Li chiamano capitalisti nordcoreani, termine bandito dal regime di Pyongyang attento a mantenere la purezza del socialismo, o maestri del denaro. Perché di denaro ne hanno tanto, molto più di quello che potrebbero accumulare in due vite la maggior parte dei loro concittadini. Sono i donju, le mosche bianche della Corea del Nord. Ricoprono posizioni privilegiate all’interno dell’apparato statale o gestiscono vari business che implicano rapporti con l’estero, dalla finanza all’import-export. Anche se nel Regno Eremita la valuta estera in arrivo dalle iniziativa imprenditoriali private finisce, in buona parte, nei circoli politici e militari, i donju rappresentano un’eccezione. Hanno infatti saputo ritagliarsi un importante spazio d’azione. In virtù delle loro posizioni, i paperoni del Nord possono viaggiare oltre i blindatissimi confini statali, stringere accordi ufficiosi, ignorare le sanzioni internazionali che pendono sul regime di Kim Jong-un e portare ricchezza in patria. Esistono due tipi di donju: quelli che pensano soltanto ad arricchirsi e quelli che creano business paralleli all’economia ufficiale. È grazie ai maestri del denaro se le classi più agiate del Paese possono acquistare beni lussuosi ed esotici come borse di Hermes, orologi Rolex, Mercedes e Land Rover.
Dal cibo ai beni di lusso fino alle auto: gli affari dei donju
Sui donju girano molte leggende. Per alcuni sono considerati nemici pubblici, in grado di minare i diktat del leader, altri sottolineano la loro complicità con il regime. Pare che l’intera categoria abbia preso piede intorno agli Anni 90, durante le carestie che hanno devastato il Paese. Proprio in quel periodo, con l’economia statale incapace di occuparsi delle esigenze del popolo – anche delle più elementari, come la distribuzione del cibo – nacquero i mercati neri, che poi si sarebbero consolidati negli anni post emergenza consentendo ai nordcoreani di bypassare le sanzioni. Erano gestiti da imprenditori in grado di importare prodotti agroalimentari e oggettistica varia dal confine cinese. Superati gli anni più bui, i “capitalisti nordcoreani” hanno cominciato a trafficare qualsiasi merce: dai vestiti occidentali di marca ai beni di uso introvabili nel Nord, dall’intrattenimento multimediale alle automobili, dagli appartamenti alle – si dice – armi leggere. Che si tratti di esagerazioni o meno, i donju sono diventati così pilastri dell’economia nordcoreana.
La ‘mano invisibile’ dell’economia nordcoreana
Le loro attività hanno avuto come ‘effetto collaterale” la stabilizzazione del mercato nordcoreano. Nonostante le sanzioni e le carenze alimentari, il prezzo locale del riso, per esempio, è rimasto pressoché invariato. Ed è stato possibile proprio grazie a questi imprenditori che immettono sul mercato il loro inventario di beni per scongiurare repentini sbalzi dei prezzi. Secondo il quotidiano sudcoreano JoongAng Ilbo i donju lavorando sia per il profitto sia per la stabilità nazionale, sono diventati la “mano invisibile” dell’economia nordcoreana. I paperoni, consapevoli degli sviluppi nazionali ed internazionali, fanno sì che i commercianti del Paese abbiano sempre tra le mani merci a sufficienza da rivendere ai cittadini. Non solo: prestano anche denaro grazie alle enormi quantità di capitale straniero a disposizione. Alcuni disertori hanno descritto i donju come i Nouveau Riche presenti in tante altre nazioni. Secondo le testimonianze, sfoggiano auto di lusso, cenano nei ristoranti più raffinati, in patria e nei pressi dei confini sino-russi, e vivono in case lussuose (sempre per gli standard nordocoreani). Certo è che per i donju fare soldi nei jangmadang nazionali, i mercati privati, non è semplice. Le loro fortune dipendono soprattutto da imprese che si trovano all’estero. Basti ricordare che, prima della pandemia, le aziende nordcoreane erano solite condurre scambi commerciali oltre confine senza passare attraverso gli uffici commerciali statali ma affidandosi ai donju, ben lieti di fornire il capitale iniziale necessario per avviare l’attività. E, va da sé, ottenere indietro laute percentuali di guadagno.
Cha Chol-ma, ex politico diventato imprenditore di successo
Il donju più noto è Cha Chol-ma. Fino a qualche anno fa, era considerato l’uomo più ricco del Paese, ovviamente escludendo Kim e i membri della sua famiglia. Come per tutto ciò che riguarda la Corea del Nord, si sa molto poco sul suo conto, se non che è il genero del defunto Ri Je-kang, un ideologo Juche (l’ideologia di Stato nordcoreana) e che ha fatto da mentore a Kim prima della morte del padre Kim Jong-Il. Dal 2012 fino al 2016, Cha occupava una posizione di vertice nell’Assemblea popolare suprema. In seguito alla sua uscita dalla scena politica, ha iniziato ad accumulare incredibili fortune grazie a progetti infrastrutturali come ospedali e centri di ricerca, e business in Cina e Pakistan. Adesso Cha è sparito dai monitor ma, con il Covid ormai superato, lui e gli altri donju possono tornare alla ribalta.
Patrick Zaki arriverà in Italia domenica 23 luglio. Atterrerà a Milano Malpensa e, in serata alle 20.30, sarà protagonista di una conferenza stampa al Rettorato dell’Università di Bologna insieme al rettore Giovanni Molari e alla professoressa Rita Monticelli, coordinatrice del master Gemma seguito dall’attivista egiziano. D’intesa con il Comune di Bologna, è poi in programma una festa pubblica in Piazza Maggiore domenica 30 luglio alle ore 20.
C'è un leggero cambiamento nei piani poiché è venuto alla nostra attenzione che i documenti ufficiali per revocare il divieto di viaggio saranno finalizzati domenica a mezzogiorno. Quindi, dopo dovremo viaggiare per assicurarci che la mia situazione legale sia chiara al 100%.… pic.twitter.com/RUDmezVMaT
Ha rifiutato il volo di Stato messo a disposizione da Palazzo Chigi
Zaki arriverà in Italia dopo un «leggero cambiamento nei piani», dovuto al fatto che «i documenti ufficiali per revocare il divieto di viaggio saranno finalizzati domenica a mezzogiorno». Lo ha reso noto lui stesso su Twitter. Dopo la grazia presidenziale in Egitto, arrivata con la mediazione italiana lo studente – inizialmente atteso in Italia venerdì, poi sabato – arriverà a Malpensa con un volo di linea, dopo aver rifiutato un volo speciale dal Cairo a Ciampino messo a disposizione da Palazzo Chigi, per evitare di dover incontrare o farsi assistere dalle autorità italiane.
