Category Archives: politica

Ma quante Meloni ci sono?

Ma quante Giorgia Meloni ci sono? Finora ne conoscevamo due, quella di lotta e quella di governo: la prima campionessa di sovranismo, la seconda fervente atlantista ed europeista, che fa quasi coppia fissa con Ursula Von der Leyen ed è tutta sorrisi e abbracci con quello che era stato uno dei suoi bersagli di sempre, il dimissionario primo ministro olandese Mark Rutte.

Ma quante Meloni ci sono?
Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e Mark Rutte (Imagoeconomica).

La Meloni del piano Mattei e Giorgia dell’intesa con Tirana

Insediatasi stabilmente a Palazzo Chigi, ora si scopre che il bisogno di sdoppiarsi della premier è una prerogativa costante. Ecco dunque la Meloni del piano Mattei, dello stringiamo accordi con i Paesi africani per frenare la diaspora dei migranti verso le coste italiane. E l’altra Meloni, quella dell’intesa con l’Albania per trasferirli in leasing in centri di temporanea accoglienza. Insomma, passare da Roma a Rama è stato un attimo. Se il primo sdoppiamento ha generato le feroci critici dei militanti duri e puri della fiamma che la riempivano di insulti e accuse di tradimento nelle loro chat, il secondo ha portato sconcerto tra i suoi alleati, che sull’iniziativa albanese così come su molte altre (per esempio, tanto per andare sul recente, quella poi svaporata della tassa sugli extraprofitti delle banche) non sapevano nulla. Eppure su questo doppio e contraddittorio registro della premier, ora che è più di un anno che la destra ha conquistato i palazzi del potere, dovrebbero averci fatto il callo. Invece niente, ogni volta Meloni li prende in contropiede costringendoli affannosamente ad abbozzare. Nonostante appaia sempre più evidente che la leader di Fratelli d’Italia abbia improntato la sua azione di governo alla filosofia del marchese del Grillo: io so’ io, etc.

Ma quante Meloni ci sono?
Edi Rama con Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

La propaganda non può essere lasciata in esclusiva alla premier, Salvini è avvisato

Nemmeno lo scherzo telefonico dei comici russi, che ha svelato quanto sia tiepido e pieno di dubbi quel sostegno all’Ucraina che pubblicamente definisce granitico, ha aperto gli occhi ai suoi malmostosi alleati, che evidentemente di Meloni continuano a vederne una sola. Il problema è che andando verso le elezioni europee, dove ognuno va per conto suo e quindi i sodali del centrodestra diventano avversari, dovranno ricredersi. Specie uno, Matteo Salvini, il camaleonte per eccellenza, con tanto di licenza a cambiare idea quando il vento del consenso cambia direzione. Si chiama propaganda, ed è un’attitudine della politica che in un Paese praticamente in campagna elettorale continua non può essere lasciata in esclusiva a uno solo. Il capo della Lega è avvisato.

Liliana Segre alla sinagoga di Milano: «Mi sembra di aver vissuto invano»

«Se sono qui è perché la ritengo una serata importante. Non mi sento di parlare di questo argomento perché sennò mi sembra di avere vissuto invano». Sono le parole della senatrice a vita Liliana Segre, al suo arrivo alla serata organizzata dalla comunità ebraica di Milano, nella sinagoga di via della Guastalla.

«Immagini di una tristezza infinita»

La serata è stata organizzata per le vittime, a un mese dall’attacco di Hamas a Israele, e per chiedere la liberazione degli ostaggi. A chi ha domandato alla senatrice di commentare le immagini della guerra che si stanno vedendo in questi giorni, Segre, che è sopravvissuta alla deportazione ad Auschwitz, ha risposto che «sono di una tristezza infinita».

Il ritorno di Marta Fascina in Parlamento dopo la morte di Berlusconi

Marta Fascina, come annunciato di recente, ha fatto il suo ritorno alla Camera. L’ultima compagna di Silvio Berlusconi è entrata dal corridoio dietro l’Aula, accompagnata dal capogruppo alla Camera Paolo Barelli e da Tullio Ferrante, sottosegretario ai trasporti. Capelli raccolti e tailleur nero, a chi le ha chiesto come si sentisse nel tornare a Montecitorio, non ha risposto, limitandosi a sorridere.

La fiducia al dl Caivano

La deputata di Forza Italia è tornata per votare la fiducia al decreto Caivano. In una recente intervista al Corriere della Sera, Fascina aveva parlato di un suo ritorno in Aula in riferimento alle richieste di Paolo Berlusconi e di altri parlamentari. «Paolo mi vuole un gran bene» – aveva dichiarato al quotidiano – «e le sue parole denotavano solo una sincera preoccupazione per il mio stato d’animo. So bene che grava su di me una grande responsabilità nei confronti degli italiani che mi hanno votata. Tornerò presto alla Camera per onorare il mandato ricevuto. Sicuramente prima delle votazioni sulla legge di Bilancio, che è la legge più importante».

Montanari candidato a Firenze e il Pd in crisi di nervi sono un caso politico nazionale

Le elezioni fiorentine del 2024 sono un caso politico nazionale. Per il Partito democratico ma anche per il destra-centro, che per la prima volta ha l’occasione di strappare la città alla sinistra. Sarebbe clamoroso, ma comunque in linea con i risultati locali degli ultimi anni, visto che la destra governa quasi tutti i capoluoghi di provincia della Toscana (le mancano solo Firenze, Prato e Livorno). I dem non hanno ancora deciso se fare le Primarie o non farle. Se potessero, i vertici fiorentini e toscani le eviterebbero volentieri, ma con la fine dell’epoca post-renziana (Dario Nardella, Pd, è al secondo mandato) la consultazione popolare sembra essere inevitabile. Le Primarie comportano una certa quantità di rischio, per chi predilige lo status quo, come dimostra la vittoria di Elly Schlein a quelle del 26 febbraio 2023 e, in un’altra epoca, la vittoria di Matteo Renzi alle Primarie fiorentine del 2009. In entrambi i casi, l’elettorato di centrosinistra – compresi molti non iscritti – ha deciso di voltare pagina. C’è però oggi un Renzi del 2023 o, meglio, del 2024, a Firenze? No. Anche se c’è una candidatura imprevedibile. È quella di Cecilia Del Re, ex assessora della giunta Nardella, cacciata dal sindaco uscente mesi fa.

