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Le partite incrociate di Torino: dalle Regionali al Politecnico, fino al centro per l’Ia e la Compagnia di San Paolo

Sono passati ormai tre anni dalla creazione di Stellantis, risultato della fusione tra Fca e Peugeot che ha consegnato ai francesi la più grande e blasonata industria privata del Paese. Da che era Fiat centrica, Torino si è trovata improvvisamente orfana del suo asset più importante e costretta a reinventarsi un’identità. Cosa che sta facendo con fatica, anche se, a detta dei notabili della città, il 2024 sarà un anno decisivo per gli equilibri all’ombra della Mole per l’intera Regione. Il cui presidente Alberto Cirio, e il centrodestra che lo ha espresso e sin qui sostenuto, a giugno si giocheranno la riconferma dopo cinque anni vissuti sull’ottovolante, tra pandemia e sogni d’autonomia. Alla Compagnia di San Paolo volge al termine il regno di Francesco Profumo, in uscita sia da Piazza Bernini che dalla pesantissima presidenza dell’Associazione delle Casse di Risparmio Italiane. Ancora, l’anno che verrà sarà quello del rinnovo delle cariche dirigenziali del Politecnico, università tra le più prestigiose in Europa. Mentre resta aperto il dossier sul centro sull’Intelligenza artificiale destinato prima o poi a nascere in città.

Le partite incrociate di Torino: dalle Regionali al Politecnico, fino al centro per l'Ia e la Compagnia di San Paolo
Stefano Lo Russo, Carlos Tavares, John Elkann e Alberto Cirio (Imagoeconomica).

La corsa al Politecnico per il successore di Guido Saracco

Torino, racconta chi la conosce bene, dopo che gli Agnelli-Elkann si sono via via defilati, è rimasta orfana di un re e di una dinastia. Ma le architetture del potere cittadino non ne hanno risentito più di tanto. E tra istituzioni, accademia, finanza il nesso è forte e le sliding door notevoli. Lo testimonia il fatto che la prima partita ad aprirsi, quella per il successore di Guido Saracco alla guida del Politecnico, potrebbe influenzare con effetto domino tutte le altre. I tre nomi più gettonati a prenderne il posto sono quelli di Stefano Corgnati, Paolo Fino e Juan Carlos De Martin. Il primo, vicerettore per le Politiche Interne e membro del dipartimento di Energia, ha promesso un ateneo «a sostegno delle altre istituzioni». Fino, direttore del dipartimento di Scienza applicata e tecnologia, punta invece a rilanciare la sede di Mondovì di cui è responsabile. De Martin, professore di Ingegneria informatica, vuole mettere innovazione e sviluppo al centro di un’agenda “progressista” fondata sul diritto allo studio. Nel capoluogo sabaudo si guarda questa corsa con particolare interesse, e non solo perché c’è in ballo un giro di poltrone, ma perché costituisce un serio tentativo di programmare il futuro del territorio. In una città che, parafrasando il titolo di una biografia di Vittorio Gassman, da oramai troppo tempo il futuro lo ha dietro le spalle.

Le partite incrociate di Torino: dalle Regionali al Politecnico, fino al centro per l'Ia e la Compagnia di San Paolo
Guido Saracco, rettore del Politecnico di Torino (Imagoeconomica).

Le elezioni regionali, il futuro del Centro nazionale per l’Intelligenza artificiale e della Compagnia di San Paolo

In primavera si apriranno poi altre partite decisive: le elezioni regionali con la scelta di un nuovo governatore o la riconferma di Cirio, e la successione alla Compagnia di San Paolo. Nel primo caso, lo stesso Saracco era stato a lungo corteggiato da alcuni ambienti del centrosinistra per sfidare l’attuale presidente. Ma il rettore ha fatto subito sapere che non ha alcuna intenzione di candidarsi: resterà al Politecnico fino a scadenza mandato. Che per altro finisce a marzo 2024, quindi Saracco avrebbe tutto il tempo di ripensarci e correre per insediarsi a Piazza Piemonte, l’indirizzo dove sorge il grattacielo di Fuksas che ospita gli uffici della Regione. In realtà il rettore, dopo il “gran rifiuto” per Comunali e Regionali (anche perché gli si è messa di traverso l’ex sindaca pentastellata Chiara Appendino) ormai è considerato un candidato a tutto. A lui starebbe pensando persino il ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini come possibile presidente della Telt, la società italo-francese del consorzio Torino-Lione. Secondo il sempre molto informato sito locale Lo Spiffero, invece, Saracco avrebbe maggiori chance di accasarsi alla guida del futuro centro per l’Ia. Il polo potrebbe sorgere o nell’area Tne a Mirafiori o in quella della Cittadella dell’Aerospazio in corso Marche. Non sarà più l’I3A (Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale) voluto dal Conte-bis, ma il Cnia (Centro nazionale dell’Intelligenza artificiale), per il quale il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha messo sul piatto 20 milioni di euro.

