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Conte agisce come leader d’opposizione e spiega alla sinistra come fare la sinistra

A furia di descriverlo come il «punto fortissimo di riferimento di tutti i progressisti», infelice frase pronunciata da Nicola Zingaretti quando era il capo del Pd, e che lo inseguirà per i prossimi 20 anni, Beppe Conte ha iniziato a crederci. Tant’è che adesso il capo del M5s parla come il (vero) capo dell’opposizione al governo Meloni. Distribuisce patenti di legittimità politica, critica – anche in maniera sprezzante – le sortite dell’esecutivo, si fa capopopolo nelle piazze e ha militarizzato il suo partito, sfilandolo all’eredità morale di Beppe Grillo e a quella politica di Gianroberto Casaleggio per interposto figlio Davide. Tant’è sono tutti contiani o non sono, tra i 5 stelle. E il Pd non può farne a meno: il contismo è la sostanza stupefacente che richiama i vertici dei Democratici, sempre convinti che il popolo dei populisti sia da riconquistare, perché se hanno votato per i 5 stelle un motivo c’è.

Conte ormai veste i panni del papa straniero che il centrosinistra sta cercando da anni

Sempre insomma lì siamo, con la sinistra convinta di avere qualcosa da farsi perdonare; la stagione di Renzi viene costantemente evocata in senso deteriore, a partire dal Jobs Act al quale tutti, da Elly Schlein allo stesso Conte, fanno riferimento per dire da dove i progressisti non devono ripartire. Il M5s è stato il surrogato del Partito Democratico nel rapporto con i ceti popolari, Conte ha ormai questo vantaggio politico-sociale-antropologico e ne fa ampio uso quando c’è da rivolgersi all’elettorato/lettorato. Basta leggere le sue interviste, che ormai sono un sottogenere letterario. Nell’ultima al Corriere della Sera riveste pienamente i panni del “papa straniero” che il centrosinistra, o sinistra-centro, va cercando da anni. Dalla sua ha il gradimento personale, più che i sondaggi sul M5s. C’è ancora gente convinta che Conte, il babbo del super buco del super bonus, sia il miglior presidente del Consiglio del mondo.

Conte ormai agisce come leader d'opposizione e spiega alla sinistra come fare la sinistra
Elly Schlein e Giuseppe Conte (Imagoeconomica).

È lui insomma il Romano Prodi degli Anni duemilaventi? «Fa il suo», rispondono dal Pd, dove gli avversari di Schlein attendono le Europee per eventualmente visionare con i propri occhi e toccare con le proprie mani quello che le mere sensazioni per ora registrano: il M5s è più in forma del Pd. E perché? Perché c’è Beppe Conte, armato di sciabola. Al Corriere dice che la legge di bilancio è «durissima», perché «è durissima con gli italiani. Persino l’ex ministra Elsa Fornero ammette che questo governo è stato più duro di lei. Stanno frapponendo ostacoli a chi vuole andare prima in pensione e tagliano con l’accetta gli assegni pensionistici anche al ceto medio. Poi tagliano le pensioni di 700 mila dipendenti pubblici, tra cui medici e infermieri. Per Halloween si sono travestiti da governo delle tasse: ci sono nuove imposte per oltre 2 miliardi e arrivano a tassarci fin dai primi vagiti, tassando pannolini e latte in polvere, oltre che la casa. Sulla sanità hanno poi un disegno preciso: anziché investire 15 miliardi per mantenere il trend di investimento del 7 per cento in rapporto al Pil, distribuiscono 2 miliardi ai loro amici delle cliniche private». Un distillato di pura leadership d’opposizione, per Conte, che non sembra avere avversari e quindi mostra molta generosità.

Conte ormai agisce come leader d'opposizione e spiega alla sinistra come fare la sinistra
Giuseppe Conte, leader del M5s (Imagoeconomica).

Mentre nel Pd si moltiplicano le posizioni politiche, Conte si consulta solo con se stesso

A differenza del Pd, dove per ogni manifestazione e per ogni incontro e per ogni patrocinio ci sono 700 posizioni politiche diverse, Conte può decidere in autonomia dopo essersi consultato con se stesso (i Riccardo Ricciardi, quelli che fanno i registi teatrali e, in effetti, recitano anche in parlamento, sono ottimi come l’insalata e vanno a concionare nei salotti televisivi). E l’11 novembre, ha detto alla Stampa, sarà in piazza per la manifestazione contro il governo: «Lo scorso giugno Elly Schlein ha portato il saluto suo e del Pd al nostro corteo contro la precarietà, nonostante tra i dem ci siano ancora alcuni nostalgici del Jobs Act di Renzi. Mi farà piacere ricambiare questo sostegno, andando nella loro piazza l’11 novembre, per contestare insieme le politiche di questo governo». Retorica eccellente, diremmo: l’ex presidente del Consiglio ricambia il sostegno e spiega al Pd come si fa la sinistra, cioè prendendosela con il solito Matteo Renzi e il solito Jobs Act.

Il consigliere di Giorgia Meloni si è dimesso: «Gesto di responsabilità»

Il consigliere diplomatico di Giorgia Meloni, Francesco Talò, si è dimesso il 3 novembre mattina dopo il caso dello scherzo telefonico subito dalla premier e opera di due comici russi. Ad annunciarlo è stata la stessa presidente del Consiglio, rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa che ha seguito il Consiglio dei ministri in cui è stato approvato il testo sul premierato. Meloni ha dichiarato: «Stamattina il mio consigliere diplomatico Francesco Talò ha rassegnato le dimissioni. Siamo tutti dispiaciuti. Questa vicenda non è stata gestita bene».

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La premier: «Gesto di responsabilità»

Giorgia Meloni ha spiegato che la storia della telefonata dei due comici è stata «gestita con una leggerezza che ha esposto la nazione». Talò si è così dimesso con quello che la premier ha definito un «gesto di responsabilità». La presidente del Consiglio ha poi aggiunto: «Di queste telefonate ne abbiamo fatte almeno 80 e mi dispiace che in questo inciampo sia messo in discussione ciò che è stato fatto. Ringrazio lui e l’ufficio diplomatico. Io se ricevo una telefonata dall’ufficio del consigliere diplomatico la devo dare per buona…penso che si sia confermata la coerenza del governo».

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Il consigliere di Giorgia Meloni si è dimesso «Gesto di responsabilità»
Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Meloni: «Questa è la madre di tutte le riforme»

Parlando dell’approvazione del testo, invece, Meloni ha dichiarato che si tratta della «madre di tutte le riforme». E ha spiegato: «La riforma costituzionale introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio e garantisce due obiettivi che dall’inizio ci siamo impegnati a realizzare. Il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo fine a ribaltoni, giochi di palazzo e governi tecnici. Il ruolo del presidente della Repubblica è di assoluta garanzia. Abbiamo deciso di non toccarne le competenze, salvo l’incarico al presidente del Consiglio, che viene eletto. Questa è la madre di tutte le riforme che si possono fare in Italia perché se facciamo un passo indietro e guardiamo agli ultimi 20 anni abbiamo avuto 12 presidenti del Consiglio».

Riforma costituzionale, il Cdm approva il disegno di legge sul premierato

Il disegno di legge sulla riforma costituzionale è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri. La riforma costituzionale dovrà ora affrontare un lungo iter parlamentare. Sia la Camera sia il Senato devono approvarla con la maggioranza assoluta, cioè con almeno il 50 per cento più uno dei voti. Affinché la riforma entri in vigore, però, occorre che il Parlamento – in entrambe le Camere – approvi il testo con la maggioranza qualificata, cioè dei due terzi dei suoi componenti. Se questo non accade, è possibile per almeno un quinto dei parlamentari richiedere un referendum per l’approvazione finale.

