A Botricello, in provincia di Catanzaro, un ragazzo di 23 anni, Alessio Cosco, ha ucciso a coltellate il padre Francesco Cosco di 52 anni. Stando a quanto emerso dai carabinieri, il giovane soffriva di disturbi psichiatrici. Stando a una prima sommaria ricostruzione, l’aggressione sarebbe avvenuta al culmine di una lite tra i due uomini. La madre del ragazzo era fuori casa al momento dell’aggressione. La vittima era muratore, il ragazzo dopo aver terminato la scuola aveva fatto qualche lavoro saltuario, ma attualmente era disoccupato.
Il messaggio di cordoglio del sindaco di Botricello
«Siamo profondamente scossi per una tragedia che non avremmo mai potuto immaginare. Non ci sono parole per descrivere una tragedia simile, considerato che la famiglia Cosco ha sempre seguito il figlio, cercando di accudirlo in ogni modo. Siamo tutti vicini ai congiunti. La famiglia è molto nota in paese, Francesco ha sempre lavorato come muratore. mentre il figlio soffriva di qualche disturbo e, da quello che risulta, era regolarmente seguito», ha dichiarato il sindaco di Botricello, Saverio Puccio.
Saranno il freddo e la neve in bassa quota in due distinte fasi perturbate a caratterizzare la settimana compresa tra lunedì 27 novembre e domenica 3 dicembre. Antonio Sanò, fondatore del sito www.iLMeteo.it, ha comunicato che già nella giornata di lunedì le correnti fredde in ingresso dalla Porta del Rodano (Francia sudorientale) favoriranno la formazione di una perturbazione sui mari italiani in grado di scatenare precipitazioni intense, anche sotto forma di nubifragio e violente raffiche di vento.
Forti piogge su Lazio, Campania e Calabria
Questa prima perturbazione colpirà l’Italia entro le prime ore di martedì 28. Previste intense piogge e nubifragi con locali allagamenti su Lazio, Campania e Calabria. Sull’arco alpino si prevedono nevicate fino a quote molto basse, intorno ai 500 metri, soprattutto sulle Dolomiti. I valori delle temperature saranno, infatti, ben sotto le medie stagionali su tutta l’Italia. Al Centro Nord sono previste estese gelate fin sulle pianure durante la notte e al primo mattino. Tra giovedì 30 novembre e venerdì 1 dicembre una seconda perturbazione potrebbe raggiungere l’Italia, innescando nuove ed intense precipitazioni. La fase fredda e movimentata continuerà fino alle porte del primo weekend del nuovo mese e persisterà il rischio neve fino a bassa quota.
I Democratici Svedesi, il partito di destra nazionalista della Svezia, hanno chiesto che le moschee vengano distrutte o confiscate. È il risultato del congresso tenutosi nel fine settimana scorso. Il leader nazionalista Jimmy Akesson ha tenuto un discorso in cui ha dichiarato: «Dobbiamo avviare la confisca e la demolizione degli edifici delle moschee che diffondono propaganda antidemocratica, anti svedese, omofoba o antisemita». Parole che hanno animato il dibattito pubblico a diversi mesi di distanza dal rogo del Corano fuori da una moschea di Stoccolma.
Il governo ha preso le distanze: «Irrispettoso»
A prendere le distanze è stato il primo ministro Ulf Kristersson. Durante un’intervista alla tv svedese SVT ha dichiarato: «Credo che sia un modo irrispettoso di esprimersi. Dà un’immagine distorta dei valori della Svezia a livello internazionale. In Svezia non demoliamo luoghi di culto». Kristersson ha anche evidenziato il lavoro attivo delle autorità per contrastare ogni forma di estremismo.
Una manifestazione di cittadini svedesi in favore delle Moschee (Getty Images).
Chiesto l’allontanamento dalla cancelleria dei Democratici Svedesi
Magdalena Andersson, leader dei Social Democratici all’opposizione, ha chiesto a Kristersson di allontanare i membri dei Democratici Svedesi dalla cancelleria del governo, ma Kristersson non è d’accordo: «Ho notato che i Socialdemocratici hanno assunto un tono alto simile a quello dei Democratici Svedesi. Invito entrambi i partiti a mantenere la calma. Inoltre, penso che i Social Democratici debbano dimostrare di aver preso le distanze dall’estremismo e dall’antisemitismo». Poi Kristersson ha concluso auspicando un lavoro congiunto per il bene della Svezia. Recentemente, le autorità svedesi hanno aumentato il livello di minaccia terroristica a causa del rischio di attentati da parte di fondamentalisti islamici, in risposta ad una serie di manifestazioni quest’estate in cui alcuni attivisti hanno bruciato copie del Corano.
La Francia come la Cina. Da diverse settimane le autorità sanitarie francesi hanno registrato un aumento di polmoniti nei bambini e nei ragazzi con età inferiore a 15 anni, considerato anomalo e preoccupante. Secondo le prime informazioni disponibili, la causa sarebbe il batterio Mycoplasma pneumoniae, responsabile in parte anche della situazione che si sta protraendo da giorni in Cina. Pechino ha registrato un vero e proprio boom di casi, tanto che l’Oms nei giorni scorsi ha presentato ufficiali richieste relative ai dati per monitorare la situazione.
In Francia aumento del 44 per cento tra 0 e 2 anni
Il governo francese sta analizzando i numeri relativi al bollettino ufficiale sul monitoraggio dei pronto soccorso. Le autorità hanno stilato un report da cui è emerso che si è registrato un aumento di accessi in ospedale, a causa di questa infezione, del 44 per cento per i pazienti tra 0 e 2 anni in una settimana. L’incremento si dimezza nella fascia d’età tra i 2 e i 14 anni ed è di circa il 23 per cento. Inoltre è stato riscontrato un aumento del doppio dell’attività assistenziale pediatrica rispetto alle ultime due stagioni. Bambine e bambini arrivano in ospedale con febbre, tosse profonda e un forte affaticamenti.