Tajani: «A noi interessava liberarlo, come torna è una sua scelta»
«Decidere di viaggiare su un volo di linea non è un gesto di opposizione politica, ma un gesto di indipendenza. La reputazione dei difensori dei diritti umani si basa sulla loro indipendenza dai governi. Ringraziano e apprezzano quando si fanno delle cose per loro, e infatti Patrick ha ripetutamente ringraziato governo e ambasciata», ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «Gli è stata offerta questa possibilità ma non è un obbligo. A noi interessava liberarlo, poi come torna è una sua scelta», ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Così Guido Crosetto, ministro della Difesa: «Quella di Patrick Zaki è una scelta personale, ci ha anche fatto risparmiare dei soldi. Quindi va bene così».
Un altro giornalista ha perso la vita in Ucraina, mentre copriva l’evolversi del conflitto. A Zaporizhzhia, nel corso di un attacco ucraino sferrato secondo Mosca con bombe a grappolo, è morto il reporter Rostislav Zhuravlev, dell’agenzia Ria Novosti. «Il 22 luglio 2023, verso le 12, unità delle Forze armate ucraine hanno lanciato un attacco di artiglieria contro un gruppo di giornalisti del centro informazioni Izvestija e dell’agenzia di stampa Ria Novosti, che stavano lavorando sugli attacchi di artiglieria delle Forze armate ucraine con munizioni a grappolo degli insediamenti nella regione di Zaporizhzhia», afferma una nota del ministero della Difesa russo.
Il bombardamento è avvenuto nei pressi del villaggio di Pyatikhatki, a sud di Zaporizhzhia
Anche la stessa Ria Novosti scrive di bombe a grappolo. Circostanza “confermata” da Vladimir Dzhabarov, primo vicepresidente del Comitato internazionale del Consiglio della Federazione, che ritiene gli Stati Uniti «direttamente responsabili» dell’uccisione del giornalista e del ferimento di tre suoi colleghi. «Lo stato di salute degli altri giornalisti è moderato, stabile, non c’è pericolo di vita, vengono loro fornite tutte le cure mediche necessarie», rende noto il ministero della Difesa russo. Il bombardamento è avvenuto nei pressi del villaggio di Pyatikhatki, a sud di Zaporizhzhia, dove un gruppo di giornalisti di Ria Novosti e Izvestija è finito sotto il fuoco.
Gli ucraini avrebbero colpito un’auto civile su cui si trovava il corrispondente di guerra
Yevgeny Balitsky, capo ad interim della regione, ha scritto su Telegram che il bombardamento ha colpito un’auto civile su cui si trovava il corrispondente di guerra. Tra i feriti il fotoreporter di Ria Novosti, il corrispondente di Izvestija Roman Polskov e il cameraman Dmitriy Shikov. Polskov, riferiscono fonti russe, ha riportato la rottura di una gamba e ferite da schegge alla gamba, all’addome e alla schiena. Shikov invece una frattura all’anca. Dmitry Kiselyov, direttore generale dell’agenzia di stampa Rossiya Segodnya, ha dichiarato che Zhuravlev – apertamente a favore della guerra e sostenitore delle repubbliche separatiste del Donbass – sarà sepolto a Ekaterinburg, dove è nato. Il ministero della Difesa di Mosca ha dichiarato che i giornalisti coinvolti stavano preparando materiale sul bombardamento degli insediamenti della regione di Zaporizhzhia da parte delle forze ucraine con munizioni a grappolo.
Giorgia Meloni apre timidamente al dialogo sul salario minimo garantito, dicendosi pronta a discutere «per un confronto, ma con prudenza» sulla proposta di legge unitaria presentata in Parlamento. Lo scrive Repubblica. Una novità che la segretaria del Pd Elly Schlein ha accolto con favore. «Sono felice di leggere oggi che ci sarebbe una apertura della presidente del Consiglio al nostro appello ad un confronto nel merito sulla proposta unitaria delle opposizioni sul salario minimo. Allora la maggioranza ritiri l’emendamento soppressivo e discutiamo. Io sono disponibile anche domani mattina a un incontro con lei e con il governo», ha detto in collegamento con gli Stati generali del socialismo.
Calenda: «Sospendiamo le polemiche e proviamo a fare insieme qualcosa di utile per l’Italia»
«Ci sono stati anni difficili nella nostra relazione, anche di recente. Ma c’è la volontà di curare il nostro rapporto e aprire una relazione nuova tra di noi», ha detto la segretaria dem. «Sono felice che ci sia un’apertura da parte del Governo a discutere di salario minimo. Sospendiamo le polemiche e proviamo a fare insieme qualcosa di utile per l’Italia», scrive su Twitter il leader di Azione, Carlo Calenda, parlando del retroscena che vedrebbe la premier disposta al dialogo.
Salario minimo: per Musumeci è «assistenzialismo»
Riferendosi al salario minimo, il ministro della Protezione civile ed ex governatore della Regione Sicilia Nello Musumeci aveva parlato di «assistenzialismo», sottolineando la capacità di destra e centrodestra di contraddistinguersi «anche per un altro tipo di capacità propositiva». Le sue parole avevano provocato la reazione del leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte («Parole a vanvera») e di Schlein: «Io non so in che paese viva Musumeci, nel nostro ci sono tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori poveri. Sono passati da “prima gli italiani” a “prima gli sfruttatori” evidentemente. Vorrei che rileggessero la Costituzione e l’articolo 36 perché non si può tenere insieme lavoro e povero nella stessa frase. Questo è quello che evidentemente vuole fare una destra che pensa che il lavoro sia un favore mentre noi siamo convinti che il lavoro sia un diritto in una repubblica fondata sul lavoro».
È passato più di un quarantennio e ancora mi scatta il riflesso. Soppesare un vassoietto in polistirolo, un coperchio, una scatola da scarpe, il flaconcino di un integratore, il tulle di una bomboniera, il nastro di un pacchetto regalo, le perline di un braccialetto rotto, un brandello di stoffa che la sarta mi restituisce dopo avermi accorciato un abito. E domandarmi: potrei trasformarlo in qualcosa per le Barbie? Un tavolo, un puff, un vaso da fiori, un abito da sera, un collier, un cappello? Nella polverina dorata del ricordo, le ore passate fra i sei e i 13 anni (sì, ho smesso solo in terza media) a fabbricare oggettistica, mobilio e indumenti per le mie Barbie, alternativa ai costosi originali, diventano gioiose quanto quelle spese a giocarci. E, sarà perché i circuiti cerebrali del giocare a Barbie mi si sono atrofizzati, mentre quelli del riciclo creativo sussistono, il tempo del Barbricolage è quello che rimpiango di più, «adesso che», come cantava Baglioni, «saprei cosa dire, adesso che saprei cosa fare» e soprattutto adesso che potrei comprarmi una Barbie nuova alla settimana anziché aspettare Natale, compleanno e bei voti a scuola sperando che i miei genitori non avessero un soprassalto di coscienza anti-yankee e di sinistra e mi regalassero solo libri.
