Tutti i dubbi sul controverso mercato dei crediti di carbonio in Africa

L’Africa è il continente che ha meno responsabilità per il cambiamento climatico. Produce solo il 4 per cento delle emissioni inquinanti mondiali, mentre sottrae dall’atmosfera grandi quantità di carbonio, responsabile del global warming, attraverso le sue foreste pluviali e altri habitat naturali. Ora i Paesi africani vorrebbero monetizzare questa ricchezza ambientale tramite il mercato volontario dei crediti di carbonio, tra molte opportunità e parecchi dubbi.

Un credito di carbonio corrisponde all’abbattimento di una tonnellata di CO2 equivalente

Questo mercato consente alle aziende e ai privati di compensare volontariamente la propria impronta di carbonio, quando questi non sono in grado di ridurre tutte le emissioni che producono. Una volta stimato il proprio impatto in termini di CO2, le società possono comprare la stessa quantità in crediti di carbonio. Un credito di carbonio corrisponde infatti all’abbattimento di una tonnellata di CO2 equivalente. I crediti sono generati da imprese che riducono le emissioni tramite progetti sostenibili che comprendono impianti rinnovabili, di potabilizzazione dell’acqua o tramite l’agricoltura sostenibile; altre lo fanno per mezzo di programmi di riforestazione, afforestazione e conservazione in aree a rischio, che significano più CO2 sottratta all’atmosfera. Questi programmi sono conosciuti come Redd+ (Reducing emissions from deforestation and forest degradation) e sono al centro delle speranze africane, come delle mire di altri Paesi.

Tutti i dubbi sul controverso mercato dei crediti di carbonio in Africa
Aziende e privati possono inquinare finanziando progetti sostenibili in Africa (Getty).

Il potenziale africano: solo l’11 per cento dei crediti di carbonio globali vengono da lì

Il mercato volontario dei crediti di carbonio è in rapida crescita a livello planetario grazie a una forte domanda, secondo un report di Shell e Boston consulting group (Bcg). Nel 2021 ha avuto un giro d’affari di due miliardi di dollari, ma si stima che per il 2030 possa raggiungere un valore compreso tra i 10 e i 40 miliardi. Secondo queste proiezioni verranno scambiati 0,5-1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente, rispetto agli attuali 500 milioni di tonnellate. L’Africa in particolare ha un grande potenziale inesplorato: nonostante sia uno dei polmoni verdi del globo secondo i dati, solo l’11 per cento dei crediti di carbonio emessi a livello mondiale tra il 2016 e il 2021 proveniva da progetti nel continente. Proprio per questo durante la Cop27 del 2022 è stata lanciata la African carbon markets initiative (Acmi), che ha l’obiettivo di produrre 300 milioni di crediti di carbonio all’anno entro il 2030. Per fare un raffronto, solo i progetti Redd+ nel 2021 hanno prodotto 150 milioni di carbon credit, generando un mercato da oltre 1,3 miliardi di dollari.

Le mani degli Emirati Arabi Uniti sull’Africa prima di Cop28

L’interesse verso il mercato africano di questi crediti c’è e si vede. All’Africa climate summit che si è tenuto a inizio settembre in Kenya un consorzio di investitori con sede negli Emirati Arabi Uniti si è impegnato ad acquistare crediti di carbonio africani per un valore di 450 milioni di dollari tramite l’Acmi. Le intenzioni del Paese del Golfo, prossimo organizzatore della Cop28 di dicembre 2023, si evincono anche dalle ultime operazioni di Blue Carbon, una società emiratina presieduta dallo sceicco Ahmed Dalmook al Maktoum, della famiglia reale di Dubai. Secondo un accordo annunciato a fine settembre, in cambio di 1,5 miliardi di dollari Blue Carbon avrebbe il controllo di un quinto del territorio dello Zimbabwe, 7,5 milioni di ettari di foreste, per 30 anni, ha denunciato il sito di notizie Middle East Eye. Blue Carbon sta facendo lo stesso in Liberia, accaparrandosi il 10 per cento del suo territorio, un milione di ettari di foresta, per generare carbon credit da rivendere sul mercato. Un accordo finale deve ancora essere firmato, ma il memorandum, siglato a marzo e rimasto per mesi segreto, non è frutto di nessuna consultazione con le comunità locali.

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La Cop28 di fine 2023 è in programma negli Emirati Arabi Uniti (Getty).

Dubbi degli ambientalisti: le stime si basano su previsioni

Oltre alla paura di un nuovo sfruttamento ai danni dei Paesi più poveri e delle loro comunità, la maggiore critica degli ambientalisti è che i mercati di compensazione delle emissioni consentano a chi inquina di continuare a rilasciare gas serra. Alcune aziende si affidano infatti a progetti di compensazione invece di ridurre le proprie emissioni perché è una soluzione più a buon mercato e la regolamentazione non è stringente. Qualcuno però contesta anche l’efficacia stessa di questi progetti. Un recente studio pubblicato su Science da un team internazionale di esperti ha preso in esame 18 progetti che attraverso la lotta alla deforestazione vogliono compensare le emissioni di carbonio. Secondo gli studiosi, nella stragrande maggioranza di questi casi i programmi – che si basano su previsioni – non producono gli effetti voluti in termini di conservazione delle foreste, mentre solo il 6 per cento dei crediti di carbonio generati da questi progetti sarebbe legato a interventi che hanno prodotto una vera riduzione della CO2 nell’atmosfera.

Un’inchiesta punta il dito sul sistema di certificazione

Un’inchiesta di Die Zeit, Guardian e Source International ha invece puntato il dito sul sistema di certificazione. Secondo l’indagine servirebbero sistemi più trasparenti ed efficaci per quantificare la reale porzione di foresta che si preserva, per non “drogare” il mercato dei crediti. Più grandi sono i progetti, infatti, più facili gli errori di stima. Per quanto riguarda l’Africa in particolare, ha acceso una spia sull’argomento un rapporto presentato da otto organizzazioni della società civile poco prima dell’Africa climate summit in Kenya. Secondo la pubblicazione l’Acmi rappresenta una rischiosa distrazione e un pericolo, o «un lupo travestito da pecora», come l’hanno chiamata. «Il clamore attorno ai mercati del carbonio in Africa sta creando un Far West per un nuovo tipo di imprenditore il cui unico scopo è produrre crediti di carbonio», hanno affermato. Il rapporto sostiene, in sintesi, che sebbene il continente sia a corto di denaro e abbia bisogno di finanziamenti per la crisi climatica, non dovrebbe ottenere quei soldi consentendo all’inquinamento di continuare. D’altra parte, si tratta dell’unico meccanismo di finanza privata che riduce le emissioni nei Paesi in via di sviluppo, ma il confine tra sfruttamento, truffa e vera sostenibilità sembra ancora troppo labile.

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