Lunedì 27 novembre Elon Musk si è recato in Israele per incontrare alcuni funzionari tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu e il presidente Isaac Herzog, nonché i parenti dei prigionieri detenuti da Hamas. Il viaggio avviene a seguito delle preoccupazioni del governo di Tel Aviv sull’antisemitismo che circola su X, di cui Musk è proprietario, insieme ai timori riguardanti l’arrivo della rete Internet satellitare Starlink a Gaza, che secondo Israele potrebbe essere utilizzata da Hamas.
Starlink potrà essere utilizzata a Gaza solo previa approvazione di Israele
In merito a Starlink, Tel Aviv ha annunciato di aver raggiunto un accordo per utilizzare il canale di comunicazione di SpaceX a Gaza. Il ministro delle Comunicazioni israeliano, Shlomo Karhi, era preoccupato che Hamas avrebbe potuto utilizzare la rete satellitare di Musk per «attività terroristiche» perciò, secondo l’accordo raggiunto lunedì, «le unità satellitari Starlink potranno essere utilizzate in Israele solo con l’approvazione del ministero israeliano delle Comunicazioni, compresa la Striscia di Gaza». Le linee telefoniche, mobili e fisse, e Internet nella Striscia sono nel mirino delle operazioni israeliane dal 7 ottobre, che hanno provocato diversi blackout. Per questo motivo, Musk aveva annunciato l’intenzione di rendere disponibile la rete satellitare «per motivi umanitari» a Gaza.
Luci sparse a Gaza City, dopo un’interruzione dell’elettricità da parte di Israele (Getty Images).
Herzog e Netanyahu incitano Musk affinché su X non circoli l’antisemitismo
Per quanto riguarda le polemiche che hanno coinvolto la piattaforma social di Musk, il presidente israeliano Herzog ha detto che durante l’incontro con il miliardario «sottolineerà la necessità di agire per combattere il crescente antisemitismo online». Lo riferisce Al Jazeera. Musk incontrerà anche il primo ministro Netanyahu, che ha espresso preoccupazioni simili all’imprenditore tecnologico durante il loro ultimo incontro a settembre. Il miliardario aveva annunciato nei giorni scorsi che la sua azienda invierà tutto il denaro ricavato dalla pubblicità e dagli abbonamenti associati alla guerra a Gaza agli ospedali in Israele, e alla Croce Rossa e Mezzaluna Rossa a Gaza. X è stata una fonte chiave di informazioni e dibattiti sulla guerra, con funzionari governativi e utenti filo-israeliani e filo-palestinesi che condividono quotidianamente contenuti. Tuttavia, i critici affermano che durante il conflitto ha anche amplificato la disinformazione, le teorie del complotto e i contenuti che incitano all’odio, compreso l’antisemitismo. Lo stesso Musk è stato accusato di aver avuto un ruolo nella diffusione di tali contenuti, tanto che aziende come IBM, Apple, Warner Bros, Disney, Lionsgate e altre hanno deciso di sospendere le loro attività di marketing sul social.
Musk’s tweet agreeing with the guy who claimed Jews are promoting “dialectical hatred against whites” is still live and has more than 7.6 million impressions but yeah its totally MMFA’s fault that advertisers are nervous. pic.twitter.com/BU0chfi2oE
«Ho preso la decisione di lasciare Twitter». Con un lungo post in inglese e in francese la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, ha detto di essere pronta a lasciare la piattaforma X. Riportando un suo intervento pubblicato su Le Monde, ha spiegato di aver abbracciato il social nel lontano 2009, ma di non riconoscere più la piattaforma di allora. «È una vasta fogna globale», ha sottolineato la prima cittadina della capitale francese. «Grazie all’algoritmo, contano solo i “Mi piace”. Mi rifiuto di sostenere questo progetto disastroso». Sottolineando l’ampia diffusione di antisemitismo, incitamento all’odio, disinformazione e manipolazione delle notizie, Hidalgo ha puntato il dito anche contro il patron di X Elon Musk: «Agisce per inasprire tensioni e conflitti». La sindaca, presente su Facebook e Instagram, ha confermato che manterrà il suo account su Linktree. Su X, come ha riportato France Presse, rimarrà l’account del comune di Parigi.
Pourquoi je quitte Twitter.
J’ai pris la décision de quitter Twitter.
Loin d’être l’outil révolutionnaire qui, au départ, permettait un accès à l’information au plus grand nombre, Twitter est devenu ces dernières années l’arme de destruction massive de nos démocraties.… pic.twitter.com/MrZaywMm4k
Anne Hidalgo contro X: «Un’arma di distruzione di massa delle democrazie»
Dopo aver ricordato con entusiasmo la creazione di Twitter, che nacque per consentire «l’accesso libero all’informazione per il maggior numero di persone», Anne Hidalgo ne ha spiegato il netto cambiamento. «Negli ultimi anni è diventato l’arma di distruzione di massa delle nostre democrazie», ha scritto la sindaca di Parigi nel suo post online. «Polemiche, voci e crudeli manipolazioni dettano il dibattito pubblico, guidato da un algoritmo dove contano solo i “Mi piace”. A cosa servono ancora i fatti?». Secondo Hidalgo, X è soprattutto il veicolo tramite cui «l’ingerenza straniera quotidiana interferisce nei processi elettorali», nel tentativo di destabilizzare i governi.
La sindaca di Parigi Anne Hidalgo in visita nel Regno Unito (Getty Images).
«X e il suo proprietario ostacolano deliberatamente l’informazione necessaria per l’avvento della radicale trasformazione ecologica ed energetica di cui abbiamo bisogno», ha proseguito la sindaca di Parigi. A suo avviso, la piattaforma invece alimenta lo scetticismo generale sulla crisi climatica, in quanto spinta dagli «interessi per i combustibili fossili e dalla predazione illimitata del pianeta». Ha poi invitato i concittadini e tutti i suoi follower – al momento dell’annuncio pari a 1,5 milioni – a seguire il suo esempio in favore di una «trasparenza dei contenuti» e in continua «ricerca della verità e di un dialogo sereno e costruttivo, sempre necessario tra gli esseri umani». Anne Hidalgo ha poi espresso il desiderio di sostituire i post social con un maggiore interesse per la «vera democrazia, quella dei consigli comunali, delle votazioni, dei convegni e delle riunioni», che ha definito «luoghi fisici ad altezza d’uomo».
