Daily Archives: 12 Agosto 2023

L’ultimo saluto a Michela Murgia. Folla in Piazza del Popolo. Video e momenti dei funerali

Un lunghissimo applauso diventato un’ovazione. Il feretro di Michela Murgia, la scrittrice morta il 10 agosto a Roma all’età di 51 anni per un carcinoma renale al quarto stadio, è stato accolto così, nel primo pomeriggio di sabato 12 agosto, all’ingresso della chiesa degli Artisti a Roma. Tanti i lettori che si sono organizzati per arrivare, anche attraverso un gruppo Telegram con 600 iscritti, e che hanno deciso di rendere omaggio alla scrittrice indossando una maglietta bianca. In chiesa, i figli d’anima di Murgia e le grandi amiche e colleghe come Chiara Valerio, Chiara Tagliaferri, Teresa Ciabatti. Presenti anche Roberto Saviano, Paolo Repetto, Elly Schlein, Sandro Veronesi, Lella Costa, Paola Turci e Francesca Pascale, Concita de Gregorio. Un’ammiratrice ha esposto lo striscione God save the queer, la scritta che Michela Murgia aveva sull’abito di nozze.

Don Walter Insero: « Ci ha lasciato questa testimonianza: è possibile amare nel dolore»

Niente fiori in chiesa: solo composizioni vegetali, con mirto, carciofi, peperoncini, limone, secondo le sue volontà. «Per questo» – hanno spiegato dal suo entourage – «è stata rimandata indietro una corona inviata dal Comune». Don Walter Insero, nell’omelia ai funerali nella Chiesa degli Artisti a Roma, ha affermato: «Abbiamo scelto questa pagina dal Vangelo di San Giovanni con Michela. Gesù è simboleggiato con la porta, cioè la soglia, quel luogo di passaggio che permette di attraversare lo spazio e andare oltre». E ancora: «Lei è nell’oltre, la sua anima è in viaggio verso il Padre non verso il nulla. Ha fatto tante battaglie e ha conservato le fede. Ci ha lasciato questa testimonianza: è possibile amare nel dolore, salutare tutti e riconciliarsi con tutti». In apertura della cerimonia don Insero ha anche letto un messaggio per la scrittrice del cardinal Zuppi: «Il libro della sua vita non è finito, le sue pagine continuano a essere scritte con lettere d’amore. Lei lo ha scritto con passione».

Saviano ai funerali: «Le parole più difficili della mia vita»

Un testo emozionante quello dedicato da Roberto Saviano alla scrittrice scomparsa: «Sono le parole più difficili della mia vita. Michela voleva che che questa giornata fosse per tutti. Vedendo quanta gente e quanto amore c’è in questa chiesa non posso darle torto. La scrittura per Michela era una grande fatica. Anche se batteva velocemente i tasti e sembrava che suonasse. La condivisione è il senso di tutto. Quando qualcosa non andava diceva ‘non stare solo, vieni qua. Riconoscere le differenze è il primo atto per non stare soli. Ha protetto tutti fino alla fine. Anche negli ultimi dolorosissimi momenti. Io e Michela ci siamo conosciuti e uniti non per quello che abbiamo fatto, ma per quello che ci hanno fatto. Michela per anni è stata bersaglio e ha nascosto questo enorme dolore dentro di sé. A farle più male non sono stati gli odiatori mediatici ma quanti avevano un piede dentro e uno fuori, chi non prendeva posizione». Saviano è stato tra le persone che hanno portato a spalla il feretro all’uscita dalla chiesa.

Il saluto fuori dalla Chiesa con Bella ciao

L’intervento più applaudito è stato quello di Chiara Valerio, scrittrice e grande amica di Murgia, che l’ha ricordata parlando di lei al futuro. Un misto di lacrime e risate, oltre che lunghi applausi durante e alla fine del suo discorso. Anche Lella Costa è intervenuta con commozione e ironia: «Intelligenza incredibile, concentrata tutta in una sola persona è anche un po’ un’ingiustizia». La folla fuori dalla Chiesa degli Artisti di Roma, oltre un migliaio di persone, in attesa dell’uscita del feretro di Michela Murgia ha intonato Bella ciao.

 

L’eredità di Michela Murgia e la natura degli intellettuali non allineati

Non esistono intellettuali allineati. Quelli sono cantori, porta idee, intelligenze organiche alle dipendenze di un potere interessato a salvarsi dalla superficialità dei suoi ideali. Gli intellettuali non possono essere simpatici, utilizzano l’irriverenza come motore e osano nella terra che i benpensanti chiamano comunicazione. Gli intellettuali non piacciono. Se piacciono non servono, sono muti. La partenza di Michela Murgia, che molti brigano per contenere nel cassetto degli scrittori, è la testimonianza di un’intellettuale a cui bastano le parole, anche se la scelta di impiegare il proprio mestiere per entrare nel dibattito è sconveniente di questi tempi. Letteralmente, non conviene. Il consiglio è sempre lo stesso: smussati, calmati, lascia perdere, non intervenire. Pensa a scrivere libri, dicono, e non si accorgono di ripetere le stesse parole di chi ti combatte.

Il non piacere a tutti come colpa, banalizzazione dei benpensanti

Qualcuno mi diceva che «scegliere di dividere il Paese non è un buon ufficio», riferendosi a Michela. Il non piacere a tutti come colpa, banalizzazione dei benpensanti che hanno l’immobilità come più alta aspirazione. Ancora questa cretina convinzione che non possano esistere persone libere che prendono posizione per senso di giustizia (verso gli altri e verso se stessi), che tutto debba essere un’incessante valutazione dell’impatto sul pubblico, inteso come ammasso di clienti.

