Monthly Archives: Settembre 2023

In Russia i cinema proiettano illegalmente i film di Hollywood

In Russia è ancora possibile guardare al cinema i film di Hollywood grazie a proiezioni illegali che proliferano nelle maggiori città, da Mosca a San Pietroburgo e Kazan. «La gente ritiene di avere il diritto di poter guardare le produzioni occidentali», ha spiegato al Guardian  Anton Dolin, ex direttore di una storica rivista cinematografica russa che oggi vive in Lettonia. «La popolarità di tali lungometraggi riflette la quantità di cittadini che non sono d’accordo con l’invasione di Vladimir Putin». Tra i film al cinema non mancano ovviamente i due principali protagonisti dell’estate 2023, Oppenheimer e Barbie, arrivati tramite versioni pirata delle edizioni home video di Usa e Regno Unito. In parallelo le produzioni locali, tra cui anche i documentari nazionalisti sulla guerra in Ucraina, non decollano, registrando continui flop al botteghino.

Da Mosca a Kazan, anche in Russia è possibile vedere al cinema Barbie e Oppenheimer. Dai nomi inventati ai biglietti fake, ecco come.
Margot Robbie alla premiere del film Barbie a Londra (Getty Images).

Da Barbie a Oppenheimer, come arrivano in Russia i film di Hollywood?

I film di Hollywood arrivano in Russia attraverso due strade principali. La più rapida è l’hacking delle edizioni home video rilasciate in Occidente. È quanto successo per esempio con Barbie, giunto a Mosca due giorni dopo essere uscito in digitale negli Usa e nel Regno Unito. In altri casi è possibile far arrivare i file in territorio russo tramite il passaggio illegale dalle nazioni vicine, come il Kazakistan. Curiosamente, a dispetto di quanto si possa credere, per vedere un film non bisogna andare in bunker sotterranei o superare la guardia di buttafuori e sicurezza, ma basta recarsi al cinema. Viktor, un ragazzo di San Pietroburgo, ha però detto al Guardian che non è possibile trovare poster pubblicitari o spot televisivi. L’unico modo per informarsi sulle proiezioni è attraverso una stretta cerchia di amici o conoscenti.

Da Mosca a Kazan, anche in Russia è possibile vedere al cinema Barbie e Oppenheimer. Dai nomi inventati ai biglietti fake, ecco come.
I poster all’esterno di un cinema di Mosca nel marzo 2022 (Getty Images).

Singolare anche l’acquisto dei biglietti. «Non vendono l’ingresso per i film di Hollywood», ha proseguito Viktor. «Puoi comprare un ticket per una produzione russa e poi, come anteprima gratuita, vedere invece quella americana». Non è raro poi che gli spettacoli vengano pubblicizzati online, soprattutto sui canali social delle catene cinematografiche, sotto falso nome. A Mosca, per esempio, Barbie è diventata Speed Dating, mentre Oppenheimer è stato distribuito con il nome di Dukov. A Kazan, invece, il film con Margot Robbie è stato pubblicizzato come servizio pre-spettacolo di un film locale dal titolo Boom – La figlia del pescatore. «In pratica, se non sapessi cosa proiettano potresti entrare senza nemmeno accorgerti che in una sala c’è un film straniero», ha concluso Viktor. Quanto alla fascia di pubblico, dominano soprattutto i ragazzi fra 15 e 25 anni di età, principalmente nel weekend.

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Flop per le produzioni russe, tra cui i documentari sulla guerra in Ucraina

La grande popolarità di Barbie e Oppenheimer, che secondo alcune stime avrebbero incassato fino a 200 milioni di dollari in Russia, è in netto contrasto con le produzioni locali. Tra questi, anche i documentari nazionalisti sulla guerra in Ucraina, tra cui The Witness, alla cui première si sarebbero presentati appena quattro spettatori. Il film descrive i soldati di Kyiv come un nemico, attribuendo loro il massacro di Bucha e il bombardamento dell’ospedale di Mariupol. Finanziato dal Cremlino con 200 milioni di rubli (circa 2 milioni di euro), secondo il quotidiano indipendente Nastoyashcheye Vremya ne ha incassati al box office appena 8 milioni (meno di 80 mila euro). Nonostante tutto, le autorità non hanno intenzione di porre un freno alla diffusione illegale dei film di Hollywood, a meno che non violino la legge contro la propaganda Lgbtq+.

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Trump e due suoi figli riconosciuti colpevoli di frode

Nuovi grattacapi per Donald Trump. Un giudice di New York ha infatti stabilito che, insieme ai figli maggiori Eric e Donald Jr, il tycoon ha commesso una frode commerciale gonfiando per anni massicciamente i suoi asset (fino a 3,6 miliardi di dollari) ed esagerando il suo patrimonio netto. Grazie alle bugie rifilate a banche, compagnie di assicurazioni e altri player, la compagnia Trump Organization dell’ex presidente degli Stati Uniti è stata così in grado di concludere accordi più vantaggiosi o garantirsi cruciali finanziamenti.

Trump e due suoi figli riconosciuti colpevoli di frode. L'ex presidente degli Stati Uniti nega e parla di caccia alle streghe.
L’ingresso della Trump Tower a New York (Getty Images).

Tra gli asset “gonfiati” la tenuta di Mar-a-Lago e l’attico nella Trump Tower

Il giudice Arthur Engoron ha così sostenuto gli atti della procuratrice generale Letitia James a pochi giorni prima dell’inizio (2 ottobre) del processo civile contro Trump, accusato di aver ottenuto prestiti per la costruzione di un golf resort in Miami, hotel a Washington e hotel a Chicago in virtù della frode alle banche, portata avanti per quasi un decennio. Solo per fare un paio di esempi (i più clamorosi), l’ex presidente Usa è stato riconosciuto colpevole di aver sopravvalutato le tenuta di Mar-a-Lago del 2.300 per cento in un rendiconto finanziario, di aver fatto lo stesso con il suo attico nella Trump Tower di New York, sostenendo che fosse tre volte più grande delle dimensioni reale. Tali misfatti avrebbero fruttato negli anni a Trump benefici finanziari da circa 150 milioni di dollari, sotto forma di tassi d’interesse favorevoli ottenuti dalle banche sui prestiti accordati.

Trump e due suoi figli riconosciuti colpevoli di frode. L'ex presidente degli Stati Uniti nega e parla di caccia alle streghe.
Donald Trump (Getty Images).