Barbie, un piccolo grande amore finito all’inizio dell’adolescenza
Nell’età dei bilanci devo riconoscere che poche esperienze nella vita mi hanno esaltato e appagato quanto giocare e pasticciare con le mitiche fashion dolls (c’era scritto così sulla scatola, allora) della Mattel, in tutte le forme. Bambole vere e proprie (avevo un famiglione di Barbie, Christie e Skipper e un solo Ken, con i capelli finti e una faccia così insulsa che né io né le mie amichette ci saremmo sognate di assegnarlo come fidanzato alla nostra bambola preferita, nei giochi gli davamo ruoli da cascamorto invariabilmente respinto e beffato), ma anche bambole di carta da ritagliare, figurine Panini e gli ambitissimi mini-cataloghi che si trovavano nelle confezioni e su cui sognavo ore e ore. La prima cosa che controllavo in ogni nuovo numero di Topolino era se c’erano pagine incorniciate di rosa: erano quelle della pubblicità dell’ultima novità del mondo Barbie. E, giuro, mentre lo scrivo il cuore accelera i battiti. Perché mi manca da morire questo piccolo grande amore finito per cause semi-naturali all’inizio dell’adolescenza, quando tutta la mia collezione è andata smarrita durante un trasloco e io non ero più abbastanza motivata per ricostituirla.
Nei ruggenti Anni 80 erano tutte modellate su Farrah Fawcett
Anche perché le Barbie di quegli anni (i ruggenti 80) erano tutte modellate su Farrah Fawcett – le Barbie inclusive con fisici non conformi erano ancora impensabili. Farrah era l’icona di bellezza dell’epoca, con un sorriso aggressivo smagliante poco adatto alle mie trame noir e complicate: puoi immaginare che una Barbie seria sorrida, l’opposto è molto più difficile. Da allora mi è rimasto un piccolo grande vuoto che nulla, negli anni, è riuscito a colmare. Nemmeno la scrittura, anche se oggi far agire e parlare i personaggi in un mio romanzo è la cosa più vicina a quel che facevo con le mani e la voce tanti anni fa, quando manovravo le mie Barbie sul tavolo della cantina.
Barbie Girl degli Aqua e quella grande verità sull’immaginazione
Dubito che il film ideato e diretto da Greta Gerwig, per riuscito che sia, potrà tamponare quel piccolo grande vuoto, destinato a restare dov’è, come quando ti cade un dente da latte e sotto non c’è quello permanente. E che doleva un po’ già quando sentivo Barbie Girl degli Aqua. Però fra le tante banalità sulla mia amata bambolina quella canzone una cosa giusta la diceva: «Imagination, life is your creation». Certo, così bionda, curvilinea e plasticosa Barbie arrivava con un suo bagaglio di narrazioni: le feste, gli abiti, il mondo tutto rosa, l’assurdo fidanzamento platonico con Ken, più un fuco che un fico. Ma quando arrivava a casa mia le facevo lasciare quel bagaglio sulla porta e la portavo nel mio mondo, quello della mia immaginazione, e le davo una, anzi, molte vite diverse.
Fanfiction ante-litteram e rivisitazione delle trame dei libri
Storie truculente, gialli, drammi familiari, fanfiction ante-litteram in cui rifacevo le trame dei miei libri preferiti, se necessario cambiando genere ai protagonisti, perlopiù maschi. Quindi sul tavolo della cantina ho rappresentato non solo Piccole donne e Jane Eyre, ma anche le Quattro moschettiere, La capitana Fracassa e un Robin Hood dove una Barbie era Robin (nome unisex) e un’altra la regina Senza-Terra, mentre Ken era il perfido sceriffo di Nottingham e Cicciobello il fratacchione Tuck. Per non parlare della Signora di Ballantrae (dal mio romanzo di Stevenson favorito) con i due fratelli nemici Henry e James che diventavano, va da sé, due sorelle, Henrietta e Jacqueline.
Ken considerato scemo e il dramma delle scarpine smarrite
Giochi che facevo da sola e con le amiche che appartenevano alla mia stessa scuola di pensiero: non c’è sugo a immaginare una tipa che non fa altro che cambiarsi e andare in piscina col moroso. Fra noi c’era chi preferiva storie brillanti, chi adattava Attenti a quei due, chi rifaceva le Olimpiadi, ma su due principi eravamo d’accordo tutte: 1) Ken, con i capelli veri o dipinti, è scemo e 2) guai a chi perde le scarpine. Nella top ten mondiale degli oggetti che si perdono o si spaiano le scarpine di Barbie battono perfino i calzini in lavatrice. Ma su questo argomento e sulle diverse tipologie di calzature di Barbie potrei tenere un Ted Talk, quindi mi fermo qui.
A Greta Gerwig e Margot Robbie ci sarebbe molto da insegnare
Quella di Greta Gerwig e di Margot Robbie che la interpreta è, da quanto ho letto, una Barbie con piedi piatti che viene cacciata dal suo universo rosa e “barbiarcale” dove le bambole femminiformi hanno il potere e Ken ha le prerogative dei gonfiabili da spiaggia. Come in un Truman Show al contrario, la bionda eroina finisce nel mondo reale, dove scopre i Birkenstock e la cellulite e, con orrore, il patriarcato. Okay, non ci saranno le atmosfere cappa-e-spada che mi piacevano tanto da bambina, ma il disprezzo per Ken e il dramma delle scarpine sono ben presenti. Sui fondamentali siamo d’accordo, insomma. E mi viene da pensare che forse Gerwig e Robbie, fossero state bambine negli Anni 70, si sarebbero divertite a giocare con me e con le mie amiche, in quei lunghi pomeriggi. Forse le avremmo perfino prestato qualcuna delle nostre Barbie. E io magari gli avrei insegnato come costruire un divano in miniatura con una scatola da scarpe.
Svolta nelle indagini dell’omicidio della 72enne Margherita Ceschin, ritrovata priva di vita nella sua abitazione di Conegliano (provincia di Treviso) il 24 giugno. I carabinieri hanno arrestato quattro persone, tra cui l’ex marito della vittima, colpita alla testa e poi soffocata. L’uomo, 80 anni, avrebbe agito in concorso (come mandante) con una 32enne di origini dominicane e di due connazionali della donna. All’origine dell’omicidio ci sarebbero, secondo gli investigatori, «motivi economici connessi con la pratica di divorzio tra i due coniugi, aggravati dal rancore nutrito nei confronti della donna dall’ex marito».