Le partite incrociate di Torino: dalle Regionali al Politecnico, fino al centro per l'Ia e la Compagnia di San Paolo
Francesco Profumo, presidente Acri (Imagoeconomica).

Per sfidare Cirio, il Pd con Lo Russo pare essere orientato su Gilli o Barba Navaretti 

E in tutto questo il Pd, che a Torino esprime il primo cittadino, che partita gioca? Per le Regionali risulta a Lettera43 che il sindaco Stefano Lo Russo sia orientato su Marco Gilli, oggi addetto scientifico dell’Ambasciata d’Italia negli Stati Uniti. E predecessore proprio di Saracco. In alternativa ci sarebbe l’economista Giorgio Barba Navaretti, docente alla Statale di Milano, già editorialista de Il Sole 24 Ore e anima, nonché presidente, del Collegio Carlo Alberto. Centro di ricerca economica – a proposito di intrecci di potere – partecipato dall’Università di Torino e dalla Compagnia di San Paolo. Barba Navaretti da tempo propone per la città una ricetta centrata sull’attrazione di talenti e sul creare un contesto urbano destinato a favorire la competitività. In attesa di sapere se il suo intento di ribaltare l’attuale maggioranza in Regione avrà buon esito, il centrosinistra oltre a Torino mantiene la presa sulla più importante istituzione in campo economico-finanziario, la Compagnia di San Paolo. Il successore di Profumo sarà centrale nei rapporti con Banca Intesa e quindi con Milano. Inoltre aggiungerà a Fabrizio Palenzona una voce “torinese” nella partita per l’Acri, l’associazione che raggruppa le fondazioni bancarie su cui è ancora molto influente Giuseppe Guzzetti, che fu per tanti anni il suo dominus.  Come è noto all’Acri, dettaglio non di poco conto, spetta di nominare il presidente di Cassa depositi e prestiti, il cui cda va in scadenza la prossima primavera.

Roccella: «Corteo di Roma sprecato per motivi ideologici». E allora viva lo spreco elementare!

La ministra Roccella ha dichiarato: «Corteo di Roma sprecato per motivi ideologici». Viva lo spreco elementare! Sorelle, oggigiorno, se ci facciamo un’idea, poi non siamo più costrette a sposarla. Ma noi la sposiamo sempre, siamo tutte gravide, di quell’idea lì. Diritto d’onere. E in questo lunedì qualunque, è un sabato italiano, è un sabato ideologico, è un sabato politico. La parola che non devi pronunciare, perché subitanei replicano: e basta! I primi due anagrammi che mi vengono: “Patriarcato / tira porcata / parrai cotta”. Quella baggianata lì che le persone intelligenti conducano una vita fondata sul dubbio. Non lo voglio il dubbio, voglio invecchiare certa e scema.

Le insinuazioni di Crosetto sulla magistratura prolungano la guerra tra giustizia e politica

Guido Crosetto è, in tutti i sensi, un politico di peso, temprato da una lunga esperienza cominciata agli inizi degli Anni 80 con la Dc (di cui nonostante la vigorosa sterzata a destra ha conservato l’imprinting) e culminata dopo la stagione berlusconiana con la fondazione di Fratelli d’Italia. Abbastanza per capire che quando parla non lo fa mai a caso anche se, e qui si vede la sua navigata furbizia, dopo aver fatto esplodere una bomba si affretta subito a circoscriverne gli effetti.

Oibò, Crosetto, e ti pare poco? Dicci di più di questo complotto

La bomba in questo caso è la sua intervista al Corriere della Sera di domenica 26 novembre in cui, dopo aver parlato di Israele, Pnrr, elezioni europee e treno di Lollobrigida, sul finale cala l’asso che trasforma in straordinaria una altrimenti generica chiacchierata sull’universo mondo: «A me raccontano di riunioni di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni». Oibò, e ti pare poco? Crosetto si ferma lì, lasciando al lettore una ridda di domande senza risposta: a che corrente si riferisce? Quando è successo? Chi sono i protagonisti della congiura contro Palazzo Chigi? E soprattutto: perché il ministro della Difesa parla adesso?

Le insinuazioni di Crosetto sulla magistratura prolungano la guerra tra giustizia e politica
Guido Crosetto assieme a Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Presunti incontri carbonari delle correnti Area e Magistratura democratica

Al cronista il compito di cercare di mitigare la vaghezza della sua denuncia. Crosetto, a sentire chi gli sta vicino, si riferisce a una serie di incontri carbonari dove magistrati appartenenti alle due correnti di sinistra Area e Magistratura democratica, presente anche una non meglio identificata toga che ha fatto parte per molto tempo del Consiglio superiore della magistratura, avrebbero ordito la trama del complotto al governo. Il ministro della Difesa non si riferiva certo, ipotesi che qualcuno ha avanzato, ai congressi ufficiali delle due correnti, anche perché la cronologia non torna: quello di Area si è tenuto il 29 settembre, l’assemblea di Md il 10 novembre, entrambi lontani nel tempo rispetto alle sue esternazioni al Corriere. Gli episodi sono molto più recenti, ed è lì che si nasconde l’arcano.

