Daily Archives: 11 Novembre 2023

Raisi ai leader musulmani: «Tutti devono decidere da che parte stare»

Dopo le notizie sull’assedio agli ospedali della Striscia, in particolare all’al-Shifa, nelle ultime ore, Israele ha annunciato che il corridoio umanitario che dal Nord della Striscia porta a Sud sarebbe rimasto aperto fino alle 16, per consentire alla popolazione di mettersi in salvo. Intanto, il leader di Hezbollah Nasrallah ha fatto le prime dichiarazioni nel pomeriggio di sabato 11 novembre, mentre a Riad si è tenuto il vertice Oci-Lega Araba a margine del quale si è svolto il colloquio tra il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, e l’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman.

Raisi, Stato palestinese dal fiume al mare unica soluzione

«L’unica soluzione a questo conflitto è la resistenza continua contro l’oppressione israeliana fino alla creazione dello Stato palestinese dal fiume al mare». Lo ha detto il presidente iraniano Ibrahim Raisi al vertice dei leader arabi e musulmani in corso a Riad. «Oggi tutti devono decidere da che parte stare», ha aggiunto, invitando ad armare i palestinesi. Raisi ha chiesto anche sanzioni, un boicottaggio energetico contro Israele e che siano inviati ispettori internazionali presso gli impianti nucleari israeliani.

Nasrallah, continueremo a mettere pressione a Israele

«Continueremo a mettere pressione a Israele tenendo aperto il fronte di guerra col nemico israeliano dal sud del Libano». A dichiararlo il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. «L’Iran sostiene chiaramente la resistenza (anti-israeliana) e questo ora è chiaro a tutti. La sostiene con denaro, mezzi, armamenti e la sostiene politicamente. Nonostante le minacce degli Stati Uniti, l’Iran continua a sostenere tutti i movimenti di resistenza nella regione», ha aggiunto. Nel suo secondo discorso pubblico, trasmesso in diretta tv, dall’inizio della guerra in Medio Oriente, il leader di Hezbollah ha inoltre affermato che «Il nemico ha mostrato la sua vera natura. Uno degli obiettivi principali del nemico (israeliano) va oltre la vendetta. Vogliono sottomettere i palestinesi, i libanesi e tutte le popolazioni della regione».

Ucciso comandante Hamas, nascosto in una scuola

In un raid, l’esercito israeliano – su indicazioni dell’intelligence e delle truppe sul terreno – ha ucciso Ahmed Siam, comandante di compagnia del Naser Radwan Company di Hamas. Lo ha fatto sapere il portavoce militare ricordando che due giorni fa era stato annunciato che Siam teneva come ostaggi circa 1.000 abitanti di Gaza nell’ospedale Rantisi e aveva impedito loro di evacuare verso sud. «Siam» – ha specificato – «è stato ucciso mentre si nascondeva all’interno della scuola Al Buraq insieme ad altri terroristi» e questo dimostra «ancora un volta l’uso di Hamas dei civili come scudi umani a fini di terrorismo».

Zverev, la narrazione di un amore tossico e l’inerzia del mondo del tennis

Le storie sono come le raccontiamo. E il racconto della storia fra il tennista tedesco di origine russa Alexander Zverev e la sua ex compagna, la modella tedesca di origini rumene Brenda Patea, svela tinte cupe dopo che a suo tempo era stata narrata come un idillio. Entrambi belli e di successo, felicissimi nel racconto che se ne faceva quando tutto iniziava. Il racconto di un mondo perfetto, per come ce lo restituisce il web grazie al repertorio di documenti filtrato per data. Era il 2019 e a distanza di quattro anni il mondo perfetto dei due è uno specchio incrinato.

Zverev, la narrazione di un amore tossico e l'inerzia del mondo del tennis
Zverev con la ex fidanzata Brenda Patea (Getty).

La storia idilliaca tra Zverev e Patea cambia improvvisamente registro

Lei denuncia lui di violenza, un tribunale tedesco le dà ragione e obbliga lui a una pesante multa, lui contesta la decisione del tribunale. Ma intanto tornano dal passato altri casi di maltrattamento di cui Zverev sarebbe stato protagonista. E la storia idilliaca cambia registro per convertirsi in un incubo. Materiale torbido, ma ancora una volta buono per la narrazione pubblica. Perché abbiamo voluto a tutti i costi che gli atleti di vertice fossero anche personaggi, protagonisti di amori da copertina. E quando la storia d’amore si converte in storia d’orrore, ecco che rimane la copertina ma cambia il genere del racconto: dalla cronaca rosa alla cronaca nera. L’elogio del riuso, pura economia circolare dell’informazione.

Zverev, la narrazione di un amore tossico e l'inerzia del mondo del tennis
Brenda Patea, la ex fidanzata di Zverev (Getty).

La scoperta della gravidanza e il tennista tenuto lontano dalla figlia 

Erano i primi di dicembre 2019 quando la storia fra i due cominciava. Belli, felici, immortalati in decine di foto pubblicate sui social e presto riprese anche dalle testate web specializzate in informazione tennistica. Che a loro volta devono reggere alla dura legge del web e dare la caccia ai clic, sicché non possono parlare soltanto del lato agonistico. E allora avanti con la cronaca rosa, col gossip, con le foto delle bellissime purché vi sia un vago appiglio col tema tennistico. Ma era soprattutto il racconto del campione che si avviava verso un nuovo equilibrio esistenziale ciò che adesso risulta interessante leggere. Chi scriveva sapeva nulla di come davvero andassero le cose fra i due, né poteva immaginare quali derive avrebbe affrontato il rapporto. Giorni felici che precedevano di poco l’incubo della pandemia. E i giorni cupi sarebbero arrivati immediatamente, dato che nel giro di nemmeno un anno la storia fra i due si sarebbe conclusa. Male. Talmente male che quando lei scoprirà di essere incinta di lui, ne darà annuncio aggiungendo che il padre non si sarebbe occupato della figlia nascitura.