L'eredità di Michela Murgia e la natura degli intellettuali non allineati
Michela Murgia (Imagoeconomica).

Il mondo sui temi che contano è diviso e divisivo, da sempre

Michela Murgia è partita ripetendo che la libertà sta nel non sottostare alla voglia di compiacere. Dice di essere stata utile anche a chi la detesta perché con lei ha avuto l’occasione di autodefinirsi. Non c’è logoramento nelle voci che in queste ore usano il lutto come una clava per esprimere il proprio disprezzo. Il mondo sui temi che contano è diviso e divisivo, da sempre. È diviso tra chi ritiene il fascismo una natura mai sopita e chi ritiene che il fascismo sia storia vecchia. È diviso tra chi ritiene gli ultimi i primi da soccorrere e chi li considera materiale umano di risulta. È diviso tra chi ritene i diritti solo se universali e chi progetta uguaglianze che valgono a cerchi. È diviso tra chi considera il dissenso un obbligo civile e chi lo vorrebbe spegnere chiamandolo tradimento.

La formula dell’intellettuale apolitico e sorridente è una truffa

La formula dell’intellettuale apolitico, sorridente, diligentemente settoriale e compiacente è una delle tante truffe di quest’epoca in cui l’imperativo è normalizzare l’indicibile, renderlo potabile, ungere l’incredibile. La partenza di Michela lascia un’eredità – lei stessa ha usato questa parola – di lotta. Colpire lei, anche adesso, ottiene l’effetto di saldare ancora di più le fila di chi si oppone alla cattiveria indecente come strumento di controllo. Scrive Michela Murgia: «Chi è differente, chi non si adegua (o non si integra, che è lo stesso), è quindi considerato a-normale e la conseguenza dell’a-normalità è sempre la discriminazione. Il contrario di quella brutta idea di identità non è infatti la differenza: è la disuguaglianza, la gerarchia di valore tra la soggettività normata e quella fuori norma. Così la norma bianca vede anormalità nella pelle nera, la norma benestante teme l’incontro con la povertà, la norma maschile riduce a eccezione il femminile e il cristiano impara a vedere nemico il musulmano. Invocare la differenza spiazza queste carte ed esige la molteplicità, perché per essere differenti occorre essere almeno in due. Fondarsi sulla differenza significa fondarsi sulla necessità della relazione ed è per questo che la ricchezza della differenza (e il suo rispetto) sono i fondamenti della democrazia, che senza dialettica tra le differenze non avrebbe ragione di essere». Non esistono intellettuali allineati. Il vostro dispiacere è la loro fortuna. E no, Michela Murgia non lascia solo i libri e le parole. Michela Murgia lascia rapporti saldi e lascia un solco.

Situazione traffico: ore di attesa agli imbarchi per la Sicilia

Dopo il maxi incidente avvenuto attorno alle 7 di sabato 12 agosto sulla A1 in direzione Napoli, che ha coinvolto ben sette auto, i disagi non sono mancati nel corso della mattinata. Dalle 9.30 circa, come riportato da Il Corriere, nel tratto compreso tra Frosinone e Ceprano si sono formati 12 chilometri di coda per traffico congestionato. Per alcune ore Autostrade consigliava di uscire a Frosinone e percorrere la SS6 Casilina e rientrare in A1 alla stazione di Pontecorvo. Un altro incidente è avvenuto inoltre a ridosso del casello di San Vittore del Lazio dove si sono tamponate due Audi determinando ulteriori code e rallentamenti subito smaltiti dal personale di Autostrade e polizia Stradale.

Code per gli imbarchi a Villa San Giovanni

Segnalati rallentamenti sulla A2 Autostrada del Mediterraneo e ancora code a Villa San Giovanni dove, per potersi imbarcare per la Sicilia, si registrano tempi di attesa di circa 3 ore. Anas ha comunicato che «in previsione dell’aumento dei flussi veicolari nella mattinata di sabato, presidia la rete con il monitoraggio costante del personale per il pronto intervento in caso di criticità lungo la rete stradale e autostradale di competenza».

 

Parigi, allarme bomba alla Torre Eiffel: evacuata

Secondo quanto dichiarato a Le Parisien dalla polizia, l’evacuazione della Torre Eiffel a Parigi è una «misura precauzionale». Sul posto stanno operando gli artificieri, al lavoro per effettuare i controlli. Le operazioni di evacuazione per l’allarme bomba sono iniziate intorno a mezzogiorno di sabato 12 agosto e hanno riguardato i tre piani del monumento, compreso il ristorante della torre e il piazzale. Già dopo le 13.30, tutti i visitatori erano stati evacuati poco dopo le 13:30. «È una procedura abituale in questo tipo di situazione, che tuttavia è rara» ha dichiatato la Società di valorizzazione del monumento (Sete).

Napoli, l’abbraccio tra Robert De Niro e Paolo Sorrentino

Una breve frase ad accompagnare la foto in bianco e nero: «Visite sul set» scrive Paolo Sorrentino, postando su Instagram lo scatto che lo ritrae mentre abbraccia Robert De Niro. L’attore americano, 80 anni il prossimo 17 agosto, in vacanza nei giorni scorsi tra Napoli e la costiera, ha incontrato Sorrentino che, da fine giugno, è impegnato nelle riprese del nuovo film.