All’Antimafia, a differenza del Copasir, le audizioni sono pubbliche…

Fintamente stupido per la risonanza della sua intervista, Crosetto è tornato sul luogo del delitto gettando acqua sul fuoco: io di base tenderei a non credere a quanto mi è stato riferito perché considero la magistratura un corpo sano, è il senso delle sue precisazioni. Ma qualora quelle circostanze risultassero vere, mi indignerei. Artificio retorico tipico, il suo, una sorta di negazione di un’affermazione troppo clamorosa per risultare di primo acchito credibile. Naturalmente Crosetto ha raccontato un pezzo della storia, gli altri li svelerà di fronte all’Antimafia le cui audizioni – a differenza del Copasir, il comitato sui servizi segreti – sono pubbliche. Intanto, nell’attesa di dare volti, facce e circostanze a un generico «A me raccontano di…» che il ministro ha premesso alla sua denuncia come volesse confinarla tra l’indiscrezione e il pettegolezzo, quel che è certo è che si sta per aprire l’ennesimo virulento capitolo di una guerra tra magistratura e politica che dura inesausta da più di trent’anni. E che nessuna riforma della giustizia (peraltro quella targata Nordio è ferma nel limbo delle intenzioni) sembra in grado di far cessare.

Nichi Vendola torna in politica: è il nuovo presidente di Sinistra italiana

Nichi Vendola è il nuovo presidente di Sinistra italiana. Per l’ex presidente della Regione Puglia, eletto per acclamazione durante il congresso del partito, si tratta del ritorno alla politica attiva. Ma, come lui stesso si è affrettato a precisare, in vista non c’è alcuna candidatura.

Vendola morde il freno: «Non mi candido a niente»

«Non mi candido a niente, è un ritorno attivo alla politica, questo sì», ha detto il neo presidente di Sinistra italiana a chi gli chiedeva se il nuovo ruolo potesse aprire a una candidatura, magari alle elezioni europee del 2024. Nicola Fratoianni, rieletto segretario del partito, ha detto che Vendola «ha scelto di non misurarsi con le istituzioni fino a quando non avrà risolto nel modo migliore, e certamente sarà così, una vicenda giudiziaria che lo riguarda».

L’elezione di Vendola è avvenuta per acclamazione

La proposta di Vendola presidente è stata fatta proprio da Fratoianni, che ha conquistato il terzo mandato da segretario all’unanimità con un astenuto e nessun contrario. L’elezione di Vendola, fondatore di Sinistra ecologia e libertà ed ex presidente della Regione Puglia, è avvenuta per acclamazione, con un lungo applauso e un coro che scandiva il suo nome.

Crosetto: «L’unico pericolo per il governo è l’opposizione giudiziaria»

Secondo il ministro della Difesa Guido Crosetto il governo Meloni è insidiato da un «unico pericolo», ovvero «l’opposizione giudiziaria», che «ha sempre affossato i governi di centrodestra». Lo ha dichiarato lui stesso in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: affermazioni che certo non sono passate inosservate.

Il ministro ha accennato a presunte riunioni di magistrati per affossare il governo

«L’unico grande pericolo è quello di chi si sente fazione antagonista da sempre e che ha sempre affossato i governi di centrodestra: l’opposizione giudiziaria», ha spiegato Crosetto al Corriere. Affermazioni queste non nuove nel centrodestra, basti pensare alle tante volte in cui Silvio Berlusconi ha detto di essere stato perseguitato dalla magistratura. Crosetto si è però spinto oltre: «A me raccontano di riunioni di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a “fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni”». E poi: «Siccome ne abbiamo visto fare di tutti i colori in passato, se conosco bene questo Paese mi aspetto che si apra presto questa stagione, prima delle Europee».

Il ministro della Difesa Guido Crosetto: «L’unico pericolo per il governo Meloni è l’opposizione giudiziaria».
Guido Crosetto (Imagoeconomica).

Il Pd: «Il governo smetta di lanciare velate minacce e di lamentare infondati complotti»

«È fuorviante la rappresentazione di una magistratura che rema contro e che possa farsi opposizione politico-partitica», ha detto Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati durante l’assemblea degli iscritti. Sulla stessa linea Debora Serracchiani, responsabile Giustizia nella segreteria del Pd, «stupefatta dalle dichiarazioni» rilasciate da Crosetto: «Se sa qualcosa che mette in pericolo la sicurezza nazionale, lo dica. Diversamente, la smetta questo governo di lanciare velate minacce e di lamentare infondati complotti, cercando di nascondere le difficoltà della manovra di bilancio».

Giornata contro la violenza sulle donne, Mattarella: «Non basta indignazione a intermittenza»

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso la necessità di un contributo delle istituzioni e delle associazioni del mondo produttivo, della scuola e della cultura a «sradicare un fenomeno che tradisce il patto su cui si fonda la nostra stessa idea di comunità». Una società umana ispirata a criteri di civiltà non può infatti «accettare né sopportare lo stillicidio di aggressioni alle donne, quando non il loro assassinio».