Il nodo del limite del mandato del premier

Il ddl stabilisce, tra le altre cose, il cosiddetto premierato, vale a dire l’elezione diretta del premier «per la durata di cinque anni». Queste le dichiarazioni della premier Meloni in conferenza stampa: «Questa è la madre di tutte le riforme che si possono fare in Italia, perché se facciamo un passo indietro e guardiamo agli ultimi 20 anni abbiamo avuto 12 presidenti del Consiglio». Il premier, ha continuato «potrà essere sostituito solo da un parlamentare, il che vuol dire porre fine ai governi tecnici. Non ci sarà più la possibilità di fare maggioranze arcobaleno». Il decreto non specifica però ulteriori dettagli sui limiti della permanenza del capo del governo a Palazzo Chigi. Un’anomalia che è stata sottolineata dal presidente del Veneto Luca Zaia, della Lega, che è al suo terzo mandato e secondo la legge vigente non può ricandidarsi. Zaia ha sottolineato la contraddizione del centrodestra di puntare al modello del “sindaco d’Italia” se poi «il futuro premier eletto non ha il limite del mandato, mentre governatori e sindaci sì».

La “norma anti ribaltone”

La proposta di legge modifica poi quattro articoli della Costituzione: «Il presidente del Consiglio verrà eletto a suffragio universale contestualmente alle Camere. Si rinvia alla legge elettorale la responsabilità di garantire una maggioranza. È prevista anche una norma anti-ribaltone, con il presidente eletto che, come anticipato, può essere sostituito solo in un caso e solo da un parlamentare». Sarà il presidente della Repubblica a incaricare un deputato/senatore della coalizione del premier dimissionario o sfiduciato. Se anche questa soluzione, applicabile una volta sola, non dovesse funzionare, il capo dello Stato può sciogliere le Camere.

Via i senatori a vita

Un altro punto della riforma riguarda i senatori a vita. «Non ci saranno più, fatto salvo per gli ex presidenti della Repubblica e gli attuali senatori a vita. Dopo il tagli dei parlamentari, l’incidenza dei senatori a vita è molto aumentata», ha dichiarato la premier Meloni.

Gli imbarazzi di Sangiuliano per la mostra su Tolkien, il timone di Oggi a Marianna Aprile e altre pillole

Mi si nota di più se ci vado o se non ci vado? A Londra stanno riflettendo se appoggiare platealmente – oppure defilarsi “all’inglese” – la mostra che il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha voluto dedicare a Tolkien e che sarà allestita nella Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, a Valle Giulia. Che è situata proprio accanto a quei giardini dove Pier Paolo Pasolini andava “a caccia” di giovani, nelle notti romane. Fatto sta che mercoledì 8 novembre nella sede del dicastero Sangiuliano annuncerà con una conferenza stampa la mostra “Tolkien. Uomo, Professore, Autore”, che sarà inaugurata il 15 novembre da Giorgia Meloni in persona. Cosa c’è che non va? La presenza di Edward Llewellyn, ambasciatore del Regno Unito in Italia, è «in attesa di conferma». È stato scritto anche nella nota stampa inviata alle redazioni. Carlo III sta riflettendo se conviene fare andare un suo rappresentante a un incontro che appare più politico che culturale. Se non ci andrà, qualcuno già scommette che verrà evocata la perfida Albione.

Gli imbarazzi di Sangiuliano per la mostra su Tolkien, il timone di Oggi a Marianna Aprile e altre pillole
Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (Imagoeconomica).

Oggi è Aprile

È tempo di decisioni in casa Rcs. Urbano Cairo deve dare una svolta a qualche testata del gruppo, e al primo posto appare Oggi: la guida di Carlo Verdelli, classe 1957, pare non soddisfare il patron e i dirigenti, si registra «un po’ di stanchezza», come dice la premier Giorgia Meloni agli interlocutori sconosciuti che le piazzano trappole telefoniche. Negli ultimi numeri del settimanale, poi, si legge di tutto: missive dei lettori che lamentano gli spazi dati per intervistare “tangentisti” e non solo, titolari di rubriche che dicono «mi occupo di scrittura e letteratura ma il direttore vuole che faccia articoli di televisione», quasi fosse un demansionamento, errori sparsi nelle pagine, una sciatteria imperdonabile per chi acquista un settimanale.

Gli imbarazzi di Sangiuliano per la mostra su Tolkien, il timone di Oggi a Marianna Aprile e altre pillole
Carlo Verdelli e Urbano Cairo (Imagoeconomica).

E allora che si fa? La filosofia trionfante prevede di valorizzare chi va nel piccolo schermo, ovviamente quello di casa, a La7. Persone che già scrivono sulla testata Rcs. E allora l’identikit porta a Marianna Aprile, firma di punta di Oggi e presenza fissa sulla rete tivù padronale. A fine anno verranno svelate le carte aziendali. E Verdelli? «Era perfetto per 7, il supplemento del Corriere della sera», affermano gli urbaniani cairoliani di ferro.

Gli imbarazzi di Sangiuliano per la mostra su Tolkien, il timone di Oggi a Marianna Aprile e altre pillole
Marianna Aprile (Imagoeconomica).

La Rai è Rothko

Dal giro d’Italia alla mostra su Mark Rothko: Alessandra De Stefano è passata dalla direzione di Rai Sport alle corrispondenze dalla capitale francese, una sede ricca di notizie dalla mattina alla sera, realizzando anche servizi dedicati alle grandi esposizioni. E non a caso: la giornalista è sorella minore di Silvana De Stefano, artista che ha creato opere per Finmeccanica e Sace, esponendo a Palazzo Venezia, e che per anni ha lavorato in uno studio situato a pochi passi dalla Piramide Cestia, a Roma, in uno degli spazi sgomberati di via Caselli.

Gli imbarazzi di Sangiuliano per la mostra su Tolkien, il timone di Oggi a Marianna Aprile e altre pillole
Alessandra De Stefano (Imagoeconomica).

Missoni d’Arabia

Un accordo tra Missoni e il gruppo Dar Global per realizzare una zona residenziale a pochi passi dalla spagnola Marbella. L’iniziativa “Marea, interiors by Missoni” permetterà di offrire «abitazioni esclusive, di lusso senza pari in una delle località più ambite d’Europa», ha affermato Ziad El Chaar, amministratore delegato di Dar Global, filiale della più grande società immobiliare dell’Arabia Saudita Dar Al Arkan. «Siamo entusiasti di arredare questi appartamenti con i tessuti e il design più raffinati, che daranno alle residenze mediterranee una finitura unica e originale», ha dichiarato Livio Proli, ad di Missoni. E pensare che lo scomparso Ottavio, per la sua carnagione scura, a Londra lo avevano soprannominato per anni come “l’arabo”.

Cosa non ha funzionato nel buco di Palazzo Chigi sullo scherzo a Meloni

Cosa non è andato a buon fine nella gestione della telefonata del duo di comici russi, Vovan e Lexus, che ha avuto successo nel mettersi in contatto con Giorgia Meloni spacciandosi per un alto diplomatico dell’Unione Africana tramite le linee di Palazzo Chigi? Chi lavora a stretto contatto con gli apparati di sicurezza nazionale si sta arrovellando dalla giornata di Ognissanti per capire come ciò possa essere successo. Si parla di una falla securitaria a tutto campo che riguarda, da vicino, le comunicazioni interne al governo. E al contempo di un fallimento di intelligence, dato che laddove il ruolo dei Servizi segreti è difendere il nocciolo duro degli arcana imperii, essi sono stati messi a dura prova, potenzialmente, dall’incursione russa.

Cosa non ha funzionato nel buco di Palazzo Chigi sullo scherzo a Meloni
Francesco Maria Talò (Imagoeconomica).

