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Meloni-Schlein, intesa su corsi anti-violenza nelle scuole

Palazzo Madama ha vissuto mercoledì 22 novembre una giornata di inusuale sintonia fra maggioranza e opposizione, spianata da un’inconsueta telefonata della segretaria Pd Elly Schlein alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il Senato ha dato il via libera all’unanimità al disegno di legge del governo contro la violenza alle donne e poi ha approvato due ordini del giorno del Pd che, combinati a uno di maggioranza, accelerano i tempi per una discussione in Aula sull’introduzione di corsi antiviolenza nelle scuole. Nelle stesse ore, il governo stava presentando il progetto Educare alle relazioni, dedicato agli studenti, per affrontare così come spiegato dal ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara «il tema del maschilismo, del machismo e della violenza psicologica e fisica sulle donne».

Schlein: «Apprezzo il segnale della maggioranza»

«Almeno sul contrasto alla mattanza lasciamo da parte l’aspro scontro politico, proviamo a far fare un passo in avanti al Paese», ha detto Schlein. Poi la segretaria ha evidenziato: «Apprezzo il segnale che ha dato la maggioranza con il parere favorevole all’ordine del giorno che chiede di mettere risorse alla formazione degli operatori e delle operatrici e di calendarizzare in tempi rapidi le proposte di legge che insistono sulla prevenzione, compreso il nostro sull’educazione al rispetto e all’affettività in tutti i cicli scolastici». Con l’astensione delle opposizioni, l’Aula ha dato il via libera anche all’ordine del giorno del capogruppo di FdI Lucio Malan per inserire nei programmi scolastici l’educazione al rispetto.

M5S fuori dal dialogo: «Noi disponibili per le misure educative ma va inserita l’educazione sessuale»

Il M5s è rimasto fuori dal dialogo diretto Schlein-Meloni, ma Giuseppe Conte ha garantito che il M5s è «assolutamente disponibile ad elaborare insieme al governo un pacchetto di misure educative». Poi è andando un passo oltre il percorso imboccato: «L’educazione affettiva nelle scuole comporta anche l’educazione sessuale». Un’aggiunta che piace anche a Verdi-Sinistra, ma che mette il dito fra maggioranza e opposizione: l’educazione sessuale nelle scuole è tema che tocca molte e diverse sensibilità nelle forze politiche, specie in quelle di centrodestra. Come le opposizioni non considerano sufficiente il progetto illustrato da Valditara, che prevede ore scolastiche dedicate al tema della violenza di genere nell’ambito dell’educazione civica, gruppi di discussione coordinati dai docenti, percorsi di formazione per i professori in collaborazione con l’ordine degli psicologi, concorsi e campagne informative. «Definire questo piano blando è poco», è stato il commento del M5s. Raccogliendo l’appello di Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, in serata i deputati del Movimento hanno osservato un «minuto di rumore», battendo le mani a ritmo sugli scranni, durante la seduta della Camera.

Il Ddl contro la violenza sulle donne approvato dal Senato: è legge

Il Senato ha approvato il Ddl contro la violenza sulle donne. Il provvedimento, già passato alla Camera a ottobre, ha ricevuto altri 157 sì e diventa legge. L’accelerata è arrivata dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e con il pacchetto di misure si punta a rafforzare il Codice Rosso, potenziando diversi strumenti. Nella nuova legge si parla di arresto in caso di flagranza differita e la distanza minima di avvicinamento aumenta a 500 metri. E ancora è stato deciso di applicare l’ammonimento e l’utilizzo del braccialetto elettronico anche sui reati spia. E in caso di manomissione di quest’ultimo si andrà in carcere.

Approvati due odg del Pd

Durante la discussione, inoltre, sono stati approvati due odg presentati dal Pd. Soddisfatto il presidente dei senatori dem, Francesco Boccia. Quest’ultimo ha spiegato: «Abbiamo ottenuto che venga finanziata con risorse adeguate la formazione per gli operatori sanitari, le forze dell’ordine e il personale sanitario. E soprattutto abbiamo stabilito che in tempi rapidi, dopo l’approvazione della legge di bilancio, si calendarizzino in Parlamento i disegni di legge che intervengono sulla prevenzione e sul contrasto della violenza, a completamento della normativa vigente in modo da arrivare a quella legge nazionale e a quelle misure condivise che hanno chiesto anche le studentesse e gli studenti al ministro Valditara oggi».

Bocciata l’educazione sessuale a scuola

Ma come spiegato da Repubblica, la posizione unitaria chiesta da Giorgia Meloni alla segretaria del Pd Elly Schlein è parzialmente saltata sull’educazione sessuale. Le opposizioni hanno chiesto di introdurre l’educazione sessuale dalle scuole medie in poi e non soltanto quella «emotivo-sentimentale» di cui si parla nell’atto firmato da Lucio Malan, di Fratelli d’Italia. Una richiesta su cui non è stato trovato l’accordo, tanto che i partiti d’opposizione hanno deciso di astenersi durante la votazione dell’ordine del giorno dei capogruppo di maggioranza. E in cambio, si sono visti bocciare quello proposto sull’educazione sessuale.

Al Senato è staffetta Forza Italia: Gasparri capogruppo, Ronzulli vicepresidente

Licia Ronzulli si è dimessa da capogruppo di Forza Italia al Senato, lasciando il posto a Maurizio Gasparri. E a sua volta quest’ultimo cede il ruolo di candidata alla vicepresidenza alla collega, per una staffetta che sembra far felice l’intero partito di Forza Italia. Questo è quanto accaduto nel tardo pomeriggio del 21 novembre, quando la decisione è stata approvata per acclamazione dall’assemblea dei senatori di FI, tenutasi a Palazzo Madama.

Il Senato dovrà ratificare l’elezione di Ronzulli

Dell’avvicendamento tra i due si parlava ormai da tempo. Lo scambio di ruoli permetterà a Ronzulli di ricoprire un ruolo istituzionale, non appena il Senato ratificherà la sua elezione a vicepresidente al posto di Gasparri. E quest’ultimo, invece, assumerà un incarico operativo. Così facendo, Antonio Tajani sembra aver messo tutti d’accordo all’interno di Forza Italia. E così il ministro degli Esteri punta ad arrivare al congresso in un clima sereno, essendo anche l’unico candidato alla segreteria. Ci vorranno ancora diversi mesi, perché è ad oggi previsto per fine febbraio. sarà il primo dalla morte di Silvio Berlusconi.

Tajani su X: «Grazie per il lavoro svolto»

Su X, l’ex Twitter, il ministro Antonio Tajani ha dichiarato: «Ringrazio Licia Ronzulli per il lavoro svolto alla guida dei Senatori di FI. Maurizio Gasparri, che ha annunciato le dimissioni da Vicepresidente del Senato, è stato eletto nuovo capogruppo a Palazzo Madama. Licia Ronzulli sarà la candidata alla vicepresidenza del Senato».

Valditara: «Nel libro del prof Amadori non c’è alcuna frase contro le donne»

Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha letto in conferenza stampa in Senato alcune pagine conclusive del libro del prof Alessandro Amadori, consulente e coordinatore del progetto Educare alle relazioni finito al centro delle polemiche per alcune frasi contenute nel suo libro La guerra dei sessi. Piccolo saggio sulla cattiveria di genere. Un volume auto pubblicato nel 2020 nel quale si spiega velatamente che alla base dei femminicidi ci sarebbe anche il tentativo di prevaricazione delle donne sugli uomini.