Mattarella: «Violenza contro le donne piaga che non si riesce a guarire»

«Drammatici fatti di cronaca scuotono le coscienze del Paese. La pena e il dolore insanabili di famiglie e di comunità ferite sono lo strazio di tutti». Inizia così il messaggio del capo dello Stato in occasione del 25 novembre, una giornata che «richiama tutti a un rinnovato, personale, impegno». Perché «quando ci troviamo di fronte a una donna uccisa, alla vita spezzata di una giovane, a una persona umiliata verbalmente o nei gesti della vita di ogni giorno, in famiglia, nei luoghi di lavoro, a scuola, avvertiamo che dietro queste violenze c’è il fallimento di una società che non riesce a promuovere reali rapporti paritari tra donne e uomini». «Non soccorrono improvvisate analisi di psicologia sociale a giustificare la persistenza di una piaga che non si riesce a guarire nonostante gli sforzi. Il numero di donne vittime di aggressioni e sopraffazioni è denuncia stessa dell’esistenza di un fenomeno non legato soltanto a situazioni anomale. A esso non possiamo limitarci a contrapporre indignazioni a intermittenza», ha continuato.

«Non c’è amore senza rispetto e senza l’accettazione dell’altrui libertà»

E ancora: «Siamo lontani dal radicamento di quel profondo cambiamento culturale che la nostra Carta costituzionale indica. Un percorso in cui le donne e gli uomini si incontrano per costruire insieme un’umanità migliore, nella differenza e nella solidarietà, consapevoli che non può esserci amore senza rispetto, senza l’accettazione dell’altrui libertà. Una via in cui le donne conquistano l’eguaglianza perché libere di crescere, libere di sapere, libere di essere libere, nello spirito della Convenzione di Istanbul, alla quale ha aderito l’Unione Europea, segno importante di una visione universale di autodeterminazione e dell’eguaglianza dei diritti delle donne e passaggio decisivo nel delineare il quadro degli interventi contro la violenza di genere».

Sciopero 27 novembre, i sindacati lo spostano al 15 dicembre dopo la precettazione di Salvini

I sindacati di base hanno deciso di annullare lo sciopero del trasporto pubblico locale di lunedì 27 novembre e spostarlo al 15 dicembre. Lo hanno comunicato in una nota dopo che, come già fatto per l’agitazione del 17 novembre, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini aveva firmato la precettazione riducendo l’astensione dal lavoro da 24 a quattro ore. Una mossa, hanno lamentato Adl Cobas – Cobas Lavoro Privato – SGB – CUB Trasporti – Usb Lavoro Privato, «tutt’altro che inaspettata e grave da parte del vicepremier, interprete da padrone delle ferriere dell’art. 8 della L.146/90».

I sindacati: «Da Salvini motivazioni ridicole per giustificare la precettazione dello sciopero»

Le sigle hanno evidenziato che «le motivazioni addotte da Salvini per giustificare la precettazione, un potere del ministro che la legge prevede solo per situazioni eccezionali, sono invece ridicole e suonano come un vero e proprio oltraggio all’esercizio di un diritto costituzionale». E ancora: «Va sottolineato come questo sciopero sia stato indetto più di un mese fa, prima persino di quello di Cigl e Uil, nel pieno rispetto delle più restrittive norme in Europa per l’effettuazione di uno sciopero. Significativo a tale proposito il fatto che la Commissione di garanzia non ha mosso il benché minimo rilievo alla proclamazione dello sciopero».

«Il problema è diventato politico»

Dunque la rinuncia e la sfida: «È ormai evidente che il problema è diventato politico. Accettare la riduzione imposta nell’ordinanza sarebbe a nostro avviso come fare propria l’idea che un ministro consideri il diritto di sciopero alla stregua di una propria concessione ai sindacati, tanto da considerarne eccessiva la durata di 24 ore. Per questo motivo, abbiamo deciso di rifiutare la riduzione e spostare lo sciopero nazionale di 24 ore di tutto il trasporto pubblico locale al 15 dicembre, sfidando il ministro Salvini sul terreno dei diritti costituzionali».

Femminicidi e violenza contro le donne: perché chi spera in un asse tra Meloni e Schlein si illude

Ogni anno la marcia del 25 novembre porta in piazza il dolore delle donne vittime di femminicidio. Ogni anno. Lo fanno le associazioni, le reti, le attiviste e le studiose che non hanno mai avuto bisogno di un eclatante caso di cronaca per motivarsi. I centri antiviolenza e le associazioni sanno bene che ciò che è accaduto a Giulia Cecchettin si ripete con cadenza quasi quotidiana (una donna vittima di femminicidio ogni tre giorni, dicono le statistiche) nei diversi luoghi del Paese, nei diversi contesti sociali e nelle diverse modalità che un assassino può immaginare per mettere fine alla donna che ritiene sua. È innegabile però che questa giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne sia circondata da un vento nuovo se non per chi manifesta almeno per chi di quella marcia non può non accorgersene. È troppo intenso il doloroso dibattito sull’assassinio di Filippo Turetta per concedersi di rimanere nel posto degli spettatori. Costretti a dare voci alle donne che di solito non hanno voce, i media hanno scoperchiato una sopraffazione sistemica che parte ben prima dell’ammazzamento e che nella maggioranza dei casi non si spinge fino all’epilogo luttuoso pur manifestando una violenza che è il vero tema.