Montanari candidato a Firenze e il Pd in crisi di nervi sono un caso politico nazionale
Cecilia Del Re, ex assessora della giunta Nardella (Imagoeconomica).

Nardella ha lottato per il terzo mandato e ora vorrebbe Funaro

Del Re, che alle ultime elezioni amministrative prese 2.697 voti, la più votata per il Consiglio comunale, chiede incessantemente le Primarie. Da mesi è in campo, ha uno staff che si occupa di comunicazione (fra questi c’è anche lo spin doctor Francesco Nicodemo), un gruppo di sostenitori trasversale alle correnti del Pd ed è pronta a lanciare il 15 novembre la sua candidatura al Tuscany Hall. Nardella, che a lungo ha spinto per cambiare la legge e avere un terzo mandato, non vuole che sia lei la candidata e non vuole che vinca le Primarie. Per lui la candidatura ideale è quella di una sua assessora, Sara Funaro. Ma avendo perso male le Primarie del 26 febbraio, anche in casa sua, a Firenze, l’agibilità politica del sindaco di Firenze e futuro candidato alle elezioni europee si è ridotta non poco.

Montanari candidato a Firenze e il Pd in crisi di nervi sono un caso politico nazionale
L’assessora Sara Funaro col sindaco di Firenze Dario Nardella (Imagoeconomica).

C’è sempre l’ipotesi Giani, ma non è forse questo il momento

Tra i possibili candidati c’è pure Eugenio Giani, che da sempre sogna di fare il sindaco di Firenze. Nel suo caso non ci sarebbe bisogno di fare le Primarie (e anche Renzi sarebbe d’accordo con la sua candidatura). Ma è presidente della Regione e forse non è questo il momento adatto per lasciare la guida della Toscana. Al prossimo giro, chissà.

Montanari candidato a Firenze e il Pd in crisi di nervi sono un caso politico nazionale
Eugenio Giani e Tomaso Montanari (Imagoeconomica).

Conte con Montanari è riuscito nel suo intento: agitare il Pd

C’è poi il Movimento 5 stelle, un partito che a Firenze non esiste (non esisteva nemmeno quando c’era il giovane Alfonso Bonafede, futuro ministro della Giustizia, a mandare in streaming le sedute del Consiglio comunale in epoca Renzi). Giuseppe Conte però si è inventato l’ipotesi della candidatura di Tomaso Montanari. Lo storico dell’arte e rettore dell’Università per Stranieri di Siena però si candiderebbe soltanto con l’appoggio dei dem. Qualcuno del Pd fiorentino sarebbe ben disposto, soprattutto tra gli schleiniani, a sostenere la sua candidatura, ma alla fine difficilmente se ne farà qualcosa: Montanari, avversario di Nardella e accusatore della città-parco giochi, spaccherebbe il Pd. Ma Conte è già riuscito nel suo intento: agitare i democratici, che temono come mai prima d’ora di perdere Firenze.

Montanari candidato a Firenze e il Pd in crisi di nervi sono un caso politico nazionale
Elly Schlein e Giuseppe Conte (Imagoeconomica).

Dai dem toscani solo una parziale apertura al M5s

L’ipotesi Montanari ha infatti causato la reazione del segretario del Pd toscano, Emiliano Fossi, deputato alla prima legislatura: «Il Pd in città ha l’ambizione e la forza per mettere a disposizione della coalizione candidature a sindaco di alto profilo e competenza, ma ha anche la volontà di aprirsi al coinvolgimento delle personalità migliori che la nostra città può offrire per costruire insieme una proposta politica con-vincente», ha detto. C’è chi ha letto la dichiarazione di Fossi come un’apertura. Magari non a Montanari stesso, ma al M5s sì.

Montanari candidato a Firenze e il Pd in crisi di nervi sono un caso politico nazionale
Eike Schmidt, direttore degli Uffizi (Imagoeconomica).

Nel piano della destra Schmidt, un uomo della società civile

E la destra? In Toscana ha ormai una classe dirigente, che prima non aveva. Il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi, di Fratelli d’Italia, potrebbe essere il candidato alle elezioni regionali del 2025. Prima però c’è da provare a vincere a Firenze. Si era palesata l’ipotesi della candidatura di Eike Schmidt, attuale direttore degli Uffizi. Non è una boutade, i vertici di Fratelli d’Italia, anche nazionali (a cominciare dal fiorentino Giovanni Donzelli), si stanno interrogando a lungo sulle potenzialità politiche di Schmidt. A Firenze, d’altronde, l’unica candidatura di destra che potrebbe funzionare davvero è quella di un esponente della cosiddetta società civile.

In Italia ci sarà un deposito di scorie nucleari, Pichetto Fratin: «Spero in tempi brevi»

In Italia nascerà un deposito per le scorie nucleari. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, lo ha annunciato agli Stati generali della green economy alla fiera Ecomondo di Rimini. Ha spiegato: «Questo governo farà il deposito delle scorie nucleari. Non dico entro Natale, ma in tempi molto brevi. Ci sto lavorando tutti i giorni». E ha aggiunto: «Abbiamo 22 container di scorie ad alta intensità in Slovacchia, Francia e Inghilterra. Poi abbiamo in questo momento 98mila metri cubi di scorie a bassa e media intensità, che sono essenzialmente ospedaliere».

Pichetto Fratin: «Il deposito si farà»

Il ministro Pichetto Fratin ha parlato anche del fronte dei no, di tutti coloro che non vorrebbero un deposito: «Chi dice che non vuole il deposito delle scorie è pronto a dire a un suo famigliare o a un suo amico “non fare la Pet in ospedale, perché produce scorie”? Noi produciamo mediamente 1.000 metri cubi al mese di scorie. Dobbiamo trovare una soluzione. Dopo trent’anni non ce l’abbiamo ancora fatta. Questo governo vuole farcela, e farà il deposito delle scorie».

In Italia ci sarà un deposito di scorie nucleari, Pichetto Fratin «Spero in tempi brevi»
Il ministro Pichetto Fratin (Imagoeconomica).