Zverev, la narrazione di un amore tossico e l'inerzia del mondo del tennis
Brenda Patea sugli spalti ad assistere a una partita di Zverev (Getty).

Olga Sharypova tra tentato soffocamento e istigazione al suicidio

Non era ancora stata resa nota la storia delle presunte violenze di Zverev su Patea quando si sono diffuse le notizie su un precedente e burrascoso rapporto fra lo stesso tennista e una collega. Lei è Olga Sharypova, partner di lui per circa due anni. Nel corso di un’intervista rilasciata alla rivista Slate la tennista ha accusato Zverev di averla aggredita più volte, di aver provato a soffocarla con un cuscino, di averla indotta a due tentativi di suicidio.

Zverev, la narrazione di un amore tossico e l'inerzia del mondo del tennis
Anche un’altra ex di Zverev, la tennista Olga Sharypova, lo ha accusato di maltrattamenti (Getty).

L’Atp lo ha assolto perché non sono emerse prove sufficienti

Chi cercasse sul web quell’intervista troverà una pagina bianca, accompagnata da due laconiche righe con cui si avvisa che l’articolo è stato rimosso in seguito a un’ingiunzione d’emergenza avanzata da una corte tedesca, contro la quale Slate ha presentato ricorso. In quella circostanza il Guardian stigmatizzò l’inerzia del mondo del tennis, che se ne stava a guardare senza intervenire. Era ottobre 2021, due mesi prima Zverev aveva vinto l’oro Olimpico a Tokyo. L’Atp (associazione internazionale dei tennisti professionisti) ha emesso il verdetto soltanto a fine gennaio 2023, assolvendo Zverev perché da un’investigazione indipendente non erano emerse prove sufficienti.

La giustizia tedesca ha inflitto a Zverev una multa da 450 mila euro

Brenda Patea ha accusato Alexander Zverev di essere geloso in modo patologico. Stando alla versione di lei, le controllava ossessivamente il telefono e avrebbe tentato di strangolarla a causa di un like messo da lei via social. Lui nega, ma intanto la Corte distrettuale di Berlino ha dato ragione a lei infliggendo al tennista una multa da 450 mila euro. E a margine della sentenza è emersa anche una presunta offerta di Zverev a Patea affinché la vicenda venisse messa a tacere: un accordo di riservatezza da sigillare col versamento di 100 mila euro e di un sonante assegno mensile. Accordo rifiutato. E chissà cosa ne penserà adesso l’Atp. La sola certezza è che la vita sentimentale di Zverev non si ferma. La sua ultima conquista è l’attrice e influencer Sophia Thomalia, ex compagna del portiere Loris Karius (che a sua volta è l’attuale compagno di Diletta Leotta). Che dire? Buona fortuna.

 

Manifestazione del Pd a Roma, Elly Schlein al suo arrivo: «L’alternativa è qui»

«La piazza è strapiena e ancora stanno arrivando dei pullman». Secondo fonti del Pd, sono circa 50 mila le persone che si sono ritrovate in piazza del Popolo a Roma. Dopo cinque anni, il Pd torna in piazza in una grande manifestazione nazionale che nelle intenzioni vuole rinsaldare i legami con il proprio “popolo”, come ha detto Elly Schlein, dopo “le fratture e le ferite degli anni scorsi”. Rinsaldare, ma anche costruire un’alternativa al governo di centrodestra: «Una piazza meravigliosa. Guardate che partecipazione, l’alternativa è qui intorno a noi», ha detto la segretaria del partito.

Al suo arrivo Schlein è stata accolta da una piazza gremita di militanti che le hanno rivolto un applauso con il coro “Elly, Elly, Elly”. Per loro, i suoi ringraziamenti: «Grazie a chi, in queste ore, sta arrivando da tutte le parti d’Italia a Roma in piazza del Popolo per dar vita a una piazza per la giustizia sociale e per la pace, per un futuro più giusto», ha dichiarato. «Un saluto e un applauso alle forze di opposizione che sono venute a trovarci», ha aggiunto salendo brevemente sul palco, sotto al quale erano presenti il presidente del M5s, Giuseppe Conte, i leader dei Verdi Angelo Bonelli e di Si Nicola Fratoianni. Per l’occasione sono stati mobilitati 175 pullman e 7 treni speciali: coinvolti anche 150 volontarie e volontari.

Morto Nino Strano, fu deputato e senatore del centrodestra

È morto nella mattinata di sabato 11 novembre a Catania l’ex deputato e senatore Nino Strano. Aveva 73 anni e da tempo era malato. Entrato nel consiglio Comunale di Catania dove venne eletto nel Msi nel 1976, era restato in Aula fino al 1993. Nello stesso anno, si candida alla presidenza della provincia di Catania alle prime elezioni dirette e, senza il sostegno di alcuna lista, ottiene il 13 per cento dei voti.