Femminicidi e violenza contro le donne: perché chi spera in un asse tra Meloni e Schlein si illude
Giulia Cecchettin.

Se si negano il patriarcato e la sopraffazione maschile è impossibile condividere la definizione di femminicidio

Come proponeva Luca Sofri su X si potrebbe fare un patto: chi non riconosce l’allarme del femminicidio in Italia può essere benissimo trattato come un terrapiattista. In maniera anti scientifica anche lui dimostrerà di non conoscere le basi, scambierà il femminicidio per il semplice omicidio di una donna, senza avere studiato. Del resto nel momento in cui si negano il patriarcato e la sopraffazione maschile sarebbe impossibile condividerne la definizione. Dice il dizionario: «Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte».

Come scriveva la femminista Marcela Lagarde «nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali»

L’antropologa Marcela Lagarde, rappresentante del femminismo latinoamericano e tra le prime teorizzatrici del concetto di femminicidio nel 1997 scriveva: «Il femminicidio implica norme coercitive, politiche predatorie e modi di convivenza alienanti che, nel loro insieme, costituiscono l’oppressione di genere, e nella loro realizzazione radicale conducono alla eliminazione materiale e simbolica delle donne e al controllo del resto. Per fare in modo che il femminicidio si compia nonostante venga riconosciuto socialmente e senza perciò provocare l’ira sociale, fosse anche della sola maggioranza delle donne, esso richiede una complicità e un consenso che accettino come validi molteplici principi concatenati tra loro: interpretare i danni subiti dalle donne come se non fossero tali, distorcerne le cause e motivazioni, negarne le conseguenze. Tutto ciò», continuava Lagarde,  «avviene per sottrarre la violenza contro le donne alle sanzioni etiche, giuridiche e giudiziali che invece colpiscono altre forme di violenza, per esonerare chi esegue materialmente la violenza e per lasciare le donne senza ragioni, senza parola, e senza gli strumenti per rimuovere tale violenza. Nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali».

Femminicidi e violenza contro le donne: perché chi spera in un asse tra Meloni e Schlein si illude
Una manifestazione a Milano dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin (Getty Images).

Perché un asse femminile tra Meloni e Schlein è improbabile

Quanti dei commentatori sono consapevoli che si stia parlando di questo? Ecco, appunto. Mentre si moltiplicano le voci che augurano un asse femminile (che sia femminista non ci crede nessuno, non ci spera nessuno) tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e tra la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein sarebbe il caso di essere consapevoli che le soluzioni condivise di un problema sono possibili quando se ne condividono le cause. È un passaggio logico fondamentale per non scadere nella retorica. Ogni anno la marcia dl 25 novembre porta in piazza il dolore delle donne vittime di femminicidio. Ogni anno. Nel corso degli anni sono state elaborate le proposte di soluzioni che quasi sempre la politica non ha voluto ascoltare. Non si discute solo di come eliminare le uccisioni, si discute di come eliminare anche tutto quello che viene prima, le sopraffazioni di ogni ordine e grado. Se qualcuno non è d’accordo con questo punto centrale il dialogo non è possibile. E gli oppressi nella Storia – da sempre – non possono fare altro che cercare di salvarsi (nel senso letterale del termine) attraverso lo scontro.

Ue, nuova legge sul packaging: i prodotti che potrebbero essere vietati

Il Parlamento Ue ha approvato il Ppwr (Packaging and Packaging Waste Regulation), che regola l’utilizzo degli imballaggi nell’Unione europea, limitando l’uso di vari prodotti comuni nella vita quotidiana dei cittadini. Dall’utilizzo del cestino in legno per il camembert alle confezioni monouso in plastica, sono tanti i prodotti che potrebbero essere soggetti a un divieto a seguito della decisione da parte di Bruxelles. Molti, comunque, si oppongono a questa decisione, con diversi membri del parlamento europeo, anche spinti dalle lamentele dell’industria del settore, che hanno richiesto che la responsabilità passi al Consiglio Ue e al Trilogo a gennaio. I legislatori hanno approvato la risoluzione legislativa con 426 voti favorevoli, 125 contrari e 74 astensioni.