Rapina degenerata o delitto in contesto familiare: le indagini condotte in parallelo
L’appartamento dove viveva Ceschin era stato messo a soqquadro. La prima ipotesi era degli investigatori, entrati per prelevare elementi utili alle indagini e cristallizzare la scena del crimine, è stata dunque quella di un furto degenerato in violenza. Tuttavia in parallelo sono state avviate indagini su un possibile delitto maturato in contesto familiare, anche per la brutalità dell’omicidio: secondo quanto emerso dall’autopsia il killer, facendo forza quasi certamente su una gamba, aveva anche sfondato il torace della vittima.
Uno degli uomini fermati è stato trovato in possesso di tre etti di cocaina
I fermati sono stati rintracciati nel trevigiano e non hanno opposto resistenza ai carabinieri che, al termine delle formalità di rito, li hanno condotti presso le Case Circondariali di Treviso e Venezia. Uno degli uomini fermati è stato trovato in possesso di circa tre etti di cocaina. Madre di due figlie e nonna di tre nipoti, Ceschin si era trasferita da qualche anno da Ponte di Piave a Conegliano per avvicinarsi a una delle figlie, all’anziana madre (morta poi per il Covid) e al fratello.
Tragedia nel ciclismo. Lo juniores Jacopo Venzo è morto dopo essere rimasto vittima di una caduta durante il Giro dell’Alta Austria. L’incidente è avvenuto venerdì 21 luglio nel corso della prima tappa delle 48esima Junioren Rundfahrt, durante la discesa dalla montagna Mistelbacher Berg. Subito soccorso dai medici di gara, il ciclista 17enne della Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino era stato poi trasportato in elicottero al Kepler University Hospital di Linz. Purtroppo i medici non sono riusciti a salvargli la vita.
L’annuncio della sua squadra su Facebook
«Con le lacrime agli occhi e il cuore devastato annunciamo che il nostro junior Jacopo Venzo ci ha lasciato. Il ragazzo era rimasto vittima di una bruttissima caduta ieri in discesa durante la prima tappa del Giro dell’Alta Austria», ha annunciato il team Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino su Facebook. «Jacopo era un ragazzo straordinario, con un futuro tutto da scrivere nello sport e soprattutto nella vita, e per questo fa ancora più male. Tutta la Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino si stringe intorno alla famiglia, agli amici e a tutti quelli che volevano bene a Jacopo in questo momento di immane dolore». E poi: «Chiediamo di rispettare la privacy della famiglia e ringraziamo tutti quelli che ci faranno sentire il loro appoggio. Adesso abbiamo un angelo in più a proteggerci lassù. Ciao Jacopo, grazie per i bei momenti passati assieme. Non puoi immaginare quanto ci mancherai».
Originario di Cartigliano, piccolo Comune alle porte di Bassano del Grappa, Jacopo Venzo era nato il 29 giugno 2006 ed era arrivato quest’anno nella nuova squadra, dopo gli inizi nella vicentina Velo Junior Nove.
A 17-year old italian cyclist Jacopo Venzo passed away following a crash on stage 1 of 48° Junioren Rundfahrt (Austria).
There are no words to describe this tragedy.
Our thoughts are with his family, friends, team, race organizers and the whole cycling community.
«Lo stop della Russia all’accordo Onu per l’export alimentare dell’Ucraina, i raid che hanno distrutto 60 mila tonnellate di grano e il crollo della produzione fino al -60 per cento per gli effetti del clima, rischiano di scatenare uno tsunami che si riverserà direttamente sulle tasche delle famiglie». Lo ha dichiarato Furio Truzzi, presidente di Assoutenti. Un nucleo di quattro persone spende in media in Italia 1.320 euro annui per pane, pasta e altri derivati del grano: ipotizzando un aumento dei prezzi al dettaglio del 10 per cento, si determinerebbe un aggravio di oltre 130 euro annui.
Per la pasta la città più cara d’Italia è Pescara, Cosenza è invece la più economica
«Il prezzo della pasta, oggi attorno ai 2,09 euro al chilo, salirebbe ad una media nazionale di 2,29 euro. Il prezzo del pane, invece, che oggi è attorno ai 3,9 euro al chilo, arriverebbe a una media di 4,3 euro», ha spiegato Truzzi. In base agi ultimi dati ufficiali forniti dal Ministero delle imprese e del made in Italy, Assoutenti ha stilato la classifica delle città italiane dove la pasta costa di più. Il prezzo più alto si registra a Pescara, con una media di 2,50 euro al chilo, seguita da Cagliari, Genova e Macerata con 2,37 euro al chilo. Seguono Venezia (2,35 euro), Ravenna e Forlì (2,31 euro), Modena e Pordenone (2,30 euro). La città più economica sul fronte di spaghetti, penne, etc è Cosenza con una media di 1,47 euro al chilogrammo, seguita da Benevento (1,48 euro), Palermo (1,49 euro), Catanzaro (1,53 euro) e Siracusa (1,54 euro).
Riso, patate, olio d’oliva, frutta e verdura, acqua minerale: raffica di aumenti estivi
Intanto è sotto gli occhi dei consumatori la raffica di aumenti per i prezzi dei prodotti alimentari tipici dell’estate. Il Codacons segnala che «il riso costa oggi il 32 per cento in più rispetto allo scorso anno, i pomodori il 12,8 per cento in più, mentre la voce radici, bulbi, funghi e altri vegetali (finocchi, carote, cipolle, aglio, asparagi, carciofi) ha subito aumenti medi del 23,6 per cento. Le patate sono rincarate addirittura del 26,9 per cento, e per condire una pietanza con olio d’oliva occorre mettere in conto una maggiore spesa del 26,7 per cento. Per la verdura fresca si spende in media il 17,8 per cento in più, con punte del +22 per cento per i cavoli». Va poco meglio con la frutta: gli aumenti sono in media dell’8,3 per cento con punte del 16 per cento per le arance e del 15,2 per cento per i frutti a bacca. Per quanto riguarda i gelati, sono rincarati del 18,9 per cento su base annua, mentre per una birra si spende in media il 13,2 per cento in più. Le bevande gassate sono aumentate del 19.5 per cento, i succhi di frutta del 15.8 per cento. Più salati anche gli aperitivi alcolici (+10 per cento) e l’acqua minerale (+11,9 per cento).
Torna a postare sui social uno dei membri dei TheBorderline, il gruppo di youtuber coinvolto nell’incidente del 14 giugno in zona Casal Palocco, a Roma, dove costato la vita al piccolo Manuel Proietti, che viaggiava sulla Smart insieme alla mamma e alla sorellina. In un filmato pubblicato su Instagram da “Er Motosega”, questo il “nome d’arte” di Vito Loiacono, si può vedere il giovane che canta, insieme a una ragazza, il ritornello della canzone Sorriso di Calcutta, sulla riva di un ruscello. Sul filmato campeggia la scritta “Ti amo”.
