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Cosa c’è dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian
In appena un paio di giorni l’Azerbaigian è riuscito a occupare il Nagorno Karabakh. Quella che Baku ha chiamato «operazione anti-terrorismo» è in realtà l’ennesimo atto di un conflitto che va avanti da decenni e che vede Armenia e Azerbaigian contendersi questa regione montuosa storicamente popolata da armeni, ma formalmente parte del territorio azero. Dall’armistizio del novembre 2020 che aveva congelato la situazione sul terreno, l’Azerbaigian si è ulteriormente rafforzato potendo contare del supporto dall’estero: Turchia, ma anche e soprattutto Israele.
A Quba abita una comunità ebraica da record: 3.500 persone
Pur contando una netta maggioranza di popolazione azera e musulmana, ai confini dell’Azerbaigian risiede una solida comunità ebraica. Quella degli ebrei del Caucaso, noti anche come ebrei della montagna, è una presenza che affonda le radici nella Storia: le prime comunità si sarebbero trasferite qui già diversi secoli avanti Cristo. Se gli ebrei della montagna costituiscono la parte per così dire “autoctona” della comunità ebraica azera, questa si completa di altri due sottogruppi la cui migrazione in Azerbaigian risale a tempi più recenti: da una parte gli ebrei aschenaziti, provenienti dall’Europa centrale, si stabilirono principalmente a Baku a partire dall’Ottocento, e dall’altra gli ebrei georgiani. Il principale luogo di residenza della più nutrita comunità di ebrei della montagna è il villaggio di Q?rm?z? Q?s?b? nel distretto nord-orientale di Quba: qui abitano circa 3.500 persone che rappresentano l’insediamento giudaico più grande al di fuori dei confini israeliani e statunitensi, e godono di una speciale protezione da parte dello Stato azero.
Il sodalizio tra Israele e Azerbaigian: armi in cambio di energia
Per questo motivo, già dall’aprile del 1992 Israele e Azerbaigian hanno intrecciato forti relazioni diplomatiche, al punto che lo Stato ebraico fu uno dei primi a riconoscere l’indipendenza di Baku. Nel corso degli anni il sodalizio si è rafforzato all’insegna di un trade-off tra i due Stati che prevedeva da parte israeliana la fornitura di armamenti e da parte azera l’apertura di un canale preferenziale sulle fonti energetiche e sul mercato interno che ha permesso a diverse compagnie israeliane di fare affari nel Caucaso.
Così Israele è diventato in poco tempo il primo fornitore di armi dell’Azerbaigian, superando alleati storici come la Turchia e la Russia. L’uomo cardine di questa intesa è l’attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che durante i suoi scorsi mandati ha compiuto notevoli sforzi nella direzione di creare un’intesa con il suo omologo, l’autocrate azero Ilham Aliyev, in carica dal 2003. Secondo una ricerca condotta nel 2021 dallo Stockholm International Peace Research Institute l’esportazione di armi israeliane verso l’Azerbaigian ha conosciuto un drastico incremento nel corso degli ultimi 10 anni. Nel decennio 2011-2020 Israele ha pesato sul 27 per cento delle forniture belliche azere, ma la maggior parte di questi scambi hanno avuto luogo nel quinquennio 2016-2020, quando le esportazioni israeliane hanno toccato il picco del 69 per cento.
Importazioni soprattutto di droni e missili balistici
Il grosso delle importazioni riguarderebbe droni e missili balistici di ultima generazione, ritenuti da molti analisti la chiave dell’attuale superiorità azera nel conflitto contro l’Armenia. L’altro lato della partnership riguarda, come si è detto, l’energia. Si calcola che circa il 30-40 per cento del fabbisogno petrolifero israeliano provenga dall’Azerbaigian attraverso l’oleodotto che collega Baku al porto turco di Ceyhan passando per Tbilisi e dunque bypassando il territorio armeno: negli anni, come ha documentato il ricercatore Alexander Murinson, questi legami si sono saldati all’insegna di concessioni all’estrazione petrolifera a largo delle coste israeliane.
Il dissenso israeliano: «Niente accordi con uno Stato genocida»
Non tutta l’opinione pubblica israeliana è però schierata a favore di questa intesa. Già nel 2014 il quotidiano Haaretz ospitò un contributo dello storico Yair Auron, vicino alla causa armena, che attaccava il proprio governo spiegando che «vendere armi a uno Stato che sta commettendo un genocidio sarebbe per Israele come vendere armi alla Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale»: il punto per lo storico riguardava l’attitudine a fare affari con uno Stato colpevole di violare i diritti umani della popolazione armena dell’Artsakh – questo il nome armeno della regione del Nagorno Karabakh – mettendosi così sulla scia del genocidio che gli armeni subirono durante la Prima guerra mondiale e che tuttora non è riconosciuto come tale da Turchia e Azerbaigian. Ancora più di recente, un’inchiesta dello stesso quotidiano condotta dai giornalisti Avi Scharf e Oded Yaron ha denunciato il traffico di armamenti che collega i due Paesi: i reporter hanno contato 92 voli condotti dalla compagnia azera Silk Way dall’aeroporto israeliano di Ovda situato nel sud del Paese a uno scalo militare azero nella periferia della capitale Baku.
L’errore di aver riposto la sicurezza del Paese nelle mani della Russia
Ad agosto 2023 una protesta organizzata dalla comunità armena in Israele ha radunato appena 30 persone di fronte al ministero degli Esteri di Gerusalemme per manifestare contro la chiusura del corridoio di Laç?n, unico collegamento tra l’Armenia e l’Artsakh, volta ad affamare la popolazione armena della regione indipendentista. La protesta è però rimasta inascoltata e non ha riscosso il successo sperato. In un’intervista pubblicata a settembre da Repubblica al premier armeno Nikol Pashinyan, il primo ministro ha ammesso l’errore strategico di aver riposto la sicurezza del suo Paese nelle mani della Russia, alleato abituato da sempre a fare da paciere nel Caucaso ma che oggi appare scomodo e impegnato in un altro teatro bellico ben più impegnativo, l’Ucraina. L’unico alleato internazionale dell’Armenia ora pare essere la sua nutrita e rumorosa diaspora che però non riesce a influenzare i governi nei confronti di questa invasione. Così, nel silenzio della comunità internazionale, l’Azerbaigian si prepara a reintegrare la regione favorendo l’esodo forzato degli armeni.