La posizione del ministro Valditara: «Nessuna parola contro le donne»

«Voglio fare chiarezza: ho letto il libro del prof Amadori, non c’è alcuna frase contro le donne in generale né si giustificano atteggiamenti di prevaricazione contro le donne. Si parla di un rapporto conflittuale tra uomo e donna, si stigmatizza persino il patriarcato e l’atteggiamento violento e si dice che in alcuni casi ci sono atteggiamenti prevaricatori da parte del genere femminile. Non c’è alcun atteggiamento discriminatorio in quelle pagine, lui ha la sua tesi, io potrei averne altre», ha spiegato il ministro.

L’esame della Manovra slitta al 12 dicembre al Senato

Slitta di una settimana, al 12 dicembre, l’esame della Manovra nell’aula del Senato.  È quanto emerge dalla conferenza dei capigruppo che si è riunita a Palazzo Madama, senza ulteriori chiarimenti. Vero è che oltre i 2.600 emendamenti presentati dalle opposizioni, martedì ne sono spuntati anche tre della Lega. Tre proposte di modifica che, si specifica dal Carroccio, come più volte richiesto dal Mef, non sono di carattere oneroso ma, in ogni caso esulano dall’accordo di maggioranza che prevedeva modifiche attraverso un maxi-emendamento concordato.

Le opposizione presentano 2600 richieste di modifica

Dei 2600 emendamenti presentati dalle opposizioni, 1103 sono a firma Pd, 945 del M5s, 330 di Alleanza Verdi e Sinistra italiana , 150 di Iv e una novantina di Azione. «Dimostreremo che non è vero quello che dice la premier Meloni, che la coperta è corta. Se la sai usare, la coperta è sufficiente, genereremo risorse», ha detto il leader dei pentastellati Giuseppe Conte che intende continuare nella sua lotta per il rifinanziamento del Reddito di cittadinanza, abolito dal governo. Così i capigruppo di centrosinistra in commissione Lavoro: «La maggioranza si confronti con noi sul merito delle proposte anziché mettere tutto nelle mani dell’esecutivo. Il nostro è un appello a liberare l’autonomia del Parlamento».

Sciopero dei trasporti del 27 novembre, Salvini pronto a intervenire per «ridurre i disagi»

Potrebbe non essersi concluso lo scorso 17 novembre il braccio di ferro tra i sindacati e il ministro Matteo Salvini, quando in occasione dello sciopero nazionale indetto da Cgil e Uil il vicepremier aveva deciso di precettare la mobilitazione riducendone l’orario. Per lunedì 27 novembre è previsto un nuovo sciopero che coinvolgerà i trasporti, proclamato dalle organizzazioni sindacali di base UsbCup, Sgb, Orsa, Adl, CobasDal Cobas. E dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti fanno sapere che gli uffici sono già impegnati «per ridurre al massimo i disagi dei cittadini in vista dello sciopero generale dei trasporti proclamato in tutta Italia per il prossimo lunedì, complicando la ripresa della settimana lavorativa».

Le ragioni dello sciopero del 27 novembre

Le ragioni della mobilitazione sono le stesse delle precedenti: la richiesta di aumenti salariali, miglioramento delle condizioni di lavoro e stop alle privatizzazioni. I sindacati protestano inoltre contro l’abbassamento dei livelli di sicurezza del personale, l’aumento dei ritmi di lavoro e le deroghe alla contrattazione, come si legge sul sito del sindacato Cobas. A differenza dello sciopero del 17 novembre a cui i dipendenti di Atm a Milano non avevano potuto aderire in quanto avevano già scioperato la settimana prima, questa volta anche il servizio di trasporto pubblico milanese potrebbe fermarsi.

La consigliera M5s in aula con il figlio di sei mesi: «Tutti abbiano la possibilità di conciliare lavoro e famiglia»

Antonella Laricchia, capogruppo del Movimento 5 Stelle nel Consiglio regionale pugliese, è tornata in Aula dopo la maternità con il piccolo Michele Giuseppe, sei mesi il prossimo 27 novembre. La pentastellata aveva fatto lo stesso nel 2021, allattando negli uffici del Consiglio regionale anche la primogenita Anna. Mentre lo scorso giugno, a portare per la prima volta un neonato a Montecitorio era stata la deputata sempre cinque stelle  Gilda Sportiello.

Laricchia: «Non è giusto che le donne debbano rinunciare al lavoro o rallentare la crescita professionale»

Laricchia portando il neonato al lavoro, ha voluto lanciare un segnale preciso. «Laddove l’attività lavorativa e l’organizzazione aziendale lo consentono è una opportunità per le mamme poter portare i figli sul posto di lavoro. Per le donne che hanno un‘attività per cui non è possibile lavorare con i propri figli dovremmo impegnarci tutti di più per misure come il bonus baby sitter e per garantire più asili nido. Non è mai giusto che le donne debbano rinunciare al lavoro o rallentare la crescita professionale». Laricchia, inoltre, ha annunciato la sua intenzione di lasciare la politica alla fine della legislatura per dedicarsi, come architetta, al recupero e al restauro di case antiche.

Lollobrigida chiede una fermata straordinaria dell’Alta velocità. Le opposizioni: «Abuso di potere»

Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida martedì 21 novembre è sceso da un Frecciarossa alla stazione di Ciampino, in quella che è stata a tutti gli effetti una fermata “istituzionale” straordinaria dovuta alle sue esigenze di agenda. Lollobrigida sarebbe infatti dovuto scendere alla fermata Napoli Afragola per poi raggiungere in macchina un appuntamento istituzionale a Caivano, ma il treno dell’Alta velocità sul quale viaggiava il ministro aveva accumulato quasi due ore di ritardo. Così, per agevolare le esigenze di Lollobrigifa, Trenitalia ha pensato a una fermata straordinaria nella città alle porte di Roma. La vicenda è stata ricostruita dal Fatto Quotidiano. Lo staff del ministro ha giustificato quanto accaduto con l’ingorgo degli appuntamenti istituzionali, ma l’opposizione ha comunque attaccato il ministro.

Il Pd: «Non può trasformare i treni italiani nella sua auto blu»

Il deputato del Partito democratico Andrea Casu ha annunciato un’interrogazione parlamentare per fare chiarezza sulla vicenda, dichiarando: «Il ministro Lollobrigida non può trasformare i treni italiani nella sua auto blu. La fermata straordinaria imposta a Ciampino è un atto di un’arroganza ingiustificabile, uno schiaffo in faccia a tutti i cittadini e le cittadine che erano sul suo stesso treno, già in ritardo, e a tutte le persone che fronteggiano ogni giorno i disservizi causati dalla mancanza di finanziamenti nei trasporti da parte del governo Meloni di cui fa parte».

Matteo Renzi: «È un abuso di potere, chiederemo le dimissioni»

Duro anche il commento del leader di Italia viva Matteo Renzi: «Se il ministro Lollobrigida ha davvero fermato un treno alta velocità ed è sceso proseguendo poi in macchina siamo in presenza di un abuso di potere senza precedenti. I ministri possono usare i mezzi dello Stato ma non possono fermare i treni di tutti i cittadini». Per questo motivo, l’ex premier ha annunciato: «Se la notizia sarà confermata chiederemo in Aula le dimissioni di Lollobrigida».

