Corea del Nord: storia e fortune dei donju, i paperoni di Pyongyang

Li chiamano capitalisti nordcoreani, termine bandito dal regime di Pyongyang attento a mantenere la purezza del socialismo, o maestri del denaro. Perché di denaro ne hanno tanto, molto più di quello che potrebbero accumulare in due vite la maggior parte dei loro concittadini. Sono i donju, le mosche bianche della Corea del Nord. Ricoprono posizioni privilegiate all’interno dell’apparato statale o gestiscono vari business che implicano rapporti con l’estero, dalla finanza all’import-export. Anche se nel Regno Eremita la valuta estera in arrivo dalle iniziativa imprenditoriali private finisce, in buona parte, nei circoli politici e militari, i donju rappresentano un’eccezione. Hanno infatti saputo ritagliarsi un importante spazio d’azione. In virtù delle loro posizioni, i paperoni del Nord possono viaggiare oltre i blindatissimi confini statali, stringere accordi ufficiosi, ignorare le sanzioni internazionali che pendono sul regime di Kim Jong-un e portare ricchezza in patria. Esistono due tipi di donju: quelli che pensano soltanto ad arricchirsi e quelli che creano business paralleli all’economia ufficiale. È grazie ai maestri del denaro se le classi più agiate del Paese possono acquistare beni lussuosi ed esotici come borse di Hermes, orologi Rolex, Mercedes e Land Rover.

Corea del Nord: storia e fortune dei donju, i paperoni di Pyongyang
Grandi magazzini a Pyongyang (Getty Images).

Dal cibo ai beni di lusso fino alle auto: gli affari dei donju

Sui donju girano molte leggende. Per alcuni sono considerati nemici pubblici, in grado di minare i diktat del leader, altri sottolineano la loro complicità con il regime. Pare che l’intera categoria abbia preso piede intorno agli Anni 90, durante le carestie che hanno devastato il Paese. Proprio in quel periodo, con l’economia statale incapace di occuparsi delle esigenze del popolo – anche delle più elementari, come la distribuzione del cibo – nacquero i mercati neri, che poi si sarebbero consolidati negli anni post emergenza consentendo ai  nordcoreani di bypassare le sanzioni. Erano gestiti da imprenditori in grado di importare prodotti agroalimentari e oggettistica varia dal confine cinese. Superati gli anni più bui, i “capitalisti nordcoreani” hanno cominciato a trafficare qualsiasi merce: dai vestiti occidentali di marca ai beni di uso introvabili nel Nord, dall’intrattenimento multimediale alle automobili, dagli appartamenti alle – si dice – armi leggere. Che si tratti di esagerazioni o meno, i donju sono diventati così pilastri dell’economia nordcoreana.

La ‘mano invisibile’ dell’economia nordcoreana

Le loro attività hanno avuto come ‘effetto collaterale” la stabilizzazione del mercato nordcoreano. Nonostante le sanzioni e le carenze alimentari, il prezzo locale del riso, per esempio, è rimasto pressoché invariato. Ed è stato possibile proprio grazie a questi imprenditori che immettono sul mercato il loro inventario di beni per scongiurare repentini sbalzi dei prezzi. Secondo il quotidiano sudcoreano JoongAng Ilbo i donju lavorando sia per il profitto sia per la stabilità nazionale, sono diventati la “mano invisibile” dell’economia nordcoreana. I paperoni, consapevoli degli sviluppi nazionali ed internazionali, fanno sì che i commercianti del Paese abbiano sempre tra le mani merci a sufficienza da rivendere ai cittadini. Non solo: prestano anche denaro grazie alle enormi quantità di capitale straniero a disposizione. Alcuni disertori hanno descritto i donju come i Nouveau Riche presenti in tante altre nazioni. Secondo le testimonianze, sfoggiano auto di lusso, cenano nei ristoranti più raffinati, in patria e nei pressi dei confini sino-russi, e vivono in case lussuose (sempre per gli standard nordocoreani). Certo è che per i donju fare soldi nei jangmadang nazionali, i mercati privati, non è semplice. Le loro fortune dipendono soprattutto da imprese che si trovano all’estero. Basti ricordare che, prima della pandemia, le aziende nordcoreane erano solite condurre scambi commerciali oltre confine senza passare attraverso gli uffici commerciali statali ma affidandosi ai donju, ben lieti di fornire il capitale iniziale necessario per avviare l’attività. E, va da sé, ottenere indietro laute percentuali di guadagno.

Corea del Nord: storia e fortune dei donju, i paperoni di Pyongyang
Le statue di Kim Il Sung e Kim Jong Il (Getty Images).

Cha Chol-ma, ex politico diventato imprenditore di successo

Il donju più noto è Cha Chol-ma. Fino a qualche anno fa, era considerato l’uomo più ricco del Paese, ovviamente escludendo Kim e i membri della sua famiglia. Come per tutto ciò che riguarda la Corea del Nord, si sa molto poco sul suo conto, se non che è il genero del defunto Ri Je-kang, un ideologo Juche (l’ideologia di Stato nordcoreana) e che ha fatto da mentore a Kim prima della morte del padre Kim Jong-Il. Dal 2012 fino al 2016, Cha occupava una posizione di vertice nell’Assemblea popolare suprema. In seguito alla sua uscita dalla scena politica, ha iniziato ad accumulare incredibili fortune grazie a progetti infrastrutturali come ospedali e centri di ricerca, e business in Cina e Pakistan. Adesso Cha è sparito dai monitor ma, con il Covid ormai superato, lui e gli altri donju possono tornare alla ribalta.

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