Sulle rinnovabili: «Entro il 2030 obiettivo 70 gigawatt»

Pichetto Fratin ha comunque sottolineato come il governo voglia proseguire sulla strada dell’energia rinnovabile. Ha spiegato: «In Italia nel 2021 sono stati impiantati meno di 1,5 gigawatt di rinnovabili, poi nel 2022 sono aumentati a 3 gigawatt. L’obiettivo di quest’anno è farne almeno 6, e l’obiettivo al 2030, che stiamo dando nel piano nazionale energia, è raggiungere i 70 gigawatt». E poi ha concluso: È facile esaltare l’obiettivo, ma poi si tratta di trovare il punto di equilibrio rispetto ai beni paesaggistici, alle valutazioni ambientali, alle valutazioni dei territori. L’eolico offshore poi ha bisogno di tempi molto più lunghi. È un percorso che questo paese può fare. Ci vuole il massimo della determinazione e il massimo della integrazione tra i vari livelli istituzionali, governo, Regioni e Comuni».

Fiumicino, insulti sessisti contro la consigliera comunale Paola Meloni

«Tacete che è meglio» e ancora «A cuccia». Sono le espressioni che ha usato il consigliere comunale di Fiumicino Massimiliano Catini, lista Baccini sindaco, nei confronti di Paola Meloni, consigliera comunale di minoranza. A riportare l’episodio, Terzobinario.it con un’intervista alla donna che non ha nascosto la “grande amarezza e delusione” per le espressioni ricevute sui social network.

Dal post ai commenti

Come riportato dal quotidiano «tutto è nato da un post social in cui l’amministrazione comunale di Fiumicino annunciava alcune manovre messe in campo per fronteggiare l’emergenza meteo e contro l’erosione che nei giorni scorsi ha colpito tutta Italia», compresa la città di Fiumicino. «In qualità di consigliera» ha dichiarato Meloni «mi sono sentita in dovere di commentare per chiedere quali fossero le azioni intraprese». A quel punto, è giunta immediata la risposta dell’esponente di maggioranza Catini che «prima mi ha liquidata con un “Tacete che è meglio” e poi alla mia richiesta di ulteriori informazioni mi ha liquidata con un “a cuccia”». I commenti, come riferito dalla consigliera, sono stati cancellati.

La vicinanza di colleghi e cittadini

Per i commenti, definiti “vergognosi”, la stessa consigliera ha riferito di aver ricevuto «un grande senso di vicinanza da parte degli altri cittadini e colleghi d’aula, che immediatamente mi hanno inviato tantissimi messaggi di solidarietà e sostegno». Meloni ha inoltre annunciato: «Sto valutando, al prossimo Consiglio comunale di chiederne le dimissioni per questo vergognoso episodio».

Califano, Pd Lazio: «Ennesima caduta di stile»

Alla consigliera di minoranza sono giunte parole di solidarietà anche da parte della consigliera regionale del Pd Lazio, Michela Califano: «Dove non si arriva con la cultura, con l’uso della parola, con la dialettica a sostenere una normale discussione politica, soprattutto tra un uomo e una donna, allora si tenta di zittirla con la prevaricazione, con la violenza delle parole, con l’ostentazione di una mal simulata mascolinità. Alla consigliera Paola Meloni va il mio sostegno e tutta la mia indignazione. È una persona forte e di tutt’altra pasta e l’ha dimostrato non cedendo alla bieca provocazione. Quello che più ferisce in tutta questa ennesima caduta di stile è la consapevolezza che da una certa parte non si riesca proprio a capire quanto l’uso delle parole sia importante».

Report, Ranucci in Commissione di vigilanza Rai. A Roma corteo di solidarietà

È previsto per la serata di martedì 7 novembre, alle 20, l’incontro tra tra la Commissione di vigilanza Rai e il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, convocato per la recente inchiesta del programma su Silvio Berlusconi.

Il presidente dell’Odg del Lazio: «La libertà d’informazione è messa a serio rischio»

La notizia è stata annunciata sui social dal profilo di Report, mentre Ranucci ha commentato: «Per la prima volta nella storia, un giornalista è stato chiamato a rispondere del perché e come fa un’inchiesta, davanti a una commissione politica». In concomitanza con l’audizione, a Roma si terrà «una passeggiata della legalità in difesa della libertà di stampa» promossa da Articolo ventuno, che prenderà il via dal Pantheon alle 19.15. Tra le adesioni anche quella del presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, Guido D’Ubaldo che, citato dalla Dire, ha spiegato: «Il giornalismo d’inchiesta va difeso sempre. La libertà d’informazione è messa a serio rischio». Anche il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha espresso la sua solidarietà al conduttore: «La convocazione di Sigfrido Ranucci, da parte della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, è incomprensibile e sembra più una censura rispetto all’indipendenza di Report, uno dei più importanti spazi di inchiesta del nostro sistema di informazione», ha detto.

L’Ue chiede all’Italia i dettagli dell’accordo con l’Albania sui migranti

L’Unione europea ha chiesto di ricevere maggiori dettagli sull’accordo per la gestione dei migranti firmato il 6 novembre dalla premier italiana Giorgia Meloni e dall’omologo albanese Edi Rama. Lo ha fatto sapere la portavoce della Commissione Europea Anitta Hipper durante il briefing quotidiano, aggiungendo che Bruxelles ne è stata informata appena prima dell’annuncio: «Prima di commentare oltre dobbiamo capire cosa c’è intenzione di fare esattamente». Finora, infatti, nessun Paese dell’Ue ha stretto un accordo simile per esternalizzare la gestione dei richiedenti asilo. Hipper ha aggiunto che, «dalle prime informazioni», l’accordo Italia-Albania «sembra diverso da quello tra Regno Unito e Ruanda».

L'Unione europea chiede all'Italia maggiori informazioni sull'accordo con l'Albania sui migranti, siglato il 6 novembre.
Migranti appena arrivati a Lampedusa (Getty Images).