Stop a imballaggi di plastica usa e getta

Diversi i prodotti fuori legge, tra cui la confezione della panna da caffè e il cestino in legno del camembert. Questa nuova regolamentazione è stata fortemente promossa da Frans Timmermans, con l’obiettivo di ridurre drasticamente i rifiuti da imballaggio, che nel 2022 hanno raggiunto 84 milioni di tonnellate, con una media di 188,7 chili per cittadino europeo. L’obiettivo principale è eliminare le confezioni di plastica monouso utilizzate per frutta, verdura, sacchetti di plastica, shampoo, creme e altri prodotti offerti, ad esempio, dagli alberghi. Ci saranno divieti per bicchieri, vassoi, piatti usa e getta, bustine di zucchero e confezioni della panna da caffè. Le bevande sfuse dovranno essere consumate sul posto o vendute in bicchieri riutilizzabili. A partire dal 2025, i clienti potranno riempire il proprio contenitore con la bevanda acquistata.

L’impatto degli imballaggi e il riciclo che non è abbastanza

Entro il 2030, in conformità alle previsioni del Ppwr, il 20 per cento delle bevande senza alcol dovrà essere commercializzato in imballaggi riutilizzabili (e il 35 per cento entro il 2040). Per quanto riguarda le bevande alcoliche, gli obiettivi sono del 10 per cento entro il 2030 e del 25 per cento entro il 2040. Perplessità arrivano anche dal nostro Paese, che si conferma eccellenza europea per il riciclo, con il ministro per le imprese e il Made in Italy Adolfo Urso che a Strasburgo ha affermato che «il regolamento avrebbe un impatto molto pesante sul nostro sistema produttivo, ove non fosse modificato sostanzialmente». Il commissario europeo Virginijus Sinkevicius, però, pone l’accento sui limiti del riciclo: «L’Ue ha toccato un nuovo triste target, gli ultimi dati disponibili ci dicono che tra il 2010 e il 2021 i nostri rifiuti da imballaggio sono aumentati di oltre il 24 per cento, più rapidamente del Pil e della nostra capacità di riciclaggio. Solo nel 2021 abbiamo osservato l’aumento più significativo, del 6 per cento rispetto al 2010: il riciclo non è dunque abbastanza».

Pnrr, via libera dalla Commissione europea al piano modificato: all’Italia 194,4 miliardi

La Commissione europea ha dato il proprio benestare alle modifiche al Pnrr inviate dall’Italia. Cambia così il piano, che prevede sette riforme in più rispetto a quello originale. I fondi salgono a 194,4 miliardi di euro, di cui 122,6 di prestiti e 71,8 di sovvenzioni. Sono 66, invece, le riforme mentre gli investimenti sono 150. Il solo capitolo REPowerEU comprende cinque delle sette novità, oltre a cinque investimenti potenziati basati su misure già esistenti e altri 12 con cui l’Italia punta a realizzare alcuni obiettivi inseriti nel piano europeo per accelerare l’indipendenza dai combustibili fossili.

Pnrr, via libera dalla Commissione europea al piano modificato all'Italia 194,4 miliardi
Laa presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

L’ok della Commissione: «Modifiche per inflazione e alternative migliori»

In una nota, la Commissione europea ha spiegato i motivi del via libera: «Le modifiche apportate dall’Italia al piano originario si basano sulla necessità di tenere conto di circostanze oggettive che ostacolano la realizzazione di determinati investimenti come originariamente pianificato, tra cui l’elevata inflazione sperimentata nel 2022 e nel 2023, le interruzioni della catena di approvvigionamento causate dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e la disponibilità di alternative migliori per raggiungere l’ambizione originaria di determinati investimenti. Un’altra circostanza oggettiva riguarda la revisione al rialzo della dotazione massima di sovvenzioni Rrf, da 68,9 miliardi di euro a 69 miliardi di euro, a seguito dell’aggiornamento di giugno 2022 della chiave di assegnazione delle sovvenzioni Recovery, che riflette il risultato economico comparativamente peggiore dell’Italia nel 2020 e nel 2021 rispetto a quanto inizialmente previsto».

Il 39,5 per cento dei fondi destinato alla transizione ecologica

Il piano modificato ha aumentato ulteriormente i fondi destinati alla transizione ecologica. Rispetto all’originale 37,5 per cento, adesso è il 39,5 per cento dell’intera somma ad essere stato assegnato a riforme e misure destinate all’ambiente. L’Italia punta ad accelerare la diffusione dell’energia rinnovabile, grazie ad autorizzazioni semplificate, e a ridurre i sussidi dannosi per l’ambiente. Nel piano sono state inserite anche facilitazioni per la produzione di biometano. Ma il governo vuole anche dedicare fondi al trasporto sostenibile, con investimenti sulle ferrovie, e aumentare le competenze del Paese sui temi ambientali e della transizione green.

Sciopero generale, Landini a Salvini: «Precettazione ha fatto aumentare i partecipanti»

I sindacati hanno confermato lo sciopero dei trasporti in programma per lunedì 27 novembre e intanto nel Nord Italia è andato in scena quello generale di Cgil e Uil contro la legge di Bilancio. Nonostante lo scontro con il ministro Matteo Salvini, un buon numero di lavoratori sono scesi in piazza in Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto. Soddisfatto il segretario della Cgil Maurizio Landini, che ha partecipato al corteo di Torino con circa 10 mila manifestanti: «Lo sciopero è riuscito». Il segretario della Uil, Pierpaolo Bombardieri, è stato invece a Brescia, dove in piazza sono stati in 15 mila.

