Chi, dentro e fuori Forza Italia, pensa e spera che l’elezione all’unanimità di Antonio Tajani segretario nazionale segni un nuovo inizio per il partito è destinato a rimanere deluso. A parte la cerchia ristretta dei fedelissimi del ministro degli Esteri e i desiderata della premier Giorgia Meloni, che ha tutto l’interesse a garantire la stabilità (e la lealtà) di Fi anche per bilanciare i quotidiani colpi di testa della Lega, sono tanti gli azzurri che stroncano questa lettura. Anzi, parlano di «fase transitoria» e definiscono l’attuale vicepremier un «traghettatore». Niente deleghe in bianco, insomma. A tal proposito, per esempio, non è sfuggita ai più critici la rotta scudocrociata segnata dal neo segretario in una intervista al Corriere della Sera («Non si tratta di rifare la Dc», ha spiegato Tajani, «ma di aggregare e costruire un partito con le porte aperte, che svolga il ruolo che svolgeva la Democrazia cristiana nella prima Repubblica»). «In pratica», è l’analisi che consegnano a Lettera43, «siamo all’opposto della linea di Berlusconi. Il Cav era un innovatore e guardava sempre avanti. Qui, invece, lo sguardo è rivolto al passato».
L’avvertimento in vista delle Europee: «Se Tajani pensa di fare tutto da solo è fuori strada»
Prese di distanza sussurrate che però suonano come un segnale chiaro in vista dell’appuntamento delle Europee. Ecco che anche sul metodo spuntano i paletti: «Se il segretario pensa di poter fare tutto da solo sul fronte delle candidature», è l’avvertimento, «è completamente fuori strada». Un sentire abbastanza comune, come spiegano fonti parlamentari azzurre a Lettera43, e non circoscritto solo all’area della minoranza del partito. «Oltre ai vari Mulè, Cattaneo e Ronzulli, c’è una maggioranza silenziosa che per ora osserva, magari mastica amaro in silenzio, ma che a seconda di come tirerà il vento si schiererà. Sono tanti che stanno alla finestra ma a cui non va giù il fatto di essere tagliati fuori e non coinvolti nelle decisioni». I tempi stringono e tutto lascia pensare che a dare le carte in vista del rinnovo del Parlamento europeo sarà proprio l’attuale segretario insieme con il cerchio dei fedelissimi, a cominciare dall’attuale capogruppo alla Camera Paolo Barelli, passando per i parlamentari laziali, il viterbese ex sottosegretario all’Agricoltura Francesco Battistoni e il ternano Raffaele Nevi, fino al capo delegazione azzurro a Strasburgo e potente coordinatore regionale della Campania Fulvio Martusciello. Anche in questo caso, però, i giochi però non sono chiusi, tutt’altro. Come spiega un parlamentare dietro garanzia di anonimato «il nostro congresso sarà celebrato prima delle elezioni. Pure ipotizzando l’appuntamento tra metà e fine marzo, ci sarà il tempo per sedersi a un tavolo e decidere insieme». Insomma, la scelta delle candidature non sarà appannaggio di un solo uomo e del suo cerchio magico: «È verosimile che i nomi che finiranno in lista saranno frutto di una mediazione, come succede in tutti i partiti democratici. Anche se», ammette, «sarà inevitabile che qualche nome da qui al congresso esca e quindi lo stesso congresso non potrà più smentirlo».
Il futuro del segretario dipende dai sondaggi e dalle decisioni dei Berlusconi, veri proprietari del partito
Il pensiero corre veloce all’operazione Alessandro Sorte, il coordinatore lombardo molto vicino a Marta Fascina, che ha aperto a una possibile candidatura alle Europee dell’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni e che, si sfogano, «sta suscitando più di un mugugno interno per il timore che riesploda la polemica sui temi giudiziari, ma che Tajani alla fine potrebbe avallare per scansare problemi ed evitare il più possibile contrasti». Anche lo schema che ha in mente il numero uno di Fi, in realtà, lascia perplesso più di un azzurro. «È comprensibile che punti a persone che siano in grado di raccogliere consensi», osserva un big di Forza Italia. «Passino gli acchiappavoti, ok puntare sulle preferenze, ma attenzione perché il voto d’opinione è altrettanto importante». Mentre non manca chi dal partito avverte Tajani: «Quasi un anno ci separa dal voto e un anno in politica è un’eternità». Una sorta di avviso di sfratto? I critici non la mettono in questi in termini. Si limitano a fare un paio di considerazioni: «L’attuale segretario sarà messo in discussione quando i sondaggi gli volteranno le spalle, ma soprattutto quando cambieranno gli interessi e gli orientamenti della famiglia. È normale che in questa fase i Berlusconi abbiano altre priorità cui badare, ma è inutile girarci intorno: sono tecnicamente proprietari del partito. Per loro è come un’azienda di cui Tajani è il manager. Però i manager, si sa, cambiano…».