Violenza di genere, Schlein chiama Meloni: «Lavoriamo insieme sulla prevenzione»

La segretaria del Pd Elly Schlein ha chiamato la premier Giorgia Meloni in merito alla «possibilità di trovare un terreno comune per far fare un passo avanti al Paese sulla prevenzione della violenza di genere». Lo ha comunicato il Partito democratico. Nei giorni scorsi Schlein aveva rilanciato a Meloni l’appello dell’attrice e regista Paola Cortellesi, che forte del successo del suo C’è ancora domani aveva chiesto alle due leader di accantonare le differenze ideologiche e di lavorare insieme sul tema.

La difficile ricerca di unità tra maggioranza e opposizione

Pur non avendo risposto direttamente alla segretaria dem in merito all’appello di Cortellesi, la premier nei giorni scorsi ha dichiarato che «la politica del governo e la mia posizione personale sul contrasto alla violenza sulle donne sono sempre state tese alla ricerca della massima collaborazione». Nei giorni successivi Schlein ha poi chiesto al parlamento di approvare una legge per l’educazione affettiva nelle scuole, un appello al quale il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara aveva risposto così: «Apprezzo che l’onorevole condivida con noi l’idea di educare al rispetto nelle scuole contro la violenza e la cultura maschilista. Già ci stiamo lavorando. Dopo aver consultato associazioni studentesche, associazioni dei genitori, sindacati, ordine degli psicologi la proposta è pronta e verrà nei prossimi giorni presentata ufficialmente». Secondo quanto riferisce la Repubblica, la disperata ricerca di unità tra maggioranza e opposizione vivrà mercoledì mattina, 22 novembre, l’ultimo tentativo: un ordine del giorno unitario sulla soglia minima dell’educazione affettiva nelle scuole.

In Rai il rapporto tra Rossi e Sergio scricchiola e l’ad è in cerca di nuovi sponsor politici

Da qualche giorno la comunicazione dell’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, è completamente cambiata e si è fatta più aggressiva. Lunedì, per esempio, ha sottolineato come la tv pubblica, con la finale di Jannik Sinner e con Domenica In, dove si è trattato del caso del femminicidio di Giulia Cecchettin, abbia fatto vero servizio pubblico. Un paio di giorni prima, durante il Cda, aveva sollecitato la divulgazione da parte dell’ufficio marketing di un documento che smentisse presunte fake news che circolano sull’azienda. Con punte di ridicolo come il capitolo per negare i cattivi rapporti tra lui e il direttore generale, Giampaolo Rossi. «Siamo legati da profonda stima e amicizia», ha detto Sergio. «A lui mi lega un’amicizia personale e una straordinaria collaborazione», ha rimarcato Rossi. Ma anche in un altro paio di occasioni Sergio è intervenuto per rimarcare i successi di mamma Rai, per esempio di Viva Rai 2 di Fiorello. Con cui l’ad si fa vedere spesso e volentieri. Molto più in ombra, invece, il dg Rossi, cui molti imputano le scelte peggiori, quelle che stanno facendo soffrire di più i palinsesti della tv pubblica. A partire dall’approfondimento, il cui direttore è un uomo di provata fede a destra come Paolo Corsini. O il day time, guidato da un altro fedelissimo come Angelo Mellone. Ma pure Rainews24 di Paolo Petrecca, col sito web guidato da Francesca Oliva (ex Rainet guidata in passato da Rossi) che è sceso dal nono all’11esimo posto nella classifica Audiweb. E pure sulla comunicazione si punta il dito contro Nicola Rao, altro uomo del dg.

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Fiorello con Roberto Sergio (Imagoeconomica).

Il patto della staffetta tra Sergio e Rossi scricchiola a causa di cattivi ascolti e flop e così l’ad ha cominciato a guardarsi intorno

Ma c’è di più: dopo che Rossi ha sbeffeggiato pubblicamente Corrado Augias («mi preoccupa la sorte di 12 mila dipendenti non lo stipendio di Augias»), Sergio ha richiamato l’88enne giornalista per chiedergli di portare a termine il programma Gioia della Musica, accertandosi che la notizia filtrasse. Per quale motivo? Intendiamoci: i rapporti tra Sergio e Rossi sono ancora formalmente buoni, improntati alla linea del simul stabunt, simul cadent, e ancora dura il patto che dovrebbe portare, a luglio, alla staffetta tipo Mazzola e Rivera, con Rossi ad e Sergio dg. Ma l’accordo, a fronte dei cattivi ascolti e al flop di alcuni programmi simbolo, come Avanti Popolo di Nunzia De Girolamo e Il Mercante in Fiera di Pino Insegno, è ormai parecchio scricchiolante e Roberto Sergio, da vecchio volpone democristiano, ha iniziato a guardarsi intorno e a tessere la sua tela. Potendo contare su rapporti di lungo corso con il potere romano di prima e seconda fascia. Intanto ha ricominciato a farsi vedere a eventi pubblici e a vernissage nei migliori salotti. Il ragionamento è il seguente: se i cattivi ascolti vengono imputati solo a Rossi, vuoi vedere che “io speriamo che me la cavo” e magari riesco a restare in sella al cavallo di Viale Mazzini? Per ora è solo un pensiero, corroborato però dai fatti, in primis una comunicazione molto più aggressiva per difendere la “sua” Rai.

In Rai il patto tra Roberto Sergio e Giampaolo Rossi scricchiola e l'ad è in cerca di nuovi sponsor politici
Giampaolo Rossi, dg Rai (Imagoeconomica).

Secondo i rumors, Forza Italia in cambio di un appoggio a Sergio chiede la promozione di Agnes alla presidenza Rai

Poi viene la politica. Se Rossi resta il punto di riferimento del partito meloniano (con qualche dubbio che inizia a serpeggiare) e dei 5 stelle – sodalizio iniziato ai tempi dell’ex ad pentastellato Fabrizio Salini, che aveva trovato in Rossi un solido alleato per orientarsi nella giungla di Viale Mazzini – Sergio ha cominciato a parlare con altri. Con chi? Innanzitutto, tramite il potentissimo direttore del Tg3 Mario Orfeo, con il Pd. Poi con la Lega, che con Rossi non tocca palla. Pare che Matteo Salvini l’abbia detto chiaro ai suoi parlamentari che tengono i contatti con Viale Mazzini: Rossi è roba di Giorgia, quindi non c’è da fidarsi, bisogna guardare altrove. Quindi Sergio. Il quale, poi, ha da sempre un buon rapporto coi centristi, da Maurizio Lupi e Pier Ferdinando Casini, e con Forza Italia, tramite una lunga amicizia con Gianni Letta. La voce che gira, tra Saxa e Mazzini, è però che, in cambio dell’appoggio futuro a Sergio, i berluscones chiedano la promozione della “loro” consigliera Simona Agnes alla presidenza della Rai. Cosa tutt’altro che impossibile, più per la forza del nome che porta che per i suoi meriti all’interno del Cda.

In Rai il patto tra Roberto Sergio e Giampaolo Rossi scricchiola e l'ad è in cerca di nuovi sponsor politici
Marinella Soldi, Roberto Sergio, Giampaolo Rossi e Simona Agnes (Imagoeconomica).