Gli ambasciatori Talò e Bertoni sono i primi nomi finiti nel mirino

L’ambasciatore Francesco Maria Talò, consigliere diplomatico di Meloni, è quello su cui sono confluite le maggiori critiche, ma la realtà suggerisce un complesso “buco” nella comunicazione tra diversi uffici. Chi si occupa di questioni inerenti alla sicurezza nazionale fa notare, infatti, che il blackout è avvenuto su più piani. In primo luogo, c’è sicuramente la problematica dell’ufficio del consigliere diplomatico che non avrebbe vagliato attentamente il sistema di chiamate in entrata verificando con l’ufficio italiano a Addis Abeba, sede dell’Unione Africana, a cui come rappresentante italiano opera l’ambasciatore Alberto Bertoni, l’esistenza della volontà di un contatto con Meloni.

Cosa non ha funzionato nel buco di Palazzo Chigi sullo scherzo a Meloni
Alberto Bertoni.

Deodato gestisce le attività di Comsec per la premier

In secondo luogo, c’è un tema strettamente tecnico: le comunicazioni riservate degli uffici ministeriali sono governati da un centro di Communication Security (Comsec), nel quale sono impegnati dispositivi crittografici per attività di telecomunicazioni. A Palazzo Chigi il Centro comunicazioni riservate distaccato presso l’ufficio del segretario generale della presidenza del Consiglio Carlo Deodato gestisce le attività di Comsec per la premier.

Cosa non ha funzionato nel buco di Palazzo Chigi sullo scherzo a Meloni
Carlo Deodato (Imagoeconomica).

Serviva un controllo incrociato: problema di comunicazione

Quindi, terzo punto, si evidenzia l’esistenza di una profonda lacuna legata all’assenza di dialogo tra componenti della macchina dei dipartimenti. Un controllo incrociato avrebbe potuto permettere uno scambio informativo, ma la mancanza legata al fattore umano e all’assenza di comunicazione ha creato il patatrac. E gli esperti in materia sottolineano come nella chiamata strappata a Meloni non ci fossero aspetti formalmente “classificati“, e che comunque nel settore è buona norma di sicurezza (per il principio della “maggiore precauzione”) verificare sempre l’identità gli interlocutori.

Mancato controspionaggio per sventare potenziali minacce

Se il primo punto compete, principalmente, l’apparato del consigliere diplomatico, sicuramente il secondo e il terzo piano hanno direttamente a che fare con il ruolo di coordinamento e controllo dei Servizi segreti. Del resto, è lo stesso portale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) presieduto dall’ambasciatrice Elisabetta Belloni a prescrivere i protocolli per certificare a prova di intrusione i centri Comsec del governo, diretta emanazione dell’intelligence nazionale. Al comparto interno (Aisi) e a quello esterno (Aise) dell’intelligence è dato compito, tra le altre cose, di operare la dovuta manovra di controspionaggio e assicurare che non si producano, potenzialmente, minacce alla sicurezza nazionale. Da oltre un anno il Comparto parla di «minacce ibride» russe: si è pensato a operare una protezione delle linee di comunicazione Comsec di Palazzo Chigi da eventuali intrusioni? Si è proceduto a una raccolta informativa sui possibili soggetti malevoli russi (difficile scindere Vovan e Lexus, sostanzialmente, dall’intelligence russa, almeno nel metodo) e sulle loro azioni potenziali? Si è proceduto allo scambio di informazioni tra settori del comparto su queste possibili intrusioni?

Cosa non ha funzionato nel buco di Palazzo Chigi sullo scherzo a Meloni
Adolfo Urso con Elisabetta Belloni (Imagoeconomica).

Senza coordinamento politico la struttura è vulnerabile

Il fallimento rischia di non essere tanto quello degli operativi, quanto delle strutture di coordinamento chiamate a far sintesi di tali minacce e di trasformarle in linee guida operative. A cui sono ascrivibili sicuramente il Dis guidato da Belloni, ma anche la presidenza del Consiglio (da Deodato a Meloni) nel suo insieme. In democrazia l’intelligence può avere capacità e operatività, ma non decide da sola: può essere la ghiandola pineale del sistema, regolare il ritmo sonno/veglia di uno Stato, ma non essere l’unico metro della lucidità di un apparato. E senza coordinamento politico una struttura è complessivamente permeabile. Non sappiamo se sia mancato il materiale informativo su possibile falle securitarie di questo tipo. Sappiamo che è mancato il coordinamento: e ascrivere le responsabilità alla sola struttura di Talò è, in quest’ottica, certamente riduttivo.

Un precedente pericoloso: chiunque può penetrare il nostro sistema

A preoccupare gli addetti ai lavori più che quanto detto da Meloni è il precedente che si è venuto a creare, oltre al problema di sicurezza nazionale che potenzialmente l’episodio espone. Emerge che chi ha metodo, cultura e risorse non solo può pensare di penetrare il nostro sistema, ma lo fa senza problemi. Le parole di un capo di governo possono influenzare le Borse, creare imbarazzi e incidenti diplomatici, compromettere il clima di fiducia tra alleati in una campagna militare. Pensare che un comico, ancorché all’interno di uno scenario di “guerra asimmetrica“- cioè che si combatte con le armi più disparate, inclusa la comunicazione – sia riuscito nell’impresa di creare un caso del genere deve fare riflettere e soprattutto far predisporre le opportune azioni per evitare che certe cose possano ripetersi e con conseguenze peggiori. Lo scherzo potrebbe, dunque, aver permesso di capire dove sono gli errori. E tra gli addetti alla sicurezza nazionale una cosa è certa: l’incidente non può ripetersi e la comunicazione deve essere ripristinata nella sua forma più efficiente.

Perché Meloni ha tanta fretta di chiudere la Riforma sul premierato?

C’è la guerra, anzi ce ne sono due di cui una alle porte di casa l’altra poco più distante, c’è il debito alle stelle, il Pil che si è inchiodato, i fiumi che esondano sommergendo mezzo Paese e il governo, nel bel mezzo di questa apocalisse, è intensamente occupato ad abolire la democrazia rappresentativa. Tempismo eccezionale, complimenti. La riforma delle riforme pensata dalla ministra Elisabetta Casellati, che fu una delle più impavide sostenitrice del teorema Ruby nipote di Mubarak e ciò diciamo non è proprio beneaugurante, arriva a Palazzo Chigi bollinata come priorità assoluta. Tra le novità che ci traghetteranno nella “Terza Repubblica” oltre all’elezione diretta del premier è previsto anche un robusto premio di maggioranza assoluta per la coalizione vincitrice.

Perché Meloni ha tanta fretta di chiudere la Riforma sul premierato?
Maria Elisabetta Casellati (Imagoeconomica).

I piani di Meloni potrebbero infrangersi contro il referendum confermativo

Giorgia Meloni, tra un fuorionda malandrino e una telefonata con i diplomatici del Catonga, la definisce la battaglia della vita. L’ambizione è quella di mettere insieme i due terzi del parlamento – per ora può contare solo sui suoi e la sparuta pattuglia renziana – così la riforma passa e lei ha fatto bingo, noi un po’ meno. Ma siccome l’impresa è quasi impossibile, già si staglia all’orizzonte la minacciosa ombra del referendum confermativo i cui precedenti, com’è arcinoto, non sono stati favorevoli ai proponenti. Nell’attesa, resta da capire il perché di tanta fretta contando il fatto (ed è l’obiezione che più viene mossa) che questo governo poggia su una maggioranza numericamente granitica, ancorché politicamente non facile da tenere insieme. Specie quando, vedi le elezioni europee dove si vota col proporzionale, ogni partito va per conto suo.

Perché Meloni ha tanta fretta di chiudere la Riforma sul premierato?
Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Perché la premier ha tutta questa fretta?

