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L’Africa dei colpi di Stato e il rischio contagio: il prossimo sarà in Camerun?
Nove colpi di Stato in tre anni. L’Africa è di fronte a una stagione di incertezza come non succedeva da decenni. Le autorità democratiche, o semi-democratiche, sono state spazzate via a partire dal 2020 in Mali, Ciad, Guinea, Sudan, Burkina Faso e Niger. Ultima in ordine di tempo, nell’agosto del 2023 è caduta anche la famiglia Bongo al potere in Gabon da 50 anni. Ma il processo non sembra concluso.
Tra il 1950 e il gennaio 2022 tentati 214 golpe, di cui 106 riusciti
«È iniziata una nuova era di instabilità», ha avvertito l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea Josep Borrell. L’Africa per tutto il Dopoguerra ha avuto una lunga storia di golpe: 214 tentati tra il 1950 e il gennaio 2022, di cui 106 riusciti, ma negli ultimi tre anni si è assistito a un’escalation, soprattutto in Africa occidentale: 14 tentativi di putsch di cui otto andati a segno. Gli ultimi si inseriscono però in un contesto diverso, a partire dai loro bersagli e dalle motivazioni che li hanno scatenati. In particolare tutti i Paesi ultimamente caduti nelle mani dei golpisti, Sudan a parte, fanno parte della Francafrique, la parte francofona del continente, formata da ex colonie di Parigi, ed è quindi evidente come c’entrino processi incompleti di decolonizzazione e risentimenti anti-francesi.
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I cittadini chiedono sicurezza, lavoro e sviluppo sostenibile
Alla Francia è imputato infatti l’avere sostenuto per decenni élite corrotte in modo da disporre di ampi spazi di manovra nelle economie locali, legate ancora all’ex madrepatria dal Franco Cfa. D’altra parte, anche la massiccia presenza militare francese in Sahel nell’ultimo decennio per combattere il terrorismo jihadista non ha riscosso successo. Oltre a tutto questo, con le dovute differenze, i golpe in Africa occidentale sono stati dettati dalla frustrazione della società nei confronti di una classe politica che ha manipolato le istituzioni per rimanere al potere da decenni ma ora è giudicata incapace di provvedere ai reali bisogni della popolazione, e in particolare dei giovani, come possono essere la sicurezza, il lavoro e lo sviluppo sostenibile. Nel mezzo di queste fratture i militari si sono potuti presentare come gli eroi del momento.
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Una mancata democratizzazione colpa di leader politici incapaci
Quello che l’Occidente teme ora è un effetto contagio nelle zone dell’Africa occidentale e centrale. Partita da Guinea, Mali e Burkina Faso – che insieme formano una zona contigua di 1.500 chilometri chiamata “blocco dei golpisti” – «l’epidemia», come l’hanno definita il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres e il presidente francese Emmanuel Macron, si è già spinta prima a Est, verso il Niger, dove a luglio i militari hanno rimosso e arrestato il presidente Mohamed Bazoum e poi più a Sud, fino al Gabon di Ali Bongo, ma potrebbe non fermarsi lì. Lo pensa, tra gli altri, il giornalista e docente universitario Jean-Léonard Touadi, intervistato dalla rivista Africa. Secondo Touadi «l’ondata di colpi di Stato continuerà» perché le colpe di queste crisi sono imputabili a leader politici africani incapaci e artefici di una mancata democratizzazione. Anche per il politologo Ken Opalo, citato dal sito Semafor, esiste un rischio reale di contagio nella regione, soprattutto per quanto riguarda governanti longevi che si sono dimostrati inefficaci negli anni. Questo vorrebbe dire che a essere potenzialmente a rischio sono tutti gli autocrati di lunga data del continente se continueranno a forzare il sistema democratico senza garantire riforme soddisfacenti.

Le speculazioni sul Camerun, dove Paul Biya governa da 41 anni
Gli indiziati sono diversi, ma le ombre più fosche si sono addensate sul Camerun, dove il presidente novantenne Paul Biya, sopravvissuto a un tentativo di rovesciamento già nel 1984, governa da 41 anni. A causa dell’incertezza nella successione al vecchio Biya, della frammentazione etnica e dell’alta instabilità di alcune regioni, molti commentatori hanno previsto per la nazione centrafricana un destino simile a quello degli altri Paesi golpisti. Le voci si sono di recente fatte tanto insistenti da richiedere un intervento del governo. Il ministro delle Comunicazioni e portavoce dell’esecutivo, Rene Emmanuel Sadi, ha dovuto mettere in guardia contro speculazioni di questo genere in una dichiarazione ufficiale. Sadi ha invitato analisti e commentatori a «guardarsi da non stabilire parallelismi insensati e assurdi e da fare ridicole predilezioni sul futuro del Camerun».

Il 66 per cento dei cittadini favorevole a un colpo di Stato militare
Chiunque non si attenga al diktat rischia di essere arrestato e processato. Qualche elemento da tenere in considerazione però c’è. Per esempio un sondaggio di Afrobarometer suggerisce che il 66 per cento dei cittadini camerunesi sarebbe favorevole a un colpo di Stato militare se i leader del Paese abusassero del loro potere. Intanto, dopo il golpe in Gabon, il presidente Biya ha ordinato un rimpasto nello stato maggiore dell’esercito, mandando in pensione alcuni alti ufficiali, per la presumibile paura che qualcuno di loro avesse assunto troppo potere.

Altri possibili candidati: occhio a Ruanda, Senegal, Guinea Equatoriale
Come Biya, lo stesso ha fatto anche il presidente autocrate del Ruanda Paul Kagame, al potere dal 2000 e in corsa nel 2024 per un quarto mandato, dimostrando di avere imparato la lezione. Tra gli altri Paesi da seguire con attenzione c’è anche il Senegal, il cui presidente Macky Sall ha recentemente escluso di candidarsi per una terza volta dopo violenti disordini, ma dove la scena politica è mutevole, e la Repubblica del Congo che ha dovuto smentire le voci di un colpo di Stato a settembre mentre il presidente Denis Sassou Nguesso – in carica da 38 anni – era a New York per l’Assemblea Generale dell’Onu. Presenta caratteristiche simili anche la Guinea Equatoriale governata e sfruttata da 44 anni dalla famiglia Obiang.