Gli ostacoli logistici presenti nell’accordo 

«Qualsiasi accordo che l’Italia stipula con gli albanesi in relazione al trattamento delle richieste di asilo deve rispettare il diritto comunitario e internazionale», ha precisato la Commissione europea. I dettagli dell’intesa non sono chiari ma, secondo una ricostruzione de Il Post, sia dal punto di vista logistico che del rispetto delle leggi internazionali presenterebbero alcuni punti problematici. Innanzitutto la lunghezza del viaggio che Guardia Costiera e Guardia di Finanza dovrebbero intraprendere dai porti italiani a quello di Shëngjin (San Giovanni di Medua) per trasportare i migranti. Da Lampedusa (principale punto di sbarco) al porto albanese ci sono 700 chilometri: ciò significa 3-4 giorni di navigazione tra andata e ritorno, creando potenziali problemi sia per i migranti a bordo, sia per le autorità italiane che, a parte la Marina militare, dispongono di imbarcazioni inadatte. Impiegare per giorni le navi delle autorità italiane in Albania, inoltre, comporterebbe la necessità di integrare la diminuzione della loro presenza nel Mediterraneo centrale.

Le potenziali violazioni del diritto internazionale 

Per quanti riguarda il diritto internazionale, la scelta di far sbarcare solo alcune categorie di migranti (minori, donne, malati) potrebbe incorrere in annullamenti da parte dei tribunali, come nel caso del Tar di Catania che a febbraio ha dichiarato illegittima una decisione del governo Meloni presa in un contesto simile. Secondo la Convenzione di Amburgo sul soccorso in mare, le persone in difficoltà vanno soccorse e portate in un porto sicuro «senza tener conto della nazionalità o dello statuto di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata». Anche la decisione di inviare le navi italiane in un porto così lontano potrebbe violare le norme del diritto internazionale che regolano i soccorsi in mare, in quanto trattamento inumano e degradante vietato dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

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Per l’International Rescue Committee l’accordo è «disumanizzante»

L’International Rescue Committee ha affermato che l’accordo sull’immigrazione dell’Italia con l’Albania è «disumanizzante» e «infligge un ulteriore colpo al principio di solidarietà dell’Ue». Secondo la ong Sea-Watch, l’intesa Roma-Tirana rappresenta «un nuovo attacco frontale da parte del governo italiano al diritto internazionale e comunitario in materia di asilo, sfruttando il desiderio di riconoscimento internazionale e la fragilità dei Paesi terzi per eludere il suo responsabilità in materia di asilo».

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Codice della Strada, Salvini: «Non toccheremo il tasso alcolemico, un bicchiere di vino è salutare»

Il tasso alcolemico inserito nel nuovo Codice della strada non sarà innalzato né toccato. A dichiararlo è stato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, durante l’evento inaugurale di Eicma, l’esposizione internazionale delle due ruote attualmente alla Fiera di Milano Rho. Il vicepremier e leader della Lega ha dichiarato: «Nel nuovo Codice della strada non tocchiamo il tasso alcolemico: qualche bicchiere di vino non solo non fa male, ma è assolutamente lecito per chi lo ritiene salutare». Poi ha spiegato: «Però per i recidivi si ricalca il modello di alcuni Paesi europei. Prevediamo l’installazione a bordo delle vetture del sistema dell’alcol-lock».

Le sanzioni: dal ritiro della patente all’alcol-lock

Dopo la prima sanzione sarà previsto il ritiro della patente per un periodo limitato. Alla seconda, in caso di morte, lo stop al titolo di guida potrà arrivare fino a 30 anni e sarà installato nell’autovettura l’alcol-lock, che inibisce l’accensione del motore. Salvini ha anche aggiunto: «Idem vale perché per chi risulta positivo al droga test. Ad oggi, incredibilmente se un agente della Stradale ti ferma e risulti positivo al droga test, è onere dell’agente di Pubblica Sicurezza dimostrare che tu sei in stato di alterazione, altrimenti saluti, ringrazi e te ne vai. Con le nuove norme, se risulti positivo al test mi fermo per i controlli, della patente ne riparliamo dopo un po’ di tempo, perché ritengo che la vita umana sia più preziosa».

Codice della Strada, Salvini «Non toccheremo il tasso alcolemico, un bicchiere di vino è salutare»
Salvini alla Fiera su una motocicletta (Imagoeconomica).

Salvini: «Approvazione entro Natale»

Il ministro Salvini ha anche parlato delle tempistiche: «Il mio obiettivo è che il nuovo Codice della strada venga approvato entro Natale, perché sotto l’albero di tanti ciclisti, motociclisti, automobilisti e camionisti ci siano delle regole aggiornate all’anno del Signore». E ha parlato anche delle biciclette, spiegando che nel nuovo Codice «non ci saranno oneri. Niente imposizioni di targhe o assicurazioni alle bici, che continueranno a circolare come ora».

Imposizioni per i monopattini: «Limitare la velocità»

«Le imposizioni le ho richieste personalmente per i monopattini», prosegue Matteo Salvini, «perché di avere monopattini che vanno a 50 km/h in autostrada non se ne può più. Fra Milano e Roma, non so quale situazione di maggior abbandono ci sia per i monopattini, buttati in mezzo alla strada con tanti saluti per rampe per i disabili, per i passeggini, per gli anziani. Quindi, regole nuove per monopattini, che il Codice del ’92 non poteva prevedere: non potranno andare in tangenziale, avranno la velocità limitata per norma e avranno un numero di matricola, per poter risalire al conducente che si rende protagonista di comportamenti irrispettosi verso gli altri».

Mattarella in Corea del Sud: iniziata la visita a Seul

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è arrivato martedì 7 novembre a Seul per una visita di Stato di tre giorni nella Corea del Sud. Accompagnato dalla figlia Laura, sarà in Asia per quasi una settimana. Dopo questa tappa, che lo porterà anche al 38esimo parallelo al confine con la Corea del nord, il capo dello Stato si sposterà a Tashkent per colloqui politici con le autorità dell’Uzbekistan. Mercoledì 8 novembre a Seul incontrerà il presidente coreano Yoon Suk-yeol.