Per il tycoon la Trump Organization è stata «diffamata e calunniata»

La decisione preliminare del giudice, che ritiene Trump responsabile insieme ai figli adulti di frode nella causa civile da 250 milioni di dollari, ha portato all’ordine di revoca di alcune delle licenze commerciali del tycoon e degli altri imputati, così come alla prosecuzione di un monitoraggio esterno delle operazioni della Trump Organization. «È una grande compagnia, che è stata diffamata e calunniata da questa caccia alle streghe politicamente motivata», ha scritto The Donald su Truth. La decisione del giudice di fatto mina alle basi il mito dell’imprenditore di successo, su cui Trump ha costruito l’intera carriera.

Con Meloni e Salvini lo spot Esselunga entra in campagna elettorale

La prima è stata Giorgia Meloni che, tra una Nadef, un decreto Immigrati (il terzo in quattro mesi sulla cosiddetta emergenza) e il gelo con Parigi e Berlino, ha comunque trovato il tempo di dire la sua sul tema caldo delle ultime 48 ore: lo spot Esselunga. «Leggo che questo spot avrebbe generato diverse polemiche e contestazioni. Io lo trovo molto bello e toccante», ha commentato la presidente del Consiglio sui social apprezzando il cortometraggio, firmato dalla pluripremiata agenzia Small, in cui la bambina triste prova a far riappacificare i genitori separati regalando al padre una pesca comprata al supermercato. Segno che la campagna elettorale sta (ri)cominciando e che le battaglie identitarie non possono essere ignorate.

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Così Matteo Salvini rincorre Giorgia Meloni

E poteva Matteo Salvini non cavalcare l’hype, lasciando all’alleata-avversaria un vantaggio mediatico? No di certo. «Dare voce ai tanti genitori separati, a quelle mamme e a quei papà quasi mai citati e spesso troppo dimenticati, al legame indissolubile con i figli», ha commentato sui soliti social. «Trasformare uno spot in uno splendido messaggio di Amore e Famiglia merita solo sorrisi. Come fa certa gente a insultarlo e deriderlo solo perché non narra il “modello” che vorrebbero loro?».

 

La passione di Salvini per la pubblicità

Del resto non stupisce che il segretario leghista e vicepremier commenti una pubblicità cogliendo il solito trending topic. Nel giugno del 2020 in chiave nostalgica postò su Facebook il famoso spot della Barilla con la bambina che salva un gattino sotto la pioggia. «Chi non lo ricorda? Altro che “Italietta”!», commentò. «Era un’Italia più sicura, più fiduciosa, più sorridente. Siamo il Paese più bello del mondo, possiamo tornare ad essere grandi. Buonanotte Amici, vi voglio bene». Anche in quel caso lo spot che oggi si definirebbe “emozionale” era stato usato per esaltare l’Italia degli Anni 80, «quella che era davanti alla Germania» dopo uno scontro a diMartedì con Massimo Giannini che ricordando la svalutazione l’aveva definita appunto «Italietta».

L’idillio con Barilla però durò poco. Nell’agosto dello stesso anno Salvini si spinse oltre. Sui social del Carroccio venne pubblicato uno scatto in cui il leader stringeva la mano a un ragazzo di colore durante il tour elettorale sotto al celebre spot della Ringo accompagnato dal claim: «Uniti di vince».

 

Una “appropriazione indebita” di spot, tanto che la stessa Barilla fu costretta a mettere in chiaro le cose con un tweet: «Il Gruppo Barilla conferma che non ha autorizzato e non autorizza l’utilizzo dei propri marchi – compreso il brand Ringo – da parte di nessun movimento o gruppo politico».

La sfuriata di Giovanardi contro lo spot Ikea

Per restare al rapporto politica-pubblicità, come dimenticare poi l’attacco di Carlo Giovanardi allo spot Ikea. Bisogna riavvolgere il nastro fino al lontano 2011, quando l’allora sottosegretario alla Famiglia del Popolo della libertà condannò la réclame che ritraeva una coppia gay mano nella mano con la scritta: «Siamo aperti a tutte le famiglie». «Contrasta a gamba tesa contro la nostra Costituzione», tuonò Giovanardi. «L’Ikea è libera di rivolgersi a chi vuole e di rivolgere i propri messaggi a chi ritiene opportuno. Ma quel termine “famiglie” è in aperto contrasto contro la nostra legge fondamentale che dice la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio, in polemica contro la famiglia tradizionale, datata e retrograda». Sembra trascorsa un’era geologica, ma siamo ancora inchiodati allo stesso punto. Ora bisogna capire a quale modello di famiglia anche la pubblicità dovrà adeguarsi.

Ambulante ucciso a Civitanova Marche: killer condannato a 24 anni

La Corte d’assise di Macerata ha condannato Filippo Ferlazzo a 24 anni di reclusione per l’omicidio volontario aggravato dell’ambulante nigeriano Alika Ogorchukwu avvenuto a Civitanova Marche il 29 luglio 2022. L’imputato, 33 anni e originario di Salerno, aveva aggredito la vittima dopo che quest’ultima aveva chiesto l’elemosina a lui e alla compagna, a cui aveva toccato un braccio. Dopo averlo colpito con una stampella, Ferlazzo era salito sopra di lui a cavalcioni schiacciandogli il collo e la testa fino a soffocarlo.

Il pm aveva chiesto l’ergastolo

Il pm Claudio Rastrelli aveva chiesto l’ergastolo, ma i giudici della Corte di assise di Macerata hanno rigettato la sua richiesta. Concesse invece le attenuanti generiche, equivalenti alle aggravanti, e attribuita la pena massima prevista in questi casi (24 anni, per l’appunto) che Ferlazzo dovrà scontare in carcere. Sul fronte del risarcimento, i giudici hanno concesso una provvisionale di 350 mila euro a favore della moglie e del figlio di Alika e 40 mila euro ciascuno agli altri membri della famiglia ammessi come parti civili. Charity Oriakhi, moglie della vittima, ha così commentato la sentenza: «Giustizia è stata fatta, 24 anni di carcere vanno bene». Accompagnata dall’avvocato Francesco Mantella e da alcuni membri della sua famiglia, al momento della lettura del giudizio non ha avuto alcuna reazione apparente. A far trasparire il suo stato d’animo soltanto gli occhi lucidi.

Filippo Ferlazzo dopo la condanna: «Solo sei anni di sconto»

«Ho avuto solo sei anni di sconto». Questa la reazione a caldo dell’autore del delitto dopo il pronunciamento della sentenza. Il suo legale Roberta Bizzarri ha spiegato: «Avevo preparato Filippo anche all’eventualità di una condanna all’ergastolo, che nella sua mente equivale a 30 anni di reclusione. Quindi la sua è una battuta che vale per quello che vale». L’avvocata si è detta «soddisfatta» della condanna, «visto che era stato chiesto il massimo della pena». Ha infine dichiarato di non escludere il ricorso dopo che i giudici hanno rigettato la sua richiesta di una struttura detentiva alternativa al carcere per il suo assistito.