La trama del nuovo film

È ancora senza titolo il nuovo film di Sorrentino. Nella trama ufficiale «la vita di Partenope, che si chiama come la sua città, non è né una sirena, né un mito. Dentro di lei, tutto il lunghissimo repertorio dell’esistenza: la spensieratezza e il suo svenimento, la bellezza classica e il suo cambiamento inesorabile, gli amori inutili e quelli impossibili, i flirt stantii e le vertigini dei colpi di fulmine, i baci nelle notti di Capri, i lampi di felicità e i dolori persistenti, i padri veri e quelli inventati, la fine delle cose, i nuovi inizi. Gli altri, vissuti, osservati, amati, uomini e donne, le loro derive malinconiche, gli occhi un po’ avviliti, le impazienze, la perdita della speranza di poter ridere ancora una volta per un uomo distinto che inciampa e cade in una via del centro. Sempre in compagnia dello scorrere del tempo, questo fidanzato fedelissimo. E di Napoli, che ammalia, incanta, urla, ride e poi sa farti male».

 

Olidata, insediato il nuovo Cda. Cristiano Rufini ad e Andrea Peruzy presidente

Si è riunito giovedì 10 agosto il nuovo Consiglio di amministrazione di Olidata che, come riportato nel comunicato, ha preso subito le redini dei lavori per delineare la strada del nuovo percorso da intraprendere. All’ordine del giorno sono stati discussi temi importanti che hanno portato a dare una solidità ancora maggiore alla società stessa. È stato deliberato all’unanimità di nominare amministratore delegato – per il triennio 2023/2025 – Cristiano Rufini, che ha riportato Olidata alla quotazione nel mercato di Borsa italiana ed attualmente presidente della società Sferanet. Nominato anche il nuovo presidente, nella persona di Andrea Peruzy, che avrà il compito di rappresentare la società in ottica di sviluppo business e posizionamento strategico.

I nomi degli altri membri 

Peruzy e Rufini, rispettivamente nuovo presidente e ad, saranno supportati nell’affrontare le nuove sfide da altri tre membri consiglieri: Antonella Madeo, giornalista, che ricopre attualmente la carica di consulente relazioni istituzionali di Rfi; Valentina Milani, che da circa vent’anni svolge incarichi di alta expertise tecnica, e Carlo De Simone, attualmente docente presso la Luiss Business School, che ricopre l’incarico di Group ceo di European brokers assicurazioni. Come previsto dall’ordine del giorno è stato deliberato il compenso di ciascun membro del Cda. Il Consiglio ha inoltre provveduto alla ricostituzione dei comitati interni e alla nomina dei componenti dell’Organo di vigilanza con incarico della durata di tre anni.

Vedova vittima del Ponte Morandi, dopo cinque anni senza giustizia e memoriale

«Cinque anni sono un tempo molto lungo» ma «è tutto ancora fermo». È l’amaro sfogo di Giovanna Donato, ex moglie di Andrea Cerulli, portuale di 47 anni anni, una delle 43 vittime del crollo del ponte Morandi, collassato il 14 agosto 2018. In una lettera aperta la donna ricorda i cinque anni passati vicino al figlio Cesare che a 9 anni perse il papà. «Cinque anni è un tempo lunghissimo. Il processo è ancora in corso, iniziato da appena un anno, le due società responsabili hanno avuto il tempo di patteggiare e di uscire dal processo, e non è stata fatta ancora giustizia, in questo tempo sono cambiati tanti governi, tante parole, tante promesse ma nessuno si è preso la responsabilità di quanto accaduto».

Giovanna Donato, vedova di Andrea Cerulli, una delle 43 vittime del crollo del ponte Morandi, ha scritto una lettera aperta.
Ponte Morandi dopo il crollo (Twitter).

Lo sfogo: «Quartiere straziato dalla tragedia»

Prosegue Giovanna Donato: «In cinque anni si è riusciti a non togliere la revoca alla concessionaria colpevole ma a liquidarla profumatamente, non c’è ancora un memoriale né rinascita di un quartiere prima abbandonato e dopo straziato dalla tragedia; l’informazione pubblica ha dimenticato la vergogna di questa tragedia nazionale rendendola invisibile agli occhi di tutti gli italiani. La città di Genova ha avuti grossi finanziamenti per la tragedia investiti in opere discutibili. Un disegno di legge richiesto per la tutela di tutti i cittadini è ancora fermo quando ogni giorno vengono fatte leggi a discapito dei cittadini».

Giovanna Donato, vedova di Andrea Cerulli, una delle 43 vittime del crollo del ponte Morandi, ha scritto una lettera aperta.
Cantiere nuovo ponte di Genova (Imagoeconomica).

«Cesare vive in me, in tutti noi, ogni giorno»

«Cinque anni» – conclude la donna – «sono davvero un tempo lunghissimo soprattutto per una mamma che da sola deve crescere il proprio figlio. Ma nonostante siano passati, il ricordo di quel 14 agosto, la corsa alle notizie, il telefono spento di Andrea, le preghiere, quella telefonata, le lacrime soffocate, quel viaggio in aereo verso la drammatica verità, l’urlo di Cesare… quel ricordo annulla i cinque lunghi anni trascorsi perché vive in me, in tutti noi, ogni giorno!».