 

 

Formigoni: fine pena fissato per il 12 novembre, poi la valutazione dei giudici

È fissato per il prossimo 12 novembre il “fine pena” per l’ex presidente della Lombardia Roberto Formigoni. Condannato in via definitiva a 5 anni e 10 mesi per corruzione nell’ambito della vicenda Maugeri-San Raffaele, nell’ottobre 2022 aveva ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali con lo svolgimento di «attività di volontariato», ossia corsi di lingua italiana per le suore straniere che accudiscono gli anziani all’Istituto Piccolo Cottolengo-Don Orione di Milano. Dopo il “fine pena”, però, passerà ancora qualche settimana: il tribunale di sorveglianza di Milano, infatti, potrà dichiarare l’estinzione effettiva della pena (probabilmente all’inizio del prossimo anno), dopo aver valutato la relazione prevista dell’Ufficio esecuzione penale esterna, che dovrà essere consegnata ai giudici.

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Formigoni dovrà chiedere la riabilitazione per cancellare l’interdizione dai pubblici uffici

Per cancellare, però, le cosiddette pene accessorie, come l‘interdizione dai pubblici uffici (che non permette, ad esempio, una candidatura alle elezioni, prospettiva che il Celeste starebbe valutando per le Europee del 2024), l’ex governatore lombardo dovrà chiedere, poi, ai giudici della sorveglianza la riabilitazione, come fece e ottenne all’epoca Silvio Berlusconi.

Bonus psicologo, Forza Italia chiede più risorse: 40 milioni dal 2024

Forza Italia ha chiesto un aumento delle risorse destinate al bonus psicologo. La notizia arriva a pochi giorni dal lancio, da parte di Fedez, di una raccolta firme per chiedere maggiori fondi al governo.

Copertura individuata nelle maggiori entrare dell’Iva su benzina e gasolio

Forza Italia ha chiesto l’aumento delle risorse per il bonus in un emendamento a firma della capogruppo Licia Ronzulli e di Claudio Lotito al decreto Anticipi in commissione Bilancio. Vengono chiesti 10 milioni in più per il 2023, facendo triplicare le risorse a disposizione e portandole a 15 milioni, e 40 milioni dal 2024, cinque volte di più rispetto agli 8 milioni attualmente previsti. La copertura è individuata, per il 2023, dalle maggiori entrate Iva su benzina e gasolio per autotrazione, dovuta all’aumento dei prezzi e in parte, per il 2024, dalla riduzione del Fondo per interventi strutturali. La proposta di aumentare i fondi del bonus è stata sostenuta tramite altri emendamenti anche dal Partito democratico.

Liguria: mortaio gigante sul Tamigi per la promozione del pesto, la reazione del Pd

Un mortaio di 6 metri d’altezza e 8 metri di larghezza: si tratta dell’installazione immersiva che navigherà sul Tamigi, a Londra, partendo dai Royal Docks verso il centro della città fino al Big Ben, con lo scopo di promuovere la Liguria. La campagna #Pesto Masterpiece of Liguria si sta svolgendo in concomitanza con la fiera del turismo mondiale (World Travel Market) in programma a partire da lunedì 6 novembre a Londra, e la finale del campionato mondiale del pesto organizzata da Regione Liguria e Camera di Commercio.

L’inaugurazione e le polemiche

Alla presenza del presidente della Regione Giovanni Toti, ha così preso il via la nuova campagna promozionale, ma non senza polemiche. «Ce la vedete voi la Regione Puglia girare con un tarallo alto sette metri lungo la Senna? O il Piemonte promuoversi con una ciotola di bagnacauda gigante lungo le strade di New York? No, vero?» ha scritto sui social il capogruppo regionale dem Luca Garibaldi. E ancora: «Ecco, la Liguria invece spenderà mezzo milione di euro per un mortaio gigante gonfiabile montato su una chiatta galleggiante sul Tamigi, a Londra». Subito dopo l’attacco diretto: «Toti investe una quantità imbarazzante di soldi pubblici sulla comunicazione, dimenticandosi che dovrebbe pure governare una Regione e non solo farsi pubblicità a sue spese, in una perenne campagna elettorale. Ne abbiamo viste di ogni, dal palazzo di Regione trasformato in un cartellone pubblicitario a led ai 700 mila euro per trasformare la sala stampa in una specie di studio tv, per citare gli ultimi esempi. Ma penso che il massimo lo si sia raggiunto con quest’ultima invenzione della Giunta».

La soddisfazione di Toti

Nessun dubbio invece per il presidente della Regione Liguria che in un post ha espresso la soddisfazione di queste ore al World Travel Market di Londra: «Con il nostro stand e soprattutto il nostro pesto che a bordo di un mortaio gigante sta navigando sul Tamigi, stiamo promuovendo le eccellenze della nostra regione. Mare e monti, cultura, patrimonio enogastronomico ed eventi: la Liguria offre esperienze uniche nel mondo, che sempre più turisti stanno apprezzando in ogni stagione».

Migranti, accordo tra Meloni e Rama: due centri d’accoglienza in Albania

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, si sono incontrato a Palazzo Chigi e hanno annunciato «un protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migranti». La premier ha definito così l’accordo tra i due Paesi, che porterà alla creazione di alcuni centri migranti in terra albanese. Meloni ha spiegato: «L’Italia è il primo partner commerciale dell’Albania. C’è una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità. L’accordo prevede di allestire centri migranti in Albania che possano contenere fino 3 mila persone».

Meloni: «Nessuno Stato Ue può affrontare da solo l’immigrazione illegale»

«Quando ne abbiamo iniziato a discutere», ha proseguito poi la premier, «siamo partiti dall’idea che l’immigrazione illegale di massa è un fenomeno che nessuno Stato Ue può affrontare da solo. La collaborazione tra Stati Ue e Stati per ora extra Ue è fondamentale». Giorgia Meloni ha continuato tessendo le lodi del Paese guidato da Rama: «L’Albania si conferma una nazione amica e nonostante non sia ancora parte dell’Unione si comporta come se fosse un paese membro e questa è una delle ragioni per cui sono fiera che l’Italia sia da sempre uno dei paesi sostenitori dell’allargamento ai Balcani occidentali. L’Ue non è un club. Quindi, io non parlo di ingressi ma di riunificazione dei Balcani occidentali che sono Paesi Ue a tutti gli effetti».

Migranti, accordo tra Meloni e Rama due centri d'accoglienza in Albania
Giorgia Meloni durante la conferenza stampa congiunta (Getty Images).