Il ministro dei Trasporti MatteoSalvini continua il suo braccio di ferro con i sindacati e, tra precettazioni e rinvii, tenta, come dice lui stesso, di non fermare l’Italia permettendole di continuare a produrre. Al centro del nuovo dibattito c’è lo sciopero che era stato proclamato per lunedì 27 novembre dai sindacati che, dopo la riduzione delle ore di mobilitazione, da 24 a quattro, hanno deciso per il rinvio al 15 dicembre. Il leader leghista tiene la barra dritta sul punto e ribadisce: «Farò tutto quello che la legge mi permette per ridurre al minimo i disagi».
La riduzione dell’orario dello sciopero
Così Salvini aveva annunciato su X la sua decisione di diminuire la durata dello sciopero del 27 novembre: «Ho deciso di ridurre a quattro ore lo sciopero del trasporto pubblico locale indetto da alcuni sindacati. Sì al diritto al lavoro, alla mobilità, allo studio e alla salute». Per il ministro c’è dunque un sì allo sciopero, ma un netto no a bloccare per tutto il giorno il Paese.
Lunedì prossimo tutti i lavoratori potranno viaggiare: ho deciso di ridurre a 4 ore lo sciopero del trasporto pubblico locale indetto da alcuni sindacati. Sì al diritto al lavoro, alla mobilità, allo studio e alla salute. pic.twitter.com/FLo478Wt0Z
La decisione del rinvio dello sciopero da parte dei sindacati
I sindacati che avevano indetto lo sciopero del 27 novembre, ovvero Cub, Sgb, Adl e Cobas lavoro privato, in risposta alla riduzione dell’orario della mobilitazione hanno deciso di rinviare la loro protesta al 15 dicembre, «sfidando il Ministro Salvini sul terreno dei diritti costituzionali», come recita una loro nota congiunta, «oltre che nel merito delle questioni poste dalle istanze dei lavoratori, ignorate dalle controparti datoriali e dal responsabile del dicastero dei trasporti». E ancora: «È oramai evidente che il problema è diventato politico. Accettare la riduzione imposta nell’ordinanza sarebbe a nostro avviso come fare propria l’idea che un ministro consideri il diritto di sciopero alla stregua di una propria concessione ai sindacati, tanto da considerarne eccessiva la durata di 24 ore».
Salvini intende ridurre anche lo sciopero del 15 dicembre
Nel frattempo Matteo Salvini non sembra affatto essere interessato ad invertire la rotta anche per lo sciopero del 15 dicembre: «Continuerò a garantire il diritto allo sciopero perché la Costituzione lo prevede, però penso all’altro sciopero annunciato per venerdì sotto Natale: farò tutto quello che la legge mi permette per ridurre al minimo i disagi. Se qualcuno pensa di lasciare a piedi 20 milioni di italiani per rivendicazioni spesso politiche e non sindacali farò tutto ciò che la legge mi permette».
Laura Pausini si è messa a nudo in una lunga intervista a Domenica In, programma condotto da Mara Venier. La cantante, Person of the Year ai Latin Grammy Awards 2023, ha rivelato dei dettagli molto personali tra cui un particolare problema cardiaco chiamato tachicardia parossistica sovraventricolare che la segue sin da quando era una bambina. È proprio a causa di questo difetto che ha avuto un malore durante la presentazione dell’Eurovision Song Contest 2022.
Laura Pausini sul problema al cuore: «Non mi abituo a questa cosa»
Durante l’intervista, la cantante si è soffermata su questo problema: «Da quando sono piccola ho un piccolissimo difettuccio al cuore, un difetto che si chiama tachicardia parossistica sovraventricolare. E mi è venuto quando presentavo all’ultima serata dell’Eurovision, mai avuto così forte come quella volta. Non mi abituo a questa cosa, sento il cuore fuori dal corpo».
Cos’è la tachicardia parossistica sovraventricolare
La tachicardia parossistica sovraventricolare è una forma di aritmia che si manifesta con un’improvvisa accelerazione del battito cardiaco, originandosi dalla parte anatomica del cuore situata sopra i ventricoli. La particolarità principale di questa malattia risiede nel fatto che i sintomi si presentano in modo improvviso, distinguendosi così da altre forme di cardiopalmo in cui l’insorgenza è più graduale.
Studentesse, studenti, corpo docenti e dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Matteo Ricci di Roma, oltre a genitori e tutto il personale, sono alle prese con lo choc per quanto accaduto nelle scorse ore. Nella notte tra il 26 e il 27 novembre, infatti, qualcuno ha fatto irruzione nella scuola e ha vandalizzato tutti i lavori fatti dagli alunni durante la scorsa settimana, in vista della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Sono stati strappati i 105 fogli con i nomi delle vittime di femminicidio, su cui poi è stata riversata della spazzatura. E sono stati distrutti anche gli altri cartelloni e tutti i lavoretti.
La scuola: «A terra anche una spranga e un’asta molto lunga»
L’istituto, in un post, ha spiegato: «L’intera comunità scolastica è scossa dal grave atto vandalico contro l’allestimento realizzato in occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne. Dopo una settimana di attività e riflessioni i ragazzi avevano scritto un grande e simbolico No alla violenza, con i nomi delle 105 donne uccise dall’inizio dell’anno e piantato un ciclamino rosso come gesto di cura e in ricordo delle vittime. Sono state ritrovate a terra anche una spranga e un’asta molto lunga».
La condanna del Municipio: «Nessun passo indietro»
La condanna è arrivata anche dal Municipio Eur, area in cui risiede la scuola. La presidente del Municipio IX, Titti Di Salvo, e l’assessora alla Scuola Paola Angelucci hanno dichiarato: «Condanniamo l’atto vandalico di sfregio nei confronti del lavoro delle ragazze e dei ragazzi della Scuola Media I.C. Matteo Ricci in occasione della giornata del 25 novembre come messaggio e impegno nell’eliminazione della violenza sulle donne. Proprio in un momento in cui la voce delle donne, e di tutti, si sta alzando forte l’atto vandalico contro la Matteo Ricci è un segno di reazione frustrata che respingiamo con forza. Siamo vicine e solidali con la scuola vittima di questo sopruso e non permetteremo a nessuno di mettere a tacere le voci che si stanno alzando sempre di più. Nessun passo indietro nel contrasto alla violenza sulle donne».