Festeggiò la caduta del secondo governo Prodi mangiando pubblicamente della mortadella

Dal 1994 è stato deputato e assessore alla Regione Siciliana e viene riconfermato fino al 2001 con Alleanza nazionale. In quell’anno è eletto alla Camera nelle liste di An, mentre nel 2006 conquista un seggio al Senato. Il 24 gennaio 2008, in occasione della caduta del secondo governo Prodi, durante il dibattito a Palazzo Madama all’annuncio dell’avvenuta sfiducia da parte del presidente Marini, celebrò platealmente la caduta dell’esecutivo di centrosinistra insieme al collega Domenico Gramazio, stappando una bottiglia di spumante e facendo mostra di mangiare della mortadella, scusandosi poi dell’accaduto.

Francesco Guccini presenta il nuovo disco e dedica Bella Ciao alle ragazze iraniane

Si intitola Canzoni da osteria il nuovo album di Francesco Guccini presentato venerdì 10 novembre all’università statale di Milano. Ad aprire il disco, la canzone Bella ciao, intonata per l’occasione dal coro Alpino Orobica: «L’ho scelta perché è diventata una canzone misteriosamente internazionale. Non solo è nella serie La casa di carta ma è anche diventata il simbolo della protesta della donne iraniane contro la teocrazia iraniana. Volevo fare un omaggio a loro». Nel testo, aggiunge, «ho cambiato la parola invasor con quella di oppressor. A 83 anni, non mi metteranno in galera».

Canzoni da osteria è una raccolta di canti popolari e brani ispirati al repertorio nazionale e internazionale. Il tutto rivisitato in chiave personale. «Quella che mi descrive come esperto di osterie» – ha detto Guccini all’Ansa – «è solo una leggenda. Ne ho frequentate poche ma a cominciare dagli anni dell’università, in quella Bologna di allora dove si incontravano studenti americani, greci e di altre nazionalità. Poi capitava anche di incontrare Lucio Dalla e la sua banda, così come tanti altri».

Quattordici le tracce che attraversano cultura, tradizioni, storia, ma anche l’amore, con gli arrangiamenti di Fabio Ilacqua, che ha seguito anche la produzione artistica dell’album, affiancato da Stefano Giungato. Tra i titoli inseriti nell’album, c’è Hava nagila, in ebraico. «Quando ho inserito la canzone nella scaletta» – ha commentato – «non era ancora cominciata questa orrenda guerra. Ho amici di Medici Senza Frontiere che sono stati in Israele e in televisione vedo solo persone che si dividono in tifoserie per una parte o l’altra, dimenticando chi sta nel mezzo e soffre».

Moana Pozzi e il racconto della madre: dall’infanzia ai primi film fino alla malattia

«Mai capricciosa. Buona, giudiziosa, dove la mettevi stava. Soffrivo di mal di gola. Moana metteva un dado nel pentolino con l’acqua. “Tranquilla, mammina, ti preparo il brodo”». In un’intervista al Corriere della Sera, Rosanna Alloisio, la mamma  82enne dell’attrice Moana Pozzi, descrive così la figlia, quando era ancora una bambina. «Al prete quel nome non piaceva, non voleva battezzarla. Per convincerlo ho aggiunto Anna e Rosa, come le nonne» riferisce ripercorrendo le tappe della vita di Moana.

«Non devo perdonarla di niente»

«Le ripetevo: “Non spogliarti, non li fare quei brutti film”» prosegue la donna rispondendo alle domande del giornalista. «Dio sa se ci ho provato a convincerla, non c’è stato santo. “Mammina, non ti arrabbiare, tanto lo so che mi vuoi bene lo stesso. In fondo non piacciono nemmeno a me”. E rideva, aveva denti bellissimi. “Come sei antica. Anche le statue sono nude. Metteresti il reggiseno pure a Paolina Bonaparte”. Litigavamo. Le passava subito. “Quelle parole cattive che ti ho detto, dimenticale, non ne pensavo nemmeno una”. Impossibile non amarla».

Il trasferimento a Roma a 18 anni

La donna ricorda  quando la figlia a 18 anni si trasferì a Roma per studiare recitazione: «Noi eravamo di stanza a Bracciano. C’era un alberghetto lì vicino. Vennero a girarci una commedia con Edwige Fenech. Moana passò, la notarono. “Bella come sei, potresti fare del cinema”. Ero contraria. “Prima finisci di studiare”. Cominciò a posare come modella per i pittori. Qualche particina, la tv. Noi sempre in trasferta, ci si vedeva poco o niente. Non so come o dove, un giorno purtroppo incontrò quello Schicchi. Ed entrò in quel mondo orribile. “Perché lo fai? Non ti rendi conto, finirai nel baratro”. Glielo spiegai in tutte le lingue. Però anche la migliore delle madri alla fine si stanca. “Non ti preoccupare, mamma, poi smetto”». Con i primi guadagni, prosegue, «comprò un piccolo appartamento dietro San Pietro, con un terrazzo pieno di fiori. E un attico sulla Cassia, pareva la casa di una principessa. Andavamo a pregare sulla tomba di Papa Roncalli, il suo preferito. Era molto religiosa».

Il rapporto con Bettino Craxi

Rosanna Alloisio alla domanda se avesse mai guardato un suo film risponde: «No, per l’amor del cielo, non potrei sopportarlo, mi sentirei malissimo». Sul rapporto con Bettino Craxi «non erano solo amici. Lui non mi piaceva. “Come fai a stare con quel vecchiaccio?”. “È intelligente, gentile, si prende cura di me”. “Ti credo”, pensavo. Cercava la figura paterna che non ha avuto. Per mio marito io e le figlie eravamo soltanto una scocciatura, questa è la verità. Una volta Moana tornò a casa con una maglietta da uomo, enorme. “Me l’ha lasciata Bettino”. “Oddio, sembra quella di un ippopotamo”. “Dai, mamma, cosa importa?”. Lui diventò geloso, lei frequentava altri. Si sono lasciati».