Influenza, primo caso in Italia: è un neonato di 4 mesi a Parma

L’Università di Parma ha identificato il primo caso di influenza di tipo A in Italia. A esserne affetto è un bambino di 4 mesi, attualmente ricoverato in una clinica pediatrica per febbre e inappetenza. Al lattante è stata diagnostica anche una bronchite asmatica. Le sue condizioni sono complessivamente discrete e stabili. Il piccolo sta migliorando grazie alla terapia antivirale iniziata per via orale. Ufficialmente iniziata, quindi, la stagione del virus influenzale. Dalle segnalazioni provenienti dall’emisfero australe gli esperti si aspettavano già un leggero anticipo dell’avvio della circolazione, come in effetti è stato.

Influenza, primo caso in Italia è un neonato di 4 mesi a Parma
Una bambina in culla (Getty Images).

Il ministro della Salute consiglia la vaccinazione

Come spiegato da TgCom24, l’Università di Parma ha diffuso la circolare del ministero della Salute dal titolo Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2023-2024. All’interno del documento si ricorda l’importanza della vaccinazione antinfluenzale, attiva e gratuita per tutti i bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 6 anni. Il vaccino è gratis anche per i pazienti pediatrici di età superiore ai 6 anni con rischi di complicanze. E inoltre la circolare sottolinea l’importanza in tutta la popolazione pediatrica poiché l’influenza potrebbe «favorire lo sviluppo di infezioni batteriche gravi anche nel bambino sano».

Influenza, primo caso in Italia è un neonato di 4 mesi a Parma
Un bambino sottoposto a vaccinazione (Getty Images).

Da ottobre la campagna vaccinale anti-Covid

Intanto le Regioni hanno ricevuto le prime dosi di vaccino anti-Covid aggiornato per contrastare anche le ultime varianti e fornito da Pfizer. La campagna vaccinale per contrastare il virus e le sue sottovarianti Eris e Pirola partirà a ottobre. Di quest’ultima variante è stato identificato il primo caso a Brescia lo scorso 25 settembre.

La Sip: «Ci preoccupa il virus sinciziale»

Rino Agostiniani della Sip, Società italiana pediatri, intervenendo su Adnkronos ha lanciato però anche l’allarme sul virus sinciziale. Ha dichiarato: «La scuola è iniziata da poche settimane e stiamo vedendo quello che normalmente accade quando si torna in classe. Abbiamo notato un incremento dei casi Covid, non associati a quadri clinici gravi, più che altro una patologia banale con l’infezione delle vie aeree superiori. Quello che ci preoccupa è il virus respiratorio sinciziale che porta la bronchiolite. Ancora non abbiamo avuto numeri significativi, ma è possibile che dal mese di ottobre, in analogia con quello che è successo nell’altro emisfero, arrivi un incremento dei casi che andrà gestita con molto attenzione anche a livello ospedaliero».

 

Brasile, 50 morti nel Rio Grande do Sul: possibile nuovo ciclone

È salito a 50 il bilancio delle vittime dei forti temporali che hanno colpito lo Stato del Rio Grande do Sul, in Brasile, dove, secondo l’Istituto nazionale di meteorologia (Inmet), potrebbe verificarsi un nuovo ciclone extratropicale. Una donna di 60 anni è morta dopo che la sua auto è stata trascinata dall’acqua in un torrente a Barra do Riveiro, nella regione metropolitana del capoluogo, Porto Alegre, e il suo corpo è stato ritrovato dai vigili del fuoco. Tre persone sono rimaste ferite a causa delle precipitazioni cadute anche nella giornata di martedì 26 settembre e altre nove risultano ancora disperse per le inondazioni verificatesi all’inizio del mese, il peggior disastro naturale degli ultimi 40 anni per il Rio Grande do Sul. Visto il rischio di formazione di un nuovo ciclone, restano in allerta 78 comuni della regione.

In Grecia un gregge di pecore ha mangiato oltre 100 kg di marijuana

La Grecia fa i conti con i danni dopo l’alluvione causata dalla tempesta Daniel, gli incendi e le inondazioni che hanno colpito diverse città in tutto il Paese. Ma nelle pianure della Tessaglia, nella parte centrale del territorio greco, vicino alla città di Almyros, c’è un pastore alle prese con una vicenda quantomeno particolare. Il suo gregge di pecore ha invaso un terreno agricolo privo di recinzioni e ha mangiato oltre 100 chilogrammi di cannabis. A raccontarlo sono i media locali.

In Grecia un gregge di pecore ha mangiato oltre 100 kg di marijuana
Un edificio distrutto dalle alluvioni in Grecia (Getty Images).

L’azienda produceva cannabis medicinale

In quel tratto di pianura, l’azienda che possiede il terreno invaso dal gregge ha prodotto per anni cannabis medicinale. Ora, però, ripartire sembra difficile sia per i danni generati dalla tempesta Daniel sia per quelli causati dalle pecore. A raccontarlo è stato il proprietario: «Abbiamo avuto le alluvioni, abbiamo perso quasi tutto. E ora questo. La mandria è entrata nella serra e ha mangiato ciò che era rimasto. Non so se ridere o piangere». A dare l’allarme è stato invece il pastore, che si è accorto del comportamento definito «strano» dei suoi animali.

In Grecia un gregge di pecore ha mangiato oltre 100 kg di marijuana
Agnelli durante il pascolo (Getty Images).

Circa 200 mila gli animali morti durante le alluvioni

In Grecia, a metà settembre, il ministro dello Sviluppo agricolo, Lefteris Avgenakis, ha parlato anche dell’impatto delle inondazioni sugli animali. Nella Tessaglia ne sono morti oltre 200 mila, tra cui più di 61 mila tra ovini e caprini e quasi 20 mila suini. Un disastro per le attività produttive greche, ma non solo. Si tratta anche di un problema di salute, come ha spiegato il ministro della Difesa Nikos Dendias. Quest’ultimo ha mobilitato le forze armate, che hanno contribuito alla raccolta delle carcasse che avrebbero potuto portare malattie infettive tra i cittadini sfollati.