Ma se la premier insiste e ha fretta, evidentemente avrà qualche timore che la pervade. Potrebbe essere un presidente della Repubblica più popolare di lei, che di mestiere fa quello che il ruolo gli impone, ovvero la difesa della democrazia rappresentativa e della Costituzione che ne definisce i contorni. Potrebbe essere l’incubo di un nuovo governo tecnico, altrimenti detto governo dello spread, che vanta illustri precedenti e che ha trovato registi e interpreti proprio negli inquilini che si sono succeduti al Quirinale. Potrebbe essere che l’alto gradimento personale di cui continua a godere la nostra presidente del Consiglio nonostante i frequenti inciampi (molto più alto di quello della maggioranza che la sostiene) l’abbia convinta a cercare, unico premier al mondo eletto dal popolo, il consenso plebiscitario. Potrebbe essere infine, e questa è l’ipotesi più inquietante, che la deriva nostalgica del quando c’era Lui, che la Meloni di governo ora liquida tra le cianfrusaglie del passato, stia invece ritrovando proseliti.

Camporotondo Etneo, consigliere comunale urla in aula: «Heil Hitler»

Il consigliere comunale Giuseppe Montesano, eletto nel Comune di Camporotondo Etneo, in provincia di Catania, è il protagonista di un video che ha rapidamente fatto il giro sui social network. L’esponente di Liberi e Forti, una lista civica collegata al precedente sindaco Filippo Privitera, per protestare contro le disposizioni del presidente del consiglio ha alzato il braccio e gridato: «Heil Hitler». Il gesto, probabilmente inteso in maniera sarcastica, ha comunque superato il limite del decoro ed è stato contestato dai presenti, come racconta il quotidiano Live Sicilia.

Il sindaco ha chiesto le dimissioni di Montesano

Il sindaco Filippo Rapisarda, esponente di Prima l’Italia, ha chiesto le dimissioni di Montesano: «Io potrei dissociarmi, gridare vergogna sui social incitando all’odio. L’unica cosa che posso auspicarmi per il paese del quale sono primo cittadino sono le dimissioni immediate del consigliere in questione. Le scuse non possono bastare quando il gesto è così grave. Sarebbe stato opportuno che il capogruppo di opposizione si allontanasse moralmente da tale gesto insieme agli altri consiglieri di opposizione».

E ha concluso: «Trovo stomachevoli i teatrini ai quali puntualmente la minoranza ci costringe ad assistere, sia tra i banchi del consiglio che tra i loro sostenitori in aula, ma questa volta è stato superato un limite etico e morale che non può e non deve essere ignorato».

Montesano difeso da Privitera

A difendere il consigliere è stato invece l’ex primo cittadino Filippo Privitera. Pur prendendo le distanze dal gesto, ha dichiarato: «Il sindaco, che non ha detto una parola in seduta. Mentre sottovoce suggeriva al presidente di non consentire la dichiarazione al consigliere di opposizione. In realtà non ha colto insieme al presidente la reazione ai comportamenti dittatoriali reiterati ad ogni Consiglio comunale del presidente. Cercano la notizia nonostante le scuse del consigliere stesso per avere utilizzato quella terminologia che era chiaramente rivolta non a un inneggiare ai totalitarismi. Ma all’atteggiamento ancora una volta prevaricatore da parte del presidente che, per favorire la maggioranza, piega il regolamento a loro uso e consumo».

Meloni a Londra parla di intelligenza artificiale: «Grandi rischi, ma anche opportunità»

Mentre in Italia si parla dello scherzo telefonico in cui è incappata Giorgia Meloni, la premier ha partecipato alla giornata conclusiva dell’AI Safety Summit. Si tratta della conferenza internazionale sull‘intelligenza artificiale, organizzata a Londra, a Bletchley Park, dal primo ministro britannico Rishi Sunak. La presidente del Consiglio ha annunciato che «l’intelligenza artificiale sarà uno dei temi al centro della Presidenza italiana del G7 del prossimo anno». Per Giorgia Meloni lo sviluppo dell’AI è «la più grande sfida intellettuale, pratica e antropologica di quest’epoca».

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Meloni a Londra parla di intelligenza artificiale «Grandi rischi, ma anche opportunità»
Il primo ministro Rishi Sunak al fianco di Giorgia Meloni (Getty Images).

La premier: «Grandi opportunità ma enormi rischi»

Meloni ha parlato delle possibili applicazioni dell’AI: «Possono portare grandi opportunità in molti campi ma anche enormi rischi. Meccanismi decisionali opachi, discriminazioni, intrusioni nella nostra vita privata, fino ad arrivare ad atti criminali, perché gli LLM-Large Language Model potrebbero essere utilizzati per produrre armi, danni biologici a bassa tecnologia, attacchi informatici, facilitare la personalizzazione del phishing». Poi è tornata sulla presidenza italiana del G7: «A Roma una Conferenza internazionale su Intelligenza artificiale e lavoro, a cui vorremmo partecipassero studiosi, manager e esperti di tutto il mondo per discutere metodi, iniziative e linee guida per garantire che l’IA aiuti e non sostituisca chi lavora, migliorandone invece condizioni e prospettive».

Giorgia Meloni: «Non bisogna creare divario»

Parlando dei rischi, Meloni ha poi dichiarato: «Con lo sviluppo di un’intelligenza artificiale senza regole si rischia che sempre più persone non siano necessarie nel mercato del lavoro, con conseguenze pesantissime sull’equa distribuzione della ricchezza». Necessario, quindi, che l’AI «non crei un divario ancora più grande tra i ricchi e i poveri. Siamo in particolare molto preoccupati per la classe media, perché la verità è che nell’ampliarsi del divario tra ricchezza e povertà la classe media, già oggi in difficoltà, rischia di essere cancellata. Il nostro obiettivo è garantire un’intelligenza artificiale che promuova lo sviluppo e l’inclusione invece che la disoccupazione e l’emarginazione. Non è una sfida facile, ma siamo pronti come sempre a fare la nostra parte senza esitazioni

Piantedosi, sui controlli alla frontiera: «10 arresti per immigrazione clandestina»

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha tracciato il bilancio dei primi dieci giorni di controlli alla frontiera con la Slovenia. L’annuncio era arrivato a metà ottobre, quando il ministro sloveno Bostjan Poklukar, ha parlato di come sarebbero cambiati gli ingressi e le uscite dal confine tra il proprio Paese e l’Italia. Piantedosi, al termine di un trilaterale con i suoi omologhi di Croazia e Slovenia, ha dichiarato: «Abbiamo controllato 19mila persone circa, 10mila veicoli, 300 cittadini stranieri e arrestato una decina di persone per il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Altre 35 persone sono state denunciate per reati».

Piantedosi, sui controlli alla frontiera «10 arresti per immigrazione clandestina»
I tre ministri in conferenza stampa (ANSA).

La collaborazione prosegue

I tre ministri hanno deciso di continuare una collaborazione su alcune linee direttrici. La prima, come ha spiegato il ministro Piantedosi, è «istituzionalizzare le brigate miste, rendendole strutturali». Poi bisognerà «accompagnare queste pattuglie miste in veri centri cooperativi tra i tre paesi con modalità che verranno convenute dai nostri capi delle polizie. Si riuniranno a breve». E infine bisognerà «fare di questo formato trilaterale di amicizia un modulo stabile di condivisione con modalità che vedremo. Un confronto permanente dei tre Paesi, che hanno interessi convergenti, da proporre in tutte le sedi. È un primo incontro, è un punto di partenza».

Dell’Utri: «Berlusconi criticato come Cavour, Mazzini e Manzoni»

L’ex senatore Marcello Dell’Utri ha parlato di Silvio Berlusconi a margine della cerimonia di iscrizione del nome del Cavaliere al Famedio del cimitero monumentale di Milano. I giornalisti gli hanno chiesto un commento sull’ex presidente del Consiglio, con cui ha condiviso un lungo rapporto personale d’amicizia e in politica. E Dell’Utri, in risposta a chi ha sottolineato come Berlusconi sia stato amato e criticato, lo ha paragonato a Mazzini, Manzoni e Cavour.