La malattia: «Vedrai mi curo e guarisco»

Durante l’intervista al quotidiano, la mamma di Moana racconta le prime avvisaglie della malattia: «Era quasi Pasqua. Moana tornò a casa. Mi chiedeva sempre di prepararle i ravioli di carne e la cima alla genovese in brodo. “Mettici tanta maggiorana”. Quella volta però non toccò cibo. “Sono due mesi che ho sempre la nausea, se mangio vomito, mi sale la febbre. Sono stata in Africa, forse ho preso un virus”. Aveva gli occhi un po’ gialli. I dottori dicevano che era un’epatite mal curata. La convinsi a fare qualche accertamento a Lione con un medico nostro amico. Le hanno trovato il tumore al fegato. Però era fiduciosa. “Vedrai, mi curo e guarisco”. Voleva vivere. In sette mesi se n’è andata». Quando è morta era serena, ancora bella, le ciglia lunghissime. “Non metto nemmeno il mascara”. Sembrava che dormisse».

Indi Gregory, anticipato il distacco delle macchine: rifiutato l’appello dei genitori

Verranno staccati alle ore 11 inglesi, ovvero le 12 italiane, i macchinari che tengono in vita Indi Gregory. Lo ha reso noto l’avvocato Simone Pillon, che segue gli sviluppi legali italiani della vicenda. Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus, chiede un accordo bilaterale tra l’Italia e il Regno Unito: «Ringraziando il governo italiano per tutto ciò che ha fatto per provare a salvare la vita della piccola Indi. Auspichiamo la promozione in tempi brevi di un accordo politico istituzionale bilaterale tra Italia e Regno Unito che permetta in futuro ai genitori che lo vogliano di portare i loro figli malati a essere curati in Italia per evitare vicende simili a questa».

La sentenza e il distacco

Nell’ultima udienza i giudici inglesi avevano fissato come termine per il distacco dei dispositivi vitali lunedì 13 novembre, ma successivamente, è stato precisato dai legali della famiglia che l’interpretazione corretta della sentenza indica che il distacco sarebbe stato effettuato il prima possibile.

 

Elly Schlein e “le promesse tradite” del governo Meloni

«Non si può ragionare a compartimenti stagni. Le persone non decidono di avere un solo problema. E spesso i più colpiti dalle diseguaglianze, dai tagli alla sanità e alle pensioni, dall’assenza di politiche per il cambiamento climatico sono sempre gli stessi: i più deboli». Sono le parole della segretaria del Pd Elly Schlein, che, intervistata da Repubblica, risponde alla domanda del giornalista sulle critiche legate a una “piattaforma di rivendicazioni troppo ampia”, con particolare riferimento alla prima manifestazione nazionale convocata dal Pd di Elly Schlein per sabato 11 novembre in piazza del Popolo, a Roma.

«Meloni ha fallito, serve un’alternativa credibile»

«A cosa serve avere una presidente del Consiglio che non si batte, con le sue scelte, per migliorare le condizioni di vita delle donne?», prosegue la segretaria. «Siamo l’unico paese dell’Ocse in cui i redditi famigliari sono diminuiti e il governo non fa nulla per il caro vita, per il caro energia e il caro bollette. E questi sarebbero quelli a favore della famiglia?». Schlein, che parla di “promesse tradite” da parte dell’attuale governo, aggiunge: «La Meloni ha fallito e noi sentiamo la responsabilità di costruire un’alternativa credibile e vincente. Dobbiamo unire le forze ma sui temi concreti, come quelli che portiamo oggi in piazza, e non sulle formule».

«Manovra iniqua che colpisce tutte le generazioni»

Sulla recente legge di bilancio in esame del governo Meloni, la segretaria sottolinea: «La realtà è che questa manovra è profondamente iniqua e riesce a colpire tutte le generazioni. Le nonne e i nonni sulle pensioni e la sanità, colpisce le madri e i padri aumentando le tasse sui pannolini, sui prodotti per la prima infanzia e persino sugli assorbenti, tradisce la promessa sui nidi gratuiti e non migliora le condizioni di vita delle famiglie e delle donne. E, infine, colpisce anche le figlie e i figli, perché non c’è nulla sul diritto allo studio, sul diritto alla casa e sul clima». Schlein, sull’ipotesi di tensioni in piazza del Popolo, non mostra preoccupazioni: «La posizione del Pd è molto chiara e chiede il cessate il fuoco umanitario per portare gli aiuti umanitari a Gaza, la protezione dei civili, il rilascio degli ostaggi e la ripresa del percorso di pace “due popoli, due Stati” con il sostegno della comunità internazionale. Siamo tutti d’accordo su questa piattaforma».

Viterbo, esplode una palazzina con richiedenti asilo: numerosi i feriti

Si è verificata nella notte tra venerdì 10 e sabato 11 novembre, la violenta esplosione che ha completamente distrutto la palazzina che ospitava la casa accoglienza della società Ospita nella zona industriale di San Lorenzo Nuovo, in provincia di Viterbo. Il pm di turno ha effettuato un sopralluogo: i magistrati procedono per il reato di disastro colposo.