Due detenute morte in un giorno a Torino. Nordio in visita al carcere delle Vallette

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, nella giornata di sabato 12 agosto, si recherà nel carcere delle Vallette all’indomani della tragica morte di due detenute. Una donna si è suicidata mentre un’altra reclusa si è lasciata morire lentamente rifiutando acqua, cibo, cure e chiedendo insistentemente del figlio. Un’estate maledetta negli istituti di pena italiani, sovraffollati, che ha contato 15 suicidi, a cui si aggiunge quello di ieri venerdì 11 agosto, ha ricordato Antigone. Intanto i sindacati si appellano a Nordio per chiedere un cambio di passo nella gestione delle carceri.

Chi erano le due donne morte in carcere

Susan John, nigeriana di 43 anni, era alle Vallette dal 21 luglio dopo un lungo periodo agli arresti domiciliari: doveva scontare una condanna (fine pena 2030) inflitta da una corte di Catania per reati di tratta e immigrazione clandestina. Ha rifiutato per 18 giorni il cibo, l’acqua, le medicine, tutto, ma non stava sostenendo uno sciopero della fame, come portò avanti Alfredo Cospito, si è lasciata andare giorno dopo giorno, forse per disperazione.

Continuava soltanto a ripetere che voleva vedere il figlioletto di quattro anni rimasto col padre perché Susan era sposata. Era ristretta in un’area della sezione femminile riservata alle recluse con disagi psichici e problemi di comportamento. Verso le tre della scorsa notte il suo cuore ha smesso di battere. Aveva invece 28 anni Azzurra, la detenuta che si è uccisa sempre alle Vallette. Era stata portata all’istituto di pena di Torino da Genova Pontedecimo. Il suo è il 43esimo suicidio del 2023 nelle carceri italiane, 16esimo solo tra giugno e agosto. Inutile l’intervento della polizia penitenziaria e del personale medico.

Garante diritti dei detenuti: «Il caso non è mai stato segnalato»

Mentre l’avvocato di Susan John, il legale Wilmer Perga, si dice «arrabbiato e perplesso» e spiega come «La prima impressione  è che il problema sia stato sottovalutato», per la garante dei diritti dei detenuti a Torino, Monica Chiara Gallo, il caso non è mai stato segnalato: «Avremmo attivato le nostre procedure per tentare qualcosa». Il caso indigna la politica: i radicali, per bocca del presidente Igor Boni, parlano di «punta dell’iceberg di un sistema putrefatto», mentre Riccardo Magi, segretario di Più Europa, parla di «vicenda allucinante» e annuncia un’interrogazione al ministro Nordio.

Cucchi: «Una tragedia che non può essere tollerata»

«Questa» – ha dichiarato la senatrice Ilaria Cucchi – «è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico». Per Antigone, sovraffollamento e, in estate il caldo, rendono ancora più drammatica la situazione dei detenuti «non è un caso che, durante i mesi estivi, proprio il numero dei suicidi cresca». L’associazione ricorda come nelle carceri italiane siano detenute 10mila persone in più dei posti disponibili con un tasso di sovraffollamento del 121 per cento. Preoccupati anche i sindacati: il Sappe afferma che i due decessi in poche ore nel carcere di Torino «impongono al ministro della Giustizia Carlo Nordio un netto cambio di passo sulle politiche penitenziarie del Paese».

Incendi alle Hawaii, continua a salire il numero delle vittime. Aperta un’inchiesta

È salito ad almeno 80 il numero di vittime dei devastanti incendi che hanno colpito Maui, una delle isole delle Hawaii, nei giorni scorsi. A riferirlo sono le autorità. Il governatore dell’arcipelago Josh Green ha ribadito che «senza dubbio ci saranno altre vittime», mentre la procura delle Hawaii ha annunciato l’apertura di un’inchiesta sul modo in cui le autorità hanno gestito i devastanti incendi. Il procuratore generale, Anne Lopez, condurrà «una analisi completa» delle decisioni prese dai funzionari in risposta agli incendi, come riporta la Cnn.

Le autorità: «Sconsigliati i viaggi non essenziali sull’isola»

Sono circa 15.000 i turisti che hanno già lasciato Maui grazie ai voli aggiuntivi forniti dalle compagnie aeree. Intanto le autorità sconsigliano «i viaggi non essenziali sull’isola». Nell’Arcipelago delle Hawaii si trovano attualmente anche 60 italiani che la Farnesina ha rintracciato. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha fatto sapere, esprimendo vicinanza a Washington: «Le autorità statunitensi ci hanno confermato che tra le vittime non ci sono connazionali». Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che nella giornata di giovedì ha dichiarato lo stato di emergenza per sbloccare i fondi federali destinati agli enti locali e ai cittadini colpiti, ha avuto un colloquio telefonico con il governatore delle Hawaii Josh Green che gli ha comunicato un primo resoconto dei danni.

Georgia, i 15 anni dalla guerra dei cinque giorni e gli strascichi in Ucraina

Il report della commissione Tagliavini, pubblicato nel 2009 dalla Commissione europea, è uno dei documenti meno pubblicizzati nella storia delle relazioni dell’Occidente con la Russia. Per il fatto che ha messo nero su bianco che a iniziare la guerra del 2008 tra Russia e Georgia è stata proprio quest’ultima, sparando il nemmeno tanto simbolico primo colpo e attaccando direttamente il capoluogo dell’Ossezia del sud, Tskhinvali. L’indagine, commissionata da Bruxelles per indagare l’origine del conflitto, aveva indicato comunque che le provocazioni da entrambi i lati duravano da mesi e la reazione russa con l’invasione di mezzo Paese era stata in ogni caso sproporzionata. Il punto è che allora il capo di Stato georgiano Mikheil Saakashvili aveva sostenuto che il Paese fosse stato attaccato di punto in bianco e questa versione continua a correre nel mainstream anti-russo, 15 anni dopo la guerra dei cinque giorni nel Caucaso, adesso come allora.