Alla fine tra i due litiganti, Meloni potrebbe puntare su un terzo nome 

Insomma, Sergio e Rossi non sono ancora ai ferri corti, ma i due hanno iniziato a giocare una partita in proprio, autonoma l’uno dall’altro, dove però il direttore generale ha molto più da perdere del suo alleato/concorrente. E le cordate che si stanno delineando (Fdi e M5s con Rossi/Pd, Lega e Fi con Sergio) iniziano ad affilare le spade in attesa del duello di luglio, quando l’attuale maggioranza dovrà decidere gli assetti del futuro vertice Rai. Dove tutto questo porterà è ancora presto per dirlo. «Bisognerà aspettare i risultati del Festival di Sanremo e gli ascolti dell’inverno, tra informazione e intrattenimento. Poi all’inizio di maggio si tireranno le somme. Solo allora si capirà se questo vertice è destinato a proseguire, intero o dimezzato, oppure no…», ragiona una fonte interna all’azienda. Se poi gli ascolti dovessero precipitare ancor di più, allora non è escluso che la stessa Giorgia Meloni possa decidere di guardare altrove, con un terzo nome che però, a parte qualche spiffero velenosamente messo in circolo (il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci), ancora non c’è.

La Commissione europea rimanda la Manovra: «L’Italia non del tutto in linea»

La Commissione europea ha rimandato la manovra economica del governo Meloni alla prossima primavera. L’Italia, secondo quanto filtra dal Documento programmatico di Bilancio redatto a Bruxelles, rischia la procedura d’infrazione per «squilibri macroeconomici eccessivi». La legge di bilancio è stata considerata «non pienamente in linea» con quanto raccomandato dal Consiglio. E sebbene non sia stata bocciata in toto, è chiaro che il governo Meloni adesso dovrà intervenire. A preoccupare l’Unione Europea sono soprattutto i dati su deficit e debito, con le misure sul cuneo fiscale e sulle pensioni nel mirino di Bruxelles.

La Commissione europea rimanda la Manovra «L'Italia non del tutto in linea»
Giorgia Meloni (Getty Images).

La Commissione aspetterà i dati definitivi per il giudizio finale

Il giudizio resterà sospeso almeno fino a fine 2023. La Commissione, infatti, vuole attendere i dati definitivi prima di emettere il giudizio finale. A pesare è soprattutto il superbonus, che per l’anno 2023 è risultato fuori dai parametri, avendo superato il limite massimo almeno dello 0,6 per cento. La sua cancellazione per l’anno 2024, invece, rispetta l’invito europeo relativo a politiche prudenti da seguire sulla spesa primaria e per questo non si è arrivati a una bocciatura totale. In una situazione simile all’Italia ci sono anche altri Paesi. Si tratta di Austria, Germania, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Olanda, Portogallo e Slovacchia. Belgio, Finlandia, Francia e Croazia, invece, «rischiano di non essere in linea con le raccomandazioni».

La Commissione chiede lo stop agli incentivi sull’energia

Ma non è finita. La Commissione europea ha chiesto all’Italia di fermare gli incentivi per la spesa energetica e usare il risparmio per controllare il disavanzo. Nella parte finale del documento, infine, si legge che l’Italia ha «compiuto progressi limitati per quanto riguarda gli elementi strutturali delle raccomandazioni di bilancio formulate dal Consiglio il 14 luglio 2023». Per questo la Commissione «invita pertanto le autorità italiane ad accelerare i progressi». E si sottolinea che il quadro presuppone l’attuazione del Pnrr, perché in caso contrario il quadro sarebbe ancora più negativo.

Le accuse della “talpa” di Sgarbi: «Non ne potevo più di vedere gli uffici dei ministeri ridotti a un covo di affaristi»

La “talpa” che ha diffuso i compensi incassati dal sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi per conferenze ed eventi svolti durante il suo incarico nel governo Meloni è Dario di Caterino, ex social media manager del critico. Il 45enne pugliese, uscito allo scoperto in una intervista a Il Fatto Quotidiano e con Report, ora si dice pronto a incontrare i pm. Secondo quanto fatto trapelare da Di Caterino, durante la sua permanenza al governo, il sottosegretario avrebbe incassato circa 300 mila euro.

Di Caterino: «Non ne potevo più di vedere gli uffici dei ministeri ridotti a un covo di affaristi»

Al Fatto Di Caterino ha raccontato di aver inviato una lettera sia alla premier Giorgia Meloni sia al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano con i dati scaricati dalle email. «Non ne potevo più di vedere gli uffici dei ministeri ridotti a un covo di affaristi», ha ammesso. Il loro rapporto di lavoro è finito nel settembre 2023.  «C’era un accordo con Sabrina Colle per ricevere una parte dei proventi maturati dalla gestione dei canali social di Vittorio tramite la sua società Hestia», ha dichiarato Di Caterino. «Li ho richiesti più volte, mai ricevuti». I pagamenti, invece, erano in contanti. «Erano le direttive della Colle e di Nino Ippolito, il suo capo segreteria».

Il tariffario di Sgarbi: 3.500 euro per una conferenza, 5 mila per uno spettacolo teatrale

Il social media manager ha anche spiegato quale fosse il tariffario del critico: 3.500 euro per una conferenza, 5 mila per uno spettacolo teatrale, 4 mila per la prefazione di un libro. Di Caterino, la cui collaborazione collaborazione con Sgarbi è cominciata nel 2022, ha ricordato anche il suo licenziamento. «Fui coinvolto in alcune vicende giudiziarie per le quali provavo un profondo malessere», ha detto. Sgarbi era a conoscenza di una condanna di De Caterino a Perugia, ma la madre del 45enne disse che il figlio era malato. Questo «fino a gennaio 2023, quando ripresi a collaborare». Il patteggiamento risale ad aprile 2023. Lo stesso Sgarbi aveva detto di conoscere l’identità del ‘Corvo’, «un tizio che collaborava con me ai tempi di Rinascimento e un bel giorno sparì, la madre raccontò che era in coma, invece era agli arresti domiciliari per truffa».

La smentita di Sgarbi

Dal canto suo Sgarbi ha diffuso anche sui social una lunga smentita dopo l’articolo del Fatto.

 

«Utilizzando le menzognere “rivelazioni” di un pregiudicato, Dario Di Caterino, da me cacciato dopo avere scoperto che aveva finto un coma per nascondere di essere stato agli arresti domiciliari, Il Fatto Quotidiano continua una violenta campagna diffamatoria contro di me e i miei collaboratori», scrive il sottosegretario. Di Caterino, spiega Sgarbi,
«ha collaborato con me durante due campagne elettorali con il solo compito di realizzare dei video e di promuovere, attraverso un camper, del materiale elettorale. Impropriamente si è autodefinito “social media manager”, ma nessuno gli ha mai dato questo ruolo. Così come nessuno lo ha mai delegato a fare il “manager”, ruolo che, a mia insaputa, ha millantato. Il Di Caterino è stato allontanato quando si è scoperto che, per nascondere di essere stato agli arresti domiciliari, ha finto, con la complicità della madre, di essere stato ricoverato in coma a Perugia.  Oggi confessa sul giornale di essere stato lui l’autore della violazione degli account di posta elettronica in uso alla mia segreteria, e dunque l’autore della lettera anonima inviata lo scorso 19 ottobre a giornali, tv e organi istituzionali contenente tutta una serie di diffamazioni per le quali sono state presentate diverse denunce». «Le conferenze», continua Sgarbi, «come tutte le attività legate al diritto d’autore, sono pagate regolarmente con fatture che distinguono, in linea di principio, l’espressione del libero pensiero da qualunque attività istituzionale. Scrivere di “buste in nero” è una grave diffamazione. I “soldi in nero” cui fa riferimento Di Caterino e che il giornale, senza alcun riscontro, pubblica, sono quelli presi dal Di Caterino stesso per la prefazione di un libro e una mostra privata a Mesagne (Puglia)». Sgarbi si sofferma poi sulla violazione degli account di posta elettronica di cui Di Caterino aveva detto di aver ricevuto le password di accesso. Circostanza smentita seccamente dal critico. «Di Caterino ha avuto per pochi mesi l’accesso ai profili social per caricare i video, ma mai le password alle mail della mia segreteria; le ha invece sottratte in maniera fraudolenta, compresa quella istituzionale in uso al mio Capo Segreteria. Non solo. Ha utilizzato queste mail per inviare la lettera anonima di cui ha rivelato di essere l’autore».

