un anziano furbo e un oligarca, che avrebbe meritato di essere processato. La galleria di epiteti affibbiati al presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, morto a 98 anni nella serata di venerdì 22 settembre, è piuttosto lunga e singolare. Nelle ore in cui si accatastano i comunicati stampa che sembrano sfornati con il ciclostile per ricordare la figura dell’ex capo di Stato, alla memoria riaffiorano tutti gli affondi nei suoi confronti. Non è così frequente che un presidente diventi oggetto di attacchi tanto duri da parte della politica. Con accuse ben sopra le righe.

Tutti gli insulti dalla politica che Giorgio Napolitano si è preso da vivo
Umberto Bossi e Giorgio Napolitano (Imagoeconomica).

Bossi condannato per vilipendio e poi graziato da Mattarella

Il caso principe resta quello di Umberto Bossi, condannato per vilipendio al presidente della Repubblica a un anno di reclusione (poi cancellato dalla grazia di Sergio Mattarella) per averlo definito «terrone». «Mandiamo un saluto al presidente della Repubblica, nomen omen. Non lo sapevo che era un terùn», disse lo storico leader leghista nel dicembre 2011, durante la Berghem Frècc, la festa del Carroccio organizzata a Bergamo.

Le frecciatine per il processo sulla trattativa Stato-mafia

Anche l’ex sottosegretario all’Interno, il grillino Carlo Sibilia, è stato rinviato a giudizio per il reato di vilipendio al presidente della Repubblica. Sotto inchiesta finì il tweet: «Perchè secondo voi impediscono agli scagnozzi Riina e Bagarella di “vedere” il boss?», pubblicato nel 2014, pochi giorni prima della testimonianza resa proprio da Napolitano nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia.

Gli attacchi incrociati di Di Pietro e Grillo

Un caso eccezionale: un presidente della Repubblica che si sottopone alle domande dei magistrati per fatti avvenuti due decenni prima. Il procedimento ha sicuramente gravato sull’immagine dell’allora inquilino del Quirinale, soprattutto da un punto di vista mediatico. Il leader di Italia dei valori, Antonio Di Pietro, sosteneva fosse un modo «per impedire di conoscere i fatti, andando oltre i confini costituzionali del suo mandato». La tesi di Beppe Grillo invece era un’altra: «La sua rielezione è servita a metterlo in una situazione di massima sicurezza». Il guru del Movimento 5 stelle lo etichettò poi come un «anziano furbo», protagonista del colpo di Stato del secondo mandato, chiedendone l’impeachment.

Il 5 stelle Sorial lo definì «boia», per Silvio era un bolscevico

Sempre nel M5s l’ex deputato Giorgio Sorial definì Napolitano un «boia» che vuole «cucirci la bocca». Una ricostruzione giornalistica, poi, attribuì a Silvio Berlusconi l’affermazione: «Napolitano non è imparziale, gli italiani devono capire che è un bolscevico».

Il pensiero della premier Meloni: «Un oligarca contro il popolo»

Pure la presidente del Consiglio in carica, Giorgia Meloni, non è stata tenera nei suoi confronti. Nel 2016, a un anno dalla fine del mandato al Colle, non esitò a definirlo un «oligarca contro il popolo» e chiedendone addirittura le dimissioni da senatore a vita. Un pensiero consolidato, del resto: qualche anno dopo, l’attuale premier disse che Napolitano aveva un’idea tutta sua di democrazia. Sempre dal centrodestra, per il segretario della Lega e vicepremier Matteo Salvini è stato «un traditore che dovrebbe essere processato».

Da ministro dell’Interno anche lui alle prese coi flussi migratori

Insomma, Napolitano non ha incarnato una figura storica unitaria. Anzi. Il carattere spigoloso, da comunista migliorista della prima ora, non ha aiutato a forgiare un’immagine pop. Da sempre ha preferito coltivare il rapporto con le istituzioni più che rabbonire gli elettori. È stato presidente della Camera in una delle legislature più difficili della storia repubblica, dal 1992 al 1994, in piena era Tangentopoli, e successivamente è stato ministro dell’Interno nel governo Prodi, firmando in quegli anni la famosa Turco-Napolitano, una legge che tocca un tema attualissimo, il controllo dei flussi migratori. La riforma istituiva i centri di permanenza temporanea per i migranti.

Tutti gli insulti dalla politica che Giorgio Napolitano si è preso da vivo
Giorgio Napolitano e Giuliano Amato nel 1991 (Imagoeconomica).

Primo ex comunista a essere eletto al Quirinale

Napolitano ha comunque rappresentato la rottura in varie direzioni, non solo per la testimonianza nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Nel 2006 è stato il primo ex comunista a essere eletto al Quirinale, rompendo il tabù del fattore K, ossia l’appartenenza alla tradizione comunista che ha impedito – nella Prima Repubblica – l’alternanza dei partiti avversari al governo e l’accesso alle alte cariche da parte degli esponenti comunisti, salvo qualche eccezione come la presidenza della Camera, assegnata a Pietro Ingrao e Nilde Iotti.

Il “reinsediamento” tra duri attacchi e applausi

Ma Napolitano è stato anche il capo dello Stato a essere eletto una seconda volta, una possibilità sottintesa dalla Costituzione repubblicana, ma che prima del 2013 non era mai avvenuta. Il discorso alla Camera per il suo “reinsediamento” lasciò il segno: i duri attacchi alla classe politica, una bocciatura senza pari, vennero accolti con fragorosi applausi da parte dei parlamentari. Erano loro i bersagli dell’elenco di una «lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità» che il capo dello Stato snocciolò a Montecitorio.

Bossi gli diede anche del «guerrafondaio»

In mezzo c’è stato il suo presunto sostegno agli attacchi in Libia per rovesciare il regime di Gheddafi, che gli sono valse implicite accuse – una fatta ancora da Bossi – di essere «guerrafondaio». Vari elementi che, uniti all’interventismo in politica, hanno contribuito alla narrazione del Re Giorgio, come è stato soprannominato, ossia l’uomo che portò nel 2011 Mario Monti a Palazzo Chigi, alla guida del governo tecnico, con una raffinata strategia, indicandolo subito come senatore a vita. Un’operazione rimasta indigesta al centrodestra, con in testa Silvio Berlusconi che andò proprio da Napolitano al Quirinale per rassegnare le dimissioni della sua ultima esperienza da presidenza del Consiglio. Ma la morte, come direbbe qualcuno, è una livella. Quindi spazio alle dichiarazioni di maniera.

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