Le strutture potranno accogliere 36 mila persone l’anno

Al centro del protocollo d’intesa tra i due Paesi c’è la creazione di due centri migranti in cui saranno accolti fino a 3 mila immigranti in totale. Non saranno trasportati in Albania quelli che giungono sulle coste italiane ma quelli salvati in mare. Saranno esclusi i minori, le donne in gravidanza e i soggetti vulnerabili. La stima totale è di 36 mila persone accolte in un anno.

Rama: «Se l’Italia chiama, l’Albania c’è»

Edi Rama, premier albanese, ha dichiarato: «Se l’Italia chiama l’Albania c’è. Non sta a noi giudicare il merito politico di decisioni prese in questo luogo e altre istituzioni, a noi sta rispondere “Presente” quando si tratta di dare una mano. Questa volta significa aiutare a gestire con un pizzico di respiro in più una situazione e difficile per l’Italia. La geografia è diventata una maledizione per l’Italia, quando si entra in Italia si entra in Ue. Noi non abbiamo la forza e la capacità di essere la soluzione ma abbiamo un dovere verso l’Italia e la capacità di dare una mano. L’Albania non fa parte dell’Unione ma è uno Stato europeo, ci manca la U davanti ma ciò non ci impedisce di essere e vedere il mondo come europei».

Migranti, accordo tra Meloni e Rama due centri d'accoglienza in Albania
Il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (Getty Images).

Briatore derubato, il segretario di Rifondazione Comunista: «Un po’ di redistribuzione del reddito ci vuole»

La denuncia che Flavio Briatore ha lanciato qualche giorno fa via Instagram riguardo a un furto subito in centro a Milano (per di più in pieno giorno) ha fornito al segretario di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo, il gancio per una stoccata all’imprenditore, poi derubricata con un chiarimento in diretta tv.

Flavio Briatore derubato, il segretario di Rifondazione Comunista: «Un po’ di redistribuzione del reddito ci vuole»

Lo scorso 2 novembre Flavio Briatore ha caricato sul suo profilo un video in cui raccontava quello che gli era accaduto in zona Cordusio, a pochi passi da Piazza del Duomo, dove un uomo di origine extracomunitaria a bordo di un monopattino aveva aperto la portiera dell’auto rubandogli uno zaino per poi essere bloccato da capitano della Guardia di Finanza che si trovava nelle vicinanze. La denuncia di Briatore ha scatenato la reazione di Maurizio Acerbo. «I miei complimenti al benemerito ladro che ha derubato Flavio Briatore», ha scritto il segretario di Rifondazione su X. «Un po’ di redistribuzione del reddito ci vuole».

Acerbo sul tweet su Briatore: «La mia una provocazione»

Il leader di RC è stato sommerso dalle critiche e a Mattino Cinque News ha fatto un parziale dietrofront. «È evidente che la mia è stata una provocazione», ha commentato Acerbo precisando: «Ho citato un concetto che è alla base della nostra Costituzione quello della redistribuzione. In questo Paese sempre più i ricchi sono privilegiati, pagano sempre meno tasse, e per vedere un po’ di redistribuzione del reddito, che dovrebbe essere fatta attraverso la tassazione, ci deve essere un ladro. Io preferirei che fossero le leggi della Repubblica italiana a farlo».

Premierato è l’anagramma di imperatore

È quando ci si abitua all’orrore che si varca senza ritorno la soglia dell’orrore. La guerra la fanno. L’affanno, la guerra. Dacché mondo è immondo la guerra la decidono i maschi. Pacifica è antipodo palindromo ma è, per tutti i versi, femmina. La guerra ha sempre un’alta aspettativa di viltà. Il tempo ci darà sragione. O stagione. Cambio di consolante. L’abitudine, dicevo. A casa loro il dolore. A casa nostra il colore. Qui in Italia si ride sempre. Sempre. Ma perché? Un mondino e una risata. Piccolo mondo, cantico. Un tempo, se squillava il telefono fisso, dovevi rispondere «Europa Europa!». Minchia, signor presidente. Premierato è anagramma di imperatore.

Bucci in pole per sostituire Talò, Rutelli jr tra i candidati per la direzione del Messaggero: le pillole della giornata

Francesco Talò ha perso il posto di consigliere diplomatico, dopo l’incredibile telefonata tra i comici russi e Giorgia Meloni. «E ora chi ci mettiamo?», hanno detto a Palazzo Chigi, dopo essere stati sommersi da omeriche risate provenienti dalle cancellerie di mezzo mondo. La posizione è difficile, l’ambiente è quello che è, e si sa che alla Farnesina ancora ci sono le “correnti” di Massimo D’Alema, Piero Fassino e Luigi Di Maio. Alla fine il nome più gettonato è quello di Fabrizio Bucci, che come ambasciatore a Tirana si è prodigato moltissimo questa estate quando Meloni ha trascorso alcuni giorni in Albania con Edi Rama, il premier del “Paese delle Aquile”. A dire il vero, però, come presidente del Consiglio ma più ancora come storica militante della destra, Meloni ha in testa un altro cognome: Vattani. Non Umberto, classe 1938, per due volte segretario generale del ministero degli Affari Esteri e sempre attivissimo in ogni parte del pianeta, ma il figlio Mario, anche lui diplomatico, commissario italiano per l’Expo 2025 in Giappone.

Vespa contro i piedi nudi

Era la puntata di Porta a porta dedicata a quel gran genio di Rol, e Bruno Vespa ci teneva, come sempre, a far bella figura. Ma qualcuno è riuscito a far andare in bestia il più longevo conduttore italiano: Anselma Dall’Olio, la metà di Giuliano Ferrara, autrice del film Enigma Rol, centrato sul personaggio torinese che amava stupire i suoi concittadini, e non solo, con giochi e magie di ogni tipo? «Selma Dall’Odio», così la chiamano i suoi non pochi detrattori, in studio era scalza, immagine che è stata mostrata anche ai telespettatori di Rai1. Alla fine della puntata Vespa non ha potuto fare a meno di stigmatizzare, con forza, l’assenza delle scarpe dell’invitata. Che non è nemmeno una carmelitana. Prima di morire Paolo Villaggio non indossava più le calzature e si presentava scalzo, ma i suoi erano seri motivi di salute.

