Un’inchiesta realizzata dal Financial Times ha effettuato una stima dei danni causati dalla guerra in Ucraina sull’economia europea. Le perdite dirette delle società del Vecchio continente nel mercato russo ammontano ad almeno 100 miliardi di euro dall’inizio del conflitto. «Un’indagine sulle relazioni annuali e sui bilanci del 2023 di 600 gruppi europei», scrive il Ft, «mostra che 176 società hanno registrato svalutazioni di attività, oneri relativi ai cambi e altre spese una tantum a seguito della vendita, chiusura o riduzione di attività russe».
Gruppi petroliferi e gas in ginocchio, colpite anche le case automobilistiche
«La cifra aggregata non include gli impatti macroeconomici indiretti della guerra come l’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime. I settori con maggiori svalutazioni e oneri sono i gruppi petroliferi e del gas, dove solo Bp, Shell e TotalEnergies hanno riportato oneri combinati per 40,6 miliardi», riferisce il Ft aggiungendo che le perdite sono state controbilanciate da enormi profitti aggregati a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio e del gas. Le perdite delle società industriali, comprese le case automobilistiche, si sono attestate a 13,6 miliardi di euro. «Le società finanziarie, tra cui banche, assicurazioni e società di investimento, hanno registrato 17,5 miliardi di svalutazioni e altri oneri». Lo scorso 17 luglio anche la presidente della Bce, Christine Lagarde, aveva parlato dell’incidenza che la guerra aveva avuto sull’economia. «La guerra della Russia contro l’Ucraina ha scatenato un massiccio shock all’economia globale, specialmente ai mercati energetici e alimentari, e le economie dei Paesi dell’Europa centrale, orientale e Sud-orientale (Cesee) sono stati particolarmente esposti». Poi la numero uno della Bce dalla conferenza sui 21 Paesi Cesee, aveva concluso: «Le tensioni geopolitiche rischiano di accelerare il secondo cambiamento del panorama globale: indebolire il commercio globale».
La Svizzera non farà più parte dei paradisi fiscali. A deciderlo è il decreto med del 20 luglio pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 175 il 28 luglio che pone fuori il Paese dalla black list. Il ministro dell’Economia GiancarloGiorgetti dà dunque seguito a quanto stabilito dalla legge che recepisce la convenzione tra Roma e Berna contenente la nuova disciplina dei lavoratori frontalieri.
La Svizzera fuori dalla black list
Con l’uscita dalla black list da parte della Svizzera, ci saranno diverse novità. Per i contribuenti, nello specifico, vuol dire venire meno all’onere della prova sul trasferimento di residenza considerato fittizio dal Fisco se effettuato verso i paesi considerati come paradisi fiscali. Tra i vantaggi dell’uscita troviamo poi il mancato raddoppio delle sanzioni per le violazioni dell’obbligo del monitoraggio fiscale e dei termini di accertamento.
Gli altri Paesi della black list
Per un Paese che esce dalla black list, la Svizzera, molti altri rimangono nell’elenco dei paradisi fiscali previsto dell’art. 1 del Dm 4 maggio 1999 del Mef. Si tratta di: Alderney (Aurigny); Andorra (Principat d’Andorra); Anguilla; Antigua e Barbuda (Antigua and Barbuda); Antille Olandesi (Nederlandse Antillen); Aruba; Bahama (Bahamas); Bahrein (Dawlat al-Bahrain); Barbados; Belize; Bermuda; Brunei (Negara Brunei Darussalam); Costa Rica (Republica de Costa Rica); Dominica; Emirati Arabi Uniti (Al-Imarat al-‘Arabiya al Muttahida); Ecuador (Repuplica del Ecuador); Filippine (Pilipinas); Gibilterra (Dominion of Gibraltar); Gibuti (Djibouti); Grenada; Guernsey (Bailiwick of Guernsey); Hong Kong (Xianggang); Isola di Man (Isle of Man); Isole Cayman (The Cayman Islands); Isole Cook; Isole Marshall (Republic of the Marshall Islands); Isole Vergini Britanniche (British Virgin Islands); Jersey; Libano (Al-Jumhuriya al Lubnaniya); Liberia (Republic of Liberia); Liechtenstein (Furstentum Liechtenstein); Macao (Macau); Malaysia (Persekutuan Tanah Malaysia); Maldive (Divehi); Maurizio (Republic of Mauritius); Monserrat; Nauru (Republic of Nauru); Niue; Oman (Saltanat ‘Oman); Panama (Republica de Panama’); Polinesia Francese (Polynesie Francaise); Monaco (Principaute’ de Monaco); Sark (Sercq); Seicelle (Republic of Seychelles); Singapore (Republic of Singapore); Saint Kitts e Nevis (Federation of Saint Kitts and Nevis); Saint Lucia; Saint Vincent e Grenadine (Saint Vincent and the Grenadines); Taiwan (Chunghua MinKuo); Tonga (Pule’anga Tonga); Turks e Caicos (The Turks and Caicos Islands); Tuvalu (The Tuvalu Islands); Uruguay (Republica Oriental del Uruguay); Vanuatu (Republic of Vanuatu); Samoa (Indipendent State of Samoa).