La Corea del Nord ha espulso il disertore americano Travis King

La Corea del Nord ha espulso Travis King, il militare statunitense che il 18 luglio aveva disertato attraversando volontariamente la frontiera durante un tour civile nella zona demilitarizzata tra le due Coree. Lo riferisce l’agenzia nordcoreana Kcna, spiegando che il soldato ha ammesso di essere entrato illegalmente nel Paese, in quanto nutre rancore per il trattamento disumano e la discriminazione razziale all’interno dell’esercito americano. King è ora sotto la custodia degli Stati Uniti. Lo ha riferito un alto funzionario dell’amministrazione Usa alla Cnn.

La Corea del Nord ha deciso di espellere il disertore americano Travis King, entrato illegalmente nel Paese eremita.
Il confine tra le due Coree a Panmunjom (Getty Images).

King era fuggito in Nord Corea durante un tour organizzato

Al momento della diserzione, King aveva appena finito di scontare una pena di quasi due mesi in Corea del Sud. Accusato di aggressione, era stato rilasciato in vista del ritorno negli Stati Uniti, dove con ogni probabilità sarebbe stato avviato un provvedimento disciplinare nei suoi confronti. La scorta militare lo aveva accompagnato fino all’ingresso del terminal dell’aeroporto. King poco dopo però se n‘era andato, unendosi a un tour guidato diretto alla Joint Security Area, unico punto di contatto diretto tra gli eserciti delle due Coree, varcando poi il confine.

La Corea del Nord ha deciso di espellere il disertore americano Travis King, entrato illegalmente nel Paese eremita.
Due turiste in visita alla zona demilitarizzata (Getty Images).

 

Poste Italiane, emesso un francobollo dedicato alla regina Elisabetta II

Poste Italiane ha comunicato l’emissione, da parte del ministero delle Imprese e del Made in Italy, di un francobollo commemorativo della Regina Elisabetta II del Regno Unito. La carta-valore, stampata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A, vuole essere un omaggio a una delle figure più iconiche della storia contemporanea nonché la monarca più longeva del regno britannico. Il bozzetto è stato ideato da Emanuele Cigliuti e ottimizzato dal Centro Filatelico della Produzione dell’IPZS.

La vignetta raffigura la regina in cinque epoche diverse

Si tratta di un francobollo relativo al valore della tariffa B zona 1 (pari a 1,30 euro) recante una vignetta che raffigura il profilo della sovrana in cinque epoche diverse. Cinque come le visite ufficiali che dedicò al nostro Paese durante il suo regno durato 70 anni (1952-2022), il più lungo di qualsiasi capo di Stato donna nella storia, che contribuirono al consolidamento del legame tra le due nazioni. Elisabetta ha infatti sempre mostrato una grande passione per il Belpaese, come ha evidenziato anche l’ambasciatore britannico a Roma Lord Llewellyn nel commentare la scelta di dedicarle un francobollo: «La regina ha amato l’Italia e l’ha visitata tante volte. Secondo me questo gesto è davvero eccezionale e vorrei ringraziare il ministro Urso e tutti gli italiani».

Elisabetta visitò l’Italia cinque volte

Il primo soggiorno di Elisabetta nello stivale ebbe luogo nel 1951, un anno prima dell’incoronazione. Insieme a Filippo, alloggiò presso la villa Adriana di Tivoli dove festeggiò i suoi primi 25 anni. Si recò poi al Quirinale, dove pranzò insieme all’allora capo dello Stato Luigi Einaudi e al capo del governo Alcide De Gasperi, e in Vaticano, dove c’era papa Pio XII. Passati 10 anni, il 3 maggio 1961, attraversò Roma a bordo di una Flaminia 335. Era in città per incontrare il capo dello Stato Giuseppe Gronchi e papa Giovanni XXIII. Poi andò a Venezia e a Firenze. E, ancora, tornò in Italia nel 1980 ricevuta da Sandro Pertini e papa Giovanni Paolo I, nel 1992, quando fece tappa in una Palermo ancora ferita dalla strage di Capaci, e nel 2000. Insieme a Carlo Azeglio Ciampi assistette al Palio di Siena per poi recarsi a Milano dove, presso il Teatro La Scala, Riccardo Muti diresse un concerto in suo onore. Il suo ultimo viaggio istituzionale in Italia è stato nel 2014, quasi alla fine della presidenza di Giorgio Napolitano. In quell’occasione strinse la mano anche a papa Francesco. La regina, sposata con Filippo Mountbatten per 73 anni e madre del principe Carlo, della principessa Anna, del principe Andrea e del principe Edoardo, è morta all’età di 96 anni nel castello di Balmoral (2022).

È acquistabile presso gli uffici postali con sportello filatelico

Il francobollo a lei dedicato e i prodotti filatelici correlati – cartoline, tessere e bollettini illustrativi – sono disponibili presso gli uffici postali con sportello filatelico, gli “Spazio Filatelia” di Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Roma 1, Torino, Trieste, Venezia, Verona e sul sito filatelia.poste.it. Sulla carta-valore, oltre alla vignetta che ritrae Lilibet, è presente anche il sigillo reale del suo regno, in basso al centro. Per l’occasione è stata realizzata anche una cartella filatelica in formato A4 a tre ante contenente una quartina di francobolli, un francobollo singolo, una cartolina annullata e affrancata, una busta del primo giorno di emissione e il bollettino illustrativo al prezzo di 20 euro.

Kanye West, in arrivo un nuovo album con Dr. Dre

Kanye West torna a far parlare di sé per la musica. Dopo le recenti polemiche a Venezia e Firenze per le uscite in pubblico con la fidanzata Bianca Censori, il rapper noto anche come Ye sarebbe al lavoro su un nuovo album di inediti proprio durante la sua permanenza in Italia. Lo ha confermato Tmz, secondo cui l’artista in appena una settimana avrebbe persino completato almeno una decina di tracce. In studio con lui, secondo alcune fonti anonime, ci sarebbe anche il collaboratore di lunga data Ty Dolla Sign, probabilmente protagonista di uno o più duetti. Certa è invece la partecipazione di Dr. Dre. L’album si chiamerà Jesus Is King II e sarà il sequel del disco pubblicato nel 2019. Sarà inoltre il primo dopo le accuse di antisemitismo del 2022. Su YouTube, grazie a una fuga di notizie non autorizzata, sono approdati anche alcuni brani, versioni remixate di quelli di quattro anni fa.