Serata Rol e Dago

Serata difficile, quella di oggi, lunedì, per i vip romani: tocca scapicollarsi tra una sala cinematografica e l’altra, per salutare tutti gli amici. La settimana comincia davvero in salita: mettendo da parte la proiezione in anteprima di Codice Carla di Daniele Luchetti, con Nexo Digital, pellicola che sarà nelle sale tra una settimana, destinata agli amanti del ballo, la programmazione impone ai soliti noti una presenza pre-serale al cinema Barberini per Enigma Rol, motivata più che dal docufilm dalla presenza della produttrice, Francesca Verdini, e dal suo amato Matteo Salvini, vicepremier. Al seguito, parlamentari leghisti vecchi e nuovi, oltre a foglianti di ogni tipo (senza Lanfranco Pace, appena scomparso). Non si fa nemmeno in tempo a finire la visione del primo film che tocca andare al cinema Adriano per il docufilm di Roberto D’Agostino e Marco Giusti su Roma santa e dannata. Il miglior modo per chiudere la giornata, dopo Rol. Certo, che vitaccia…

Bucci in pole per sostituire Talò, Rutelli jr verso la direzione del Messaggero: le pillole della giornata
Francesca Verdini e Matteo Salvini a Venezia (Imagoeconomica).

Messaggero, ora è il turno di Rutelli jr

Salotti romani in fibrillazione: tutti a scommettere su chi sarà il prossimo direttore del quotidiano Il Messaggero. Ormai archiviato Massimo Martinelli, che a dispetto delle malelingue lavora ancora a via del Tritone e da quella sua piccola stanzetta si collega con i telegiornali e, a notte fonda, con i conduttori delle rassegne stampa, anche se in redazione non nascondono che «da come tratta le persone si capisce che è alla fine del suo mandato», evocando «scatti d’ira e mancanza di pazienza», il totonomine si amplia. I soliti bene informati capitolini dicono che sul tavolo di Francesco Gaetano Caltagirone e della figlia Azzurra, che è l’amministratore delegato, dopo i nomi di Agnese Pini, Claudio Cerasa e Roberto Sommella hanno aggiunto un altro professionista, Giorgio Rutelli. Che è il figlio dell’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli e Barbara Palombelli. «Sarebbe un’ottima scelta», si sente raccontare, ricordando che a Formiche «ha fatto un grande lavoro», così come a Dagospia come braccio destro di Roberto D’Agostino. E Formiche è la testata dalla quale proviene uno degli ultimi acquisti del Messaggero, Francesco Bechis. Che è figlio di Franco, attuale direttore di Open.

Bucci in pole per sostituire Talò, Rutelli jr verso la direzione del Messaggero: le pillole della giornata
Giorgio Rutelli (Imagoeconomica).

Vogliamo parlare di cosa Meloni ha detto nella telefonata-fake?

Un caso studio della distrazione come metodo di governo e del concorso esterno in associazione distratta della stampa negli ultimi giorni. Della telefonata di due comici russi alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni ormai sappiamo tutto. Il duo Vovan-Lexus riesce a farsi passare come presidente dell’Unione africana e parla con la premier per alcuni minuti. Nel contenuto di quella telefonata c’è un punto sostanziale: Meloni sulla guerra in Ucraina sostiene le stesse tesi (quella di una risoluzione del conflitto che non può passare dalla vittoria degli ucraini che faticano nella loro controffensiva) di molti opinionisti, analisti e giornalisti. C’è una differenza sostanziale: chi si è permesso di dire o scrivere che la controffensiva ucraina fosse molto al di sotto delle più pessimistiche aspettative e chi ha chiesto una mediazione è stato bollato come fiancheggiatore, come putiniano, come pacifinto, come nemico della democrazia, come nemico dello Stato e un’altra decina di epiteti non ripetibili. Dopo quella telefonata la presidente Meloni avrebbe dovuto spiegare come possa ritenere in privato “di buon senso” ciò che in pubblico viene bollato come collaborazionismo con il nemico.

Vogliamo parlare di cosa Meloni ha detto durante la telefonata-fake?
Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

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Le due Meloni: quella al telefono e quella pubblica

Cosa è accaduto dopo? Andiamo per ordine. Il sottosegretario Mantovano ha detto che «Giorgia Meloni si è accorta subito dello scherzo». In pratica secondo Mantovano le redini dello sketch comico le teneva la presidente del Consiglio. Nessun’altra considerazione sul contenuto della conversazione. Il vice presidente del Consiglio e segretario di Forza Italia, il ministro agli Esteri Antonio Tajani, ha parlato di «una superficialità da parte di chi ha organizzato la telefonata e questo non deve più accadere». Nessun’altra considerazione sul contenuto della conversazione. I più spericolati hanno addirittura avuto il coraggio di dirci che Giorgia Meloni ha mantenuto le stesse posizioni che tiene in pubblico: secondo loro una premier che si lamenta di essere lasciata sola dall’Europa sarebbe «colei che ha regalato all’Italia autorevolezza internazionale» e la presidente che diceva «non abbiate paura di scommettere sulla vittoria dell’Ucraina» è la stessa che al telefono dice c’è «molta stanchezza» del conflitto, la controffensiva di Kyiv «non sta andando bene» e serve «una via d’uscita».

Cosa non ha funzionato nel buco di Palazzo Chigi sullo scherzo a Meloni
Francesco Maria Talò (Imagoeconomica).