Travolte le 31 persone all’interno

L’edificio, come riporta l’Ansa, è collassato su se stesso travolgendo le 31 persone che si trovavano alloggiate nei mini appartamenti al suo interno. Si tratta di richiedenti asilo, per la maggior parte uomini, ma anche donne senza bambini. Tutti gli ospiti della struttura sembra siano rimasti feriti in maniera non grave, tranne uno di loro che è stato trasportato in elicottero a Roma, dove si trova ricoverato in coma e intubato.

Gravi danni alle strutture adiacenti

A causa dell’esplosione della palazzina, sono andate distrutte anche la falegnameria e l’azienda vinicola adiacenti alla struttura. Sul posto sono giunti tre elicotteri del 118, che hanno trasportato i feriti negli ospedali di Viterbo, Montefiascone, Siena e Roma. Presenti anche varie unità di vigili del fuoco da Viterbo e Tarquinia.

Il prefetto: convocata riunione d’emergenza

Mentre restano ancora sconosciute le cause che hanno innescato l’esplosione, il prefetto di Viterbo Antonio Cananà ha convocato per il pomeriggio di sabato 11 novembre una riunione d’emergenza per fare chiarezza sull’accaduto. Gli amministratori di Ospita hanno spiegato che “all’interno della struttura non esistevano impianti a gas, sia per il riscaldamento sia per l’uso cucina” aggiungendo: «Dovremo appurare le origini dell’esplosione, noi ci riteniamo parte lesa».

 

Accerchiato l’ospedale al-Shifa a Gaza City, interrotte le comunicazioni

Mentre si è giunti al 36esimo giorno di guerra, sono sotto assedio gli ospedali della Striscia, in particolare quello di Al-Shifa, con cui si sono interrotte le comunicazioni. Secondo Israele, Hamas usa l’ospedale, dove si troverebbero alcuni ostaggi, per nascondere l’ingresso a una rete di tunnel militari da cui opererebbe il leader dell’organizzazione, Yihya Sinwar. Nella notte, l’esercito israeliano ha stretto l’assedio ad altri due ospedali, che, come riferito da Haaretz, sarebbero il Rantisi e il Nasser. Atteso per sabato 11 novrembre in Arabia Saudita, il vertice straordinario tra Lega Araba e Organizzazione della Cooperazione Islamica “in risposta alle circostanze eccezionali che si stanno verificando a Gaza“. Intanto sono saliti a oltre 11 mila i morti palestinesi, secondo Hamas; 1.200 quelli israeliani.

L’appello di Medici Senza Frontiere

«Al momento non siamo in grado di contattare nessuno del nostro personale all’interno di Al Shifa e siamo estremamente preoccupati per la sicurezza dei pazienti e del personale medico», ha riferito l’organizzazione Medici Senza Frontiere.

Ostaggi israeliani nell’ospedale Al-Shifa

Secondo quanto dichiarato da un alto funzionario israeliano al Wall Street Journal, gli ostaggi israeliani potrebbero essere tenuti da Hamas sotto l’ospedale Al-Shifa e questo rende difficile per l’esercito operare nel complesso.

Raid israeliani nel Sud del Libano

Nelle prime ore della mattinata di sabato 11 novembre, le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno attaccato vicino al fiume libanelise Zahrani, a circa 40 chilometri dal confine settentrionale di Israele. Lo riferiscono fonti libanesi citate dal quotidiano Haaretz.

Israele, conquistati 11 posti di comando di Hamas

L’esercito israeliano ha affermato di aver preso il controllo di 11 posti di comando di Hamas. Nella notte, le forze della brigata Nahal hanno distrutto i tunnel di attacco che si trovavano in prossimità di una scuola. I soldati hanno inoltre distrutto obiettivi della forza navale di Hamas ed eliminato un commando di miliziani che stava per ingaggiare i soldati della brigata Givati.

Raisi: «È il momento di agire e non di parlare»

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha accusato gli Stati Uniti di «impedire il cessate il fuoco» nella guerra tra Hamas e Israele e di «fornire carburante per la guerra». Recandosi al vertice arabo-islamico a Riad, Raisi ha aggiunto che «non è più il momento di parlare, è quello di agire».

 

Ma Geronimo La Russa la conosce la storia antifascista del Piccolo di Milano?

Di primo acchito c’è una considerazione che ormai appare talmente usurata da non meritare nemmeno le pagine dei giornali: perché i consigli di amministrazione dei teatri tengono in pancia personalità politiche che nulla hanno a che vedere con lo spettacolo, l’arte e la cultura? Sembra un’utopia ma nella fame di poltrone ormai diamo per scontato che l’ex parlamentare, l’assessore sconfitto, il sindaco decaduto o – ancora peggio – il familiare di qualche politico occupino quei posti. Non fa eccezione Geronimo La Russa – figlio di cotanto padre – entrato nel consiglio di amministrazione del Teatro Piccolo di Milano. E fa specie che un profilo così venga tenuto in considerazione per un luogo di quella levatura, anche quando si tratta di cognomi meno altisonanti e visibili.

Ma Geronimo La Russa la conosce la storia antifascista del Piccolo di Milano?
Geronimo La Russa (Imagoeconomica).