La Protezione Civile regionale ha emanato un avviso di allerta meteo con criticità idrogeologica di livello giallo per piogge e temporali su tutta la Campania. Si prevedono anche venti forti occidentali – e temporaneamente molto forti – con possibili raffiche sempre su tutta la regione con conseguente mare agitato o localmente molto agitato con possibili mareggiate lungo le coste esposte. L’allerta meteo entra in vigore dalle 20 di lunedì 27 novembre fino alla stessa ora di martedì 28 novembre.
Attesi venti forti e precipitazioni piovose
Il quadro meteo evidenzia che le precipitazioni, sui quadranti settentrionali, saranno in attenuazione nel corso della mattinata mentre lasceranno i quadranti centro-meridionali solo nel pomeriggio. I venti, invece, saranno forti fino alla sera di martedì 28 novembre su tutta la Campania e molto forti soprattutto al mattino. La Protezione civile raccomanda «alle autorità competenti dell’intera regione di attivare i Centri Operativi Comunali e di attuare tutte le misure previste dai rispettivi piani di protezione civile per la mitigazione e il contrasto dei rischi attesi». Tra i principali scenari di evento connessi alle precipitazioni piovose e quindi al rischio idrogeologico localizzato si ricordano gli allagamenti, l’innalzamento dei livelli idrometrici dei corsi d’acqua, lo scorrimento superficiale delle acque con trasporto di materiali a causa di tombature, restringimenti, criticità infrastrutturali locali, caduta massi e frane. Attenzione va prestata anche in assenza di precipitazioni per effetto della saturazione dei suoli. In considerazione dei venti forti con raffiche e del moto ondoso «è necessario altresì controllare la corretta tenuta del verde pubblico e delle strutture mobili o temporanee esposte alle sollecitazioni».
Dopo il trionfo in Coppa Davis a 47 anni dalla prima e finora unica volta, gli atleti dell’Italia del tennis sono diventati quasi degli eroi nazionali. Tanto che il profilo ufficiale del Quirinale ha annunciato già nella tarda serata di domenica 26 novembre, poco dopo la storica vittoria dell’Italia in Coppa Davis: «La squadra italiana di tennis vincitrice della Coppa Davis sarà ricevuta al Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 21 dicembre». E invece non sarà così. Secondo quanto spiegato dal presidente della Federtennis Angelo Binaghi, l’incontro non ci sarà e se ne parlerà nel 2024, dopo gli Australian Open. Il motivo? Le vacanze già programmate dai tennisti.
La squadra #italiana di #tennis vincitrice della #CoppaDavis sarà ricevuta al Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio #Mattarella il 21 dicembre
Angelo Binaghi ha dichiarato: «Il 21 dicembre purtroppo non potremmo andare al Quirinale: ci dispiace da morire per il presidente Mattarella con cui abbiamo una promessa in sospeso. I ragazzi hanno già in calendario da tempo le vacanze in vista poi della partenza per l’Australia, dove comincia la stagione agonistica. Ci dispiace per il presidente Mattarella, perché abbiamo avuto il governo vicino, con il ministro dello Sport e col messaggio che mi ha mandato la premier: lo faremo quando ci sarà possibile perché abbiamo una promessa in sospeso con il Capo dello Stato. Quando fui invitato con Matteo Berrettini fresco finalista di Wimbledon insieme alla nazionale di calcio vincitrice agli Europei gli dissi: “Per noi è una data storica ma non finisce qui. Presto verremo da lei vincitori e non finalisti”».
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (Getty Images).
«La stagione del tennis è così»
Binaghi ha poi concluso spiegando: «Non possiamo esserci il 21 dicembre perché la stagione del tennis è fatta così, i ragazzi hanno già in programma le vacanze, in vista della partenza per l’Australia. E noi non dobbiamo cambiare di una virgola, essere sempre gli stessi, non perderci in passerelle, anche se quella al Quirinale ovviamente non lo è. Dico che non dobbiamo cambiare le nostre abitudini che sono l’applicazione, il lavoro, il metodo».
Tutti hanno parlato delle parole sulla magistratura pronunciate da Guido Crosetto, ministro della Difesa. Nell’intervista al Corriere della Sera afferma: «Adesso la mia preoccupazione è se il tessuto burocratico, industriale, privato sarà davvero in grado di tradurre in opere i piani. Più quello privato, mi preoccupa, in verità». E fin qui, nulla di male, però la dichiarazione continua con un sibillino «mi auguro che le aziende, soprattutto la più grande del settore che ha vinto moltissime gare, siano in grado» e, sottolinea Crosetto, con modalità davvero curiose, «di realizzarle davvero, nei tempi previsti». Un identikit che porta al gruppo Webuild, quello di Pietro Salini. Qualcuno evoca un “pizzino”, ricordando che Crosetto è piemontese, e in quella regione c’è qualcuno che reclama, che vuole lavorare in alcuni cantieri importanti: le solite malignità.
Pietro Salini (Imagoeconomica).
Grasso senza Avvenire
Alla fine anche alla Cei, la Conferenza episcopale italiana guidata dal cardinale Matteo Maria Zuppi, devono fare i conti con i tagli al bilancio. Capita anche nei sacri palazzi, visto che con papa Francesco le donazioni dagli Stati Uniti sono sensibilmente calate. E così pure il quotidiano Avvenire ha deciso di scegliere la strada dei prepensionamenti, con 16 “uscite” a Milano e otto a Roma: nell’elenco dei giornalisti da mandare a casa c’è anche Giovanni Grasso, «che da tantissimi anni non mette piede in redazione», come sottolineano al giornale, visto che è impegnatissimo dal 2015 a seguire il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in qualità di consigliere per la stampa e la comunicazione del Quirinale, oltre che direttore dell’ufficio stampa. Che poi Avvenire è l’unico quotidiano che riceve denaro dallo Stato italiano anche attraverso i fondi dell’8 per mille destinati alla chiesa cattolica…
Giovanni Grasso (Imagoeconomica).