Le tesi della premier sono le stesse di coloro che il suo governo ha sempre bollato come pacifinti e filoputiniani

Poi, come spesso accade, il governo punta sul vittimismo. Decine di infuriati giornalisti raccontano che il duo russo è molto vicino a Putin, forse anche ai servizi segreti russi. Qualcuno scrive che la trappola telefonica rientrerebbe in una strategia di guerra a bassa intensità contro l’Europa e contro l’Italia. Osservazioni plausibile, certo, ma nessun’altra considerazione sul contenuto della conversazione. Così arriviamo a venerdì: Giorgia Meloni in conferenza stampa spiega che quella telefonata è stata «gestita con leggerezza che ha esposto la nazione». Ci si aspetterebbe una confessione o almeno un gesto di scuse verso coloro che da un anno sono stati lapidati. No, no. Per Meloni la leggerezza è di chi avrebbe dovuto verificare l’autenticità della telefonata e infatti annuncia le dimissioni del suo consigliere diplomatico Francesco Talò. Anzi Meloni spiega che «verso la fine della telefonata» ha anche «avuto un dubbio». «La telefonata», ha spiegato Meloni, «è stata rilanciata prima di tutto da programmi organici alla propaganda del Cremlino e questo dovrebbe indurre a riflettere chi sta facendo da megafono a questi comici che ieri in tv hanno detto di non avere legami con il Cremlino». Ma quella “stanchezza” per il conflitto in Ucraina? Qui arriva il colpo di genio. Meloni dice: «Non ho detto nulla di nuovo, io sono consapevole che le opinioni pubbliche, anche la nostra, soffrono per le conseguenze del conflitto. È un tema che ho segnalato a 360 gradi. Non sono un alieno per non capire che tra inflazione, prezzi delle materie prime…non ci siano conseguenze». È vero, non ha detto nulla di nuovo. Ha ripetuto ciò che qualche commentatore (a torto o a ragione, non è questo il punto) ha scritto venendo travolto dalla delegittimazione. Ha sostenuto la stessa tesi dei “pacifinti” che lei stessa e tutta la sua schiera hanno additato per mesi. Così per l’ennesima volta la comunicazione di crisi ha seguito l’itinerario dello sviamento ossessivo. Si è parlato di tutto tranne che del nocciolo della questione. E adesso basterà – come fanno spesso – dire «ma basta con questa storia, abbiamo già chiarito». Fino alla prossima distrazione.

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Francesco Talò, chi è l’ex consigliere diplomatico di Giorgia Meloni

Il consigliere diplomatico di Giorgia Meloni, Francesco Talò, si è dimesso dopo essere finito al centro delle polemiche per lo scherzo telefonico subito dalla premier, a opera di un duo comico russo. La stessa presidente del Consiglio ha parlato di «gesto di responsabilità» poiché «quella della telefonata dei due comici russi è stata una vicenda gestita con leggerezza che ha esposto la nazione».

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Chi è Francesco Talò 

Francesco Maria Talò è nato a La Spezia, è sposato ed è padre di tre figli. Laureato in giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, è ambasciatore di grado dal 2017 ed è stato rappresentante permanente alla sede Nato di Bruxelles dal 2019. Diversi i ruoli che ha ricoperto durante la sua lunga carriera. Talò è stato direttore per il Sud America alla Farnesina nel 2006 e nel 2007, prima di diventare console generale a New York, dallo stesso anno e fino al 2011. Poi è stato scelto come inviato speciale del ministro degli Esteri per l’Afghanistan e il Pakistan, ruolo che ha ricoperto fino al 2012. In seguito, fino al 2017, è stato ambasciatore in Israele. Infine il rientro in Italia: dal 2017 al 2019 è stato coordinatore per la sicurezza cibernetica alla Farnesina e coordinatore della Conferenza Ocse per la lotta all’antisemitismo.

Talò consigliere diplomatico già nel 2005

Il 66enne era tornato poi a Palazzo Chigi, dopo le esperienza di quasi 20 anni prima. Talò, infatti, è stato consigliere diplomatico aggiunto tra il 2005 e il 2006 e primo consigliere tra il 2002 e il 2005, nell’Ufficio guidato dall’ambasciatore Giovanni Castellaneta.

Scontro Italia Viva-Azione, Gelmini fuori dalla commissione Affari costituzionali

Nuovo scontro all’interno dell’ormai ex Terzo Polo. In attesa dello scioglimento dei gruppi parlamentari, continua lo scambio di colpi tra Azione e Italia Viva. L’ultima vittima è Mariastella Gelmini, passata da Forza Italia al partito di Carlo Calenda nell’estate 2022, prima della chiamata alle urne del 25 settembre dello stesso anno. L’ex ministra dell’Istruzione è stata rimossa dalla commissione Affari costituzionali dal capogruppo a Palazzo Madama, Enrico Borghi. Al suo posto è stata inserita la senatrice Dafne Musolino, fresca di ingresso nel gruppo guidato da Matteo Renzi dopo l’addio a Sud chiama Nord, di cui è stata unica esponente al Senato.

Scontro Italia Viva-Azione, Gelmini fuori dalla commissione Affari costituzionali
Dafne Musolino (Imagoeconomica).

Gelmini: «Complimenti per lo stile»

Sui social, Mariastella Gelmini ha commentato: «Non farò più parte della commissione Affari costituzionali del Senato. Non l’ho deciso io, ma Renzi e Borghi, che non hanno avuto neanche il coraggio di dirmelo. La decisione mi è stata comunicata, con non poco imbarazzo, da una funzionaria di Italia Viva. Complimenti per lo stile».

Risponde Borghi: «Disertavi le riunioni, Musolino più affidabile»

A rispondere è stato lo stesso capogruppo Borghi: «Cara Maria Stella, visto che ti sei abituata, in compagnia peraltro, a disertare le riunioni del gruppo dove si affrontano le questioni, per portarle in pubblico, ti risponderò pubblicamente: ritengo che Musolino sia più capace e affidabile di te in Prima commissione. Tocca al capogruppo decidere. E ha deciso, sapendo di esprimere il consenso maggioritario del gruppo. Tutto qui. Stai bene».

Scontro Italia Viva-Azione, Gelmini fuori dalla commissione Affari costituzionali
Enrico Borghi (Imagoeconomica).

Calenda: «Avremmo dovuto mettere il veto sull’ingresso di Borghi»

Dopo il botta e risposta tra Gelmini e Borghi, è stato Carlo Calenda a difendere la sua senatrice: «Quando Borghi è entrato nel gruppo parlamentare, la frattura tra Azione e Italia Viva era già consumata. Da statuto avremmo potuto mettere un veto sul suo ingresso. Non lo abbiamo fatto, ritenendo che avrebbe tenuto un comportamento professionale o almeno conforme alla normale educazione. Amen. Per fortuna tutto ciò è alle nostre spalle». Nessun commento, invece, né da Renzi né da Musolino.

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