Animi riscaldati col passaggio dal moderato Shevardnadze a Saakashvili

Dal 7 al 12 agosto 2008 si combatté dunque un conflitto annunciato, almeno da quando Saakashvili, salito al potere nel 2003 con la Rivoluzione delle rose, il primo regime change colorato nello spazio post sovietico, aveva dichiarato come priorità il ritorno dei territori indipendentisti dell’Ossezia del sud e dell’Abcasia sotto il controllo di Tbilisi. Nelle due regioni già dall’inizio degli Anni 90, con la fine dell’Urss, erano scoppiati scontri contro il potere centrale che avevano portato de facto al distacco dalla Georgia; congelati per oltre un decennio si erano riscaldati con il passaggio alla presidenza dal moderato Edvard Shevardnadze a Saakashvili, sostenuto apertamente dagli Stati Uniti che avevano visto nella nella repubblica caucasica il primo tassello del domino con cui indebolire l’influenza di Mosca nei Paesi ex sovietici.

Georgia, i 15 anni dalla guerra dei cinque giorni e gli strascichi in Ucraina
L’ex presidente della Georgia Mikheil Saakashvili in una foto del 2011 (Getty).

Il ruolo non marginale che ebbero Stati Uniti, Ue e Francia

Non si possono leggere le guerre degli Anni 2000 nelle vecchie repubbliche dell’Urss senza inserirle nel contesto geopolitico internazionale e dei rapporti tra Russia e Occidente nel mondo multipolare. Se da un lato ci sono ovviamente il percorso interno dei rispettivi Paesi e le relazioni bilaterali con Mosca, dall’altro c’è il ruolo non certo marginale assunto da Stati Uniti, Unione europea o particolari Stati di questa, nel caso della Georgia la Francia, nell’approcciarsi con i nuovi Paesi scaturiti alla fine della Guerra fredda. Le inevitabili frizioni interne ed esterne sono inoltre cresciute sulle problematiche dell’era sovietica ampliandone gli effetti.

Georgia, i 15 anni dalla guerra dei cinque giorni e gli strascichi in Ucraina
Ricordi della guerra dei cinque giorni in Georgia (Getty).

Il conflitto nel Caucaso solo l’ultimo di una serie di eventi destabilizzanti

La guerra del 2008 nel Caucaso non è un episodio isolato e a sé stante, viene non solo dopo la Rivoluzione delle rose a Tbilisi, ma dopo quella Arancione in Ucraina nel 2004 e quella dei Tulipani in Kirghizistan nel 2005; viene dopo la guerra aperta in Afghanistan nel 2001, conclusasi nel disastro con il ritorno dei talebani vent’anni dopo, e soprattutto dopo quella in Iraq nel 2003, cominciata con le prove false contro Saddam Hussein presentate dagli Usa all’Onu, che ha scoperchiato un vaso di Pandora ancora fuori controllo; viene dopo anche l’indipendenza del Kosovo, dichiarata unilateralmente nel febbraio del 2008, non riconosciuta nemmeno oggi da alcuni Paesi dell’Ue.

Georgia, i 15 anni dalla guerra dei cinque giorni e gli strascichi in Ucraina
La guerra dei cinque giorni in Georgia durò dal 7 al 12 agosto 2008 (Getty).

Il percorso di tensioni continue che ha portato anche alla guerra in Ucraina

E tutto questo è stato anche il cammino verso il conflitto ucraino, apertosi ufficialmente nell’aprile del 2014, quando Kyiv – allora il presidente era ad interim Alexander Turchynov e il governo era guidato da Arseniy Yatsenyuk, decise di riprendere il controllo dei territori ribelli di Lugansk e Donetsk, iniziando contro i separatisti filorussi sostenuti da Mosca la cosiddetta Ato, l’operazione antiterrorismo. Qualche mese prima il presidente Viktor Yanukovich era stato costretto alla fuga dopo il bagno di sangue di Maidan e in Ucraina si erano insediati appunto i nuovi reggenti, sostenuti da Bruxelles e Washington: un sostanziale cambio di regime al quale Mosca aveva risposto con l’annessione della Crimea.

Le truppe russe si fermarono a Gori, città di Stalin, sfiorando Tbilisi

C’è poco da stupirsi quindi se in 15 anni si è passati dal conflitto georgiano a quello aperto in Ucraina, dove da una parte c’è la Russia e dall’altra la Nato, senza l’aiuto la quale Kyiv sarebbe sotto il controllo di Mosca. Nel 2008 le truppe russe arrivarono a Gori, città di Stalin, e si fermarono lì dopo aver sfiorato le periferie di Tbilisi. Della linea rossa tracciata dal Cremlino l’Occidente non se ne è preoccupato e ha continuato sulla stessa linea, da una parte denunciando l’autoritarismo crescente e l’aggressività di Mosca, dall’altro andando a stuzzicarla ove più sensibile, in Ucraina, sino al disastro.

Cosa svela lo strano silenzio dei banchieri sugli extraprofitti

Sulla discussa manovra del governo Meloni sugli extraprofitti bancari si sono pronunciati praticamente tutti: politici, economisti, opinionisti. Ma è sin qui mancata, almeno ufficialmente, la voce più importante, quella dei banchieri. Ossia i grandi amministratori delegati ed esponenti di peso degli istituti che saranno oggetto del prelievo della “tassa Robin Hood” (come l’ha ironicamente definita Alberto Forchielli), che secondo le stime degli analisti potrà valere tra i 2 e i 2,5 miliardi di euro complessivi.