Migranti, l’accordo Italia-Albania sarà un ddl: l’annuncio di Tajani, esultano le opposizioni

A inizio novembre è stato annunciato da Giorgia Meloni il protocollo d’intesa sui migranti firmato con il premier albanese Edi Rama. Poi le proteste delle opposizioni, che hanno chiesto al presidente della Camera Lorenzo Fontana di portare in Parlamento l’accordo, per ratificarlo. A distanza di diversi giorni, è stato il ministro degli Esteri Antonio Tajani ad annunciare che l’intesa sarà tradotta in un ddl: «Il governo intende sottoporre in tempi rapidi alle Camere un disegno di legge di ratifica che contenga anche le norme e gli stanziamenti necessari all’attuazione del protocollo».

Tajani: «Il governo non si sottrae al dialogo»

Il ministro degli Esteri, intervenuto alla Camera, ha spiegato: «Il dibattito di oggi e il voto che lo concluderà dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che il nostro governo non si è mai sottratto, specie su questioni di tale rilevanza, al dialogo e al vaglio del Parlamento». Tajani ha definito il protocollo d’intesa «un tassello significativo della strategia» del governo sui migranti. Entrando poi nel merito dell’accordo, il leader di Forza Italia ha assicurato che «non è paragonabile al protocollo tra Regno Unito e Ruanda. Non c’è esternalizzazione a un terzo paese nella gestione delle domande di asilo e non si deroga ai diritti internazionalmente garantiti, che anzi sono riaffermati nel protocollo».

I dettagli: «L’Albania concederà due aree»

Tajani, come racconta Repubblica, si è poi concentrato sui dettagli dell’accordo: «L’Albania concederà gratuitamente all’Italia due aree. Un punto di arrivo al porto di Shengjin, nella costa settentrionale del Paese, e una base militare a Gjader a circa 30 chilometri dal porto. Nel porto vi sarà una struttura dedicata alle attività di soccorso, di prima assistenza e di rilevamento segnaletico e di impronte digitali. Nella seconda struttura, situata nella località all’interno, sarà svolto l’esame della domanda di protezione internazionale e, per chi non ne avrà i requisiti, saranno effettuate le procedure per il rimpatrio».

Schlein: «Hanno sbattuto il muso sulla Costituzione»

La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha commentato: «Il governo ha sbattuto il muso sulla Costituzione». I dem hanno accolto positivamente «l’inversione a U» del governo, come l’ha definita il deputato Giuseppe Provenzano. Ma le opposizioni restano poco convinte e parlano di «totale fallimento». In una risoluzione firmata da Pd, Azione, Iv, Avs e +Europa si «impegna il Governo a presentare alle Camere, ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione, la proposta di legge di autorizzazione alla ratifica del protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei Ministri della Repubblica di Albania». E ancora ad accertare «la nullità di tutti i provvedimenti del Governo e dei singoli Ministeri, i quali siano connessi, conseguenti e attuativi del medesimo Protocollo, prima della data di entrata in vigore della legge di ratifica».

Migranti, l'accordo Italia-Albania sarà un ddl l'annuncio di Tajani, esultano le opposizioni
Elly Schlein (Imagoeconomica).

Femminicidio, le risposte inadeguate della politica e le contraddizioni dei partiti

L’onda emotiva che travalica i confini della cronaca e arriva dritto fino alla politica, colta ancora una volta in controtempo e costretta a mettere assieme qualche raffazzonato provvedimento giusto per piantare una bandierina, quando invece il fenomeno richiederebbe un approccio ben più strutturale. È quello che sta succedendo col femminicidio di Giulia Cecchettin per cui è accusato l’ex fidanzato Filippo Turetta, arrestato dopo una fuga finita in Germania. Un caso che ha colpito l’opinione pubblica sin dai primi giorni, quando dopo la ragazza risultava solo scomparsa e ancora si sperava di ritrovarla in vita, suscitando un coinvolgimento persino maggiore dell’ultimo recente episodio simile, quello dell’estate 2023 quando il barman Alessandro Impagnatiello ammazzò la compagna, per di più incinta, Giulia Tramontano. Nella bolla social e dentro i salotti televisivi non si parla d’altro: emergenza sociale, dittatura del patriarcato, cultura dello stupro. E i partiti potevano farsi scappare l’occasione per cavalcare il trend? Il problema è l’effetto scatenato, in alcuni casi paradossale. Con una sensazione di inadeguatezza bipartisan, dal centrodestra di governo all’opposizione.

Oggi è Giulia Cecchettin, ieri Giulia Tramontano: con le solite ricette e le promesse non si cambia
Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano.

L’opuscolo di Nordio, ma «con una grafica molto comprensibile»

Il primo “pannicello caldo” è stato quello proposto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio: delle linee guida per mettere in guardia le donne, visto che «come nella mafia esistono i reati spia, così nei femminicidi ci sono gli atteggiamenti spia: sintomi di un possibile aggravamento di violenza». E in cosa consisterà in concreto questo intervento? Un opuscolo. Ma «con una grafica molto comprensibile». Da diffondere «in scuole, social, posti di lavoro».

Femminicidio, le risposte inadeguate della politica e le contraddizioni dei partiti
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio (Imagoeconomica).

Valditara e l’educazione sentimentale (non obbligatoria)

Poi è arrivato il suo collega di governo, il titolare dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che ha pensato di promuovere un’iniziativa sull’educazione sentimentale a scuola. Che però coinvolgerà solo gli istituti superiori e non sarà obbligatoria: un percorso di un’ora settimanale ed extracurricolare, in tutto quindi 12 incontri, per tre mesi l’anno, alla presenza di avvocati, psicologi, assistenti sociali e pesino cantanti, attori e influencer. Tra l’altro il ministro come consulente e coordinatore del progetto Educare alle relazioni ha scelto lo psicologo Alessandro Amadori. Autore, nel 2020, del libro La guerra dei sessi, volume in cui negava la violenza maschile sostenendo tesi cospirazioniste sul tentativo delle donne di dominare gli uomini. Pure la ministra per le Pari opportunità e la famiglia Eugenia Roccella si è detta disponibile a lavorare a «una legge per l’affettività nelle scuole con l’opposizione». Anche se la sua posizione è chiara: «È fondamentale che le madri educhino i figli maschi» a rispettare le donne.

Femminicidio, le risposte inadeguate della politica e le contraddizioni dei partiti
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (Imagoeconomica).