LEGGI ANCHESalvini ora precetta, ma qualche anno fa lanciava blocchi del Paese, scioperi fiscali e appoggiava i Gilet gialli

Landini: «Precettazione ha aumentato la partecipazione»

Maurizio Landini ha lanciato così un messaggio a Salvini, che ha precettato la mobilitazione di una settimana fa: «La partecipazione è andata oltre quella del 17 novembre. Quindi l’effetto della precettazione è stato di aumentare la partecipazione nelle piazze. Le nostre mobilitazioni non sono semplicemente di protesta e in queste settimane sta scendendo in piazza non solo il mondo del lavoro e i pensionati. È la vera maggioranza di questo Paese, che oggi non è ascoltata. Non vogliamo solo criticare o protestare ma vogliamo dare vita a un futuro per il nostro paese. Abbiamo proposte per fare le riforme necessarie. Non siamo un sindacato di governo, siamo autonomi. I governi li giudichiamo per quello che fanno».

Sciopero generale, Landini a Salvini «Precettazione ha fatto aumentare i partecipanti»
Lo sciopero generale del 17 novembre (Imagoeconomica).
PALLONCINI BANDIERE

Bombardieri: «Il governo non fa nulla sulla sicurezza sul lavoro»

E da Brescia ha rincarato la dose Pierpaolo Bombardieri. Il segretario della Uil ha dichiarato: «Non siamo un sindacato che si piega, nemmeno con le minacce o con la precettazione. Noi continuiamo sulla strada per avere maggiori diritti e tutele. Abbiamo preso atto con piacere del rinvio della convocazione. In quale Paese si convocano i sindacati durante le 8 ore di sciopero? Vi ricordiamo che il diritto di sciopero è previsto dalla nostra Costituzione. Ieri, oggi e domani continueremo a difenderlo. Sulla sicurezza sul lavoro non avete fatto nulla. L’Inail risparmia ogni anno 2 miliardi che mettete nel bilancio dello Stato invece di investirli nella sicurezza. Con quale coraggio poi esprimete il vostro cordoglio alle famiglie che hanno perso qualcuno? E quando dite che non ci sono i soldi, finitela di prenderli dalle tasche di lavoratori e pensionati e prendeteli da banche, multinazionali, lotta all’evasione fiscale».

Schlein: «Il Pd parteciperà alla manifestazione contro la violenza sulle donne»

La segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, ha annunciato che una delegazione del suo partito sarà presente alla manifestazione di piazza contro la violenza sulle donne in programma nella giornata del 25 novembre a Roma e a Messina. «Il Pd ha sempre partecipato a quella manifestazione (di Non una di meno, ndr) e parteciperà anche domani», ha detto la leader dem all’evento L’Europa di Domani per poi aggiungere: «Io la mattina sono a Perugia, se riuscirò parteciperò anche io molto volentieri».

Le polemiche per la posizione filo palestinese della piazza femminista

Quanto detto da Elly Schlein chiude, in parte, le polemiche nate nel corso delle ore precedenti a causa del sostegno al popolo palestinese espresso nel comunicato di promozione dell’iniziativa. Proprio questo elemento, come sostenuto dal Fatto Quotidiano, avrebbe accesso dei malumori tra gli esponenti del Pd, ma la segretaria ha smorzato i toni ricordando che il suo partito ha «una posizione chiara e senza ambiguità sul Medio Oriente», cosa che per la stessa troverebbe conferma anche nella manifestazione del Partito democratico dell’11 novembre. Ancora, la leader dem ha ribadito che «non utilizzerei in maniera strumentale qualcosa» che può intaccare l’unità della battaglia contro la violenza di genere. Tra gli assenti alla manifestazione contro la violenza sulle donne, invece, c’è il leader del MoVimento 5 stelle Giuseppe Conte.

La storia di Gasparri presidente di una società di cybersicurezza e i rischi di decadenza dal Senato

Dopo le inchieste su Silvio Berlusconi e Ignazio La Russa, domenica 26 novembre la trasmissione Report è pronta a mandare in onda un’anteprima di un servizio sul senatore Maurizio Gasparri. Stando alle anticipazioni rilasciate sui social dal programma di Sigfrido Ranucci, in onda su Rai3, il capogruppo azzurro al Senato avrebbe “dimenticato” di avvisare il parlamento del suo incarico come presidente della Cyberealm srl, società di sicurezza informatica. Per legge, la mancata comunicazione di cariche societarie è motivo di decadenza della carica istituzionale.