Cosa svela lo strano silenzio dei banchieri sugli extraprofitti
Carlo Messina, ad di Intesa Sanpaolo (Imagoeconomica).

Messina e Orcel si erano espressi quando l’ipotesi era allo studio

Carlo Messina e Andrea Orcel, rispettivamente ceo di Intesa Sanpaolo e Unicredit, nei mesi scorsi avevano parlato della tassa quando ancora era solo un’ipotesi allo studio, anche se il ministero dell’Economia assicurava che sarebbe rimasta tale. Bocciata dal numero uno di Piazza Gae Aulenti, l’idea non era stata invece respinta da Messina, a patto che i suoi proventi andassero in politiche redistributive. E se da un lato questa diversità di posizioni rifletteva attitudini diverse da parte dei due colossi del credito – Unicredit in pieno rilancio e con il titolo in gran spolvero, Intesa più governista nella sua tradizionale vocazione a essere banca di sistema -, dall’altro è la testimonianza che le grandi banche danno al governo Meloni il beneficio del dubbio.

Cosa svela lo strano silenzio dei banchieri sugli extraprofitti
Andrea Orcel, ceo di Unicredit (Imagoeconomica).

I top manager hanno scelto il silenzio per non agitare i mercati

A oggi, gli istituti di credito sembrano tranquillizzati dei paletti messi dal Mef al prelievo, che dopo le prime dichiarazioni in conferenza stampa di Matteo Salvini lunedì 7 agosto che evocavano la mano pesante hanno definito cosa sia un “extraprofitto” e limitato il prelievo agli utili conseguiti entro il 31 dicembre 2023. E visto che i mercati sono tutto fuorché pienamente razionali e pesano ogni parola, i top manager hanno saggiamente ritenuto opportuno seguire il motto che fu di Guido Carli: «Il silenzio vale molto più di regole declinate all’infinito».

Ingoiare la pillola ed evitare la percezione di un conflitto

Del resto, di fronte a un clima sociale surriscaldato da carovita e difficoltà economiche ereditate da pandemia e guerra in Ucraina, sfide per le banche che vanno dai finanziamenti al Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) alla gestione dei crediti incagliati per i bonus edilizi, partite globali legate ai rialzi dei tassi d’interesse e dell’inflazione e un sostanziale consolidamento nel sistema creditizio nazionale, aprire un fronte conflittuale col governo non conviene. Si è preferito ingoiare la pillola, indorata dalle limitazioni rassicuranti del Tesoro, piuttosto che dare corda a ciò che la grande stampa finanziaria internazionale, a partire dal Financial Times, stava già segnalando: la percezione di una guerra tra il governo conservatore di Giorgia Meloni e i mercati finanziari.

Cosa svela lo strano silenzio dei banchieri sugli extraprofitti
Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica).

Un quarto del debito pubblico italiano è in pancia alle banche

In una fase in cui utili e stress-test europei premiano la finanza italiana e i suoi risultati, sia a livello di banche di raccolta sia di banche d’affari, mettere a repentaglio la stabilità del sistema-Paese mettendosi di traverso avrebbe aperto alla prospettiva di un indebolimento sui mercati e, dunque, di turbolenze su quei 639 miliardi di euro di Btp che, secondo i dati più recenti, le banche italiane tengono in pancia. Pari a oltre un quarto (il 26 per cento) di quel debito pubblico italiano in un Paese che tra Pnrr e investimenti strategici ha bisogno di un virtuoso sistema del credito per vincere le sfide che lo attendono.

Linea soft dopo le sparate salviniane sui “banchieri nemici del popolo”

I chiarimenti di Meloni e Giancarlo Giorgetti sulla tassa nei giorni successivi alla sua introduzione hanno, al contempo, dato ai banchieri una sponda su un tema che, in conferenza stampa, lunedì sera Salvini sembrava aver dimenticato: la premier e il titolare del Mef hanno, con dichiarazioni e chiarimenti formali, collegato alla grande situazione internazionale data dall’aumento dei tassi della Banca centrale europea e alla crescita del costo del denaro la nuova imposta una tantum. Diversamente, il leader del Carroccio era sembrato additare i banchieri come nemici del popolo, suscitando reazioni critiche negli osservatori finanziari.

Cosa svela lo strano silenzio dei banchieri sugli extraprofitti
Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Il governo multiforme, ora liberale ora statalista, non passerà in fretta

Ciò non toglie che la vicenda extraprofitti sia la prova di un rapporto tra i nuovi inquilini di Palazzo Chigi e la comunità finanziaria che abbisogna di molto rodaggio. Se da un lato Meloni non ha ancora appieno preso contezza della complessità dei meccanismi del potere economico-finanziario nel Paese e della loro articolata profondità di rapporti umani e professionali, come si è visto in occasione delle nomine e del dietrofront dopo un’iniziale tendenza a presentarsi come pigliatutto, dall’altro nel mondo economico e imprenditoriale c’è la consapevolezza che l’attuale stagione politica sia tutt’altro che passeggera. E che dunque andrà capita la traiettoria di un governo multiforme, ora liberale ora statalista, ora moderato ora radicale, guidato da una premier sovranista a casa e draghiana all’estero, e quali tendenze prevarranno nella sua agenda politica, economica, istituzionale.