L’incontro tra Strehler e Grassi in corso Buenos Aires

Poi c’è la storia. E la storia del Piccolo a Milano è la storia di quello che sono stati Paolo Grassi e Giorgio Strehler. È del 1933 il discorso tenuto da Benito Mussolini presso la Società Italiana degli Autori, in cui invita i drammaturghi a risollevare le sorti del teatro nazionale, facendosi espressione delle grandi passioni collettive. Paolo Grassi aveva 14 anni e solo dopo tre anni dopo viene assunto senza paga come assistente di Angelo Frattini, autore insieme a Dino Falconi della rivista musicale Bertoldissimo. Nel febbraio del 1938 si presenta a Giorgio Strehler a una fermata del tram, in corso Buenos Aires a Milano: «Senta, io la vedo sempre a teatro, evidentemente è una sua passione. Tanto vale che io mi presenti, che ci conosciamo e che ci frequentiamo, visto che abbiamo in comune questo amore. Io mi chiamo Paolo Grassi. […] E io, Giorgio Strehler».

Ma Geronimo La Russa la conosce la storia antifascista del Piccolo di Milano?
Giorgio Strehler nel 1976 (Getty Images).

Grassi cacciato dal GUF e Strehler nella Resistenza

Come racconta Valentina Garavaglia nel suo articolo Tra utopia e riformismo, il teatro pubblico di Paolo Grassi e Giorgio Strehler nel 1941 Grassi mette in scena al Teatro dell’Arte di Milano L’ultima stazione di Beniamino Joppolo e lo spettacolo è un successo, ma un successo scomodo, tanto che su Secolo Sera il critico Gianluigi Gatti, responsabile del GUF, rende nota l’espulsione di Grassi dal gruppo universitario fascista di Milano per attività estranee al gruppo stesso. Anche Strehler, che si era diplomato ai Filodrammatici nel 1940 e nel frattempo aveva girato l’Italia intera recitando in compagnie di tradizione e in gruppi di teatro sperimentale, aveva prestato servizio militare come sottotenente di fanteria, ma dopo l’8 settembre 1943, apertamente antifascista, non aderisce alla Repubblica di Salò e si unisce alla Resistenza. Sotto esortazione del Comitato di Liberazione Nazionale si rifugia in Svizzera ed è proprio a Ginevra, dove incontra e frequenta esponenti di spicco del mondo politico e culturale italiano, quali Luigi Einaudi, Amintore Fanfani, il regista Dino Risi, che Strehler ha modo di coltivare la sua irrefrenabile passione per il teatro, che si intreccerà nuovamente con quella di Paolo Grassi al termine della guerra.

Ma Geronimo La Russa la conosce la storia antifascista del Piccolo di Milano?
Il Piccolo in via Rovello, 2 a Milano.

Geronimo La Russa conosce la storia del teatro? 

Una lapide all’esterno sulla facciata dell’edificio in cui oggi si trova il Piccolo Teatro, in via Rovello 2, collocata dall’Anpi il primo aprile del 1995 recita: «Qui tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 hanno subito torture e trovato la morte centinaia di combattenti della libertà prigionieri dei fascisti. Il Piccolo Teatro ha fatto di questo edificio un centro e un simbolo della rinascita culturale e della vita democratica di Milano». In quel teatro, primo teatro stabile di prosa pubblico in Italia, Grassi e Strehler in sintonia con il sindaco di Milano, il socialista Antonio Greppi, aprono il 14 maggio del 1947 con la messa in scena de L’albergo dei poveri, di Maxim Gor’kij, per la regia di Strehler stesso. La scelta dello spettacolo d’apertura non è ovviamente casuale. Lì dentro c’è l’idea del ‘teatro del popolo’, un teatro inteso come pubblico servizio, costruito sul modello gramsciano, inteso come un fenomeno culturale necessario alla collettività. Quindi la domanda è spontanea: le sa queste cose Geronimo La Russa? E soprattutto, che c’entra?

L’11 novembre 1994 usciva T’appartengo di Ambra, ma a noi non importava un granché: il racconto della settimana

«Ricordati che domani suoni da noi», leggo sul display dell’iPhone mentre, immerso nei miei pensieri più tetri, faccio scorrere tra le mani i titoli dei vinili che ho ordinato da Serendeepity: Fly Or Die Fly Or Die Fly Or Die, il disco postumo di Jaimie Branch pubblicato da International Anthem, il live di Mac Miller registrato per Tiny Desk del 1998, Purple Rain di Prince del 1984, Thriller di Michael Jackson del 1982, Maggot Brain dei Funkadelic del 1971 e Synchronicity dei Police del 1983. Ultimamente hanno ripreso a chiamarmi in parecchi per mettere la musica in giro. Solo nell’ultimo mese ho messo i dischi a matrimoni, feste aziendali, vernissage, compleanni di locali, eventi patrocinati dal Comune. Ho suonato di tutto: dal jazz al rap, dal rock al funk, dall’elettronica ai classici di musica italiana.

Ambra cantava T’appartengo ma tutti noi per lo più la ignoravamo, perché da qualche mese si era sparato Kurt Cobain ed eravamo tutti in fissa con i Nirvana o al massimo con i Green Day, che erano appena usciti con Dookie, il disco che conteneva Basketcase, il pezzo in assoluto che andava in loop dai nostri stereo

Una sera però a una festa, assediato da un gruppo di quarantenni ubriache che avevano ballato tutta la sera come delle ossesse, come ultimo disco della serie, ormai sfinito dalle loro continue richieste, per accontentarle e mandarle via, ho messo T’appartengo di Ambra e anche se l’ho tolta dopo un minuto e mezzo, devo ammettere che è stata un’umiliazione perché uno si danna l’anima per fare un percorso musicale adeguato, studia i cambi per infilare uno dopo l’altro dei pezzi che possano stare bene insieme l’uno con l’altro, e poi la gente vuole ascoltare Ambra. In fondo è sempre stato così, anche verso la fine degli Anni 90 quando mettevamo Smack My Bitch Up dei Prodigy o, che so, Born Slippy degli Underworld, le piste dei locali si svuotavano. La gente generalmente non capisce un cazzo. «La tua carriera da deejay stasera è finita dopo Ambra, Andre»,  mi ha detto una di loro, ridendo, mentre staccavo il jack delle cuffie del mixer.