Dell'Utri «Berlusconi criticato come Cavour, Mazzini e Manzoni»
Marcello Dell’Utri in auto mentre si reca alla camera ardente di Silvio Berlusconi, nel giugno 2023 (Imagoeconomica).

Dell’Utri: «Criticato come Cavour, Mazzini e Manzoni»

L’ex senatore ha risposto in maniera piccata, come riportato da Adnkronos: «Cosa volete dire, che domande sono? È stato criticato, anche Cavour è stato criticato, anche Mazzini, anche Manzoni, che senso ha? Non mi sembrano discorsi, è stato criticato non vuol dire nulla». E ha aggiunto: «Uno nella vita ha cose buone, cose meno buone. La vita è una sola, quindi bellezza, ombre, luci ma la bellezza rimane. Oggi è un giorno speciale, lasciamo stare discorsi un po’ peregrini, io non li guardo più i giornali». A Dell’Utri è stato chiesto anche di commentare le notizie su una spaccatura tra la famiglia Berlusconi e la premier Giorgia Meloni: «Non mi fate queste domande, andate a chiedere ad altri. Io ormai sono un po’ fuori da tutto».

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Meloni tra scherzi telefonici e fuorionda dovrebbe farsi qualche domanda sull’intelligence

Più che l’opposizione poté Scherzi a parte, nota e a questo punto profetica trasmissione di punta della tivù berlusconiana che aveva capito tutto sulla vulnerabilità di vip e potenti. Alla sua legge non è sfuggita Giorgia Meloni, che nel giro di un mese è stata protagonista di due episodi che la evocano. I fuorionda del suo compagno Andrea Giambruno, la performance del duo comico russo Vovan e Lexus che hanno potuto tranquillamente chiamare Palazzo Chigi, chiedere di lei, e parlarci per una mezz’ora spacciandosi come rappresentanti dell’Unione africana.

Talò capro espiatorio, Belloni stimatissima dalla premier

La vicenda ha evocato un famoso episodio di Totòtruffa, protagonisti il principe De Curtis e Nino Taranto nei panni di sedicenti diplomatici del Catonga, ma il discorso è molto più serio. E richiama all’estrema facilità con cui viene bucato l’apparato di sicurezza e protezione del primo ministro, che ha già trovato nel consigliere diplomatico Francesco Talò il suo capro espiatorio. Ma non sarà l’unico, perché anche i Servizi e chi li guida, ossia Elisabetta Belloni, commis di Stato stimatissima da Meloni, dovranno dire qualcosa. Rotoleranno, inevitabilmente, molte teste.

Meloni tra scherzi telefonici e fuorionda dovrebbe farsi qualche domanda sull'intelligence
Francesco Talò (Imagoeconomica).

Meloni e quella irresistibile attrazione per le barbe finte

Ma l’impressione è che l’affaire Giambruno e questo dei finti africani metteranno in discussione il ruolo della nostra intelligence, ma soprattutto quel che ne pensa Meloni, che come tutti i suoi predecessori (Giuseppe Conte più di tutti) prova una irresistibile attrazione verso il mondo delle barbe finte. Per altro ricambiata, perché se un primo ministro vede negli apparati di spionaggio un possibile strumento di difesa e offesa, contando sulla mole di dossier e informativa sui suoi avversari politici di cui può disporre, gli 007 pensano di trovare copertura alle loro operazioni più o meno ortodosse. Insomma, si è sempre trattato di un matrimonio dove i due contraenti hanno trovato modo di coltivare i loro interesse senza pestarsi i piedi.

Meloni tra scherzi telefonici e fuorionda dovrebbe farsi qualche domanda sull'intelligence
Alfredo Mantovano ed Elisabetta Belloni (Imagoeconomica).

Andreotti diceva che fidarsi troppo dei Servizi porta sempre male

A patto però che non ci siano incidenti di percorso che danneggiano l’uno o l’altro, come nel caso dei diplomatici del Catonga, ma in parte anche in quello dei fuorionda di Giambruno. Possibile, ci si chiedeva a proposito della guasconata di Striscia, che all’interno di Mediaset tutti sapessero tranne, a loro dire, i padroni dell’azienda e invece nulla sia arrivato alle orecchie delle nostre spie? Non sarà che le maglie della vigilanza presentano troppi strappi? Siccome c’è da mesi in ballo una riforma dei Servizi, di cui si sta occupando il potente sottosegretario Alfredo Mantovano, che sta provocando al loro interno molta agitazione, potrebbe essere che qualcuno si sia distratto. Viene in mente quel che diceva Giulio Andreotti. Fidarsi troppo dei Servizi porta sempre male. Perché i loro generali alla fine sanno fare una sola guerra: quella tra di loro.

Il nome di Silvio Berlusconi ufficialmente iscritto al Famedio di Milano

Silvio Berlusconi è entrato ufficialmente a far parte della schiera di personaggi che hanno reso grande la città di Milano. Il nome dell’ex premier, infatti, è stato iscritto al Famedio di Milano, pantheon dei cittadini che hanno dato lustro alla città. Insieme a lui altre 13 persone sono state inserite, giovedì 2 novembre 2023, nel Tempio della fama all’interno del Cimitero monumentale dove riposano anche le spoglie di Alessandro Manzoni.

«Personalità strabordante ma cruciale nella storia milanese e italiana»

La presidente del Consiglio comunale Elena Buscemi, che presiede la commissione del Famedio, ha sottolineato nel suo discorso quanto la figura di Berlusconi sia stata «apprezzata ma anche criticata». Nelle motivazioni della commissione del Comune per le iscrizioni si legge: «Con l’iscrizione al Famedio la nostra città rende merito al ragazzo dell’Isola, all’imprenditore creatore di decine di migliaia di posti di lavoro, al leader politico e al segno indelebile lasciato dal suo talento visionario, così come dalla sua personalità strabordante, tanto apprezzati quanto criticati, ma senza alcun dubbio cruciali nella storia recente di Milano e dell’Italia».

Alla cerimonia il fratello Paolo e gli amici Dell’Utri e Confalonieri

Alla cerimonia hanno presenziato il fratello Paolo Berlusconi, gli amici di una vita Marcello Dell’Utri e Fedele Confalonieri e alcuni esponenti di Forza Italia tra cui Adriano Galliani, suo amico di lunga data che occupa il suo seggio in Senato, la capogruppo a Palazzo Madama Licia Ronzulli e il deputato Alessandro Cattaneo.

Daniela Angelini vince il ricorso e torna a fare la sindaca di Riccione

La Giunta comunale della sindaca di Riccione Daniela Angelini è stata ripristinata. Il Consiglio di Stato ha infatti ribaltato la decisione del Tar, accogliendo l’appello presentato dalla coalizione di centro-sinistra contro l’annullamento delle elezioni del 2022 nel Comune in provincia di Rimini.

L’irregolarità che riguardava 26 schede è stata giudicata ininfluente

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che le anomalie riscontrate durante le elezioni, che riguardavano 26 schede con irregolarità considerate di carattere formale, non erano così gravi da influenzare il risultato elettorale. La decisione è stata accolta con favore da diversi politici, tra cui il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, e il segretario del Partito democratico di Riccione, Riziero Santi. Anche la sindaca Angelini si è detta soddisfatta della decisione del Tar: «Ha vinto Riccione, hanno vinto i riccionesi che finalmente potranno riavere l’amministrazione che avevano scelto. Ripartiamo subito, immediatamente», ha commentato. «Eravamo convinti di avere subito una grave ingiustizia che arrecava un grande danno soprattutto alla città. Per questo abbiamo avuto sin dal primo momento la convinzione di dovere presentare appello alla sentenza del Tar dell’Emilia Romagna». E su chi aveva presentato ricorso contro le elezioni del 2022 ha detto: «Si è assunto la responsabilità di lasciare Riccione senza un governo per molti mesi in piena estate: verrà giudicato dai cittadini ma ora è il momento, finalmente, di voltare pagina».