Il primo agosto sul sito ufficiale dell’Olimpiade invernale Milano-Cortina 2026 è stata lanciata un’iniziativa che cambierà i destini della manifestazione: il cruciverba olimpico. Gli internauti vengono invitati a riempire uno schema di parole crociate sul tema delle olimpiadi e paralimpiadi invernali, e le risposte esatte verranno pubblicate la prossima settimana. Un tempo esagerato per le migliaia e migliaia di utenti che certamente staranno prendendo d’assalto il sito dell’organizzazione e rimarranno col fiato sospeso prima di sapere se avranno dato le risposte giuste. Per adesso si può soltanto compilare lo schema e mettersi in comoda attesa mentre si rimira l’hashtag #Estateitaliana, impresso accanto alla formula “Con Milano-Cortina”. Ciò che suona come un richiamo paradossale. E non soltanto perché, in materia di sport, l’estate italiana per eccellenza è stata quella di Italia 90, il mondiale di calcio che fu una delusione sportiva e un disastro in termini economico-finanziari e di eredità. C’è anche che l’estate rischia di essere la stagione di conforto per il solo fatto d’essere l’opposto dell’inverno. E poiché fra tre inverni l’olimpiade dovrà essere celebrata. Ecco che starsene coi piedi ben piantati dentro l’estate 2023 fa tanto l’effetto di sentirsi al sicuro. Magari trovando i lemmi giusti da mettere nelle caselle. Per esempio: “mancato rispetto dei programmi, fallimento degli impegni”, quattro lettere, iniziale “F”.
La vittoria del dossier italiano quasi senza avversari
Quando a giugno 2019 la candidatura avanzata dal Coni al Comitato Olimpico Internazionale (Cio) venne approvata, furono in molti a tirare un sospiro di sollievo. A partire dallo stesso Cio, che nei mesi precedenti aveva seriamente temuto di non trovare una sede per i Giochi Invernali 2026. Una dopo l’altra erano state ritirate quasi tutte le candidature. Sapporo per il Giappone, Graz per l’Austria e Calgary per il Canada si erano chiamate fuori, la svizzera Sion aveva visto affondare la proposta dal referendum cittadino. Rimanevano in corsa soltanto i ticket Milano-Cortina e Stoccolma-Åre. E in entrambi i casi si trattava già di compiere un bello strappo, poiché fin qui la tradizione olimpica (sia per le edizioni estive che per quelle invernali) aveva previsto un’unica sede per i giochi. Invece l’apertura all’idea del ticket comporta un gioco di assemblaggi territoriali (la distanza fra Milano e Cortina d’Ampezzo è oltre 400 chilometri, che diventano quasi 700 fra Stoccolma e Åre). Alla fine la proposta vincente è stat quella italiana, ma giusto perché il dossier presentato dagli svedesi sfiorava livelli imbarazzanti. Dunque Milano-Cortina ha vinto praticamente senza avversari, ma cionondimeno il Coni di Giovanni Malagò ha propagandato l’aggiudicazione come un grande successo del sistema sportivo italiano e del sistema-Paese che gli si muove intorno.
La pista da bob di Cortina rischia di essere la grande incompiuta dei Giochi
Invero, le buone notizie per il Comitato olimpico nazionale e il suo capo rischiano di esaurirsi lì. Perché dal giorno dell’aggiudicazione si è cominciato ad assistere a uno spettacolo straniante. Come se un’olimpiade in Italia dovesse essere celebrata non nel 2026, ma nel 2066. Calma e gesso. E ingessati parecchio, visti i tempi con cui il piano di realizzazione delle opere sta procedendo. Anzi, non sta procedendo. I primi a avanzare perplessità sono stati proprio i signori del Cio, che avevano elogiato la vocazione ambientalista presente nel dossier italiano ma poi proprio su questo versante hanno cominciato a sollevare perplessità. Il rischio che i Giochi italiani non fossero poi così verdi suscitava perplessità. Ma ancor più, l’organo presieduto da Thomas Bach è entrato in fibrillazione riguardo a quella che rischia di essere la grande incompiuta dei Giochi di Milano-Cortina: la pista di bob di Cortina. Si tratta dello storico tracciato intitolato a Eugenio Monti, leggenda del bob italiano. Da anni la pista è andata in disuso e la sua riqualificazione è stata messa in cima alla lista delle opere da realizzare. Ciò che ha mobilitato i comitati locali, perché l’intervento non si risolverebbe in un mero recupero ma piuttosto nella costruzione di un nuovo tracciato ad altissimo impatto ambientale. E al di là delle considerazioni di carattere ecologico (oltre a quelle finanziarie, legate ai costi di gestione e manutenzione post-Giochi), c’è soprattutto l’accumularsi di un ritardo che a questo punto diventa quasi proibitivo. L’insistenza del governatore veneto Luca Zaia ha portato a rifiutare ogni ipotesi di spostare altrove (in Austria) le gare di bob, slittino e skeleton. E gli effetti dell’ostinazione cominciano a vedersi. Lo scorso 31 luglio la gara d’appalto per l’aggiudicazione dei lavori di rifacimento della pista è andata deserta. Il mesto comunicato emesso dalla Società Infrastrutture Milano Cortina (Simico) non nasconde le preoccupazioni. Del resto, viste le ristrettezze di tempi e i rischi di esporsi a responsabilità di ogni sorta, quale ditta affronterebbe a cuor leggero quei lavori?