Vela saudita per Mediaset
Dicono che ai Berlusconi piace Gedda, ma non ditelo ai romani che stanno sperando, in verità con poche certezze, di conquistare l’Expo 2030 contro un’altra città saudita, Riad. Fatto sta che sarà Mediaset a trasmettere in chiaro le preliminary regatta della Coppa America che vede tra i protagonisti l’italiana Luna Rossa. Quella che viene considerata la “Formula 1” della vela avrà luogo a Barcellona nel 2024 dal 22 agosto a fine ottobre, ma le tappe di avvicinamento si svolgono a Gedda, in Arabia Saudita, dal 30 novembre. A sfidarsi, oltre a Luna Rossa, la britannica Ineos Britannia, la svizzera Alinghi, la statunitense American Magic e la francese K-Challenge Racing. Il team che difende il titolo è Emirates Team New Zealand. E Mediaset trasmetterà l’ennesima prova di forza saudita.
Dalla Romania, gratis al museo
«L’ingresso alla mostra sarà gratuito per i cittadini della Romania e della Repubblica di Moldova»: succede nella Capitale, per l’esposizione “Dacia. L’ultima frontiera della Romanità” allestita nelle Terme di Diocleziano del Museo nazionale romano, e compiere un viaggio millenario vedendo armi, vasi, ceramiche, monete, gioielli e corredi per i riti di magia. Nel comunicato si legge che «un importante contributo alla mostra è stato dato dallo sponsor Geox», ma a denti stretti viene rivelato che «la cifra è piccola, non c’è più il mecenatismo di una volta».
Arriva a Roma Oliver Stone
A Roma le signore dei salotti (sì, qualcuno ancora ce n’è) se lo stanno contendendo: il regista piace. Ma quella nella capitale è solo una delle tre tappe italiane per Oliver Stone, a dicembre, per presentare il suo film documentario Nuclear Now dopo il debutto mondiale nel 2022 alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il regista, sceneggiatore, produttore, vincitore di tre premi Oscar e cinque Golden Globe, parteciperà a tre anteprime del suo documentario sabato 2 a Torino, domenica 3 a Bologna e lunedì 4 a Roma. Nel capoluogo piemontese Stone sarà protagonista di una masterclass, nata dalla collaborazione fra Film Commission Torino Piemonte, il Torino film festival del Museo nazionale del cinema, newcleo e I Wonder Pictures. Il film prossimamente sarà visibile su La7. Chissà alla fine Stone da chi andrà a Roma, o se darà “buca” come in altre sue presenze nella città eterna…
Sono passati ormai tre anni dalla creazione di Stellantis, risultato della fusione tra Fca e Peugeot che ha consegnato ai francesi la più grande e blasonata industria privata del Paese. Da che era Fiat centrica, Torino si è trovata improvvisamente orfana del suo asset più importante e costretta a reinventarsi un’identità. Cosa che sta facendo con fatica, anche se, a detta dei notabili della città, il 2024 sarà un anno decisivo per gli equilibri all’ombra della Mole per l’intera Regione. Il cui presidente Alberto Cirio, e il centrodestra che lo ha espresso e sin qui sostenuto, a giugno si giocheranno la riconferma dopo cinque anni vissuti sull’ottovolante, tra pandemia e sogni d’autonomia. Alla Compagnia di San Paolo volge al termine il regno di Francesco Profumo, in uscita sia da Piazza Bernini che dalla pesantissima presidenza dell’Associazione delle Casse di Risparmio Italiane. Ancora, l’anno che verrà sarà quello del rinnovo delle cariche dirigenziali del Politecnico, università tra le più prestigiose in Europa. Mentre resta aperto il dossier sul centro sull’Intelligenza artificiale destinato prima o poi a nascere in città.
Stefano Lo Russo, Carlos Tavares, John Elkann e Alberto Cirio (Imagoeconomica).
La corsa al Politecnico per il successore di Guido Saracco
Torino, racconta chi la conosce bene, dopo che gli Agnelli-Elkann si sono via via defilati, è rimasta orfana di un re e di una dinastia. Ma le architetture del potere cittadino non ne hanno risentito più di tanto. E tra istituzioni, accademia, finanza il nesso è forte e le sliding door notevoli. Lo testimonia il fatto che la prima partita ad aprirsi, quella per il successore di Guido Saracco alla guida del Politecnico, potrebbe influenzare con effetto domino tutte le altre. I tre nomi più gettonati a prenderne il posto sono quelli di Stefano Corgnati, Paolo Fino e Juan Carlos De Martin. Il primo, vicerettore per le Politiche Interne e membro del dipartimento di Energia, ha promesso un ateneo «a sostegno delle altre istituzioni». Fino, direttore del dipartimento di Scienza applicata e tecnologia, punta invece a rilanciare la sede di Mondovì di cui è responsabile. De Martin, professore di Ingegneria informatica, vuole mettere innovazione e sviluppo al centro di un’agenda “progressista” fondata sul diritto allo studio. Nel capoluogo sabaudo si guarda questa corsa con particolare interesse, e non solo perché c’è in ballo un giro di poltrone, ma perché costituisce un serio tentativo di programmare il futuro del territorio. In una città che, parafrasando il titolo di una biografia di Vittorio Gassman, da oramai troppo tempo il futuro lo ha dietro le spalle.
Guido Saracco, rettore del Politecnico di Torino (Imagoeconomica).
Le elezioni regionali, il futuro del Centro nazionale per l’Intelligenza artificiale e della Compagnia di San Paolo
In primavera si apriranno poi altre partite decisive: le elezioni regionali con la scelta di un nuovo governatore o la riconferma di Cirio, e la successione alla Compagnia di San Paolo. Nel primo caso, lo stesso Saracco era stato a lungo corteggiato da alcuni ambienti del centrosinistra per sfidare l’attuale presidente. Ma il rettore ha fatto subito sapere che non ha alcuna intenzione di candidarsi: resterà al Politecnico fino a scadenza mandato. Che per altro finisce a marzo 2024, quindi Saracco avrebbe tutto il tempo di ripensarci e correre per insediarsi a Piazza Piemonte, l’indirizzo dove sorge il grattacielo di Fuksas che ospita gli uffici della Regione. In realtà il rettore, dopo il “gran rifiuto” per Comunali e Regionali (anche perché gli si è messa di traverso l’ex sindaca pentastellata Chiara Appendino) ormai è considerato un candidato a tutto. A lui starebbe pensando persino il ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini come possibile presidente della Telt, la società italo-francese del consorzio Torino-Lione. Secondo il sempre molto informato sito locale Lo Spiffero, invece, Saracco avrebbe maggiori chance di accasarsi alla guida del futuro centro per l’Ia. Il polo potrebbe sorgere o nell’area Tne a Mirafiori o in quella della Cittadella dell’Aerospazio in corso Marche. Non sarà più l’I3A (Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale) voluto dal Conte-bis, ma il Cnia (Centro nazionale dell’Intelligenza artificiale), per il quale il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha messo sul piatto 20 milioni di euro.
