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Georgia, i 15 anni dalla guerra dei cinque giorni e gli strascichi in Ucraina
Il report della commissione Tagliavini, pubblicato nel 2009 dalla Commissione europea, è uno dei documenti meno pubblicizzati nella storia delle relazioni dell’Occidente con la Russia. Per il fatto che ha messo nero su bianco che a iniziare la guerra del 2008 tra Russia e Georgia è stata proprio quest’ultima, sparando il nemmeno tanto simbolico primo colpo e attaccando direttamente il capoluogo dell’Ossezia del sud, Tskhinvali. L’indagine, commissionata da Bruxelles per indagare l’origine del conflitto, aveva indicato comunque che le provocazioni da entrambi i lati duravano da mesi e la reazione russa con l’invasione di mezzo Paese era stata in ogni caso sproporzionata. Il punto è che allora il capo di Stato georgiano Mikheil Saakashvili aveva sostenuto che il Paese fosse stato attaccato di punto in bianco e questa versione continua a correre nel mainstream anti-russo, 15 anni dopo la guerra dei cinque giorni nel Caucaso, adesso come allora.
Animi riscaldati col passaggio dal moderato Shevardnadze a Saakashvili
Dal 7 al 12 agosto 2008 si combatté dunque un conflitto annunciato, almeno da quando Saakashvili, salito al potere nel 2003 con la Rivoluzione delle rose, il primo regime change colorato nello spazio post sovietico, aveva dichiarato come priorità il ritorno dei territori indipendentisti dell’Ossezia del sud e dell’Abcasia sotto il controllo di Tbilisi. Nelle due regioni già dall’inizio degli Anni 90, con la fine dell’Urss, erano scoppiati scontri contro il potere centrale che avevano portato de facto al distacco dalla Georgia; congelati per oltre un decennio si erano riscaldati con il passaggio alla presidenza dal moderato Edvard Shevardnadze a Saakashvili, sostenuto apertamente dagli Stati Uniti che avevano visto nella nella repubblica caucasica il primo tassello del domino con cui indebolire l’influenza di Mosca nei Paesi ex sovietici.
Il ruolo non marginale che ebbero Stati Uniti, Ue e Francia
Non si possono leggere le guerre degli Anni 2000 nelle vecchie repubbliche dell’Urss senza inserirle nel contesto geopolitico internazionale e dei rapporti tra Russia e Occidente nel mondo multipolare. Se da un lato ci sono ovviamente il percorso interno dei rispettivi Paesi e le relazioni bilaterali con Mosca, dall’altro c’è il ruolo non certo marginale assunto da Stati Uniti, Unione europea o particolari Stati di questa, nel caso della Georgia la Francia, nell’approcciarsi con i nuovi Paesi scaturiti alla fine della Guerra fredda. Le inevitabili frizioni interne ed esterne sono inoltre cresciute sulle problematiche dell’era sovietica ampliandone gli effetti.
Il conflitto nel Caucaso solo l’ultimo di una serie di eventi destabilizzanti
La guerra del 2008 nel Caucaso non è un episodio isolato e a sé stante, viene non solo dopo la Rivoluzione delle rose a Tbilisi, ma dopo quella Arancione in Ucraina nel 2004 e quella dei Tulipani in Kirghizistan nel 2005; viene dopo la guerra aperta in Afghanistan nel 2001, conclusasi nel disastro con il ritorno dei talebani vent’anni dopo, e soprattutto dopo quella in Iraq nel 2003, cominciata con le prove false contro Saddam Hussein presentate dagli Usa all’Onu, che ha scoperchiato un vaso di Pandora ancora fuori controllo; viene dopo anche l’indipendenza del Kosovo, dichiarata unilateralmente nel febbraio del 2008, non riconosciuta nemmeno oggi da alcuni Paesi dell’Ue.
Il percorso di tensioni continue che ha portato anche alla guerra in Ucraina
E tutto questo è stato anche il cammino verso il conflitto ucraino, apertosi ufficialmente nell’aprile del 2014, quando Kyiv – allora il presidente era ad interim Alexander Turchynov e il governo era guidato da Arseniy Yatsenyuk, decise di riprendere il controllo dei territori ribelli di Lugansk e Donetsk, iniziando contro i separatisti filorussi sostenuti da Mosca la cosiddetta Ato, l’operazione antiterrorismo. Qualche mese prima il presidente Viktor Yanukovich era stato costretto alla fuga dopo il bagno di sangue di Maidan e in Ucraina si erano insediati appunto i nuovi reggenti, sostenuti da Bruxelles e Washington: un sostanziale cambio di regime al quale Mosca aveva risposto con l’annessione della Crimea.
Le truppe russe si fermarono a Gori, città di Stalin, sfiorando Tbilisi
C’è poco da stupirsi quindi se in 15 anni si è passati dal conflitto georgiano a quello aperto in Ucraina, dove da una parte c’è la Russia e dall’altra la Nato, senza l’aiuto la quale Kyiv sarebbe sotto il controllo di Mosca. Nel 2008 le truppe russe arrivarono a Gori, città di Stalin, e si fermarono lì dopo aver sfiorato le periferie di Tbilisi. Della linea rossa tracciata dal Cremlino l’Occidente non se ne è preoccupato e ha continuato sulla stessa linea, da una parte denunciando l’autoritarismo crescente e l’aggressività di Mosca, dall’altro andando a stuzzicarla ove più sensibile, in Ucraina, sino al disastro.