È morto Luigi Berlinguer: l’ex ministro della Pubblica istruzione aveva 91 anni

È morto nella serata di mercoledì 1 novembre 2023, all’ospedale Le Scotte di Siena, il professor Luigi Berlinguer, 91 anni, già parlamentare eletto coi Ds e ministro della Pubblica istruzione nel primo governo Prodi. Cugino di Enrico, si è spento dopo una lunga malattia.

La camera ardente all’Università di Siena 

Siena è la città dove ha insegnato diritto per molti anni all’università, di cui è stato anche rettore dal 1985 al 1994. Originario di Sassari, ha avuto un percorso politico nel Pci, nel Pds, nei Ds e anche nel Pd. La camera ardente è aperta dalla mattina del 2 novembre nell’aula magna storica al rettorato dell’Università di Siena. Il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, lo ha ricordato come «un ministro appassionato di scuola, sempre aperto al dialogo», che «ha lasciato una traccia importante».

Europee, i progetti di Forza Italia per il tridente Formigoni-Albertini-Moratti

Roberto Formigoni candidato alle Europee 2024? L’ipotesi stuzzica Forza Italia. Dal canto suo il Celeste prende tempo. Del resto potrebbe terminare di scontare la pena a cinque anni e 1o mesi per corruzione per la vicenda Maugeri-San Raffaele a fine novembre e solo allora la riserva sarà sciolta. Per adesso, come ha ammesso l’ex governatore lombardo all’Adnkronos, «quello che posso dire è che la politica continua a essere un mio grande interesse». Al suo fianco ritroverebbe la figliol prodiga Letizia Moratti e l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini. Il tridente con cui Antonio Tajani vuole puntellare la sua squadra politica ha tutta l’aria di una grande “operazione nostalgia” che richiama ai ruggenti Anni 90 e primi Duemila in cui Forza Italia era perno non solo del centrodestra nazionale ma anche del potere milanese.

Europee, i progetti di Forza Italia per il tridente Formigoni-Albertini-Moratti
Roberto Formigoni (Imagoeconomica).

Con il tridente di ex Forza Italia cerca di riconquistare i moderati e i civici del vecchio feudo lombardo

Un obiettivo che non è certo sfuggito al 73enne Albertini. Nonostante escluda a causa dell’età una sua candidatura, si è detto però disposto a lavorare per ridare ossigeno a Fi coagulando intorno a un nuovo progetto «veterani e nuove reclute». «Con Moratti e Formigoni potremmo considerarci senza falsa modestia per i ruoli ricoperti dei consoli, veterani se ci hanno chiamato dalla riserva a tenere l’aquila della legione», ha dichiarato recentemente. Soprattutto in un partito orfano del suo padre padrone: «Siamo più appetibili dei lampadari appesi al soffitto con il prezioso e indispensabile chiodo di bronzo che era Berlusconi». E se l’ex sindaco di Milano, nelle intenzioni di Tajani, è il testimonial perfetto del “buon governo” con cui attrarre civici e professionisti che non si riconoscono nella Lega e in Fratelli d’Italia, il duo Moratti-Formigoni ha l’obiettivo di ridare una casa a molti centristi, conservatori e cattolici partendo da un rinnovato patto tra il partito fondato dal Cav e Comunione e Liberazione. Approfittando della mancata intesa dei ciellini con il partito di Giorgia Meloni.

Europee, i progetti di Forza Italia per il tridente Formigoni-Albertini-Moratti
Antonio Tajani e Letizia Moratti (Imagoeconomica).

L’emarginazione di Cl da parte di FdI

La percezione infatti è che dopo un lungo corteggiamento a Milano tra Cl, già rivale della Lega, e Fratelli d’Italia non sia sbocciato l’amore. In città e in Lombardia i big meloniani, dal duo di colonnelli Ignazio La Russa-Daniela Santanché a Carlo Fidanza, si sono spartiti spazi e zone d’influenza, lasciando ben poco spazio ai ciellini i cui nomi forti oggi, a parte l’ex ministro Mario Mauro, si contano sulle dita di una mano (chiusa). Il mondo che fa riferimento all’area cattolica ha avuto così pochi spazi di espressione: in parlamento, tra i pochi atti in linea con la visione politica ciellina si segnalano solo due decreti del ministro dell’Istruzione che hanno esteso anche alle paritarie la possibilità di accedere ai fondi del Pnrr  riguardanti la formazione di studenti e docenti, la transizione digitale e il miglioramento delle competenze linguistiche e consentito ai docenti di ottenere più rapidamente l’abilitazione grazie agli emendamenti del deputato Fdi Lorenzo Malagola, già segretario generale della Fondazione De Gasperi, e da Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati e tra gli ultimi ciellini vecchio stampo in Parlamento. Un po’ poco per cantare vittoria.

Europee, i progetti di Forza Italia per il tridente Formigoni-Albertini-Moratti
Letizia Moratti e Gabriele Albertini (Imagoeconomica).

Il possibile ritorno in scena di Formigoni a 40 anni dal suo debutto in politica

Per questo Moratti e, soprattutto, Formigoni hanno un preciso scopo: ricostruire il vecchio sistema di potere lombardo e restituire peso elettorale a Forza Italia proprio in quello che fu il suo feudo. E le Europee sono un test perfetto. Tornando al Celeste, nel 2024 festeggerà il quarantesimo anniversario del suo esordio in politica quando trascinato dall’alleanza tra Cl e la corrente andreottiana della Democrazia Cristiana, proprio alle Europee del 1984, fu eletto a Strasburgo con 450 mila preferenze, risultando il più votato del partito. Da lì iniziò una carriera che lo avrebbe portato, 40enne, a essere eletto deputato nel 1987, poi regista dei Cristiano Democratici Uniti assieme a Rocco Buttiglione e, dal 1995 al 2013, presidente di Regione Lombardia. Un ventennio terminato con la sua caduta. Oggi Formigoni sta finendo di scontare la pena insegnando italiano alle suore straniere dell’istituto Piccolo Cottolengo Don Orione. Poi a fine mese, chissà, potrebbe ripartire dall’Eurocamera dove la sua ascesa ebbe inizio. A conferma della tendenza tutta italiana di guardare il futuro volgendo lo sguardo al passato.

Marta Fascina: «Ci sarò per la legge di Bilancio, ma non ho superato il lutto»

«Solo chi ha provato un amore così genuino può comprendere il mio stato d’animo. Ha lasciato un vuoto incolmabile. Non ho superato il lutto ma tornerò in Parlamento per la legge di bilancio». Sono le parole di Marta Fascina, riportate nella prima intervista rilasciata dopo la morte di Silvio Berlusconi, al Corriere della Sera.

L'ultima compagna di Silvio Berlusconi, Marta Fascina, ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera in cui ha affermato che rientrerà in Parlamento.
Barbara, Pier Silvio e Marina Berlusconi, con Marta Fascina (Imagoeconomica).

La precisazione dell’esponente di Forza Italia fa riferimento alle richieste di Paolo Berlusconi e di altri parlamentari di tornare in Parlamento. «Paolo mi vuole un gran bene e le sue parole denotavano solo una sincera preoccupazione per il mio stato d’animo. So bene che grava su di me una grande responsabilità nei confronti degli italiani che mi hanno votata. Tornerò presto alla Camera per onorare il mandato ricevuto. Sicuramente prima delle votazioni sulla legge di Bilancio, che è la legge più importante».

«Forza Italia anima fondatrice del centrodestra»

Fascina, che ha spiegato di essere entrata in politica «per amore del mio Silvio» e naturalmente «condividendo appieno la sua visione della società e del mondo», ha fatto sapere che continuerà a lavorare come deputato «nel solco degli insegnamenti e delle volontà che ci ha lasciato. Una missione che Forza Italia non appalterà ad altri soggetti politici; il centro è solo Forza Italia, anima fondatrice del centrodestra, perno del governo ed in generale dell’intero assetto politico italiano. Senza Silvio Berlusconi non sarebbe mai esistito e non esisterebbe in futuro il centrodestra in Italia».