Salario minimo, Meloni: «60 giorni di tempo, coinvolgere le parti sociali». Schlein: «Nessuna idea chiara»

Sessanta giorni, di qui alla manovra, per trovare «soluzioni efficaci», e «insieme». Giorgia Meloni prende tempo sul salario minimo, che per lei non risolve affatto il problema dei bassi salari e del lavoro povero. E davanti alle opposizioni, che si presentano per la prima volta unite a Palazzo Chigi per affrontare il nodo del salario minimo, rilancia proponendo di dare al Cnel la regia di un lavoro approfondito per arrivare a una proposta di legge «che affronti una materia così ampia nelle sue complessità». Un tentativo di «fare melina», come riporta l’Ansa, un «diversivo» per la minoranza che, poco convinta che si arriverà a un risultato, non si sottrarrà «al confronto» ma allo stesso tempo continuerà anche con la raccolta firme la battaglia per il salario minimo.

Meloni: «C’è il tempo per coinvolgere le parti sociali»

La premier per la prima volta scende in piazza Colonna per una dichiarazione. E davanti alle telecamere conferma che le «divergenze ci sono», ma c’è tutto il tempo per «coinvolgere anche le parti sociali» e fare un lavoro «insieme», parola che usa di più anche nelle due ore attorno al tavolo in Sala Verde. Pd, M5s, Azione, Verdi, Sinistra e +Europa si presentano puntuali alle 17. Giorgia Meloni parla a lungo per ribadire le sue obiezioni allo strumento del salario minimo che può diventare addirittura «controproducente». Da una parte il governo, con la premier al centro, dall’altra Elly Schlein e Giuseppe Conte ai due lati di uno spazio lasciato per far partecipare – dallo schermo da cui è videocollegato – anche Matteo Salvini, che parla poco durante il confronto, anche se la Lega poi sarà la più tranchant nei confronti di opposizioni che restano «sulle loro posizioni ideologiche». Una certa «rigidità» la nota anche Antonio Tajani, assicurando comunque che l’obiettivo è quello di «salari più ricchi».

Schlein: «Il governo non ha le idee chiare»

I leader delle minoranze prendono la parola in ordine alfabetico. Per le opposizioni, «il governo non ha le idee chiare», dice Elly Schlein. Della stessa opinione Giuseppe Conte: il governo, dice il leader M5S, «butta la palla in tribuna» perché, incalza anche Nicola Fratoianni, in realtà «Non hanno una proposta alternativa». Più ottimista Carlo Calenda che un dato positivo lo vede: «Nessuno ha sbattuto la porta». Ma, lamentano un po’ tutti, ci sono stati quattro mesi di discussione in commissione, compresa l’audizione del Cnel. C’era tutto il tempo per studiare una controproposta, che non è arrivata. E ora si ritorna al Cnel. «Dovevamo chiuderlo, andrà a finire che chiuderemo il Parlamento» la battuta, amara, di Benedetto della Vedova.

 

 

 

Alessandra – Un grande amore e niente più stasera su Rai Movie: trama, cast e curiosità

Stasera 12 agosto 2023 andrà in onda il film Alessandra – Un grande amore e niente più sul canale Rai Movie alle ore 21.10. Il regista di quest’opera drammatica è Pasquale Falcone che si è occupato anche di scrivere la sceneggiatura. Nel cast ci sono Sara Zanier, Sergio Muniz, Eleonora Facchini e Giacomo Rizzo.

Alessandra - Un grande amore e niente più è il film che andrà in onda stasera su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità.
La locandina del film (Twitter).

Alessandra – Un grande amore e niente più, trama e cast del film in onda stasera 12 agosto 2023 su Rai Movie

La trama racconta la storia di Francesca (Sara Zanier) e Roberto (Sergio Muniz), una coppia che si è conosciuta a 15 anni. Inizialmente hanno vissuto il loro amore in modo spensierato e passionale, come ogni storia adolescenziale, fino a quando Francesca ha scoperto di essere incinta. La ragazza decide di comunicare la notizia al suo fidanzato, ma la reazione di quest’ultimo non è delle migliori: Roberto, infatti, si sente troppo giovane per diventare padre ed è spaventato dall’idea di crescere un bambino. Il ragazzo non sa cosa fare e, tormentato dalla paura, decide di scappare da Francesca e di fuggire dalle sue responsabilità.

Francesca rimane così da sola ma decide lo stesso di diventare mamma e dopo nove mesi nasce Alessandra (Eleonora Facchini). Passano diversi anni, Alessandra ormai è cresciuta ed è una donna, non più una bambina. Ha 25 anni e si innamora perdutamente di Valerio (Antonio Apadula), un ragazzo affascinante e che tiene a lei. Quello che Alessandra non sa è che Valerio in realtà è suo fratello, figlio di suo padre Roberto. Quando Roberto tornerà nella vita di Alessandra le cose per la ragazza cambieranno totalmente e dovrà confrontarsi con il suo passato.

Alessandra – Un grande amore e niente più, 4 curiosità sul film

Alessandra – Un grande amore e niente più, gli incassi della pellicola

La pellicola ha incassato all’esordio circa 875,00 euro. Potrebbe sembrare un incasso basso, ma considerando che il film è uscito nel 2020, dunque in periodo di pandemia di Covid-19, è un traguardo decisamente importante.

Alessandra – Un grande amore e niente più, il commento del regista

Il regista campano Pasquale Falcone ha commentato con entusiasmo il risultato al botteghino raggiunto dal suo film. Al giornale online Napoli Today ha dichiarato: «Produrre un film, distribuirlo in maniera indipendente in pochissime sale in piena emergenza e realizzare all’esordio un incasso di 875,00 euro contro una media nazionale di 69,00 euro è già una vittoria. Devo ringraziare la mia città che ha partecipato in numero considerevole alla prima del film. Abbiamo già vinto!».

