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Femminismo, perché rileggere oggi Carla Lonzi
Qualche settimana fa ha destato parecchia sorpresa il ritrovamento di quel marito considerato suicida e invece scappato da moglie e famiglia per costruirsene un’altra, altrove. Ci sono tanti modi per cambiare vita, o almeno pensare di farlo mentre invece si stanno semplicemente ripetendo i propri errori. Carla Lonzi, alla fine degli Anni 60, ha meno di 40 anni ed è una delle più importanti critiche d’arte del nostro Paese. Ha pubblicato il libro Autoritratto, nel quale, attraverso l’uso (allora pionieristico) del registratore, ha dato voce ai più interessanti artisti dell’epoca (Accardi, Consagra, Fontana, Kounellis). A molti sembra una consacrazione e invece è un congedo, perché Lonzi, che nel frattempo si è avvicinata al gruppo Rivolta femminile, sta per gettare gli ormeggi e salpare verso un’altra vita. La sua però non è una fuga, ma l’affermazione del diritto a cercare qualcosa di diverso da una carriera confezionata su misura per lei da altri, secondo schemi già preconfezionati. Non è Mattia Pascal, non è un’insoddisfatta Bovary stanca della ripetitività della sua vita. È una rivoluzionaria che crede nella felicità e non nella rivoluzione, nel piacere e non nella vendetta. La sua è una fuga mentale, dalla se stessa che era, per diventare un’altra. Si reinventa la vita letteralmente da sola, pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno, smontando abitudini e retaggi.
Il potere di attraversare le generazioni e di essere ancora oggi attuale
Lonzi è una delle pochissime intellettuali di quegli anni ad aver attraversato le generazioni e a essere ancora oggi amata e discussa, citata e invidiata. A partire da quel libro, con un titolo che indicava già una direzione di marcia, Sputiamo su Hegel, appena ristampato dalle edizioni La Tartaturga. Sputare per togliere di mezzo, per distruggere, ma anche per esistere e non essere più liquidate o ridimensionate a fenomeno di costume, o a meteore passeggere. Occorre rifiutare la lotta di classe per impostare, da donne, il discorso su basi diverse e da qui l’esigenza primaria di “sputare” su Hegel e sulla sua dialettica servo-padrone «regolazione di conti tra collettivi di uomini».
Il Manifesto di Rivolta femminile e la lotta al patriarcato
All’inizio degli Anni 70, dopo aver abbandonato la professione e ogni attività pubblica, Lonzi si getta a capofitto nel gruppo femminista, partecipando alle sedute di autocoscienza dove emergono necessità, bisogni, diversi da quelli professati dai movimenti politici che vanno per la maggiore: Lotta continua, Potere operaio e così via. Il primo risultato che ne scaturisce è il Manifesto di Rivolta femminile, scritto assieme ad Elvira Banotti e Carla Accardi. Siamo negli anni della centralità operaia, gli studenti picchettano giorno e notte davanti alle fabbriche, gli attori indossano la tuta blu e gli scrittori cercano di adeguare il loro lessico a quello dei lavoratori delle fabbriche. Carla Lonzi ha il coraggio di guardare altrove e di indicare alle donne una direzione diversa, anzitutto quella della lotta al patriarcato. E poi rifiutare la storia scritta sui manuali, smetterla di considerarla come universale, perché in realtà riguarda solo il maschio.
Lo sganciamento del femminismo dal mito del 68
Ma c’è di più, negli anni delle grandi battaglie sociali e civili per i diritti delle donne, Lonzi rifiuta il processo di emancipazione perché frutto a suo parere di un riformismo che non intacca la vita interiore, l’identità delle donne: «La parità di retribuzione è un nostro diritto, ma la nostra oppressione è un’altra cosa. Ci basta la parità salariale quando abbiamo alle spalle ore di lavoro domestico?». Già negli Anni 70, anni caratterizzati da slogan forti, si taccia Lonzi di perseguire un radicalismo che non avrebbe portato a nulla. Lei, però rilancia, facendo ancora un passo più, slacciando il femminismo dalla parentela con il ’68: «Per entrare in uno spirito femminista le giovani hanno dovuto scardinare non poco le parole d’ordine, le mode e i miti sessantotteschi. È stato malgrado il ’68 e non grazie al ’68 che hanno potuto farlo». Abituata a seguire i mutamenti continui dell’arte e del gusto, Lonzi non resta ferma, i suoi scritti ci restituiscono un’intelligenza inquieta e affilata, capace di investire delle proprie riflessioni critiche ogni elemento sia del mondo esterno che di quello interiore, privato. Non tace, anzi, continua a parlare e a provocare, Carla Lonzi, scomparsa il 2 agosto 1982, come il suo diario pubblico e privato – Taci, anzi parla – che sarà ristampato dalla Tartaruga come il resto della sua opera, fondamentale per capire quanto lunga e faticosa sia stata la strada percorsa. Una strada nella quale investe tutta se stessa, fino alla fine. Un cammino difficile. Rilette oggi da quelle pagine si coglie la necessità di un percorso da riprendere, quello della riflessione su di sé, dell’autocoscienza. Restando perfino turbati nel ritrovare, oggi, 2023, riflessioni come questa: «Non dimenticheremo che è del fascismo questo slogan: famiglia e sicurezza».