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Kanye West nel nuovo album è pronto a tornare al sound originale

A dispetto dei leak approdati in Rete, il nuovo album di Kanye West resta ancora avvolto nel mistero. Tmz però ha potuto fornire alcune anticipazioni interessanti, tra cui soprattutto lo stile delle tracce. Secondo le prime indiscrezioni, Ye sarebbe intenzionato a tornare «al vecchio Kanye», sia per quanto riguarda i temi sia in merito al ritmo. Già nel 2019, poco dopo l’uscita di Jesus is King, il rapper aveva preannunciato l’uscita di un secondo volume, pubblicando su X, allora Twitter, una foto assieme al produttore Dr. Dre. «Chi pensava che bastasse fare un album dedicato a Dio per far sì che lavorassi con Dr. Dre?», aveva scritto Kanye West. «Dedicate il vostro tempo a Dio e lui penserà a tutto il resto». Al momento non c’è ancora una data ufficiale per il rilascio del progetto, dato che Ye «si starebbe prendendo tempo per rispecchiare la qualità che la sua reputazione aveva un tempo».

In Italia con la compagna Bianca Censori, Kanye West sta lavorando a un nuovo album. In Rete già alcuni leak con Dr Dre, Eminem e Snoop Dogg.
Kanye West in un evento pubblico del 2022 (Getty Images).

Intanto i fan hanno potuto già ascoltare alcuni brani su YouTube, anche se difficilmente si tratterà delle versioni definitive. Su YouTube e Reddit infatti sono arrivati nuovi remix di Use This Gospel con Eminem, Close on Sunday con Anderson .Paak e Hands on con la voce di Travis Scott, che aveva ospitato il rapper durante il suo concerto Utopia al Circo Massimo di Roma. Fra le 15 tracce approdate illegalmente online anche nuovi versi di Snoop Dogg e altre voci celebri dell’hip hop americano come 2 Chainz, Pusha T, Asap Ferg e Marsha Ambrosius, oltre a una collaborazione con DJ Khaled. Al momento, l’ultima pubblicazione ufficiale di Kanye West è l’album Donda del 2021. L’anno successivo, ma solo sulla sua personale piattaforma Stem Player, uscì un secondo volume.

Ponte sullo Stretto, FdI smentisce Salvini: «Dubbi su appalti nel 2024»

Per il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini i cantieri per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina saranno aperti nell’estate 2024. Ma per Fratelli d’Italia non è così. La maggioranza si spacca sull’infrastruttura divenuta un cavallo di battaglia del leader della Lega. A frenare l’entusiasmo di Salvini è stato il capogruppo del partito di Giorgia Meloni alla Camera, Tommaso Foti, che ha dichiarato: «Dubito che nel 2024 saremo già agli appalti».

Ponte sullo Stretto, FdI smentisce Salvini «Dubbi su appalti nel 2024»
Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Foti: «Nel 2024 il progetto esecutivo»

Intercettato dai giornalisti fuori da Montecitorio, Foti ha commentato la previsione di Salvini: «Allo stato mi pare che non abbiamo un progetto esecutivo, poi io non mi occupo della progettazione. Prudenzialmente posso pensare che nel 2024 ci possa essere il progetto esecutivo». E ha aggiunto: «Il ponte sullo Stretto in manovra? Il ponte in manovra è una spesa d’investimento e quindi penso possa essere una posta di bilancio che riguarda un programma pluriennale. Nel 2024 bisogna vedere, io dubito che saremo già agli appalti. In genere i soldi servono per la progettazione e per gli appalti, ma servono più per gli appalti, non per la progettazione».

Ponte sullo Stretto, FdI smentisce Salvini «Dubbi su appalti nel 2024»
Un plastico del Ponte sullo Stretto di Messina (Imagoeconomica).

Salvini: «Cantieri dall’estate 2024»

Dall’altra parte, il ministro Salvini, al congresso dell’Ordine degli Ingegneri, ha dichiarato: «Stiamo fortunatamente, positivamente e con tanta pazienza rispettando il cronoprogramma che ci siamo dati dieci mesi fa». E parlando di tempistiche ha rimarcato quanto già detto negli ultimi mesi: «L’obiettivo è aprire i cantieri, dopo 52 anni di parole, nell’estate dell’anno del Signore 2024 e la chiusura nel 2032 con il primo treno, la prima auto, la prima moto, il primo camion che attraverseranno il collegamento stabile».

WeBuild: «Pronti a iniziare a marzo»

Quello delle tempistiche relative all’avvio dei cantieri del Ponte sullo Stretto resta un tema caldo. Nel luglio 2023 a parlarne è stato Pietro Salini, amministratore delegato di WeBuild: «Spero di poter dire al ministro che siamo pronti per marzo a iniziare fisicamente le opere». E ha aggiunto: «Abbiamo già cominciato le attività di aggiornamento progettuale. Dobbiamo riuscire a fare sì che queste grandi opere non siano solo sfide di terreno politico ma diventino invece vita per i cittadini, futuro per i ragazzi e capacità di attrarre talenti».

Alessandria: 66enne uccide la moglie, la suocera, il figlio e si toglie la vita

Un uomo di 66 anni,  Martino Benzi, ha ucciso la suocera Carla Schiffo, 78 anni, la moglie Monica, 55 anni, e il figlio 17enne Matteo, per poi togliersi la vita. La tragedia avvenuta ad Alessandria non è stata chiara fin da subito: secondo quanto si apprende infatti, in seguito alla scoperta del suicidio del 66enne e dell’omicidio della suocera, nell’istituto Divina Provvidenza nella piazza omonima del quartiere Orti della città, i carabinieri hanno cercato di rintracciare moglie e figlio dell’uomo, scoprendo così che la donna non era andata al lavoro e che anche il ragazzo non si era recato a scuola.

La scoperta dei carabinieri

A quel punto i militari sono andati a casa della famiglia dell’uomo e, una volta sfondata la porta, hanno trovato i due cadaveri. In base alle prime informazioni trapelate dall’ambiente investigativo, il genero era andato a fare visita alla suocera per poi colpirla con un coltello e uccidersi a sua volta nel giardino dell’istituto di cura. Da chiarire il movente della tragedia. Sono ancora molti, infatti, gli elementi su cui stanno lavorando i carabinieri della compagnia e della sezione investigazioni scientifiche di Alessandria. Non si esclude che l’uomo possa aver ucciso moglie e figlio con la stessa arma con cui poi si è recato nell’istituto dove ha ucciso la suocera, ma gli investigatori mantengono uno stretto riserbo.

La Galleria del Corso di Milano si rinnova dopo 100 anni

Dopo 100 anni la Galleria del Corso di Milano, che collega piazza Beccaria con corso Vittorio Emanuele II, modifica il suo look grazie a un intervento di restauro che è costato circa otto milioni di euro ed è stato sostenuto dai privati. A inaugurare lo spazio restituito alla cittadinanza anche il sindaco Giuseppe Sala. I lavori, realizzati dall’impresa Trivella Srl, hanno interessato le facciate, la pavimentazione, con il consolidamento e restauro, e la copertura in ferro e vetro dell’ottagono centrale. All’opera anche squadre di restauratori che hanno dato nuova vita a intonaci decorativi e marmi.