Francesco Profumo, presidente Acri (Imagoeconomica).
Per sfidare Cirio, il Pd con Lo Russo pare essere orientato su Gilli o Barba Navaretti
E in tutto questo il Pd, che a Torino esprime il primo cittadino, che partita gioca? Per le Regionali risulta a Lettera43 che il sindaco Stefano Lo Russo sia orientato su Marco Gilli, oggi addetto scientifico dell’Ambasciata d’Italia negli Stati Uniti. E predecessore proprio di Saracco. In alternativa ci sarebbe l’economista Giorgio Barba Navaretti, docente alla Statale di Milano, già editorialista de Il Sole 24 Ore e anima, nonché presidente, del Collegio Carlo Alberto. Centro di ricerca economica – a proposito di intrecci di potere – partecipato dall’Università di Torino e dalla Compagnia di San Paolo. Barba Navaretti da tempo propone per la città una ricetta centrata sull’attrazione di talenti e sul creare un contesto urbano destinato a favorire la competitività. In attesa di sapere se il suo intento di ribaltare l’attuale maggioranza in Regione avrà buon esito, il centrosinistra oltre a Torino mantiene la presa sulla più importante istituzione in campo economico-finanziario, la Compagnia di San Paolo. Il successore di Profumo sarà centrale nei rapporti con Banca Intesa e quindi con Milano. Inoltre aggiungerà a Fabrizio Palenzona una voce “torinese” nella partita per l’Acri, l’associazione che raggruppa le fondazioni bancarie su cui è ancora molto influente Giuseppe Guzzetti, che fu per tanti anni il suo dominus. Come è noto all’Acri, dettaglio non di poco conto, spetta di nominare il presidente di Cassa depositi e prestiti, il cui cda va in scadenza la prossima primavera.
È In Italia e sta bene Kimberly Bonvissuto, la 20enne scomparsa da Busto Arsizio, in provincia di Varese, da lunedì 20 novembre. «All’esito delle indagini finora svolte e sulla base degli elementi verificati l’allontanamento di Kimberly è da ritenersi volontario e non causato da intimidazioni o minacce». Lo ha dichiarato in una nota il procuratore di Busto Arsizio, Carlo Nocerino, il quale ha aggiunto che «la ragazza è in territorio italiano e in buone condizioni di salute, e la famiglia è stata informata di questi attuali sviluppi».
«Le condizioni del papa sono buone e stazionarie, non presenta febbre e la situazione respiratoria è in netto miglioramento. Per facilitare il recupero del Papa, alcuni importanti impegni previsti per questi giorni sono stati rimandati perché possa dedicarvi il tempo e le energie desiderate. Altri, di carattere istituzionale o più facili da sostenere date le attuali condizioni di salute, sono stati mantenuti». Lo ha riferito il portavoce vaticano Matteo Bruni. Il papa nella mattinata di lunedì 27 novembre ha infatti incontrato, come era da agenda, il presidente del Paraguay Santiago Pena Palacios. La tac alla quale si era sottoposto il Papa sabato 25 novembre «ha escluso una polmonite», confermano ancora dal Vaticano, ma è emersa «una infiammazione polmonare che causava alcune difficoltà respiratorie». E «per una maggiore efficacia della terapia si è proceduto a posizionare un ago cannula per infusione di terapia antibiotica per via endovenosa».
La ministra Roccella ha dichiarato: «Corteo di Roma sprecato per motivi ideologici». Viva lo spreco elementare! Sorelle, oggigiorno, se ci facciamo un’idea, poi non siamo più costrette a sposarla. Ma noi la sposiamo sempre, siamo tutte gravide, di quell’idea lì. Diritto d’onere. E in questo lunedì qualunque, è un sabato italiano, è un sabato ideologico, è un sabato politico. La parola che non devi pronunciare, perché subitanei replicano: e basta! I primi due anagrammi che mi vengono: “Patriarcato / tira porcata / parrai cotta”. Quella baggianata lì che le persone intelligenti conducano una vita fondata sul dubbio. Non lo voglio il dubbio, voglio invecchiare certa e scema.
L’80 per cento delle donne non si sente tranquilla a camminare per strada di notte, eppure la metà degli uomini non è d’accordo sull’esistenza di una società patriarcale in Italia. Sono due dei dati emersi da un sondaggio realizzato dall’istituto di ricerca Quorum/YouTrend per SkyTg24, che ha condotto un’indagine sulla popolazione per capire la sensibilità dell’opinione pubblica sul tema della violenza di genere, in un periodo di sentito dibattito sul tema a seguito del femminicidio di Giulia Cecchettin.
La metà degli uomini non crede che in Italia ci sia una società patriarcale e non si sente responsabile
Tra i dati che sono emersi dall’indagine, è interessante notare che per il 57 per cento degli intervistati l’Italia è una società patriarcale in cui le donne sono sempre subalterne agli uomini, ma il 50 per cento degli uomini è in disaccordo con questa affermazione (il 44 per cento concorda, il 6 per cento non sa). Il 69 per cento delle donne invece è d’accordo con l’affermazione, mentre il 27 per cento no. Inoltre, la maggioranza degli italiani (56 per cento) concorda sul fatto che tutti gli uomini si debbano sentire in parte responsabili dei femminicidi, che sono all’apice delle violenze risultanti dalla cultura maschilista che gli uomini, consapevolmente e inconsapevolmente, assecondano. Ma anche questo dato è trascinato dalle donne, che concordano nettamente con l’esistenza di una responsabilità collettiva (65 per cento), mentre la maggior parte degli uomini (51 per cento) non concorda (il 45 concorda, il 4 per cento non sa).
