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Dov’è il valico di Rafah e perché è importante nella guerra tra Israele e Hamas
In questi giorni il valico di Rafah viene quotidianamente citato dalla stampa internazionale, in quanto è diventato un luogo chiave nella guerra tra Hamas e Israele. La strettoia è l’unica via di uscita dalla Striscia di Gaza e si trova sul confine meridionale con la penisola egiziana del Sinai. La riapertura del valico è stata annunciata mercoledì 19 ottobre dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi dopo il colloquio con Joe Biden, ma Israele ha posto come condizione la liberazione degli ostaggi israeliani catturati da Hamas.
Quite detailed map of Gaza strip, Egyptian border of Rafah, and Israel.. Helps to contextualize all the names we’ve been hearing. Also highlights cities like Ashkelon pic.twitter.com/KqFXUxiTME
— Timothy Adegbile (@AdegbileTim) October 14, 2023
Perché è importante la strettoia di Rafah
Quando i miliziani del gruppo di Hamas hanno attaccato il valico di Erez il 7 ottobre, Israele ha dichiarato chiusi i valici di Erez e Kerem Shalom fino a nuovo avviso, lasciando il confine di Rafah come l’unica via di entrata e di uscita nella Striscia. Rafah è quindi l’unico punto di passaggio per gli aiuti umanitari di cui Gaza necessita dopo il blocco delle forniture di cibo e carburante imposto da Tel Aviv, nonché l’unica via di uscita per i civili di Gaza. È stato lo stesso Israele ad aver invitato gli abitanti di Gaza a spostarsi in massa verso Sud per ripararsi dai bombardamenti e dall’operazione via terra che l’Idf potrebbe mettere in atto nei prossimi giorni.
Mentre arrivano gli aiuti umanitari permane l’incertezza sull’apertura del valico
In questi giorni, però, Rafah è stato più volte bombardato da Israele, perché ritenuto luogo di entrata della armi per Hamas e dei terroristi stessi. L’intenzione di riaprire il valico è stata confermata giovedì 19 ottobre da Joe Biden a margine dei colloqui con Netanyahu e al-Sisi, ma Israele ha posto come condizione la liberazione degli ostaggi israeliani catturati da Hamas. Nonostante permanga l’incertezza sull’apertura di Rafah, negli ultimi giorni all’aeroporto El Arish del Sinai sono atterrati almeno otto aerei che trasportavano aiuti provenienti da Turchia, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Tunisia e un convoglio di oltre 100 camion, secondo quanto ha riferito la Mezzaluna Rossa egiziana. Le Nazioni Unite hanno anche iniziato a posizionare sul confine scorte salvavita, tra cui cibo e forniture mediche. Domenica 16 ottobre l’Oms ha portato all’aeroporto El Arish 78 metri cubi di forniture mediche essenziali, sufficienti per 300 mila persone. «L’assistenza si sta accumulando al confine mentre le persone che si trovano a pochi chilometri di distanza sono disperate e soffrono la fame», ha detto ad Al Jazeera il portavoce del Programma alimentare mondiale dell’Onu Abeer Etefa.
Anche l’Egitto è esitante nell’aprire il varco sul confine
Ma non è solo Israele ad avere il potere di controllo del valico. L’Egitto è infatti disposto a riaprire Rafah per consentire solo l’uscita dei titolari di passaporto straniero e l’ingresso degli aiuti umanitari, temendo un massiccio afflusso di rifugiati palestinesi in fuga dalla guerra. Il 12 ottobre il presidente egiziano al-Sisi ha avvertito che un esodo da Gaza rischierebbe di «liquidare» la causa palestinese e ha invitato i palestinesi a «rimanere saldi nella loro terra». È anche preoccupato per la possibilità che militanti islamici entrino nel paese, che ha dovuto affrontare un’insurrezione jihadista nel Sinai per quasi un decennio. Da quando Hamas ha preso il controllo di Gaza nel 2007, l’Egitto ha contribuito a imporre il blocco dell’enclave e ha fortemente limitato il flusso di persone e merci e, nel 2008, decine di migliaia di palestinesi sono entrati nel Sinai dopo che Hamas ha aperto dei buchi nelle fortificazioni di confine, spingendo l’Egitto a costruire un muro di pietra e cemento. Anche le Nazioni Unite hanno espresso la propria preoccupazione per la potenziale migrazione di massa di palestinesi verso l’Egitto, avvertendo che potrebbe provocare una grave crisi umanitaria.