Loiacono fu il primo a tirarsi fuori dalla responsabilità dell’incidente
Dopo l’incidente di Casal Palocco il profilo social dello youtuber era stato sommerso di commenti e critiche, tanto che allora aveva voluto fare una precisazione postando una frase: «Il trauma che sto provando è indescrivibile, ci tengo solo a dire che io non mi sono mai messo al volante e che sto vicinissimo alla famiglia della vittima». A poco più di un mese da quella tragedia, il tono del video appare ben diverso da quello mostrato sul web dopo la morte di Manuel, causato dalla Lamborghini guidata da uno dei TheBordeline (Matteo Di Pietro) durante una challenge: la vettura aveva raggiunto i 124 chilometri orari prima dell’impatto. A un mese da quei fatti, il canale YouTube che porta il suo nome vanta 229 mila iscritti, oltre 700 mila i follower su TikTok.
Addio all’attrice francese Juliette Mayniel, protagonista di numerose pellicole di successo, negli Anni 60 ebbe una relazione con Vittorio Gassman, da cui nacque Alessandro, figlio d’arte che ha dato l’annuncio della sua scomparsa sui social: «Non ci sei più e ci sarai sempre. Ti voglio bene. Buon viaggio mamma». Aveva 87 anni.
— Alessandro Gassmann (@GassmanGassmann) July 21, 2023
Nel 1960 vinse l’Orso d’argento per la migliore attrice alla Berlinale
Mayniel era nata a a Saint-Hippolyte il 22 gennaio del 1936. Figlia di contadini, si avvicinò molto presto alla recitazione, diventando uno dei volti della Nouvelle Vague. Tra i suoi film si ricordano Occhi senza volto (1960), Peccati in famiglia (1975), Il vizio di famiglia(1975), I prosseneti (1976), Il maestro di violino (1976), Di padre in figlio (1982). Per la televisione recitò in diversi sceneggiati tra cui L’Odissea (1968) – nel ruolo di Circe – e Madame Bovary (1978). Nel 1960 vinse l’Orso d’argento per la migliore attrice al festival di Berlino per la parte di Annette nel film Storia di un disertore.
Lasciate le scene, da una ventina d’anni viveva in un piccolo paesino del Messico
Con Vittorio Gassmann ebbe un’importante relazione a metà degli Anni 60, quando il grande attore italiano aveva già due figlie da due precedenti compagne: dal loro amore nacque nel 1965 Alessandro, che poi ha intrapreso la professione dei genitori, che si separarono quando lui aveva solo tre anni. Lasciate le scene, Mayniel da una ventina d’anni viveva in un piccolo paesino del Messico, San Miguel de Allende, dove è scomparsa. Oltre che madre di Alessandro Gassman, era anche nonna del cantante Leo.
Quando nel 1994 uscì Parklife dei Blur avevo 14 anni ed ero in fissa con Lorenzo 1994 di Jovanotti. I vinili iniziavano ad andare lentamente in disuso a favore dei cd ma ricordo che di quell’album avevo voluto assolutamente il disco che, insieme a una serie di remix di Fargetta e Molella di Nord Sud Ovest Est degli 883, era in riproduzione costante sul piatto dello stereo nel salotto di casa di mia zia in Via dei Transiti. «Andrea! Abbassa il volume!», mi urlava la zia dall’altra stanza mentre io, indiavolato, spingevo Penso positivo con il volume al massimo e ballavo con in testa il mio cappellino degli Yankees portato alla rovescia e con addosso la mia t-shirt dei Bulls con sopra il numero 23.
Era il periodo delle Nike Agassi, delle camicie di flanella alla Kurt Cobain, dei jeans strappati sulle ginocchia e del Deejay Time di Albertino. I dischi all’epoca si andava a comprarli da Wimpy, in viale Monza, e la roba che si sceglieva, anche come estetica, era lontana anni luce da quella rappresentata da un gruppo di fighetti londinesi che vestivano Polo o magliette a righe da indie kids e occhialoni da nerd. Poi gli anni passarono e dopo una sbornia di grunge, mischiato a dosi massicce di hip-hop, arrivò con la svolta mod anche il momento di prendere in considerazione la band di Damon Albarn & co. Band che tra l’altro, oltre a essere presente nella abusatissima colonna sonora di Trainspotting era con Song 2, che andava costantemente in loop con il suo ipnotico “Woo-hoo!”, apriva Fifa 98, il videogioco al quale ci misuravamo ossessivamente alla PlayStation tutti i pomeriggi, rollando spini a raffica. Associo la scoperta dei Blur a un cambio di paradigma che, oltre alle band, comprese anche il look. Nel mio armadio le Fred Perry iniziarono a sostituirsi alle Ralph Lauren, le converse alle Stan Smith, i parka di Woolrich alle giacche da vela di North Sails. La scintilla fu il film Quadrophenia, che un pomeriggio DFA mi portò da vedere in VHS dicendomi: «Fratello, da oggi dobbiamo diventare mods», e mi iniziò a parlare di gruppi di cui conoscevo magari solo il nome o di altre band che non avevo mai sentito nominare, tipo gli Who, gli antesignani Kinks o altri, tipo i Jam di Paul Weller o i Pulp o gli stessi Oasis, due ragazzi di Manchester che, quando non erano troppo occupati a spaccarsi le chitarre in testa a vicenda, suonavano musica della Madonna. I Blur, che degli Oasis all’epoca furono considerati gli acerrimi rivali, si inserirono esattamente in questo contesto. Iniziai ad ascoltarli partendo proprio da Parklife, manifesto mod per eccellenza, in cui nella stessa title track venne assoldato nella parte vocale, una specie di rap, Phil Daniels (l’attore protagonista di Quadrophenia) e proseguii consumando Blur, il primo album senza titolo della loro discografia, uscito nel 1997.
