«Specchio social delle mie brame, chi è il professionista più figo del reame ?». A Linkedin ci riferiamo, anche se la domanda si pone per tutti i social media, in modi diversi ma con identica propensione narcisistica e risposta dopaminica. Parlare di sé dà molto piacere e in Rete è possibile farlo senza freni, perché manca l’interlocutore dal vivo. Dati empirici e ricerche scientifiche dicono che se nella relazione faccia a faccia uno può parlare di sé per il 20/30 per cento del tempo, nelle conversazioni sul web si può arrivare sino al 70/80 per cento. Insomma che sia un commento, una foto, una condivisione quasi tutto tende sempre a gravitare attorno al postatore. «Io sono io e voi non siete un cazzo!»: fatte le debite differenze socio-tecnologiche, ci troviamo sempre nei paraggi de Il marchese del Grillo.
Influencer molto popolari solo all’interno delle loro community
Autostima sostenuta e desiderio di affermazione personale sono da sempre una molla sociale potente. Costitutiva della società dei media. Tuttavia la novità assoluta è che dove c’erano pochi e riconosciuti opinion leader ora c’è un esercito di influencer, sconosciuti al grande pubblico ma molto popolari all’interno delle community di appartenenza. Si tratta di personaggi che hanno decine e anche centinaia di migliaia di follower e che capitalizzano altrettante visualizzazioni, ma che fuori dalla loro “bolla” in pochi conoscono. Sorta di “monadi”, per evocare il filosofo Leibniz, che comunicano e si relazionano solo al loro interno. Web star della porta accanto, opinionisti della domenica e influecer autoproclamati protagonisti di un saggio su Twitter (X) e Linkedin, che uscirà all’inizio del 2024.
Su Twitter e Linkedin una forte caratterizzazione auto-narrativa
Di Twitter abbiamo già detto, ora bisogna parlare di Linkedin, ricordando che l’accoppiamento è motivato, pur nella diversità di genere e di utenti, dalla forte caratterizzazione auto-narrativa che hanno i due social. Dove si narra e ci si narra e le due funzioni si intrecciano in ossequio a un imperativo al quale oggi sembra non esserci possibilità di scampo: lo storytelling. Collegato, ovviamente, al personal branding, pratica eletta per mentori d’impresa, brand ambassador e soprattutto imprenditori che dal niente hanno costruito imperi mercantili.
De Meo «car enthusiast» e Alessandri come Steve Jobs
Giorgio Armani per esempio, che iniziò a lavorare come vetrinista alla Rinascente, continua a essere una storia molto gettonata, ma attualmente è Sam Walton, fondatore di Walmart, che “spacca”. Se però si vogliono sfogliare le “vite dei santi” (d’impresa), ossia i Ceo italiani che hanno centinaia di migliaia di follower, si può consultare l’annuale report della società di consulenza Delirio Pubblico (che già dal nome dice tanto) e magari andarsi a leggere cosa postano i “pesci pilota”. Il numero 1, il ceo del Gruppo Renault Luca de Meo (149.802 follower) si definisce un «car enthusiast». Nerio Alessandri, il fondatore di Technogym, secondo in graduatoria (121.869 follwer) consiglia un post di un semi-sconosciuto founder & Ceo, che ha postato un video nel quale Alessandri medesimo ricorda di avere inziato la sua impresa in un garage. Anche lui come Steve Jobs.
Spopola l’opinionismo d’impresa e lo storytelling brandizzato
Nata come rete professionale, in funzione soprattutto del recruitment e di incontro fra domanda e offerta di lavoro nel terziario avanzato, Linkedin ha in questi ultimi anni cambiato pelle. Certo continuando a essere una vetrina mondiale del lavoro: se è vero come dichiara la stessa Linkedin che «ogni secondo vengono presentate 117 domande di lavoro e ogni minuto vengono assunte 8 persone». Ma avendo accentuato notevolmente la componente narrativa, l’opinionismo d’impresa, lo storytelling brandizzato. Insomma pure Linkedin partecipa – per dirla in parole povere, ma espresse autorevolmente nel marzo 2023 dal Guardian – a quel generale processo di enshittification (immerdamento) che sta investendo internet.
I “signor nessuno” che dispensano consigli agli imprenditori
Come nel caso di Twitter, con le due co-autrici, Gloria Roselli e Ottavia Firmani, anche per Linkedin abbiamo suddiviso il nostro campione-campionario di tipi umani e professionali in categorie: 20 con un identico numero di profili. Dal conosciutissimo, ma sconosciuto fuori da Linkedin, Davide Caiazzo che si dichiara «il profilo più ascoltato su Linkedin in Italia con +120 milioni di visualizzazioni», al semi-sconosciuto Sèbastien Poulin che «aiuta gli imprenditori a ridurre le emissioni di carbonio» e fa «23 mila visualizzazioni al giorno», abbiamo in modo quasi esclusivo – per ribadire il concetto – puntato gli occhi su quegli account che si sono costruiti una cospicua community, risultando però fuori da Linkedin dei “signor nessuno”.
Gli sfida-te-stesso, i consulenti di vita, gli hashtag abuser…
Le 20 categorie individuate sono già dai titoli indicative della “commedia umana” che va quotidianamente in scena su Linkedin: i cercatori, i seguitissimi, i casi di successo, i multiforme, gli sfida-te-stesso, i memoriali, gli innovatori, i greenlover, i tutor, gli esperti HR, i creativi, i consulenti di vita, i Ceo presso sé stessi, i networker sfrenati, gli hashtag abuser, i passivi, i polemici, gli incompleti, gli statisticamente inclinati, gli ambasciatori del marchio aziendale.
Tutti quei “vorrei, ma non posso, essere come Salvatore Aranzulla”
Ma per non spoilerare il saggio, che ha un profilo critico però comprensivo e non denigratorio, vorremmo concludere segnalando le tre categorie forse più divertenti: i ceo di aziende che hanno pochi dipendenti e in numerosi casi solo uno, cioè il fondatore; i consulenti di vita che dispensano ricette stile Riza Psicosomatica o celebrano l’armonia cosmica auspicata dal Dalai Lama, ma puntando in realtà a vendere servizi assicurativi o medico-sanitari; gli hastag abuser che sono dei fuori di Seo, se mi concedete la battutaccia. Dei “vorrei, ma non posso, essere come Salvatore Aranzulla“, l’uomo che tutto sa del mondo digitale e che su di esso ha costruito un successo professionale unico. Meritatissimo.
Linkedin, targata Microsoft, tra l’altro è una azienda seria…
Naturalmente ci si deve guardare da critiche e giudizi sommari, così come da giudizi malevoli o facili sarcasmi, perché Linkedin, targata Microsoft, è una azienda che ha fatturato nel 2022 13,8 miliardi di dollari, con un aumento del 16 per cento rispetto al 2021. E dunque ogni facile ironia sarebbe malposta. Certo è però che se è possibile, per dirla con il saggio di David Bonaventura, Avere successo con LinkedIn (anche se sei un cazzaro), 2021, la condizione imprescindibile perché possa avvenire è di essere un cazzaro di talento. Un cinico divertito e divertente, con ego esuberante ed elevata autostima, che non teme di apparire ridicolo. Perché consapevole che «l’uomo d’affari di successo a volte fa soldi grazie all’abilità e all’esperienza, ma di solito li fa per sbaglio» (Gilbert Keith Chesterton).