Lega e Fdi si erano astenuti sulla Convenzione di Istanbul

Non poteva mancare Matteo Salvini, che ha ricordato sui social come la sua idea sia «carcere a vita per gli assassini, con lavoro obbligatorio. Per stupratori e pedofili – di qualunque nazionalità, colore della pelle e stato sociale – castrazione chimica e galera. Questo propone la Lega da sempre, speriamo ci sostengano e ci seguano finalmente anche altri». Peccato che proprio il Carroccio e i suoi alleati di governo di Fratelli d’Italia siano talmente sensibili all’argomento da aver scelto, pochi mesi fa, di astenersi e non appoggiare le due risoluzioni del parlamento europeo che chiedevano l’adesione da parte dell’Unione europea alla Convenzione di Istanbul, il primo trattato internazionale legalmente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza di genere e domestica.

L’assist bipartisan di Schlein e le contraddizioni del Pd

E dall’altra parte, a sinistra, che si fa? Il Partito democratico di Elly Schlein ha addirittura offerto una tregua alla premier Meloni – dopo il gran rifiuto all’invito alla kermesse di Atreju – per scrivere in spirito bipartisan una legge per contrastare il femminicidio. Ipotizzando cosa? La creazione di un nuovo reato o di una aggravante? Un seminario obbligatorio in tutte le scuole, in stile Roccella? Il dubbio, anche qui, è che il fine sia solo legato a un mero tornaconto elettorale, con l’obiettivo di farsi vedere attivi dalla base sociale sensibile ai temi della parità e della violenza di genere. Si torna dunque sul punto della disparità tra una questione di così grande rilevanza culturale e il solito provvedimento d’urgenza, poco ragionato e inefficace. Una legge può davvero mutare o anche influire sul modello antropologico di una società?

Femminicidio, le risposte inadeguate della politica e le contraddizioni dei partiti
Elly Schlein (Imagoeconomica).

L’inasprimento delle pene non combatte la criminalità

I dem tra l’altro sono gli stessi che hanno attaccato il governo Meloni dopo la presentazione del disegno di legge “Sicurezza”, che prevede l’introduzione nel nostro ordinamento di nuove fattispecie di reato e un generale inasprimento delle pene per alcuni crimini minori ma considerati particolarmente “odiosi” e che si pensa possano creare allarme sociale: scippi in metropolitana, truffe agli anziani, blocchi stradali degli eco-attivisti. La critica delle opposizioni, condivisa in maniera quasi totale dagli addetti ai lavori che studiano il fenomeno, è che non si combatte la criminalità con l’inasprimento delle pene, e non si riduce l’incidenza di eventi criminosi con l’introduzione di nuovi reati. La società americana del resto è un esempio lampante e sotto gli occhi di tutti: neanche le più raffinate e crudeli pene capitali hanno aiutato a diminuire i tassi di violenza e criminalità. Ma all’improvviso la tragedia dell’uccisione di Giulia Cecchettin ha fatto dimenticare quelle critiche al Pd, pronto a contribuire per legiferare una norma ad hoc sul femminicidio. Opuscoli, libricini, seminari, qualche pena più severa: il rischio è che alla fine l’elefante partorisca solo il proverbiale topolino.

Il controverso libro dello psicologo scelto da Valditara come coordinatore del progetto ‘Educare alle relazioni’

Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha scosso l’opinione pubblica. La sorella Elena ha parlato di «Stato complice» e si stanno moltiplicando le iniziative per sensibilizzare contro il problema della violenza di genere. La famiglia e la scuola, si legge da più parti, dovrebbero lavorare insieme per far sì che certi fatti non si ripetano. Già, la scuola: peccato che, come evidenzia Domani, Alessandro Amadori, scelto dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara come consulente e coordinatore del progetto “Educare alle relazioni” (un’ora di incontri a settimana, per tre mesi l’anno, totale 12 sessioni), nel 2020 abbia autopubblicato La guerra dei sessi, volume in cui ha negato la violenza maschile sostenendo tesi cospirazioniste sul tentativo delle donne di dominare gli uomini.

Femminicidi: il libro di Alessandro Amadori, coordinatore del gruppo di psicologi voluto dal ministro Valditara per il progetto 'Educare alle relazioni'.
La copertina del volume pubblicato da Amadori.

I punti in comune con Il mondo al contrario del generale Vannacci

Su Domani Christian Raimo accosta La guerra dei sessi. Piccolo saggio sulla cattiveria di genere di Amadori a Il mondo al contrario del generale Roberto Vannacci. Non solo perché entrambi sono stati dati alle stampe tramite self-publishing, ma anche per lo «stile vagamente cospirazionista e l’insofferenza per il politicamente corretto». Il volume, si legge nella descrizione presente su tutte le piattaforme dove è acquistabile, sostiene che la guerra dei sessi in corso potrebbe portare a «una società non più patriarcale ma ginarchica». Lo scontro, avverte il libro scritto da Amadori assieme alla coautrice Cinzia Corvaglia (esperta di security e investigazioni private) «è già iniziato e che ciascun genere sessuale combatte con le armi della propria specifica cattiveria».

«Anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo»

La dimostrazione patologica del disagio degli uomini, alle prese con una società in cui il «principio maschile» è «in via di demolizione», starebbe nei casi di violenza sessuale e nel drammatico problema dei femminicidi, sostiene il volume. Ma, si domandano Amadori e Corvaglia in un passaggio del libro, citato da Domani, «parlando di male e di cattiveria, dovremmo concentrarci solamente sugli uomini? Che dire delle donne? Sono anch’esse cattive?». La risposta: «Sì, anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo». Nel capitolo “Il diavolo è anche donna”, Amadori punta il dito contro la festa dell’8 marzo sostenendo la tesi di tale Andrea Pirillo, secondo cui ci sarebbe poco da festeggiare, perché le donne si comportano spesso come, o persino peggio, degli uomini. Tornano ai femminicidi, gli autori «i raptus omicidiari, sostanzialmente, non esistono in quanto tali, e bisogna piuttosto iniziare a parlare di cattiveria, aggressività e consapevolezza». Dietro la punta dell’iceberg dei femminicidi «sembra esserci il grande corpo dell’iceberg, costituito dal bisogno di sottomissione maschile. È come se gli uomini facessero davvero fatica ad avere un rapporto equilibrato con il femminile: o sono carnefici, o sono vittime», scrivono gli autori in un passaggio citato da Domani. E poi: «C’è una piccola popolazione di donne che approfitta di questa tendenza maschile alla sottomissione e ne fa una vera e propria fonte di business». In un altro Amadori, parlando del presunto movimento femminista radicale chiamato ginarchia, scrive che le attiviste sarebbero animate dall’invidia del pene, «concetto tanto provocatorio quanto controverso e, oggi, non politicamente corretto».

Femminicidi: il libro di Alessandro Amadori, coordinatore del gruppo di psicologi voluto dal ministro Valditara per il progetto 'Educare alle relazioni'.
Alessandro Amadori (LinkedIn)

Dalla laurea in psicologia sperimentale alla collaborazione con il governo: chi è Alessandro Amadori 

«Genovese di nascita, milanese di adozione», come si legge su LinkedIn, Amadori ha 63 anni è si è laureato «in psicologia sperimentale a Padova, con lode, con una tesi sui modelli cibernetici della mente». Poi il dottorato di ricerca sempre nell’ateneo euganeo «con una tesi sul pensiero creativo e sull’efficacia delle tecniche di formazione euristica nell’incrementare la performance creativa». In seguito il perfezionamento in criminologia a Milano e in biostatistica ad Asti. Dalla fine degli Anni 80 si occupa di «ricerche di mercato e di consulenza aziendale, contribuendo alla diffusione in Italia delle moderne tecniche di ricerca qualitativa e di consulenza euristica, con l’utilizzo di metodi creativi». Autore di una trentina di volumi, «formatore specializzato in self empowerment e docente incaricato all’Università Cattolica e al Master Publitalia» nonché, appunto, «esperto del ministero dell’Istruzione».