Associo la scoperta dei Blur a un cambio di paradigma che, oltre alle band, comprese anche il look. Nel mio armadio le Fred Perry iniziarono a sostituirsi alle Ralph Lauren, le converse alle Stan Smith, i parka di Woolrich alle giacche da vela di North Sails. La scintilla fu il film Quadrophenia, che un pomeriggio DFA mi portò da vedere in VHS dicendomi: «Fratello, da oggi dobbiamo diventare mods»
Nel 1999 mi ero riempito di piercing, indossavo polo Fred Perry di tutti i colori e, quando avevo l’ardore di presentarmi a scuola, sedevo all’ultimo banco con le cuffiette del walkman nelle orecchie, non mi toglievo mai i miei occhiali da sole da donna ultra-glamour e non rivolgevo quasi mai la parola a nessuno. Oltre all’assunzione continua di droghe, la delinquenza e il vandalismo, ero totalmente in fissa con lo stile mod. Le origini del fenomeno risalgono in realtà alla fine degli Anni 40 quando Miles Davis, iniziando a registrare una serie di singoli pionieristici e sperimentali, diede al jazz una nuova direzione. Quelle nuove sonorità provenienti da Oltreoceano folgorarono letteralmente i teenager inglesi al punto che cominciò un vero e proprio processo di studio e imitazione dello stile Ivy League, sfoggiato dai loro idoli immortalati sulle copertine dei dischi. Da quella passione per il modern jazz nacque così l’etichetta modernist, poi abbreviata più semplicemente in mod. Guardavo Quadrophenia in continuazione e più mettevo su la videocassetta più mi sentivo come Jimmy, il protagonista della storia, che nonostante per tutta la durata del film fosse sempre circondato da amici e ragazze, si trovava in un perpetuo stato di solitudine e di tormento.
Mi illudevo che la soluzione a tutti i miei problemi potesse essere Lucilla, una ragazza con cui avevo preso a uscire da qualche mese e che avevo conosciuto l’estate precedente in Grecia, una mattina all’alba davanti al campeggio dove stavamo. Ma con Lucilla c’era sempre qualche problema, lei era sempre distante e anche quando mi impegnavo a scoparla con veemenza, provando in qualsiasi modo a farla venire, finivamo a guardarci, paonazzi ed esausti, senza nulla da dire. La odiavo ma non potevo farne a meno. Un atteggiamento suicida che con le donne si sarebbe protratto per molto tempo e che nel futuro mi avrebbe procurato solo guai. Lucilla aveva le unghie lunghe sempre laccate di bianco, due occhi verde naviglio assolutamente ipnotici e odiava i ragazzi con i berretti da baseball ma se li metteva quando aveva i capelli in disordine o era troppo sconvolta per lavarseli. Io le parlavo di letture audaci, di anfetamine, di party selvaggi ai quali mi sarebbe piaciuto portarla. Oppure mi vantavo dei soldi della mia famiglia e gonfiavo le cifre perché a volte era l’unico modo per avere la sua attenzione, anche se Lucilla sapeva chi era mio padre perché l’aveva visto al telegiornale. Ricordo però che impazziva per Clint Eastwood dei Gorillaz, un pezzo della nuova band di Damon Albarn, che mi aveva passato da qualche giorno il drugo Fede.
L’altra sera un ragazzo al bar mi ha detto: «Dovresti pensare di fare qualcosa con questi TaleS, tipo raccoglierli in un libro, però magari provando a dargli un taglio diverso: abbandonando l’alter ego di te giovane e concentrandoti sul te di adesso». Ci penso da qualche giorno a questa cosa e contemporaneamente penso che non sia casuale che proprio in questi giorni stia leggendo la Vedova incinta di Martin Amis e ascoltando in vinile il nuovo disco dei Blur. Disco tra l’altro che esce domani ma che mi sono precipitato a comperare questa mattina da Serendeepity per poterlo sentire immediatamente e, soprattutto, prima di tutti gli altri. «Aver lavorato a questo disco oggi è stato nettamente meno faticoso rispetto agli Anni 90», ha detto di recente Damon Albarn in un’intervista, «più che altro perché consumiamo meno alcol e meno sostanze». The ballad of Darren, uscito a otto anni di distanza dal precedente The Magic Whip, è un disco grandioso, malinconico, riflessivo, sul tempo che passa e sulla perdita di qualcosa. Un disco da ascoltare nella stessa maniera in cui si legge un libro di Amis, magari stesi sul divano, in mutande, con il volume al massimo e i testi sotto mano. Albarn canta i suoi 50 anni guardando al passato nella stessa maniera nella quale Amis nella Vedova incinta raccontava i suoi, rimembrando un’estate (che sembra un film di Guadagnino prima di Guadagnino) di una compagnia di giovanissimi, trascorsa ai bordi di una piscina di una villa in Toscana, tra droghe, sesso e alcol. «È così che succede. Verso i 45 hai la prima crisi di mortalità (la morte non m’ignorerà); e 10 anni dopo, la prima crisi d’età (il mio corpo mormora che già la morte s’interessa a me)», scrive infatti Amis, in apertura. Protagonista della vicenda è Keith Nearing, 20enne inglese, upper class, fighetto, circondato da una cricca di soggettoni aristofreak e da un gruppo di bellissime ragazze. L’estate come metafora della giovinezza che se ne va senza preavviso, lascia Keith solo con il più temuto dei nemici: se stesso.
«Sono fuori di testa per questi autori, fratello», dico a DFA. «Martin Amis, Ian Mc Ewan, Julian Barnes. Li chiamavano Oxford Gang, una sorta di Brat Pack Letterario, però inglese. Roba da uscire pazzi». Siamo seduti uno di fronte all’altro in un ristorante taiwanese in zona Melchiorre Gioia, una birra cinese davanti a noi e lui è appena atterrato da Barcellona, pronto per partire per la Toscana, o la Sardegna, forse. I discorsi per tutta la durata della cena vertono sul tempo che passa, sui sogni infranti, sui progetti futuri, sulle presunte crisi di mezza età. «Ma smettila con questa crisi di mezza età», risponde lui perentorio, «basta farsi pisciare in bocca da un trans e passa tutto». E poi prosegue: «Io tutta questa crisi sinceramente fratello non la vedo. Okay i turni al bar massacranti, la trasmissione radio chiusa e tutto quello che vuoi. Però, fermati a ragionare un attimo. Stamattina eri in prima pagina sul Messaggero con uno dei tuoi articoli. Sei inseguito da mezza Milano per fare progetti creativi. Un week end si e l’altro pure sei in barca a vela a Portofino o in Costa Azzurra. Tra poco parti e ti fai un mese di Grecia come tutte le estati. Io, e te lo dico sinceramente, non conosco nessuno che fa la vita che fai tu. Nemmeno quelli con i soldi. Per non parlare del tuo armadio. A proposito, rispondi a questa domanda: quante paia di Nike hai?». «Mah, non saprei», rispondo, abbassando lo sguardo sulle mie limited edition da 800 euro. «Hai visto? Se ti avessi detto a 19 anni tutte le cose che hai fatto: radio, giornali, vacanze, casa, storia d’amore paura? Cosa avresti fatto, giovane-vecchio Frateff?», mi domanda, alzando gli occhi al cielo. «Probabilmente detta così avrei firmato col sangue», rispondo, stanco, se non stravolto, e poi aggiungo: «Ma erano altri tempi».