Milano senza gare? La prospettiva è che in città abbiano sede solo il villaggio olimpico e la Medal Plaza
Se il caso della pista di Cortina è il più eclatante in materia di ritardi, sul versante milanese si rischia di trovarsi davanti a un paradosso storico, un vero primato mondiale: le Olimpiadi di Milano che non si celebrano a Milano. Un pezzo dopo l’altro le gare che avrebbero dovuto essere disputate in territorio milanese si stanno spostando altrove. Certo nell’hinterland, come nell’area di Rho Fiera che ospiterà pattinaggio e hockey su ghiaccio femminile, ma non nel capoluogo. A Milano continua a essere presente soltanto sulla carta il complesso di Santa Giulia, che dovrebbe ospitare l’hockey su ghiaccio maschile. Il rischio di vedere spostare anche quelle gare altrove è concreto. E altrettanto lo è la prospettiva che a Milano abbiano sede soltanto il villaggio olimpico e la Medal Plaza. La città capofila dei Giochi diventerebbe di fatto un’etichetta. La città dei non-Giochi.
Cose mai viste. E su questo solco si piazza anche la presa di posizione di Confindustria Belluno Dolomiti sulla prospettiva che il villaggio olimpico del versante cortinese (costo stimato 36 milioni di euro) venga realizzato nell’area di Fiames. Ancora una volta l’impatto sarebbe molto pesante. E a dirlo sono non soltanto gli ambientalisti, ma anche gli industriali locali. È andata in questo senso l’esternazione di Lorraine Berton, presidente locale di Confindustria. Berton l’ha messa sul piano della legacy, l’eredità olimpica, per dire che molto più ragionevole sarebbe recuperare il vecchio Villaggio Eni a Boca di Cadore. In nome della sostenibilità ambientale e finanziaria. Da qualunque parte li si giri, i Giochi Invernali 2026 prendono ceffoni. La figuraccia incombe, ma intanto godiamoci il cruciverba.
Dopo che Elon Musk ha annunciato che la sfida tra lui e Mark Zuckerberg in Mma, la disciplina di arti marziali miste che si combattono in una gabbia, sarà trasmessa in diretta su X, il proprietario di Meta ha anche proposto una data, il 26 agosto. «Gliel’ho proposto quando mi ha sfidato ma non mi ha risposto», ha scritto Zuckerberg sulla piattaforma concorrente dell’ex Twitter, Threads.
Guadagni devoluti alle associazioni che si occupano dei veterani americani
Il boss di Meta ha anche lanciato una provocazione al patron di X proponendo che la diretta sia fatta «su una piattaforma più affidabile e che possa davvero permettere di raccogliere fondi». Musk aveva annunciato domenica 6 agosto che i guadagni saranno devoluti alle associazioni che si occupano dei veterani americani.
Il re della Cambogia ha ufficialmente nominato primo ministro Hun Manet, che succede a suo padre Hun Sen che ha governato il Paese asiatico con il pugno di ferro per 38 anni. Il sovrano Norodom Sihamoni «nomina il dottor Hun Manet primo ministro del Regno di Cambogia per la settima legislatura», secondo un decreto reale emesso lunedì 7 agosto.
Il 22 agosto il voto di fiducia in Parlamento
Pochi giorni dopo una vittoria schiacciante nelle controverse elezioni legislative di luglio, il 70enne Hun Sen ha annunciato che si sarebbe dimesso da premier in favore del figlio 45enne anni. Resta ora a Hun Manet e al suo governo la formalità di ottenere il 22 agosto il voto di fiducia in Parlamento, dominato dal partito al potere.