La manifestazione di Non una di meno del 25 novembre a Roma (Getty Images).
L’educazione nelle scuole è vista come la soluzione migliore per eliminare la violenza di genere
In merito alle soluzioni da mettere in campo per eliminare la violenza di genere, l’approccio ritenuto più efficace dagli intervistati per evitare il ripetersi dei femminicidi è l’insegnamento della parità di genere e dell’educazione affettiva nelle scuole (27 per cento). Nonostante la maggior parte veda favorevolmente la proposta del governo di un piano per l’educazione affettiva (79 per cento), meno di un italiano su due (47 per cento) ritiene che questo progetto sarà efficace. Tra le altre soluzioni da applicare, al secondo posto rimane l’inasprimento delle pene (21 per cento). Quest’ultima soluzione è sostenuta per la maggior parte dalle donne (25 per cento), mentre gli uomini ritengono più efficace l’approccio educativo. A seguire gli intervistati hanno indicato l’agevolare le denunce (19 per cento) e il potenziamento della rete di assistenza per le vittime di violenza (12 per cento). Percentuali più basse di intervistati hanno invece indicato come soluzione il raggiungimento della parità salariale tra uomini e donne. Un aspetto, quest’ultimo, che le ricercatrici degli studi genere ritengono fondamentale, in quanto l’indipendenza economica delle donne può fare la differenza nella possibilità di uscire da un contesto famigliare di violenza.
Solo una #donna su cinque si ritiene soddisfatta della risposta delle Forze dell'Ordine quando #denuncia un reato, secondo un sondaggio che avevamo condotto a maggio sulla sicurezza in generale. Un dato basso anche se confrontato con quello degli uomini. pic.twitter.com/Z87iWrHoJt
Le opinioni sulla copertura mediatica del femminicidio di Giulia Cecchettin
Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha generato un dibattito nell’opinione pubblica di portata inedita. L’83 per cento degli italiani ha seguito con attenzione la vicenda, e nel valutare la copertura mediatica di questa storia sono divisi: il 45 per cento sostiene che i media abbiano dato la giusta importanza al problema, mentre per il 30 per cento sostiene che l’importanza attribuita non sia sufficiente, un’opinione sostenuta soprattuto dai giovani (34 per cento). Solo per il 15 per cento degli intervistati le fonti di informazione hanno dato un’importanza eccessiva al fenomeno.
Un’intervista senza filtri, con almeno due titoloni regalati ai posteri e già diventati virali. Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, si è lasciato andare parlando con la Repubblica. Innanzitutto ripercorrendo un’ingiustizia subita, secondo lui, durante il Festival di Sanremo nel 2010, quando partecipò con Emanuele Filiberto di Savoia e il tenore Luca Canonici con il brano Italia amore mio. Stando al suo racconto, pare che addirittura il Quirinale abbia interferito con la vittoria.
La sparata di Pupo: «Sono io ad aver accettato il secondo posto»
Per Pupo non ci sono dubbi: il suo brano fu vittima di un complotto da parte del Colle: «La canzone è stata scritta interamente da me. Musica e parole. Diedi parte dei diritti del brano al principe Emanuele Filiberto per far diventare la canzone credibile, ma lui non c’entrava nulla. Lo dico oggi per svincolarlo da tutte le responsabilità. Quel giorno ho goduto anche perché avevo previsto che la nostra canzone sarebbe stata eliminata la prima sera, ma poi sarebbe stata ripescata e infine avrebbe vinto il Festival. Il trio era un progetto nato a tavolino. Ma da lì a dire che era la canzone più brutta del secolo ce ne corre. Vuol dire un attacco contro il principe, non solo contro di me. Quando la canto per gli italiani nel mondo, si commuovono. E poi, a dirla tutta, la canzone non solo è arrivata seconda ma aveva vinto il festival, sono io ad aver accettato il secondo posto». In che senso?
Il presunto intervento del Quirinale con i vertici Rai
Pupo ha spiegato la sua versione dei fatti: «Prima della finale i vertici Rai avevano ricevuto una telefonata dalla presidenza della Repubblica (all’epoca c’era Giorgio Napolitano, morto a settembre 2023, ndr), temevano lo scandalo di un rappresentante di casa Savoia al primo posto a Sanremo. Avevano capito che avremmo vinto osservando il picco di ascolti record della serata in cui avevamo ospitato Marcello Lippi: quella sera si ruppe la chitarra, ci fu un attimo di impasse e allora Lippi fece un promo della canzone, cosa che non si poteva fare. Sabato mattina mi dissero che mi squalificavano e che avrei cantato solo come ospite; risposi che, pur avendo partecipato sei volte, non avevo mai vinto Sanremo: “Mi toglierete la vittoria lunedì mattina, ma io stasera vinco il Festival e poi ci vediamo in tribunale”. Pensarono a un accordo, mi proposero secondo, dissi: “Secondo va bene”».
L’altra bordata al Grande Fratello: «Mai visto un minuto»
Il cantautore ha poi ammesso di sentirsi un «discreto conduttore televisivo». Oggi però «non farei più un programma giornaliero, mi ha salvato economicamente ma ho già dato. Fare i giudici nei talent, poi, è assurdo, tutti protagonisti. Per due anni ho fatto l’opinionista del Grande Fratello, c’era la pandemia e avevo poco da fare: ma non ho mai visto un minuto del Grande Fratello in vita mia. C’era chi lo seguiva per me, un autore tv. Io non avevo la forza di guardarlo per quanto mi faceva cag*re».
Vent’anni fa, nel novembre del 2003, si consumava la rivoluzione delle rose in Georgia, la prima repubblica ex sovietica a passare dalla sfera della Russia a quella occidentale. Le tre baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania, avrebbero fatto il loro ingresso nella Nato ufficialmente nel 2004, ma il loro destino sulla scacchiera geopolitica si era già deciso negli Anni 90 a causa alla desistenza di Mosca, impegnata nel primo decennio della transizione postcomunista più che altro a sopravvivere a se stessa. All’inizio degli Anni Duemila al Cremlino c’era già Vladimir Putin, uno che non avrebbe allentato tanto facilmente l’influenza della Russia su quello che ha sempre considerato il proprio giardino di casa.