«Ho appena guardato nella mia vita/E tutto quello che ho visto è che non tornerai», canta Albarn nella canzone di apertura The Ballad, in un misto tra dolore e rimpianto. Poi è quasi mezzanotte e a casa fissando il vinile che gira sul piatto mi rendo conto che ancora mi riecheggiano nella testa le parole di DFA: «Pensa da dove sei partito». «Abbandona l’alter ego di te giovane e concentrati sul te di adesso», mi ha detto l’altro giorno un ragazzo al bar. Continuo a pensarci, e mi domando: «Ma sarebbe realmente interessante?».
A Troina, in provincia di Enna, in via Sollima nel rione San Basilio, c’è una donna che urla per chiedere aiuto e prova a ripararsi in un portone vicino a un supermercato. Si chiama Mariella Mariano, ha 56 anni e da lì a poco verrà raggiunta da almeno tre colpi di una pistola calibro 7,65. Il suo aggressore, Maurizio Impellizzeri, che di anni ne ha 59, ha diviso con lei molti anni della sua vita. È stato suo marito. Mariella l’aveva lasciato da circa un anno, ma Maurizio aveva deciso comunque di non lasciare la casa coniugale. Avrà pensato – come pensano in troppi – che occupare fisicamente spazi che non sono più abitabili come coppia fosse un modo per logorare la decisione della moglie. Avrà pensato che starle addosso avrebbe potuto sfibrarla, fare tornare indietro.
I carabinieri erano stati avvisati, eppure non è servito
Così alla fine a Mariella non è rimasto che trasferirsi dalla sua anziana madre. Ma Maurizio non si è arreso, tutt’altro. Così ha cominciato a perseguitarla. A ottobre del 2022 Mariella Mariano ha chiesto ai carabinieri di fare qualcosa, di farlo smettere. Ha raccontato anche alle forze dell’ordine che quel marito mai arreso le aveva promesso la morte. Lui viene condannato a 8 mesi – dopo un patteggiamento – per atti persecutori, ma quella frase («ti ammazzo») rimane appesa ai gangli della legge. Maurizio non ha precedenti penali e, soprattutto, non si riesce a ritrovare a casa sua nessuna arma durante le perquisizioni. Niente da fare, anche se nelle parole dell’ex marito – raccontata Mariella – c’era anche la modalità dell’omicidio promesso: «Ti sparo», diceva lui. E infatti le ha sparato.
Notizie uguali che imperversano quasi tutti i giorni
L’arma che non si trovava è spuntata poche ore dopo l’omicidio, ovviamente con la matricola abrasa. Troppo tardi. Lui ora si trova in carcere. Il suo avvocato di sempre si è rifiutato di difenderlo di nuovo, anche questa volta. La sua avvocata, Elvira Gravagna, ha rinunciato all’incarico. «Non me la sento», ha spiegato ai giornalisti. Racconta di avere raccomandato a Maurizio di stare alla larga di sua moglie, spiega che lui stava anche seguendo un corso di riabilitazione che evidentemente non ha funzionato. La notizia che leggete qui sopra ha tratti comuni con decine di notizie che imperversano quasi tutti i giorni. Cambiano le modalità, cambiano i nomi e i luoghi, come in un videogioco in cui si modificano le situazioni, ma il motore è sempre lo stesso, così ripetitivo che dopo qualche ora irrompe la noia.
Un femminicidio che presto finirà nelle cronache locali
Anche questo femminicidio, come accade per quasi tutti i femminicidi, quando questo articolo sarà pubblicato sarà scomparso dai giornali nazionali. Rimarrà a brandelli sulle cronache locali, lue uniche che riprenderanno poi il processo e scriveranno due righe sulla sentenza. Non so se possa essere considerata una colpa questa straordinaria capacità dei lettori italiani di ingoiare e digerire i femminicidi che si ripetono. Potrebbe essere una modalità di sopravvivenza a un’emergenza sempre così uguale da sembrare naturale. Tra gli ingredienti comuni troviamo la donna che chiede aiuto ma non ottiene protezione, c’è il marito che finge di volersi riabilitare e invece sta semplicemente covando e perfezionando il delitto, gli amici che si dicono stupiti anche se il copione è sempre lo stesso, la città introno che finge di non sapere che i potenziali omicidi sono in quelle case apparentemente tranquille che ogni sera chiudono ordinatamente le imposte.
I comunicati delle istituzioni sono sempre uguali
Il dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno ha diffuso un documento che analizza il numero di femminicidi commessi nel periodo primo gennaio-16 luglio 2023: 173 omicidi totali, commessi da inizio anno, di questi 62 riguardano donne (49 precisamente in ambito familiare/affettivo). Sono 29 quelle morte per opera di partner o ex. Ogni articolo scritto su un femminicidio dura come l’acqua su una superficie liscia. Rimane nella pancia di Google, a disposizione dei pochi che fra qualche anno cercheranno «Mariella Mariano» per ricordarsi la fine che ha fatto. Ogni femminicidio viene accompagnato dai comunicati stampa delle istituzioni che sono ferocemente sempre uguali a sé stessi. Ogni volta si fa il conto delle vite che avrebbero potuto essere salvate. Raramente si capisce come avremmo potuto salvarle. Qualche settimana fa le prime pagine dei giornali erano invase dalle morbose curiosità intorno al femminicidio di Senago, dove Alessandro Impagnatiello ha ucciso la compagna incinta di sette mesi Giulia Tramontano. C’erano commenti sulla vita sessuale di lui, sulla casa di lei, sul sangue gocciolato sulle scale e sul cappuccio dietro al quale l’assassino si era nascosto. Dite la verità, ce ne eravamo già dimenticati. Chissà se è un crimine abituarsi al terrore.
Stasera 22 luglio 2023 alle ore 21.25 su Rete 4 andrà in onda il film del 1995 Viaggi di nozze. La commedia è diretta da Carlo Verdone che ha scritto anche la sceneggiatura collaborando con gli autori Leo Benvenuti e Piero De Bernardi. Nel cast del lungometraggio ci sono diversi attori famosi come lo stesso Carlo Verdone, Claudia Gerini, Veronica Pivetti e Manuela Arcuri.
Viaggi di nozze, trama e cast del film stasera 22 luglio 2023 su Rete 4
La trama si articola in 3 storie differenti. La prima è quella dell’ingenuo Giovannino De Berardi (Carlo Verdone) che riesce finalmente a sposarsi con Valeriana (Cinzia Mascoli). Le cose tra i due non iniziano subito bene, visto che la messa del prete è incredibilmente lunga e dura tantissimo. Dopo il rito religioso, marito e moglie possono finalmente imbarcarsi per il loro viaggio di nozze e godersi una meravigliosa crociera. Tuttavia, accadono ben due imprevisti: il padre di Giovannino, Renato (Nanni Tamma) rimane senza badante e non può rimanere solo, mentre la sorella di Valeriana, Gloria (Gloria Sirabella), vuole suicidarsi perché abbandonata dal marito. Dopo tante peripezie, la coppia dovrà risolvere i problemi e cercare di godersi il loro viaggio di nozze.