Giorgia Meloni contro Lilli Gruber: «Io patriarcale? La mia è una famiglia di donne»

Dopo la puntata di Otto e mezzo di lunedì 20 novembre, in cui la giornalista Lilli Gruber ha definito la destra al governo una «espressione della cultura patriarcale», non si è fatta attendere la replica della premier Giorgia Meloni. «Non so come facciano certe persone a trovare il coraggio di strumentalizzare anche le tragedie più orribili pur di attaccare il governo», ha scritto la presidente su Instagram, pubblicando una foto che la ritrae con la madre, la figlia Ginevra e la nonna, sostenendo che quella di Gruber sia una «tesi bizzarra», e lo si evince «da questa foto che ritrae ben quattro generazioni di ‘cultura patriarcale’ della mia famiglia». 

Gruber: «Meloni si fa chiamare “il presidente”, per me un mistero della fede»

Nella puntata in questione, la conduttrice ha invitato in studio Carlotta Vagnoli, la scrittrice e attivista femminista le cui parole sono state rilanciate in questi giorni da Elena Cecchettin, sorella di Giulia, su Instagram. Nell’intervista Gruber le ha chiesto: «Abbiamo per la prima volta una presidente del consiglio donna, che però si vuole fare chiamare “il presidente“, per me un mistero della fede, sarà anche questa una cultura di destra patriarcale? “Dio, patria e famiglia” c’entra qualcosa con il femminicidio di Giulia?». E Vagnoli ha risposto: «Una certa destra incarnata dal nostro governo risponde a questi dettami ed è problematica». Per poi spiegare: «Se le donne devono rispondere a questi tre macro contenitori: “Dio” quindi la morale cattolica e la precisa funzione del corpo femminile, “Patria” e il nazionalismo del bonus secondo figlio, quindi le donne al servizio dello Stato, e poi la “famiglia” che per la destra è solo quella tradizionale, vuol dire che abbiamo pochissima autodeterminazione e nella società patriarcale la donna è esattamente questo: un oggetto al servizio di qualcos’altro». 

Alemanno: «Mio movimento per indipendenza oltre destra e sinistra»

«Non è un movimento di estrema destra, ad esempio io penso che la vittoria di Milei sia un problema grave per il popolo argentino e critico molto il governo Netanyahu». Così Gianni Alemanno durante una conferenza alla Camera parla del Forum per l’Indipendenza. «Di fronte al governo più atlantista della storia, che ci fa rimpiangere Craxi e Fanfani, bisogna uscire dalle definizioni di destra e sinistra e mettere al centro l’indipendenza dell’Italia, superare il dogma del neoliberismo e rimettere al centro il sociale. Partiamo dalla destra sociale e facciamo uno sforzo all’insegna del dialogo con tutte le forze antisistema», ha continuato Alemanno dando appuntamento all’assemblea di fondazione del soggetto politico, sabato 25 e domenica 26 novembre al Midas Palace Hotel.

Su cosa punterà il nuovo soggetto politico

Il nuovo soggetto politico punterà anche a partecipare alle future tornate elettorali, ma non si sa se già alle prossime europee. «Da quando è nata l’idea di questo movimento sono stato prima associato a Pillon, poi dovevo per forza fare un partito con Vannacci, ora devo fare per forza un partito con Marco Rizzo. In realtà ci sarà una tavola rotonda per confrontarci. Con Rizzo abbiamo raccolto le firme per il referendum per bloccare l’invio di armi in Ucraina e ci sono delle convergenze importanti. Ci sarà questo confronto, poi vedremo cosa uscirà fuori».

Il piano del ministro Valditara: «La scuola deve educare all’empatia»

A seguito del terribile epilogo della storia di Giulia Cecchettin, 22enne uccisa dall’ex fidanzato e ritrovata nei pressi del Lago Barcis sabato 18 novembre 2023, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha individuato un nuovo piano da attuare nelle scuole. L’idea del ministro è quella di introdurre un’ora di «educazione alle relazioni» negli istituti superiori, aggiunta come attività extracurricolare con una durata di tre mesi all’anno e un’ora in più in classe.

Le nuove linee guida del ministero per la scuola

Si tratta di 12 incontri in totale, durante i quali gli studenti sono disposti in cerchio, divisi in gruppi dedicati alla «discussione e autoconsapevolezza». Al centro un docente che funge da moderatore, occasionalmente supportato da psicologi, avvocati, assistenti sociali e organizzazioni impegnate nella lotta contro la violenza di genere. La partecipazione di testimonial vicini ai giovani, come influencer, cantanti e attori, completa l’approccio educativo.

Il piano del ministro Valditara: «No è no»

Il progetto si fonda su dei concetti fondamentali: «un no è un no», «un vestito non è un invito», «le parole sono pietre», «innamorata da morire è un modo di dire», «non rinunciare a denunciare» e così via. Ha spiegato il ministro che «La scuola deve educare a sentire l’altro, all’empatia, alla cultura del rispetto, superando il pregiudizio, la cultura maschilista, la discriminazione, la prepotenza. Questo e altro sta alla base del mio progetto Educare alle relazioni».

Giulia Cecchettin, la leghista Matone: «I maschi disturbati non hanno mai mamme normali»

Oltre al consigliere regionale veneto Stefano Valdegamberi, un altro esponente della Lega è stato travolto dalle polemiche dopo alcune frasi sul caso del femminicidio di Giulia Cecchettin. Si tratta della deputata Simonetta Matone, ex magistrata e ora parlamentare del Carroccio, invitata a partecipare alla trasmissione Domenica In. Ed è stato lì che nel pomeriggio del 19 novembre ha pronunciato parole che ora hanno vengono rilanciate sui social. Matone ha infatti dichiarato: «Io non ho mai incontrato soggetti gravemente maltrattati e gravemente disturbati che avessero però delle mamme normali».

Matone: «I maltrattamenti sono una catena di Sant’Antonio»

La deputata, parlando con la conduttrice Mara Venier, ha spiegato il proprio punto di vista: «In tutti i casi di maltrattamenti gravissimi di cui mi sono occupata nella mia purtroppo lunghissima attività professionale il soggetto era il classico maschio italico, così lo definisco nella peggiore accezione, frutto e figlio di una madre italica. Cosa voglio dire. Che sono archetipi che si perpetrano attraverso l’educazione, l’esempio, il perdonargliele tutte, il pensare che quella ossessione sia amore. Io non voglio crocifiggere questa povera donna che sarà distrutta, però il problema è quello. Io non ho mai incontrato soggetti gravemente maltrattati e gravemente disturbati che avessero però delle mamme normali. Non le avevano. Vuol dire prendere le botte dal padre e non reagire, far vivere il figlio in un clima di terrore e violenza e fargli credere che tutto questo è normale, non ribellarsi mai, subire ricatti di tutti i generi e imporre questo modello familiare al proprio figlio che lo perpetrerà. Perché i maltrattamenti sono una catena di Sant’Antonio. Non è questo il caso, però anche qui nessuno ha intercettato i segnali».