L’intervento era nato nel 2012

La sfida più grande è stata quella del restauro delle copertura in ferro e vetro, in cui sono stati sostituiti 1.420 vetri, ognuno dei quali diverso per dimensione e disegno. «L’intervento è nato nel 2012 e i primi lavori sono stati realizzati su una parte delle facciate nel 2016», ha spiegato Virginio Trivella, titolare dell’omonima impresa. Che ha aggiunto: «Dal 2019 al 2023 è stato fatto tutto ciò che mancava con il restauro della pavimentazione, con un consolidamento statico, perché versava in condizioni critiche. Inoltre la copertura è stata sostituita perché la vetratura era opaca e pericolosa con vetri rotti che rischiavano di cadere».

Il sindaco di Milano: «Adesso dobbiamo lavorare per mantenerla»

Ora la sfida è quella di preservare la galleria dopo i lavori di restyling, come ha spiegato anche il sindaco: «Ringrazio i privati che hanno sostenuto i costi. Giusto 100 anni fa qui c’erano ancora le ultime macerie. Adesso dobbiamo lavorare per mantenere la galleria a posto, mi hanno segnalato due problemi. La pavimentazione è fragile quindi è chiaro che il passaggio di mezzi può creare problemi, come un mezzo di soccorso o di polizia». L’altra questione è quella relativa al degrado notturno con senzatetto che dormono lì la notte. «La sicurezza va gestita anche con le telecamere», ha osservato Sala secondo cui l’amministrazione dovrà mettere in campo diverse modalità di controllo della zona come una maggiore illuminazione.

I mercenari della Wagner sono tornati a Bakhmut

I mercenari russi del Gruppo Wagner sono di nuovo a Bakhmut, città dell’Ucraina orientale che la brigata fondata da Yevgeny Prigozhin ha conquistato dopo feroci attacchi iniziati nell’estate del 2022. Per prima lo ha riferito la Cnn, che ha raccolto informazioni da piloti di droni ucraini impegnati nei combattimenti attorno alla città-simbolo della guerra. I militari ucraini hanno dichiarato all’emittente statunitense che la presenza della milizia serve in parte a compensare la carenza di soldati dell’esercito regolare russo.

I mercenari della Wagner sono tornati a Bakhmut. Secondo Kyiv sono 500 e stanno negoziando contratti con il ministero della Difesa russo.
Immagini riprese da un drone ucraino (Getty Images).

Per Kyiv «non rappresenteranno una minaccia significativa»

Successivamente, la notizia è stata confermata da Ilya Yevlash, capo del servizio stampa del Gruppo orientale delle Forze armate ucraine: «Stiamo parlando di circa 500 persone, parte della formazione di circa 8 mila mercenari che si trovavano nei campi in Bielorussia», ha detto, aggiungendo che dopo la fallita insurrezione del 24 giugno i mercenari ora stanno «negoziando contratti con il ministero della Difesa russo». Yevlash ha poi dichiarato che i soldati della Wagner, pur essendo tra i militari più addestrati dell’esercito russo, «non rappresenteranno una minaccia significativa, come prima, dal momento che il loro leader, Prigozhin, non c’è più».

I mercenari della Wagner sono tornati a Bakhmut. Secondo Kyiv sono 500 e stanno negoziando contratti con il ministero della Difesa russo.
Ruben Vardanyan (Ansa).

Nagorno-Karabakh, gli azeri arrestano l’ex capo del governo

L’Azerbaigian ha potuto attaccare il Nagorno-Karabakh perché Mosca è comprensibilmente più concentrata sull’Ucraina che sul Caucaso, dove è presente un piccolo contingente di pace russo. Ebbene, Ruben Vardanyan, ex capo del governo della autoproclamata Repubblica di Atsakh, è stato fermato dalle forze azere mentre cercava di lasciare l’enclave del Nagorno-Karabakh diretto in Armenia. Lo rendono noto le forze di frontiera di Baku, pubblicando sul loro sito una fotografia di Vardanyan in manette tra due ufficiali. Vardanyan, miliardario che ha rinunciato alla cittadinanza russa, è stato capo del governo separatista del Nagorno-Karabakh dal novembre del 2022 al febbraio del 2023.

In Italia 22.600 distributori di carburante: record in Europa

L’Italia possiede 22.600 distributori di carburante ed è il paese europeo che ne ha di più, sopra la Germania (con 14.500), la Spagna e la Francia. Sono i dati forniti nella mattinata di mercoledì 27 settembre 2023 a Roma dalla Faib Confesercenti, associazione di categoria dei benzinai, in occasione dell’assemblea per il 60esimo anniversario della sua fondazione. Il nostro Paese ha un parco auto che conta oltre 40 milioni di autovetture circolanti, secondo solo alla Germania. Il numero di autovetture per punto vendita è invece poco meno di 1.800, sotto quello della Germania (che supera le 3 mila vetture) e quelli del Regno Unito, della Polonia, della Francia, della Spagna e della maggior parte dei paesi europei.

L’erogato medio è inferiore a quello europeo

L’erogato, che nel nostro paese è pari a 1.237 metri cubi all’anno, è inferiore alla media europea del 47 per cento (una differenza pari a 1.176 metri cubi all’anno). Il distacco è particolarmente pronunciato rispetto a quasi tutte le economie europee: dalle principali come il Regno Unito (che registra un erogato più di tre volte superiore), la Spagna, la Francia e la Germania, fino alle altre come l’Austria, la Polonia, la Norvegia. Dopo l’Italia si è posizionata solo la Grecia. Nel nostro Paese si è registrata, inoltre, una diffusione del metano sopra la media europea. L’Italia, infatti, è leader in Europa per punti vendita di questo carburante (oltre 1300) e per autovetture circolanti. Al secondo posto c’è la Germania con circa 835 punti vendita, ma con un circolante di 100.000 autoveicoli contro 1 milione in Italia.

Amazon e la causa della Ftc, il rischio: meno prodotti e prezzi più alti

«Se la Federal trade commission dovesse prevalere, il risultato sarebbe un minor numero di prodotti tra cui scegliere, prezzi più alti, consegne più lente per i consumatori e un minor numero di soluzioni per le piccole imprese: l’opposto delle finalità per la quale la legge antitrust è stata concepita. L’azione legale presentata oggi dalla Ftc è sbagliata dal punto di vista fattuale e legale e siamo pronti a far valere le nostre ragioni in tribunale». A confermarlo è Amazon in una nota.