La rivoluzione pacifica contro il filorusso Eduard Shevardnadze e la vittoria di Saakashvili
Le rose, dunque, quelle che il primo presidente georgiano Zviad Gamsakhurdia gettò ai nemici invece di sparare pallottole. Gamsakhurdia era uno scrittore, dissidente ai tempi dell’Urss, eletto all’inizio del 1990 presidente del Consiglio supremo della repubblica ancora sovietica della Georgia, diventata indipendente sotto di lui qualche mese dopo e destituito nel 1992 da un colpo di stato militare. Poca gloria per lui, trasformatosi in pochi mesi di potere in una specie di dittatore nazionalista. Nel novembre del 2003 per oltre tre settimane la Georgia, o per lo meno la capitale Tbilisi, si rivoltò contro l’allora presidente Eduard Shevardnadze, ex ministro degli Esteri a Mosca ai tempi di Mikhail Gorbaciov ed eletto presidente nel 1995, dopo i vari conflitti esplosi nel dopo Gamsakhurdia con la Georgia lacerata internamente, divisa dai territori ribelli di Ossezia del sud, Abcasia e Adjaria. Da un parte il vecchio, rappresentante di una leadership vetusta con legami forti ancora con la Russia, dall’altra parte il nuovo, con Mikheil Saakashvili, giovane ministro della Giustizia, con forti legami con gli Stati Uniti, dove aveva studiato e lavorato come avvocato. Le elezioni parlamentari del 2 novembre 2003 vinte dalla coalizione pro Shevardnadze non furono riconosciute dall’opposizione che scese in piazza e in maniera non violenta costrinse il presidente a dimettersi, sostituito a gennaio da Saakashvili. Questo in sintesi quello che accadde due decenni or sono. Non si trattò esattamente di un movimento naturale e spontaneo, ma fu accompagnato da una regia che negli anni precedenti aveva preparato il terreno: da Saakashvili in persona, al supporto degli Stati Uniti sia politico che finanziario all’opposizione, passando per il ruolo della miriade di organizzazioni non governative finanziate dall’Occidente che aiutarono a coordinare la protesta contro il vecchio regime. Un modello in parte collaudato qualche anno prima nei Balcani, ma che nel Caucaso raggiunse la piena efficienza con il successo completo e incruento per Saakashvili e gli Usa.
Eduard Shevarnadze all’esterno del parlamento georgiano nel novembre 2003 (Getty Images).
La guerra russo-georgiana e il distacco di Ossezia del Sud e Abcasia
La Georgia rimase però in bilico, perché lo strappo non fu definitivo e lo stesso Saakashvili ci mise del suo per far rientrare in gioco la Russia. Il presidente georgiano rimase in carica per due mandati, fino al 2014 e se il primo fu destinato alle riforme, il secondo venne caratterizzato da un crescente autoritarismo e dal disastro della guerra con Mosca, intervenuta militarmente nel 2008 dopo il tentativo di Tbilisi di riprendere il controllo delle regioni indipendentiste di Ossezia del sud e Abcasia. Il duello a distanza tra Saakashvili e Putin si concluse con la vittoria del secondo e il distacco definitivo delle due repubbliche dalla Georgia. Allora gli Usa e l’Occidente non vollero cogliere i segnali, molto chiari, che giungevano da Mosca, con la linea rossa tracciata dal conflitto dei cinque giorni nell’agosto del 2008. E pensare che in Ucraina era già arrivata nel 2004 la rivoluzione arancione e nel 2006 in Kirghizistan quella dei tulipani, entrambe naufragate brevemente. Segnali, insieme con il conflitto georgiano, che Mosca non avrebbe mai abbandonato la propria sfera di influenza, mentre Washington cercava di entrare in salotto. Il successivo tentativo, riuscito da parte occidentale, quello di Euromaidan a Kyiv tra il 2013 e il 2014 avrebbe condotto a disastri ancora peggiori: prima l’annessione della Crimea, poi la guerra nel Donbass, infine nel 2022 l’invasione su larga scala dell’Ucraina.
Manifestazioni contro Eduard Shevarnadze a Tbilisi il 9 novembre 2300 (Getty Images).
La parabola di Saakashvili e i tentativi di Zelensky di farlo ritornare in Ucraina
Mikheil Saakashvili , dopo aver abbandonato la Georgia inseguito dalla giustizia, è finito prima in Ucraina, nominato dal primo presidente filoccidentale Petro Poroshenko governatore di Odessa dal 2015 al 2016. Successivamente fu scaricato anche da Kyiv. Condannato in contumacia per abuso di potere a sei anni di carcere, fu arrestato nel 2021 a Tiblisi dove era tornato per sostenere l’opposizione prima delle elezioni. Al momento si trova ancora in carcere. A luglio 2023 il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha lanciato un appello per far lo ritornare in Ucraina – Saakashvili ha la cittadinanza ucraina dal 2019 – per consentirgli cure necessarie e per gli accertamenti medici.
La metaforica doccia fredda sarebbe stata perdere il big match. E infatti le due squadre hanno fatto di tutto per strappare almeno il pareggio. Il problema è che poi Juventus e Inter hanno trovato un’altra doccia fredda, questa volta in senso letterale, negli spogliatoi. Anzi, più che gelida, non funzionante. Dopo la partita terminata 1-1 infatti pare ci sia stato un problema di pressione dell’acqua alle pompe, tanto che per i giocatori è risultato impossibile lavarsi. L’indiscrezione è stata riportata da LaGazzetta dello Sport.
I giocatori dell’Inter sul pullman senza neanche una sciacquata
L’Inter, visto anche il freddo della serata (arrivato a punte di 4 gradi), avrebbe dunque deciso di rimandare l’appuntamento con la doccia a Milano e sarebbe salita subito sul pullman verso casa. Forse l’atmosfera non sarà stata proprio delle migliori: sia in senso sportivo, visto il pari che non stacca i bianconeri, sia in senso… olfattivo. Stesso destino anche per i giocatori bianconeri, che dalla loro hanno però avuto il vantaggio di non giocare in trasferta e, dunque, di poter usufruire prima di una doccia calda.