Bonelli contro Matone e la Rai: 

La leghista è stata criticata da molti utenti sui social e anche da colleghi in ambito politico. Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, ha commentato su Facebook: «Occuparsi di femminicidio non è di destra e né di sinistra dice Mara Venier oggi a Domenica In ma a parlarne invitano 2 deputate di dx: Dalla Chiesa e Matone. La Matone, Lega, dice che i colpevoli di femminicidio avevano sempre modelli materni diseducativi e non avevano mamme normali ! Donne che avevano mariti che le picchiavano e non si ribellavano, per esempio. Quindi il modello diseducativo, per i figli assassini era la madre che subiva, non l’uomo che picchiava. Questa è la Rai del pluralismo e del contratto di servizio contro la violenza di genere?». Tra gli altri, ha commentato anche la giornalista Selvaggia Lucarelli: «Colpa nostra. Delle madri. Il padre picchiatore invece un modello».

 

 

Chi è Ettore Prandini, il presidente di Coldiretti e i legami con Fratelli d’Italia

La carne coltivata può piacere o meno, ma di sicuro bisognerebbe coltivare meglio i modi. Lo scontro di piazza tra il focoso presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, e i deputati di +Europa, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi, segnala che la situazione è un po’ sfuggita di mano. Perché se in democrazia e nelle istituzioni la forma è sostanza, non è edificante vedere dei qualificati rappresentanti politici e dei corpi economici intermedi accapigliarsi proprio davanti a Palazzo Chigi come adolescenti di borgata. Ora capiremo che ne sarà della denuncia inoltrata da Della Vedova e Magi al commissariato di Polizia di Montecitorio, ma di certo Prandini, un po’ in imbarazzo nel ricostruire i fatti, ha prima toccato vette di surrealtà situazionista e poi ha corretto il tiro in modo alquanto pasticciato.

 

Siamo infatti partiti con un «non c’è stata alcuna aggressione, solo una piccola spinta nell’allontanarlo», riferito a Della Vedova. E allora, volendo seguire il ragionamento dell’imprenditore agricolo, quale è la soglia di intensità entro la quale una spinta si può definire «piccola»? Poi siamo passati a un accenno di velata autocritica, parlando al Messaggero: «Certo, avrei potuto agire diversamente». Salvo infine negare qualunque contatto fisico con il parlamentare d’area radicale: «Come dimostrano le immagini, al di là di quello che è stato raccontato si è limitato tutto a un confronto verbale acceso. Come abbiamo sempre detto, nessuno ha alzato le mani». In ogni caso, all’ombra della Colonna Antonina, mentre a Montecitorio si approvava il ddl che vieta di produrre la carne cosiddetta “sintetica”, c’erano due manifestazioni contrapposte sul tema, a poche decine di metri l’una dall’altra. E Prandini non ha negato di essere andato lui incontro ai parlamentari di +Europa per uno scambio ravvicinato, giustificando il proprio atteggiamento con la natura dei cartelli «offensivi» sventolati dagli oppositori del partito liberal-centrista.

Chi è Ettore Prandini, il presidente di Coldiretti e i legami con Fratelli d'Italia
Ettore Prandini e Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

L’asse tra Coldiretti e Fratelli d’Italia da cui proviene Borriello, capo di gabinetto di Lollobrigida

Dopo l’alterco, la maggioranza ha fatto quadrato attorno a lui e le opposizioni gli hanno del «bullo», del «fascista», dello «squadrista». Magi ha usato il fioretto: «Coltivatore di teppismo». Qualcuno ha osservato che il suo è l’atteggiamento di chi si fa forte in ragione della sponda politica del governo. «Prandini si è sentito legittimato ad aggredire nel momento del suo massimo potere visto che alla fine la Camera ha approvato il ddl», ha chiosato Della Vedova. E in effetti in piazza si è sentito un boato da stadio da parte degli agricoltori di Coldiretti quando si è saputo che la legge era passata. D’altronde la sigla, che dichiara 1,6 milioni di associati, è filogovernativa da sempre, ma adesso appare più influente e ascoltata che mai. Da Fratelli d’Italia in particolare e di rimando dall’esecutivo: la stessa premier Giorgia Meloni è stata il primo capo del governo a visitare il villaggio Coldiretti di Milano. Per non parlare del cognato d’Italia che guida il dicastero dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: in nome della difesa della “sovranità alimentare” il ministero ha pure cambiato nome e l’attuale capo di gabinetto, Raffaele Borriello, viene dalle fila dell’associazione. Prandini e i suoi hanno vinto la battaglia contro la carne coltivata, ma fanno sentire il loro peso anche su altri dossier: dalle quote di migranti regolari per il lavoro agricolo ai biocarburanti, fino alla pesca a strascico, giusto per fare qualche esempio. Tanto che l’altro giorno lo stesso Lollobrigida ha dapprima condannato la “prodezza” del numero uno di Coldiretti, ma poi ha aggiustato un po’ il tiro: «Nessuna violenza, ha difeso gli agricoltori».

Chi è Ettore Prandini, il presidente di Coldiretti e i legami con Fratelli d'Italia
Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, con Raffaele Borriello (Imagoeconomica).

Figlio di un ex ministro Dc, Prandini è in Coldiretti dal 2006 e ora qualcuno lo dà candidato alle Europee (ma lui smentisce)

E pensare che una volta l’associazione giallo-verde faceva capo alla Democrazia cristiana. Dopotutto Prandini è figlio di cotanto padre: Giovanni, ex ministro scudocrociato della Marina mercantile e soprattutto dei Lavori pubblici, finito nel tritacarne di Tangentopoli e poi prosciolto. Ettore invece ha 51 anni, tre figli, è bresciano di Leno, una laurea in giurisprudenza e fa l’imprenditore agricolo a Lonato del Garda, dove è stato assessore comunale per 10 anni in una Giunta di centrodestra. Lo avevano dato come probabile ministro dell’Agricoltura quando nacque l’esecutivo Meloni. Adesso qualcuno lo dà come possibile candidato alle Europee, ma lui smentisce tutto e dice di voler continuare a guidare l’associazione, magari per un altro mandato. Il suo percorso inizia nel 2006 al comando di Coldiretti Brescia. Sei anni dopo prende le redini della sigla nell’intera Lombardia. E dopo altri sei anni, nel 2018, ecco lo scettro a livello nazionale. Una sua foto in pullover scuro, a braccia conserte, spicca sulla home page dell’azienda vitivinicola Perla del Garda, che produce Vini Garda, Valtenesi e Lugana Dop, avviata nel 2006 con la sorella Giovanna. Ma Prandini è pure presidente dell’Osservatorio Agromafie e guida il Cda dell’Istituto sperimentale italiano Lazzaro Spallanzani.

Chi è Ettore Prandini, il presidente di Coldiretti e i legami con Fratelli d'Italia
Ettore Prandini e Matteo Salvini (Imagoeconomica).

La battaglia dell’associazione contro la carne sintetica e le presunte lobby

Lui dice di voler tutelare la qualità, la sicurezza alimentare e l’italianità contro l’assalto delle perfide multinazionali. Una visione in cui spesso è sottilissimo il confine tra realtà e complottismo naïf. Ma tant’è: anche sul tema della carne coltivata Coldiretti denuncia le pressioni della piovra internazionale, della lobby globale del profitto, una sorta di grande macchinazione dei “signori della carne”, che quindi, celiando, potremmo definire “demo-pluto-sarco-massonica”. Restando sul centrodestra a trazione agricola viene in mente che «è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende». E però la citazione del Duce sembra onestamente sproporzionata: dopotutto il fattaccio dell’altro giorno si è verificato sotto il balcone di Palazzo Chigi, mica sul balcone di Palazzo Venezia.

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