Le accuse di monopolio

Gli Stati Uniti hanno citato in giudizio Amazon dando il via alla lotta antitrust con il colosso dell’e-commerce. Come riportato dal New York Times, la Federal Trade Commission e 17 stati hanno intentato una causa accusando la società di soffocare illegalmente la concorrenza. A loro parere, infatti, la società fondata da Jeff Bezos porta avanti illegalmente un monopolio su settori della vendita al dettaglio online schiacciando i commercianti e favorendo i propri servizi.

Tre suore volevano pregare per Messina Denaro in ospedale: «La polizia ci ha mandate via»

Tre suore hanno tentato di pregare accanto al corpo di Matteo Messina Denaro, morto il 25 settembre scorso, ma sono state mandate via dalla polizia. A raccontarlo è il Corriere della Sera, che ha riportato la storia di Madre Donatella, suor Emanuela e suor Teresa Benedetta. Le tre donne sono monache benedettine di clausura del monastero dei Santi Cosma e Damiano di Tagliacozzo. Il 26 settembre, intorno alle 11, si sono recate all’ospedale San Salvatore dell’Aquila per portare la superiora del convento a una visita oculistica. Dopo, però, hanno preso una deviazione prima di rientrare al monastero per andare all’obitorio e pregare per il boss di Castelvetrano, arrivando però poco prima dell’autopsia.

Tre suore volevano pregare per Messina Denaro in ospedale «La polizia ci ha mandate via»
Il carro funebre che ha trasportato la bara di Messina Denaro al cimitero di Castelvetrano (Getty).

Madre Donatella: «Volevamo pregare per lui nonostante tutto»

Madre Donatella ha raccontato: «Siamo andate all’obitorio. Sapevamo che lì si trovava il corpo di Matteo Messina Denaro volevamo pregare per lui, nonostante tutto. Ma la polizia non ci ha fatto entrare». E suor Emanuela, la più giovane, ha confermato: «Sì, è vero, volevamo pregare davanti al corpo. Sappiamo benissimo chi era e i crimini che ha commesso ma è pur sempre un figlio di Dio». A concludere è stata Teresa Benedetta: «Gli è stato negato il funerale religioso, va bene. Ma ricordatelo ogni anima ha il diritto di essere salvata».

Tre suore volevano pregare per Messina Denaro in ospedale «La polizia ci ha mandate via»
Messina Denaro e due carabinieri del Ros (Imagoeconomica).

La messa per Messina Denaro cancellata per «prudenza pastorale»

Nella mattinata del 27 settembre, invece, don Tommaso Izzo, parroco della chiesa Maria Santissima Annunziata di Licignano Casalnuovo di Napoli, ha prima organizzato, con tanto di post su Facebook, e poi annullato una messa in suffragio del boss. I fedeli, indignati, si sono rivolti al deputato di Europa Verde, Emilio Borrelli, per segnalare la vicenda. Il parroco ha annullato tutto per «prudenza pastorale».

LEGGI ANCHEPerché la morte di Messina Denaro non è una vittoria dello Stato

Giovani fanno causa a 32 Paesi sul clima: udienza a Strasburgo

Ha preso il via la maxi-causa a Strasburgo davanti alla Corte europea dei diritti umani intentata da sei giovani portoghesi nei confronti di 32 governi per «l’inazione» sul clima. La Russia, anch’essa chiamata a comparire, non si è presentata.

32 Paesi accusati di non rispettare l’accordo di Parigi

A pochi minuti dall’inizio dell’udienza, dinanzi alla formazione più solenne della Corte, la grande Camera composta da 17 giudici, diversi addetti stampa hanno indicato che saranno oltre 600 le persone presenti. I ricorrenti, tutti di età compresa tra gli 11 e i 24 anni, hanno accusato i 27 stati Ue, la Russia, la Turchia, la Svizzera, la Norvegia e il Regno Unito di non rispettare gli impegni assunti nel quadro dell’accordo di Parigi sul clima del 2015 volti a limitare l’aumento delle temperature. A seguire il dibattimento erano presenti anche alcune delle anziane donne svizzere che il 29 marzo 2023 avevano presentato ricorso contro il loro Paese per non aver fatto abbastanza per l’ambiente, e un gruppo di studenti dell’Università Federico II di Napoli. In occasione dell’udienza, fuori dalla Corte sono apparsi dei cartelloni di sostegno ai giovani portoghesi in diverse lingue. Quello in italiano recita: «Cosa c’è di più bello della speranza dei giovani che lottano per il loro futuro». Prima di pronunciarsi in merito, la Corte esaminerà l’ammissibilità del ricorso, giunto davanti ai giudici di Strasburgo nel 2020 e beneficiario di un trattamento prioritario. Se il dossier sarà ritenuto ammissibile, la decisione potrebbe arrivare nella migliore delle ipotesi nel 2024.

È Sempre Cartabianca di Berlinguer e gli ascolti sgonfiati nella sfida con Floris

«Ascolti clamorosi», «Pier Silvio stappa lo champagne», «Parte a razzo». Questi sono solo alcuni dei titoli sui giornali web la mattina del 6 settembre 2023 una volta diffusi i dati auditel della serata precedente. Sera in cui Bianca Berlinguer ha esordito su Rete 4 con il suo È Sempre Cartabianca dopo un discusso addio alla tivù di Stato. Ma che fosse un fuoco di paglia era nell’aria, visto che tutti gli addetti ai lavori aspettavano il ritorno di Giovanni Floris con il suo diMartedì su La7, che nelle stagioni passate stagioni aveva distaccato con una certa puntualità #Cartabianca, la trasmissione che Berlinguer conduceva su Rai3. E così puntualmente è stato: il 19 settembre il debutto di Floris ha interessato il 7,2 per cento della platea seduta davanti alla tivù, contro il 6,5 conquistato dalla collega in onda su Rete 4. Sette giorni dopo il distacco si è assottigliato: il talk di La7 ha conquistato 1 milioni e 90 mila spettatori (6,9 per cento), mentre quello della collega ha viaggiato stabile sugli 892 mila (6,6 per cento). Tutto questo in attesa della partenza (probabilmente innocua) di Avanti Popolo, il nuovo martedì sera della terza rete, condotto da Nunzia De Girolamo.