Marta Fascina e Silvio Berlusconi (Imagoeconomica).

«Ho perso l’uomo della mia vita»

Una perdita, quella di Silvio Berlusconi, che Fascina descrive così: «È il mondo intero ad aver perso un uomo straordinario, un grande statista, il capo di governo italiano più longevo nonché leader di G7 e G8, il fondatore del centrodestra, colui che ha impedito nel 1994 ai comunisti di arrivare al potere. Io invece ho perso l’uomo della mia vita, colui che mi ha regalato incondizionatamente e quotidianamente gioia e amore». Sul Ponte sullo Stretto, ha aggiunto che sarebbe giusto chiamarlo “ponte Silvio Berlusconi”, come «proposto dal sottosegretario Tullio Ferrante».

La “troppa influenza” e la replica

Agli esponenti di Forza Italia che, durante Report, hanno parlato anonimamente della “troppa influenza” che la compagna avrebbe esercitato su Berlusconi risponde: «È stato coinvolto un presunto parlamentare di Forza Italia per dichiarare falsità e gettare fango su un’intera comunità politica. Penso che le interessate fonti della trasmissione non abbiano danneggiato solo me, ma la memoria del presidente e quella che dovrebbe essere la nostra comune casa politica. Chi ha conosciuto Silvio Berlusconi sa bene che ascoltava tutti, con umiltà, salvo decidere in piena autonomia. Dunque, la notizia di presunte mie influenze sul presidente è talmente ridicola che non meriterebbe neppure una smentita».

«Non si è mai pronti alla morte»

Alla domanda se Berlusconi fosse consapevole di essere arrivato alla fine ha risposto dicendo: «Non si è mai pronti alla morte. Non lo era lui, come dimostra anche il fatto di aver lavorato fino agli ultimi istanti della sua vita. Preparava la sua candidatura per le Europee, in tutte le circoscrizioni; sentiva e riceveva dirigenti di partito, alleati, amici di una vita; esponeva le sue argomentazioni sulla drammaticità dei focolai di guerra sparsi nel mondo. In più verificava quotidianamente l’andamento delle aziende e si occupava di politica estera, la sua grande passione». Nei momenti di sconforto, prosegue «ascolto le tante canzoni d’amore che il mio Silvio era solito dedicarmi ed intonare. Tra le tante cose, è stato anche un abile compositore di canzoni, ne ha scritte ben 130. Ma al di là della musica, ciò che mi fa compagnia è il ricordo di ogni istante trascorso insieme».

«Giambruno? Affettuosa vicinanza alla premier»

Sul caso Giambruno, ha spiegato di nutrire «sincera stima per il presidente Meloni, come donna, come politico, come premier», aggiungendo che «si tratta di una questione personale, familiare su cui posso solo, da donna, manifestare al presidente Meloni la mia totale ed affettuosa vicinanza».

Consulenze, su Sgarbi l’Antitrust ha avviato un’istruttoria

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato un’istruttoria dopo la «segnalazione ricevuta il 20 ottobre dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano relativa ad attività professionali del sottosegretario Vittorio Sgarbi». Nella delibera del presidente dell’Agcm, Roberto Rustichelli, si ritiene «ammissibile la questione». E in alcuni passaggi sembra che si vada già verso l’incompatibilità e il conflitto di interesse, per gli incarichi ricevuti dal Sottosegretario con pagamenti da 300 mila euro.

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L’Antitrust richiama il conflitto di interessi

Nella delibera è evidente il richiamo al conflitto di interessi: «Il titolare di carica di governo, nello svolgimento del proprio incarico, non può esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati». E inoltre si legge: «Considerato che dalle prime evidenze emergono elementi dai quali si evince che le attività sopra richiamate siano state effettivamente prestate; e considerato che le attività oggetto di segnalazione, se confermate, appaiono connesse con la carica di governo, nonché svolte in maniera né marginale, né occasionale, potendo porsi in contrasto con la norma; si ritengono pertanto sussistenti le condizioni di proponibilità e ammissibilità della questione».

Sgarbi «sereno»

Repubblica ha riportato anche i primi commenti del sottosegretario. Sgarbi si dice «sereno» sul giudizio dell’Autorità, che arriverà alla chiusura dell’istruttoria, il 15 febbraio 2024. E ha aggiunto: «Non sento da tempo il ministro né ho l’esigenza di sentirlo». Adesso dovrà produrre la documentazione per provare che i suoi incarichi non erano connessi alla carica di governo.

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Cos’è il premierato e che differenze ci sono col presidenzialismo

Più poteri al presidente del Consiglio che verrebbe eletto direttamente dai cittadini e non più espresso dalla volontà del Parlamento. È il cosiddetto premierato, la forma di governo che vorrebbe instaurare in Italia Giorgia Meloni con una riforma costituzionale che, dopo mesi di consultazioni e la stesura del testo da parte della ministra per le riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati, potrebbe arrivare nei prossimi giorni in Consiglio dei ministri. La misura, stando alle indiscrezioni, piacerebbe anche ad alcune forze che siedono all’opposizione.

Più poteri al presidente del Consiglio

Il premierato, termine che prende spunto dal fatto che nel Regno Unito il presidente del Consiglio viene appellato come premier, si sostanzia in due principali punti:

  1. elezione diretta del presidente del Consiglio
  2. più poteri per il premier

Questi due elementi al momento sono in contrasto con l’ordinamento italiano. Il presidente del Consiglio, infatti, non viene eletto direttamente dai cittadini, ma viene scelto dal presidente della Repubblica in base all’esito delle elezioni politiche. La figura selezionata riceve dal capo dello Stato il mandato di formare il governo che dovrà poi ottenere la fiducia di Camera e Senato. In merito ai poteri, invece, con il premierato:

  • il presidente del Consiglio potrebbe nominare e revocare, a suo credo, l’incarico ai ministri del suo governo;
  • si instaurerebbe il principio della sfiducia costruttiva, ovvero non sarebbe possibile togliere la fiducia al governo in carica se non fosse già stata accordata la stessa ad un altro esecutivo.

Premierato e presidenzialismo, le differenze sostanziali 

Per comprendere al meglio il premierato è importante comprendere anche le differenze che lo dividono dal presidenzialismo e dal semipresidenzialismo. Entrambi questi due sistemi pongono la maggior parte dei poteri nelle mani del presidente della Repubblica, mentre nel premierato sono concessi quasi del tutto al presidente del Consiglio, o premier che dir si voglia.

Emmanuel Macron e Joe Biden, presidente di Francia e Stati Uniti
Emmanuel Macron e Joe Biden, presidenti di Francia e Stati Uniti. (Imagoeconomica).

Gli esempi nel mondo

Le differenze tra presidenzialismo, semipresidenzialismo e premierato sono forse più comprensibili con il ricorso ad alcuni esempi concreti. Gli Stati Uniti adottano il presidenzialismo, con la figura del capo dello Stato e del governo che coincidono nel ruolo dell’inquilino della Casa Bianca, in questo caso Joe Biden. In Francia, invece, c’è il semipresidenzialismo, con il capo dello Stato che ha il compito di nominare il primo ministro, cioè il premier. In entrambe le forme, il capo dello Stato viene eletto direttamente dai cittadini ed esercita una funzione politica, cosa che invece non avviene attualmente in Italia, dove il presidente della Repubblica è inteso come una figura super partes. Per quanto riguarda il premierato, invece, l’esempio storico può essere quello di Israele dove, in passato, il premier veniva eletto direttamente dai cittadini.

Silvio Berlusconi e Massimo D'Alema
Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema (Imagoeconomica).