T’appartengo uscì esattamente l’11 novembre del 1994, 370 mila copie vendute e tre dischi di platino, per il singolo cantato dall’ex stellina di Non è la Rai, all’epoca uno dei fenomeni televisivi di maggior successo del nostro Paese. Clinton era il presidente degli Stati Uniti, in Italia il premier era Silvio Berlusconi e Ruud Gullit, in rotta con l’allora mister del Milan Fabio Capello, aveva nuovamente lasciato Milanello e fatto le valigie per Genova, tornando alla Sampdoria. Ambra cantava T’appartengo ma io non me la cagavo più di tanto, perché c’era Jovanotti e Penso positivo, gli Articolo 31 pubblicavano Messa di Vespiri, i REM Monster, il loro album più punk-rock, e soprattutto c’era il britpop dei Blur e degli Oasis.

Ambra cantava T’appartengo ma tutti noi per lo più la ignoravamo, perché da qualche mese si era sparato Kurt Cobain ed eravamo tutti in fissa con i Nirvana o al massimo con i Green Day, che erano appena usciti con Dookie, il disco che conteneva Basket Case, il pezzo in assoluto che andava più in loop di tutti dagli stereo delle nostre camerette. Proprio questa settimana tra l’altro sono stato invitato al loro private concert per pochi intimi ai Magazzini Generali, dove la band ha dato un assaggio di quello che farà vedere l’anno prossimo, il 16 giugno all’Ippodromo, per il tour in programma di Saviors, il loro nuovo album in uscita il 19 gennaio 2024, a 30 anni da Dookie e a 20 da American Idiot. E la cosa devo dire mi ha fatto un certo effetto, un po’ perché non avevo mai visto dal vivo i Green Day e l’atmosfera era veramente rock e un po’ perché non entravo ai “Magazza” da almeno 20 anni. Enorme edificio ex industriale in zona sud i Magazzini Generali sono stati per quelli che hanno pressapoco la mia età uno dei locali più importanti della nostra giovinezza, un posto che i primi anni del 2000 era diventato una sorta di mecca di tutti i creativi, degli studenti e di una grande fetta della comunità gay milanese, oltre che teatro dei live underground più importanti che si tenevano in città. Ai “Magazza” si andava il mercoledì perché si entrava gratis, si andava il venerdì alla serata Jetlag, e si andava a sentire i Massive Attack, i Chemical Brothers o altri dj di fama internazionale come Carl Cox o Laurent Garnier.

L'11 novembre 1994 usciva T'appartengo di Ambra, ma a noi non importava un granché: il racconto della settimana
I Green Day ai Magazzini Generali.

Ambra cantava T’appartengo ma a noi non importava granché, perché al cinema uscivano contemporaneamente Pulp Fiction di Quentin Tarantino, Il Corvo con Brandon Lee, Clerks e Dellamorte Dellamore con Rupert Everett, (l’attore che aveva dato il volto al protagonista del nostro fumetto preferito, Dylan Dog, per cui tutti andavamo fuori di testa), un film bruttissimo che noi guardavamo solo per farci le seghe dato che Anna Falchi, il nostro sogno erotico estremo, recitava in un paio di scene completamente nuda. Ambra cantava T’appartengo ma a me non interessava, perché nel mio zaino insieme ai libri di poesia di Arthur Rimbaud c’era il romanzo di un giovane scrittore bolognese di nome Enrico Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, una storia che raccontava per filo e per segno quello che mi stava capitando esattamente in quel momento con Nicole, una mia compagna di classe di cui mi ero perdutamente innamorato.

Israele contro Al Jazeera tra censura, accuse di propaganda e libertà di stampa

Il governo di Israele è vicino a bloccare le trasmissioni della televisione qatariota Al Jazeera dal Paese citando motivazioni di sicurezza nazionale. L’emittente, che ha un ufficio locale a Gerusalemme, secondo le autorità israeliane sarebbe colpevole di una copertura troppo filo-palestinese della guerra in corso tra Tel Aviv e il gruppo islamista radicale Hamas nella Striscia di Gaza, diventando talvolta un veicolo della propaganda del movimento armato. Al Jazeera, inoltre, metterebbe a repentaglio la vita dei soldati israeliani filmandoli durante le sue trasmissioni in diretta, e dando così un vantaggio al nemico, ha sostenuto, tra gli altri, il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi.

In Israele pronte norme ad hoc per togliere Al Jazeera dalle tivù via cavo

Per questi motivi a ottobre il ministro ha fatto sapere di avere messo a punto alcune disposizioni straordinarie per contrastare il racconto di Al Jazeera della nuova escalation israelo-palestinese dopo l’attacco che Hamas ha compiuto in territorio israeliano il 7 ottobre. Karhi ha detto che le norme di emergenza per togliere Al Jazeera dalle tivù via cavo sono pronte e sono state condivise dal governo, dopo una discussione con il procuratore generale dello Stato Gali Baharav-Miara. Tra queste figurano quelle «per chiudere gli uffici, sequestrare le apparecchiature di trasmissione dei giornalisti, revocare i lasciapassare stampa governativi, negare le comunicazioni e i servizi internet» all’emittente.