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Oltre 300 mila telespettatori hanno tradito Bianca in meno di un mese

Insomma, dati in flessione rispetto al 9,62 per cento (corrispondente a 1 milione 208 mila telespettatori) del debutto di inizio settembre. Una doppia cifra sfiorata grazie, forse, alla curiosità nei confronti di quello che si può definire un esordio alla seconda: non solo quello di una trasmissione nuova (che poi così nuova non è, come suggerisce il titolo), ma anche quello in Mediaset di una conduttrice che ha militato in Rai praticamente tutta la sua carriera (era il 1991 quando prendeva le redini dell’edizione principale del Tg3 dopo essere passata dalla redazione dello stesso telegiornale e da quella di Mixer a partire dagli Anni 80). Certo, il merito va anche alla debole contro-programmazione della serata in questione: la trasmissione Filorosso su Rai3, la rete a cui Berlinguer è associata nell’immaginario comune, si era dovuta accontentare del 4,5 per cento. Mentre In Onda Prima Serata di La7 registrava 553 mila spettatori con uno share del 3,35.

Nel 2022 il debutto post vacanze su Rai3 si era fermato al 6,6 per cento

Un anno e qualche giorno prima, il 30 agosto 2022, Berlinguer e #Cartabianca tornavano sulla terza rete della tivù di Stato dopo la pausa estiva, fermandosi a 862 mila spettatori, pari al 6,6 per cento di share, a fronte dell’8,4 per cento raccolto da Mario Giordano con il suo Fuori dal coro su Rete 4. Una settimana dopo, l’entrata in gioco di Floris su La7 aveva eroso ulteriormente i numeri di Rai3 fino al 4,5 per cento. Una sfilza di cifre che rendono comprensibile l’entusiasmo delle ore successive alla prima puntata di È Sempre Cartabianca in casa Mediaset, anche a fronte di un investimento che, stando ai ben informati, non è stato proprio al risparmio.

È Sempre Cartabianca di Berlinguer e gli ascolti sgonfiati nella sfida con Floris
Bianca Berlinguer (Imagoeconomica).

Per Berlinguer almeno… un milione di buoni motivi per cambiare canale

Da una parte la zarina ex Tg3 ha spiegato il suo addio alla Rai meloniana raccontando di essersi sentita «un’estranea in famiglia, tollerata e non coinvolta». Dall’altra, tra le ragioni del suo trasloco potrebbe essercene una che niente ha a che vedere con la narrazione romantica fatta di voglia di riscatto (professionale e politico) che Berlinguer ha lasciato intendere della sua sorprendente decisione di mettersi nelle mani, e negli schermi, del Biscione. Perché, a un anno di distanza dalla pensione, il cambio di canale (ed editore) avrebbe fatto lievitare il salario della conduttrice da circa 240 mila euro a una cifra che, in base alle fonti, varia tra i 600 mila euro al milione.

«Andando via ho avuto la sensazione di aver risolto un problema alla Rai»

La proposta di Mediaset «è arrivata proprio quando mi rendevo conto che il rapporto con la direzione della Rai non era più ricucibile. Tutto sommato ho avuto la sensazione di aver risolto loro un problema andando via», spiegava lei in un’intervista al Fatto Quotidiano a luglio. Per poi parlare di «un’assenza di quella comunanza di intenti che ti porta a lavorare bene e tranquillamente. Costretta a parare colpi, sempre da sola con il mio gruppo di lavoro». Un j’accuse duro che non ha trovato spazio, invece, nelle parole con cui ha aperto la prima puntata di È Sempre Cartabianca: «La Rai resterà per sempre nel mio cuore, con tutte le persone che ho voluto bene, è che hanno dimostrato ancora oggi di volermene tantissimo», ha detto lei prima di introdurre il suo compagno di viaggio storico Mauro Corona che, tra le critiche e le difficoltà col collegamento audio, l’ha seguita nella sua nuova avventura alla corte di Pier Silvio Berlusconi. «Tutto cambia, anche noi abbiamo sentito l’esigenza di fare una nuova esperienza, ma siamo sempre noi, con le nostre idee, con le nostre passioni, con la nostra curiosità. Ci auguriamo di non deludere chi ci ha seguito finora, ma anche di conquistare tanto nuovo pubblico da sempre affezionato a Rete 4. Sappiamo che sarà difficile, ma ce la metteremo tutta». All’auditel l’ardua sentenza.

Gruppo Multiversity: Luciano Violante è il nuovo presidente

Luciano Violante, professore di diritto e procedura penale, ex magistrato, presidente della Camera nella XIII legislatura e presidente della commissione parlamentare antimafia nella XI legislatura, è stato nominato, dall’assemblea dei soci di Multiversity, nuovo presidente del gruppo pioniere in Italia nel settore della Digital Education. Durante la stessa riunione, Fabio Vaccarono è stato confermato quale amministratore delegato oltre che presidente e amministratore delegato degli Atenei digitali e delle società controllate del Gruppo.

Le altre nomine del Consiglio

Il Cda ha inoltre nominato l’Advisory board, composto da: Maria Chiara Carrozza, presidente CNR,  già ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; Pierluigi Ciocca, economista, accademico dei Lincei; Marta Dassù, ex viceministro degli Affari esteri, membro comitato esecutivo Aspen unstitute, direttrice di Aspenia, componente del comitato scientifico Luiss; Gianni De Gennaro, presidente Centro studi americani; Luciano Floridi, Founding director del Center for digital ethics dell’università di Yale; Lucia Lucchini, esperta in protezione dati ed etica del digitale; Monica Maggioni, giornalista, responsabile direzione editoriale per l’offerta informativa in Rai, ex direttore TG1 Rai; Alessandro Pajno, presidente emerito del consiglio di Stato; Corrado Petrocelli, magnifico Rettore dell’università di San Marino; Giovanni Salvi, già procuratore generale della corte di Cassazione; Stefano Scarpetta, direttore per l’Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali dell’OCSE (Parigi); Ersilia Vaudo, Astrofisica, Esa (Parigi).

«Una società in continua trasformazione»

«Assumo con orgoglio la presidenza del gruppo Multiversity» ha commentato in una nota il neoeletto presidente Luciano Violante. «La rivoluzione digitale ha mutato profondamente il mondo dell’istruzione, portando modalità di apprendimento nuove e più flessibili. Sono convinto che in una società in continua trasformazione come quella odierna, se vogliamo costruire un sistema educativo inclusivo e una maggiore coesione sociale, è fondamentale coniugare le giuste esigenze di formazione con le nuove tecnologie digitali e i relativi modelli di insegnamento. Un Advisory board come quello nominato oggi, che raccoglie alcune delle voci più autorevoli del Paese, può dare ulteriore qualità e impulso alla formazione dei nostri studenti, un vero e proprio asset indispensabile allo sviluppo di una società equa e al passo con i tempi».

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