Anche Berlusconi e D’Alema volevano il premierato

Non è la prima volta che un governo in Italia prova a introdurre il premierato. Già Massimo D’Alema, nel 1997, e Silvio Berlusconi, nel 2006, avevano provato a modificare la Costituzione italiana, scontrandosi però con il parere della commissione bicamerale nel primo caso e un referendum costituzionale nel secondo. Si ricorda a tal proposito che per instaurare il premierato in Italia è necessario modificare il titolo terzo della seconda parte della Costituzione, inerente proprio all’organizzazione del governo. Per farlo serve o la doppia approvazione da parte di entrambe la Camere del Parlamento o la singola se in entrambe si registra alla prima votazione la maggioranza dei due/terzi. Può anche essere chiesto un referendum costituzionale, quindi senza un quorum dei votanti, con gli elettori che decidono se approvare oppure no la modifica.

La manovra arriva in Parlamento, intesa nella maggioranza

Non c’è tempo da perdere e le risorse sono poche. È l’imperativo con il quale la premier Giorgia Meloni ha chiuso l’intesa con i leader di maggioranza sulla manovra che arriva in Parlamento, a 15 giorni dal varo, con poche modifiche rispetto alle intenzioni iniziali. «Le forze di maggioranza hanno confermato la volontà di procedere speditamente all’approvazione della Legge di Bilancio, senza pertanto presentare emendamenti. Il governo terrà conto con grande attenzione del dibattito parlamentare e delle considerazioni delle forze di maggioranza ed opposizione», recita la nota di Palazzo Chigi, diffusa dopo il vertice. Il governo potrebbe presentare un mini-pacchetto di modifiche, facendosi carico delle istanze di maggioranza e opposizione.

Accordo sugli affitti brevi

La proposta di FI per un codice identificativo nazionale per gli affitti brevi entra nella manovra. Lo apprende l’Ansa da fonti di maggioranza e di governo al termine del vertice. Confermato l’aumento al 26 per cento dell’aliquota dalla seconda alla quarta casa messa in affitto fino a 30 giorni, specificando che per la prima resta al 21 per cento. Inoltre, c’è l’impegno di destinare il gettito derivante – circa un miliardo di euro secondo stime circolate nella riunione – alla riduzione delle tasse sulla casa.

Iva per i pannolini: dal 2024 sarà al 10%

Via l’Iva al 22% per i pannolini per i bambini: il prossimo anno l’aliquota salirà dall’attuale 5% ma si fermerà al 10%. Lo prevede una misura della manovra, nella versione bollinata dalla Ragioneria, che reinserisce i pannolini tra i prodotti con l’Iva agevolata. Aumento pieno fino al 22% solo per i seggiolini auto.

Tagli ai ministeri: circa 2,5 miliardi in tre anni

Da 1 miliardo a poco più di due miliardi e mezzo in tre anni: è l’ammontare dei tagli ai ministeri indicati negli allegati alla manovra, bollinata dalla Ragioneria. Il contributo maggiore arriva dal Mef, con oltre un miliardo di riduzione del budget. Segue la Difesa con 200 milioni, il Mimit con 197, gli Esteri 167, il Lavoro 150. Università e ricerca 129 milioni, le Infrastrutture 126, l’Interno 121, l’Istruzione 100 milioni. La Cultura dovrà tagliare 71 milioni, la Giustizia 55, la Salute 54, l’Agricoltura quasi 33, l’Ambiente 27 e il Turismo 11.

Sconto fiscale in busta paga

Il taglio dei contributi previdenziali (il cuneo fiscale) per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 35 mila euro (escluso il lavoro domestico) è stato confermato. Restano gli sconti in busta paga varati alla metà del 2023. Lo sgravio non avrà effetto sulle tredicesime del 2024. «Riconosciuto un esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore di 6 punti percentuali a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo mensile di 2.692 euro». L’esonero sale a 7 punti percentuali se la retribuzione non eccede l’importo mensile di 1.923 euro.

Decontribuzione per le lavoratrici madri

Arriva la decontribuzione totale sperimentale per il 2024 per le lavoratrici donne a tempo indeterminato con almeno due figli, di cui il più piccolo sotto i 10 anni. Per le lavoratrici con tre figli il bonus in busta paga vale fino a tutto il 2026, o comunque fino ai 18 anni del figlio più piccolo. Aumenta il bonus asili nido a 3.600 euro annui per i nati dal 1 gennaio 2024, a condizione che nel nucleo vi sia un altro figlio sotto i 10 anni e l’Isee familiare sia inferiore a 40 mila euro. Ci sarà un mese in più di congedo parentale per i genitori con figli fino a sei anni, retribuito al 60 per cento.

Tre aliquote Irpef

Gli scaglioni di reddito e le aliquote vengono ridotte da quattro a tre. Si pagherà il 23 per cento fino a 28 mila euro di reddito annuo lordo, il 35 per cento per i redditi tra 28 e 50 mila euro, il 43 per cento oltre i 50 mila euro.

Convocata la commissione Bilancio 

In attesa che il governo invii la manovra alle Camere, è stata convocata in via preventiva la commissione Bilancio del Senato, da cui comincerà l’iter parlamentare. Prevista per martedì alle 13.30 la prima seduta. Dalle prime informazioni, viene indicato come unico relatore il presidente della commissione, il senatore di FdI Nicola Calandrini, per la fase relativa al parere da inviare al presidente del Senato Ignazio La Russa.

 

Manovra: accordo sulla cedolare secca, avanti senza emendamenti

«Le forze di maggioranza hanno confermato la volontà di procedere speditamente all’approvazione della Legge di Bilancio, senza pertanto presentare emendamenti», si legge nella di Palazzo Chigi dopo il vertice dei leader di maggioranza con la premier Giorgia Meloni. «Il Governo terrà conto con grande attenzione del dibattito parlamentare e delle considerazioni delle forze di maggioranza ed opposizione». Dall’incontro è emersa «la grande compattezza e determinazione delle forze di maggioranza che ha consentito di varare una manovra finanziaria improntata alla serietà e alla solidità dei conti pubblici, che nonostante il contesto difficile riesce a ridurre la pressione fiscale sul ceto medio-basso, a sostenere le famiglie e i lavoratori», conclude la nota.

Intesa sugli affitti brevi

La proposta di FI per un codice identificativo nazionale per gli affitti brevi entra nella manovra. Come appreso dall’Ansa, confermato l’aumento al 26 per cento dell’aliquota dalla seconda alla quarta casa messa in affitto fino a 30 giorni, specificando che per la prima resta al 21 per cento. C’è l’impegno di destinare il gettito derivante – circa un miliardo di euro secondo stime circolate nella riunione – alla riduzione delle tasse sulla casa. FI, in una nota, ha espresso particolare apprezzamento per «l’accoglimento delle sue istanze, alcune delle quali saranno inserite nel decreto collegato alla manovra, già all’esame del Parlamento».

Confedilizia: «Si alimenterà il sommerso»

«Il governo» riferisce la nota del presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, «ha deciso di accontentare gli albergatori che, in preda a una sorta di ossessione, premono ogni giorno sulla politica affinché introduca misure per ostacolare i proprietari che utilizzano i loro appartamenti per locazioni brevi. Si tratta di una scelta sbagliata e che non porterà un affitto di lunga durata in più (oltre a non garantire maggior gettito). Ciò che accadrà è che aumenteranno ulteriormente i prezzi delle camere d’albergo (già alle stelle), vi sarà qualche casa sfitta in più, si alimenterà il sommerso e i borghi delle nostre aree interne avranno qualche speranza in meno di tornare a vivere». «Ringraziamo», conclude, «chi ha provato ad evitare che la flat tax sugli affitti inventata dal governo Berlusconi in alternativa dell’Irpef fosse incrementata per la prima volta dal 2011».

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