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Barbie e quel vuoto che neppure un film ben fatto può tamponare
È passato più di un quarantennio e ancora mi scatta il riflesso. Soppesare un vassoietto in polistirolo, un coperchio, una scatola da scarpe, il flaconcino di un integratore, il tulle di una bomboniera, il nastro di un pacchetto regalo, le perline di un braccialetto rotto, un brandello di stoffa che la sarta mi restituisce dopo avermi accorciato un abito. E domandarmi: potrei trasformarlo in qualcosa per le Barbie? Un tavolo, un puff, un vaso da fiori, un abito da sera, un collier, un cappello? Nella polverina dorata del ricordo, le ore passate fra i sei e i 13 anni (sì, ho smesso solo in terza media) a fabbricare oggettistica, mobilio e indumenti per le mie Barbie, alternativa ai costosi originali, diventano gioiose quanto quelle spese a giocarci. E, sarà perché i circuiti cerebrali del giocare a Barbie mi si sono atrofizzati, mentre quelli del riciclo creativo sussistono, il tempo del Barbricolage è quello che rimpiango di più, «adesso che», come cantava Baglioni, «saprei cosa dire, adesso che saprei cosa fare» e soprattutto adesso che potrei comprarmi una Barbie nuova alla settimana anziché aspettare Natale, compleanno e bei voti a scuola sperando che i miei genitori non avessero un soprassalto di coscienza anti-yankee e di sinistra e mi regalassero solo libri.
Barbie, un piccolo grande amore finito all’inizio dell’adolescenza
Nell’età dei bilanci devo riconoscere che poche esperienze nella vita mi hanno esaltato e appagato quanto giocare e pasticciare con le mitiche fashion dolls (c’era scritto così sulla scatola, allora) della Mattel, in tutte le forme. Bambole vere e proprie (avevo un famiglione di Barbie, Christie e Skipper e un solo Ken, con i capelli finti e una faccia così insulsa che né io né le mie amichette ci saremmo sognate di assegnarlo come fidanzato alla nostra bambola preferita, nei giochi gli davamo ruoli da cascamorto invariabilmente respinto e beffato), ma anche bambole di carta da ritagliare, figurine Panini e gli ambitissimi mini-cataloghi che si trovavano nelle confezioni e su cui sognavo ore e ore. La prima cosa che controllavo in ogni nuovo numero di Topolino era se c’erano pagine incorniciate di rosa: erano quelle della pubblicità dell’ultima novità del mondo Barbie. E, giuro, mentre lo scrivo il cuore accelera i battiti. Perché mi manca da morire questo piccolo grande amore finito per cause semi-naturali all’inizio dell’adolescenza, quando tutta la mia collezione è andata smarrita durante un trasloco e io non ero più abbastanza motivata per ricostituirla.
Nei ruggenti Anni 80 erano tutte modellate su Farrah Fawcett
Anche perché le Barbie di quegli anni (i ruggenti 80) erano tutte modellate su Farrah Fawcett – le Barbie inclusive con fisici non conformi erano ancora impensabili. Farrah era l’icona di bellezza dell’epoca, con un sorriso aggressivo smagliante poco adatto alle mie trame noir e complicate: puoi immaginare che una Barbie seria sorrida, l’opposto è molto più difficile. Da allora mi è rimasto un piccolo grande vuoto che nulla, negli anni, è riuscito a colmare. Nemmeno la scrittura, anche se oggi far agire e parlare i personaggi in un mio romanzo è la cosa più vicina a quel che facevo con le mani e la voce tanti anni fa, quando manovravo le mie Barbie sul tavolo della cantina.
Barbie Girl degli Aqua e quella grande verità sull’immaginazione
Dubito che il film ideato e diretto da Greta Gerwig, per riuscito che sia, potrà tamponare quel piccolo grande vuoto, destinato a restare dov’è, come quando ti cade un dente da latte e sotto non c’è quello permanente. E che doleva un po’ già quando sentivo Barbie Girl degli Aqua. Però fra le tante banalità sulla mia amata bambolina quella canzone una cosa giusta la diceva: «Imagination, life is your creation». Certo, così bionda, curvilinea e plasticosa Barbie arrivava con un suo bagaglio di narrazioni: le feste, gli abiti, il mondo tutto rosa, l’assurdo fidanzamento platonico con Ken, più un fuco che un fico. Ma quando arrivava a casa mia le facevo lasciare quel bagaglio sulla porta e la portavo nel mio mondo, quello della mia immaginazione, e le davo una, anzi, molte vite diverse.
Fanfiction ante-litteram e rivisitazione delle trame dei libri
Storie truculente, gialli, drammi familiari, fanfiction ante-litteram in cui rifacevo le trame dei miei libri preferiti, se necessario cambiando genere ai protagonisti, perlopiù maschi. Quindi sul tavolo della cantina ho rappresentato non solo Piccole donne e Jane Eyre, ma anche le Quattro moschettiere, La capitana Fracassa e un Robin Hood dove una Barbie era Robin (nome unisex) e un’altra la regina Senza-Terra, mentre Ken era il perfido sceriffo di Nottingham e Cicciobello il fratacchione Tuck. Per non parlare della Signora di Ballantrae (dal mio romanzo di Stevenson favorito) con i due fratelli nemici Henry e James che diventavano, va da sé, due sorelle, Henrietta e Jacqueline.
Ken considerato scemo e il dramma delle scarpine smarrite
Giochi che facevo da sola e con le amiche che appartenevano alla mia stessa scuola di pensiero: non c’è sugo a immaginare una tipa che non fa altro che cambiarsi e andare in piscina col moroso. Fra noi c’era chi preferiva storie brillanti, chi adattava Attenti a quei due, chi rifaceva le Olimpiadi, ma su due principi eravamo d’accordo tutte: 1) Ken, con i capelli veri o dipinti, è scemo e 2) guai a chi perde le scarpine. Nella top ten mondiale degli oggetti che si perdono o si spaiano le scarpine di Barbie battono perfino i calzini in lavatrice. Ma su questo argomento e sulle diverse tipologie di calzature di Barbie potrei tenere un Ted Talk, quindi mi fermo qui.
A Greta Gerwig e Margot Robbie ci sarebbe molto da insegnare
Quella di Greta Gerwig e di Margot Robbie che la interpreta è, da quanto ho letto, una Barbie con piedi piatti che viene cacciata dal suo universo rosa e “barbiarcale” dove le bambole femminiformi hanno il potere e Ken ha le prerogative dei gonfiabili da spiaggia. Come in un Truman Show al contrario, la bionda eroina finisce nel mondo reale, dove scopre i Birkenstock e la cellulite e, con orrore, il patriarcato. Okay, non ci saranno le atmosfere cappa-e-spada che mi piacevano tanto da bambina, ma il disprezzo per Ken e il dramma delle scarpine sono ben presenti. Sui fondamentali siamo d’accordo, insomma. E mi viene da pensare che forse Gerwig e Robbie, fossero state bambine negli Anni 70, si sarebbero divertite a giocare con me e con le mie amiche, in quei lunghi pomeriggi. Forse le avremmo perfino prestato qualcuna delle nostre Barbie. E io magari gli avrei insegnato come costruire un divano in miniatura con una scatola da scarpe.