Alessandra – Un grande amore e niente più, le parole di un’attrice all’esordio

Per l’attrice Eleonora Facchini questo è stato il suo esordio cinematografico. Al quotidiano Napoli Today ha dichiarato di essere entusiasta di questo suo ruolo: «Non immaginavo che mi sarebbe piaciuto così tanto stare davanti alla cinepresa. Mi sono totalmente innamorata di questo altro aspetto del mio lavoro. Vorrei continuare in questa direzione provando anche a fare altro nel cinema».

Alessandra - Un grande amore e niente più è il film che andrà in onda stasera su Rai Movie, ecco trama, cast e curiosità.
Una scena tratta dal film (Twitter).

Alessandra – Un grande amore e niente più, l’ispirazione per il film 

Il regista Pasquale Falcone ha dichiarato di essersi ispirato a diversi film per realizzare questa sua opera. Nel dettaglio, si è ispirato a pellicole come Mamma Mia!, Billy Elliot e West Side Story.

Troppo forte stasera su Rete 4: trama, cast e curiosità

Stasera 12 agosto 2023 andrà in onda il film Troppo Forte alle ore 21.25 su Rete 4. Il regista della commedia è Carlo Verdone che si è occupato di scrivere anche la sceneggiatura collaborando con Alberto Sordi, Sergio Leone e Rodolfo Sonego. Nel cast, oltre allo stesso Verdone, ci sono Alberto Sordi, Stella Hall, Sal Da Vinci, Mario Brega e John Steiner.

Troppo forte è il film che andrà in onda questa sera su Rete 4, ecco trama, cast e curiosità su questa pellicola.
Carlo Verdone in una scena del film (Twitter).

Troppo forte, trama e cast del film in onda stasera 12 agosto 2023 su Rete 4

La trama racconta la storia di Oscar Pettinari (Carlo Verdone), un ragazzo che ha il sogno di entrare nel mondo del cinema e si comporta come un bullo. Oscar si reca ogni giorno a Cinecittà per cercare fortuna, ma viene scritturato solo come stuntman per film di serie b. Un giorno, dopo essere stato rifiutato da una produzione americana, incontra per caso l’avvocato Giangiacomo Pigna Corelli (Alberto Sordi). Quest’ultimo suggerisce al giovane di vendicarsi del produttore e di truffarlo, così da ricevere in cambio una grossa somma di denaro. I due decidono di simulare un incidente in moto nel quale Oscar si farà male e deciderà di denunciare il produttore.

Tuttavia, il giorno dell’incidente programmato, alla guida della Rolls-Royce del produttore c’è Nancy (Stella Hall), attrice impegnata nella produzione del lungometraggio. A causa dell’incidente, Nancy riporta una brutta ferita al volto e per questa ragione perde la sua parte. La ragazza si ritrova quindi da sola e senza soldi e si rivolge a Oscar, ragazzo che in fondo ha un cuore d’oro. Quest’ultimo dovrà però fare i conti con l’avvocato Corelli che gli propone idee sempre più strane e lo farà ritrovare in un mare di guai.

Troppo forte, 5 curiosità sul film 

Troppo forte, la sceneggiatura scritta da Verdone con i sue due maestri

Carlo Verdone ha scritto la sceneggiatura accompagnato dai suoi due maestri. Il primo è Alberto Sordi, con il quale aveva recitato insieme in In viaggio con papà e aveva stretto un buon rapporto. L’altro è Sergio Leone, maestro del cinema italiano e regista di capolavori come Per un pugno di dollari.

Troppo forte, la colonna sonora realizzata da un grande cantante romano

La colonna sonora del film è stata realizzata da Antonello Venditti. Il grande cantautore romano ha realizzato le musiche che si possono ascoltare nelle diverse scene del lungometraggio.

Troppo forte, la scelta iniziale di Carlo Verdone su un personaggio

Inizialmente Carlo Verdone voleva assegnare la parte del legale in preda a una crisi d’identità a Leopoldo Trieste. Tuttavia, a causa di problemi con la produzione, Trieste non ottenne la parte. Si pensò allora ad Alberto Sordi che voleva fortemente collaborare al progetto. In realtà, Sordi adattò il personaggio che gli venne assegnato secondo le sue idee e lo trasformò rispetto a quello pensato originariamente da Verdone. Il regista non apprezzò molto questa scelta ma il risultato finale fu comunque ottimo.

Troppo forte è il film che andrà in onda questa sera su Rete 4, ecco trama, cast e curiosità su questa pellicola.
Carlo Verdone e Alberto Sordi sul set (Twitter).

Troppo forte, tante candidature ma nessun premio

Troppo forte è un film che ha ricevuto tante candidature per i maggiori premi italiani. Ai Ciak d’oro del 1986 ottenne ben cinque nomination ma non ottenne nessuna vittoria. Nel 1986 Verdone venne candidato anche a un Nastro d’Argento per il Miglior attore protagonista ma perse contro Marcello Mastroianni e la sua interpretazione in Ginger e Fred.

Troppo forte, gli incassi al botteghino

Il film di Verdone ebbe un buon risultato al botteghino. Secondo i dati del sito Hitparadeitalia.it, la pellicola diventò il 13esimo miglior incasso durante la stagione cinematografica italiana 1985-1986.

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