Israele contro Al Jazeera tra censura, accuse di propaganda e liberta? di stampa
Il quartier generale qatariota di Al Jaazera (Getty).

L’emittente è accusata di provocare un danno alla sicurezza di Tel Aviv

Secondo i giornali israeliani il piano sarebbe appoggiato anche dalle agenzie di sicurezza israeliane. Tuttavia, l’oscuramento di Al Jazeera, se ci sarà, potrebbe richiedere del tempo. Intanto si attende il via libera da parte del ministro della Difesa Yoav Gallant che arriverà se verrà provato che le attività della rete causano un danno reale alla sicurezza dello Stato e non costituiscono solo propaganda. Dopodiché, la richiesta verrà sottoposta al gabinetto di sicurezza, un comitato ristretto di ministri creato per decidere su questioni di sicurezza nazionale, che sceglierà se procedere con lo stop al canale.

Timori internazionali su libertà di stampa e diritti civili

In seguito all’annuncio questa proposta ha ricevuto critiche da parte delle organizzazioni internazionali che difendono la libertà di stampa e i diritti civili. «Siamo profondamente preoccupati per le minacce dei funzionari israeliani di censurare la copertura mediatica del conflitto in corso tra Israele e Gaza, usando vaghe accuse», ha detto Sherif Mansour, che si occupa del Medio Oriente per il Comitato per la protezione dei giornalisti, Cpj. «Il Cpj esorta Israele a non bandire Al Jazeera e a consentire ai giornalisti di svolgere il loro lavoro. Una pluralità di voci nei media è essenziale per far sì che il potere renda conto, soprattutto in tempi di guerra», ha aggiunto. Al Jazeera è oggi uno dei pochi media con una presenza sul campo nella Striscia di Gaza e in Israele ed è responsabile di buona parte della copertura dell’assedio israeliano dopo che Tel Aviv ha vietato a chiunque di uscire o entrare da Gaza.

L’intreccio con il Qatar e la mediazione sugli ostaggi israeliani

Tuttavia, scrive il quotidiano israeliano Haaretz citando fonti politiche, Israele al momento sta temporeggiando non tanto per preservare la libertà di stampa, quanto «per evitare di indebolire gli sforzi di mediazione del Qatar per il rilascio degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas». Secondo una di queste fonti, però, il solo fatto di avere pronte norme di questo tipo rappresenta uno strumento che potrebbe servire a dissuadere Al Jazeera e altri canali dall’adottare una linea estremista nel loro racconto. A proposito di pressioni, anche il segretario di Stato statunitense Antony Blinken avrebbe chiesto al primo ministro del Qatar di ammorbidire la copertura di Al Jazeera sul conflitto, ha riportato il sito americano Axios, secondo cui il massimo diplomatico Usa si riferiva alla versione in arabo del canale televisivo. Al Jazeera è di proprietà dello Stato del Qatar anche se rivendica una sua libertà editoriale.

Israele contro Al Jazeera tra censura, accuse di propaganda e liberta? di stampa
La redazione di Al Jazeera in Qatar (Getty).

Relazioni tese con la destra di Israele sin dalla fondazione nel 1996

L’emittente, che si occupa della questione israelo-palestinese dalla sua fondazione nel 1996, ha da sempre un rapporto difficile con Israele e con una parte della sua politica in particolare. Il canale è stato spesso usato come bersaglio dalla destra israeliana. Negli anni diversi governi hanno chiesto prima il boicottaggio e poi la messa al bando di Al Jazeera a causa dei suoi servizi, senza però mai riuscirci.

L’uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh e la denuncia all’Aja

Anche alcuni gravi incidenti hanno segnato di recente le relazioni tra la tivù del Qatar e Israele. Nel maggio 2021, durante bombardamenti israeliani su Gaza, è stata colpita e distrutta la torre che ospitava gli uffici di Al Jazeera e di altri media internazionali come l’Associated Press. L’anno successivo, quando la reporter di Al Jazeera Shireen Abu Akleh è stata uccisa da un proiettile sparato mentre si trovava a Jenin, in Cisgiordania, Israele ha più volte negato un coinvolgimento dei suoi soldati, ma varie indagini hanno dimostrato che l’esercito aveva mentito. Nel dicembre 2022 Al Jazeera ha quindi denunciato Israele alla Corte penale internazionale dell’Aja per la morte della giornalista.

Israele contro Al Jazeera tra censura, accuse di propaganda e libertà di stampa
Un mural a Betlemme della giornalista di Al Jazeera uccisa Shireen Abu Akleh (Getty).

Il direttore dell’ufficio israeliano Walid al-Omari: «Ci perde solo una parte»

Ora i nuovi attacchi contro il canale e la minaccia, mai così concreta, di una chiusura sono conseguenze dirette di un clima esacerbato dei massacri del 7 ottobre, ma a perderci sarebbe solo Israele, ha detto al sito investigativo The Seventh Eye il direttore dell’ufficio israeliano di Al Jazeera Walid al-Omari. «Alla fine, se Al Jazeera viene chiusa qui, non significa che smetterà di trasmettere, ma che continuerà a trasmettere solo da un lato. Continuerà a farlo da Gaza».

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