La seconda storia è quella del dottor Raniero Cotti Borroni (Carlo Verdone) che ha sposato la sua seconda moglie Fosca (Veronica Pivetti). Il dottore è costantemente impegnato con il suo lavoro e ha organizzato un viaggio di nozze uguale a quello che fece con la sua prima consorte. Fosca si rende ben presto conto di aver fatto un errore a sposare Raniero e cercherà in ogni modo di fuggire da quella situazione. La terza storia è quella di Ivano (Carlo Verdone) e Jessica (Claudia Gerini), una coppia che si ama e con tante passioni in comune. Dopo una cerimonia di matrimonio a suon di canzoni rock, la coppia coatta partirà per la luna di miele, tra serate in discoteca e rapporti sessuali consumati nei luoghi più disparati. Tuttavia, improvvisamente la magia tra i due svanirà e penseranno a una soluzione per riprendere il loro amore che potrebbe creare solo danni alla loro relazione.
Viaggi di nozze, 5 curiosità sul film stasera 21 luglio 2023 su Rete 4
Viaggi di nozze, gli incredibili incassi della pellicola
Al suo debutto, Viaggi di nozze fu un successo al cinema. Infatti, secondo i dati riportati dal sito hitparadeitalia.it, la pellicola incassò 24 miliardi di lire e fu campione d’incassi della stagione 1995/1996, sorpassando film come Pocahontas e Vacanze di Natale ’95.
Viaggi di nozze, la citazione diventata simbolo del film
Una citazione dei personaggi Jessica e Ivano, interpretati da Claudia Gerini e Carlo Verdone, è diventata un simbolo per il film. La frase «O famo strano?» viene indicata ancora oggi dai fan di Verdone per riferirsi a questa commedia.
Viaggi di nozze, la colonna sonora rock utilizzata nella commedia
Nonostante sia una commedia italiana, Viaggi di nozze utilizza una colonna sonora rock. Infatti, nel corso del film è possibile ascoltare canzoni di artisti come Iggy Pop e i Black Sabbath. Si tratta di una scelta decisamente inusuale, ma che si sposa alla perfezione con lo stile di alcuni personaggi, in particolare di Jessica e Ivano.
Viaggi di nozze, un Verdone esperto dietro la macchina da presa
Carlo Verdone è regista, sceneggiatore e attore protagonista, impegnato in più ruoli, per questa commedia. In effetti, nel 1995 Verdone poteva permettersi questi molteplici impegni sul set visto che aveva accumulato una grossa esperienza nel mondo del cinema. Infatti, Viaggi di nozze è il 14esimo lungometraggio che l’attore scrive, dirige e interpreta. Prima di questo film Verdone aveva dato vita ad altre opere famose come Borotalco, Un sacco bello, Bianco, rosso e Verdone, Troppo fortee Stasera a casa di Alice.
Viaggi di nozze, le location per le riprese
La commedia è stata girata in diverse località come Roma, Firenze, Venezia, Bologna, Genova e Forte dei Marmi. Alcune scene sono state girate anche a Guidonia Montecelio, Viterbo, Fiumicino e Padova.
Stasera 22 luglio 2023 andrà in onda il film Il ladro di giorni sul canale Rai Movie alle ore 21.10. La pellicola drammatica è stata diretta da Guido Lombardi, regista che ha collaborato anche alla sceneggiatura insieme a Lucia De Benedittis e Marco Gianfreda. Nel cast ci sono Riccardo Scamarcio, Massimo Popolizio, Augusto Zazzaro e Giorgio Careccia. Il film sarà disponibile anche on demand e in streaming sulla piattaforma Rai Play.
Il ladro di giorni, trama e cast del film in onda stasera 22 luglio 2023 su Rai Movie
La trama del film racconta la storia di Salvo (Augusto Zazzaro), un ragazzo di 11 anni che vive insieme agli zii in Trentino. Salvo non vede suo padre Vincenzo (Riccardo Scamarcio) ormai da sette anni, quando venne arrestato davanti ai suoi occhi mentre vivevano in Puglia. Dopo tutto questo tempo, Vincenzo ha scontato la pena e non desidera fare altro che rivedere suo figlio e trascorrere qualche giorno con lui. Va quindi a trovarlo il giorno prima della sua prima comunione e decide di fare un viaggio verso Sud con lui. Salvo ha qualche difficoltà a riconoscere il padre e a considerarlo tale, visto che non ha mai stretto un rapporto con l’uomo. Tuttavia, accetta di fare il viaggio.
Durante quest’esperienza on the road, i due avranno modo di stringere un rapporto come non avevano mai fatto prima. Non sarà però un viaggio semplice, ma ricco di tante situazioni che porteranno padre e figlio a parlare di ricordi, problematiche ed emozioni provate. Anche se alcune verità che verranno rivelate a Salvo faranno male, il tempo trascorso con il padre gli servirà per conoscerlo meglio e stringere un legame indissolubile.
Il ladro di giorni, 4 curiosità sul film
Il ladro di giorni, il film tratto da un romanzo
La pellicola è tratta da un romanzo omonimo. Curiosamente, a scrivere il romanzo è stato il regista del film, Guido Lombardi. Il libro Il ladro di giorni è stato pubblicato nel 2019 da Feltrinelli ed è stato poco dopo trasposto al cinema.
Il ladro di giorni, il commento del regista sulla pellicola
Guido Lombardi ha così commentato il suo film: «La prima idea de Il ladro di giorni risaliva a dieci anni prima della sua realizzazione e sono contento che sia diventato un film. È una storia complessa, che usa il genere per raccontare uno dei rapporti più cruciali nella crescita di un bambino, quello con il proprio padre».
Il ladro di giorni, la nomination per Riccardo Scamarcio
Per la sua interpretazione, Riccardo Scamarcio ha ricevuto una nomination ai Ciak d’oro del 2020 nella categoria Miglior attore protagonista. Tuttavia, l’attore ha perso contro la coppia composta da Edoardo Leo e Stefano Accorsi, attori protagonisti del film La dea fortuna di Ferzan Ozpetek.
Il ladro di giorni, la presentazione al cinema e la prima messa in onda in tv
Il ladro di giorni è stato presentato al cinema in occasione della Festa del Cinema di Roma del 2019. Nelle sale italiane ha invece debuttato il 6 febbraio 2020. Per quanto riguarda la messa in onda in televisione, il film è stato proposto in prima tv il 18 novembre 2022, nell’imminenza della Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.