La risposta europea alla Nuova via della seta cinese, la Belt and Road Initiative, è finalmente in marcia, tra ambiziosi progetti e lati ancora poco chiari. Il Global Gateway dell’Unione europea, un piano di sviluppo infrastrutturale rivolto al Sud del mondo, ha vissuto una tappa importante del suo percorso il 25 e 26 ottobre con un business forum che si è svolto a Bruxelles e durante il quale la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha incontrato 40 alti rappresentanti istituzionali di alcuni Paesi in via di sviluppo per discutere opportunità di investimento. Ma di cosa si tratta?
Al centro infrastrutture, energia, materie prime e vaccini
Il piano europeo al centro del vertice vuole mobilitare globalmente 300 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati entro il 2027, di cui la metà andranno all’Africa. Non saranno per la maggior parte investimenti diretti – perché il piano non ha ancora soldi propri, lì avrà forse dal prossimo bilancio -, ma un insieme di fondi e strumenti per sbloccare l’equivalente di questa somma. Nel continente africano 136 miliardi su 150 saranno privati, si stima. Dal suo lancio, al programma europeo afferiscono 89 progetti, di cui molti già avviati in precedenza, in America Latina, Caraibi, Medio Oriente, Asia, Pacifico e Africa subsahariana, per un valore di 66 miliardi di euro. I settori di intervento prioritari del piano saranno le infrastrutture, la connettività, lo sviluppo di nuove fonti di energia, l’approvvigionamento di materie prime e la crescita dei sistemi sanitari, con la produzione locale di vaccini.
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Un progetto nato dalla crisi durante la pandemia di Covid-19
Il Global Gateway è stato fortemente voluto da von der Leyen che l’aveva annunciato nel 2021 durante il suo discorso sullo stato dell’unione. Maddalena Procopio, senior policy fellow del Programma Africa dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr), ha detto che il progetto «nasce dalla crisi delle catene di approvvigionamento durante la pandemia di Covid-19 e ha l’obiettivo di soddisfare le esigenze interne europee di resilienza economica». Procopio ha parlato durante l’evento “Global Gateway Africa: Geopolitica, investimenti e prospettive per l’Italia” che il think tank ha organizzato in concomitanza del forum di Bruxelles allo Spazio Europa di Roma insieme alla rivista Africa e Affari. La pandemia, insieme poi con la guerra tra Russia e Ucraina e alla contemporanea forte ascesa sulla scena internazionale di altri attori come la Cina o la Turchia, hanno contribuito a isolare l’Europa in ambito geopolitico ed economico.
Il piano Ue ha quindi tra i suoi principali obiettivi quello di accorciare le catene del valore, per disporre più facilmente di energia e materie prime, ma è anche «uno strumento per rilanciare l’immagine e le relazioni dell’Ue con una parte di mondo, stabilendo con questa un rapporto paritetico», come ha detto Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio romano dello Ecfr. A livello geopolitico, secondo l’esperto, il piano arriva alla sua implementazione in un momento in cui in particolare l’Africa sta vivendo una nuova ondata anticoloniale della quale stanno risentendo le potenze europee. Per questo, ha spiegato, è un’opportunità per dare nuovo slancio al loro posizionamento.
Cambio di paradigma rispetto a logiche di aiuto ed estrattivismo neocoloniale
Il Global Gateway, nell’idea delle istituzioni europee, oltre a rafforzare l’autonomia strategica dell’Ue in politica ed economia, dovrebbe infatti rappresentare un cambio di paradigma netto nei rapporti con il Sud del mondo rispetto sia alle logiche dell’aiuto che dell’estrattivismo neocoloniale. In quest’ottica, ancora secondo Procopio, il Global Gateway «è un’occasione per inaugurare un nuovo modello di cooperazione che risponda meglio alle necessità africane mantenendo saldi gli interessi europei». Sarà il “volto esterno” dell’Unione per proporre uno sviluppo più sostenibile e reciprocamente conveniente per le parti. Per Antonio Parenti, direttore della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia, il piano rappresenterà anche un tentativo di rispondere in modo globale alle sfide di oggi, ma non in ordine sparso come fatto finora in ambito di politiche di sviluppo. Altro passo cruciale sarà poi quello di favorire l’apporto del settore privato con l’apertura di mercati per aziende italiane ed europee soprattutto in Africa.
I partner della Cina pagano un pezzo alto su indebitamento e sostenibilità
Von der Leyen, aprendo il forum di Bruxelles, ha spiegato che «Global Gateway significa dare ai Paesi una scelta, e una scelta migliore, senza condizioni scritte in piccolo», sostenendo che in molti casi, in cambio dello sviluppo infrastrutturale promesso, questi pagano un prezzo alto in termini di indebitamento, diritti dei lavoratori, sostenibilità ambientale e sovranità nazionale. Il riferimento è ovviamente al modus operandi della Cina che ha festeggiato i risultati della sua Belt and Road Initiative da quasi 1 trilione di dollari con un vertice a cui hanno partecipato, tra gli altri, anche il presidente russo Vladimir Putin, il primo ministro ungherese Viktor Orban e diversi leader africani. Nonostante la scala minore degli investimenti promessi e il ritardo ormai di 10 anni con l’iniziativa di Pechino, il forum di Bruxelles ha assistito alla firma di ulteriori accordi per 3,2 miliardi di euro tra Africa, Asia e vicinato europeo. Tra questi, l’Ue ha siglato partnership su materie prime con la Repubblica Democratica del Congo e lo Zambia. Inoltre, secondo Josep Borrell, il capo della politica estera europea intervenuto durante il secondo giorno del vertice, altri 100 progetti saranno annunciati entro la fine del 2023.
Perplessità e critiche: rischio di un colonialismo 2.0
L’ambizioso piano, come si vede da questi sviluppi, è in divenire, ma non sono mancate in questi mesi perplessità e critiche. Alcuni Paesi si sono per esempio lamentati del fatto che le offerte dell’Ue non vengono decise in coordinamento con le autorità statali e non tengono conto delle reali esigenze locali. D’altra parte nel Global Gateway Business Advisory Group, il gruppo che comprende 60 delle più grandi aziende europee, tra cui Total Energies, Volvo, Bayer e Sparkle come unica italiana, non compare però alcuna impresa pubblica o privata dei Paesi del Sud del mondo. Jean Saldanha, direttrice della Rete europea sul debito e lo sviluppo (Eurodad), citata da EuObserver, ha criticato a questo proposito la mancanza di impegni chiari a investire nella creazione di valore nei Paesi ricchi di risorse, paventando un colonialismo 2.0. Molto meno netta l’analista Procopio che, collegata da Bruxelles con Roma, ha sottolineato però il bisogno di «maggiore coordinamento, dialogo e collaborazione tra istituzioni e privati».