Gasparri a conoscenza dell’inchiesta prima della convocazione di Ranucci in commissione Vigilanza Rai

A inizio novembre Gasparri si era reso protagonista della disputa del governo contro il conduttore di Report, quando durante la convocazione in commissione di Vigilanza Rai di Ranucci e del direttore degli Approfondimenti Rai, Paolo Corsini, il senatore si era rivolto con toni accesi al giornalista, offrendogli una carota e un cognac e dicendo: «Vuole un po’ di cordiale? Ho anche la carota se qualcuno ha paura della commissione di Vigilanza». Una reazione che il programma sostiene possa centrare con la scoperta da parte del senatore azzurro dell’inchiesta che lo riguarda. In un post pubblicato su X da Report, infatti, si legge che il senatore sapeva ben 22 giorni prima di chiedere la convocazione che erano stati scoperti «i suoi interessi privati mai dichiarati al parlamento», legati a Cyberealm. Report ha intenzione di svelare che a farne parte sono «manager e collaboratori con un passato imbarazzante e legati ai Servizi segreti di altri Paesi. Alcuni di loro in questo momento sono impegnati materialmente nel conflitto israelo-palestinese in attività sensibili. Gasparri ha di fatto tessuto per loro relazioni istituzionali per l’assegnazione di commesse tenendo all’oscuro il Senato. Commesse che riguardano tutti i suoi ruoli istituzionali».

Renzi risponde a Meloni: «Premier nervosa in Senato, da lei comiziaccio vecchia maniera»

Continua, a distanza, lo scontro tra il leader di Italia viva Matteo Renzi e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni dopo che, nel question time al Senato del 23 novembre, i due si erano fortemente scontrati. Renzi, nello specifico, aggiunge un nuovo capitolo al dibattito postando sui social un lungo intervento che riprende quanto lo stesso ha pubblicato nel suo editoriale su Il Riformista. Il senso dell’intero post è un attacco diretto alla premier, accusata di grande nervosismo e di essere «preoccupata soprattutto di non rispondere alle critiche di merito».

«Ho visto una premier nervosa»

Così Matteo Renzi su Facebook: «Ieri per la prima volta dall’inizio della legislatura Giorgia Meloni si è presentata in Aula per rispondere al question time dei senatori. Riconoscendo alla presidente del Consiglio una grande abilità nel dibattito parlamentare ero curioso di capire su quali temi avrebbe imposto la propria offensiva comunicativa. E invece con mia grande sorpresa ho visto una premier nervosa, preoccupata soprattutto di non rispondere alle critiche di merito». Il leader di Italia viva contesta alla presidente del Consiglio soprattutto il fatto di non aver fornito delle motivazioni sull’aumento dei prezzi di molti beni di primi necessità da un anno a questa parte. Per Renzi, Meloni sarebbe scappata dalla realtà parlando di «spread e di indicatori macroeconomici» e «ha mentito negando di aver mai detto di voler uscire dall’Euro».

La risposta alla polemica su Bin Salman

Giorgia Meloni, durante il question time, aveva risposto a Renzi chiedendogli di fare da intermediatore, per ridurre il prezzo della benzina, con «l’amico Mohammad Bin Salman», con il quale il leader di Italia viva ha intrattenuto un lungo rapporto lavorativo come conferenziere finendo al centro delle polemiche. Così Renzi nel suo post: «Mi ha attaccato spiegando che il costo del petrolio dipende dall’Arabia Saudita, ignorando il fatto che le accise le ha aumentate lei, non Bin Salman. E che la mia contestazione è sul fatto che da un anno a questa parte i cittadini italiani stanno peggio di prima». E ancora: «Quello che mi ha colpito è il tono da comiziaccio vecchia maniera. E l’utilizzo dei parlamentari di maggioranza come di una claque che anziché rappresentare con disciplina e onore l’unità nazionale potrebbe benissimo fare il pubblico a Ballarò applaudendo a comando, anche quando non si sa che cosa applaudire».

I banchi del governo durante il question time al Senato
I banchi del governo durante il question time al Senato (Imagoeconomica).

Il consiglio alla premier

Il leader di Italia viva conclude il suo post sottolineando che il governo arranca e dando un consiglio alla premier perché, dice, c’è passato anche lui: «Diffida degli adulatori, cara Giorgia. Saranno i primi ad andarsene quando finirà il tuo ciclo». E ancora: «Il carrello tricolore di Adolfo Urss è una barzelletta che non fa ridere. La riforma della giustizia è scomparsa dai radar e purtroppo il nostro amato ministro Nordio in TV va solo a Chi l’ha visto?. Il PNRR è in ritardo quasi come un Frecciarossa di Lollobrigida. Oggi Giorgia Meloni finge di essere Cenerentola ma la sua non è una favola. E la squadra non è all’altezza. Prima la Premier capisce meglio è per il Paese».

Gli effetti della possibile vittoria di Trump in Italia: tra i sovranisti nostrani solo Meloni resterebbe fregata

La stampa progressista si sta agitando per il gran ritorno di Donald Trump, a partire dall’Economist (“Il più grande pericolo mondiale del 2024”, titola il settimanale britannico). L’ex presidente degli Stati Uniti vincerà agilmente le primarie del Grand Old Party, il Partito Repubblicano, in crisi di idee e di alternative. Al punto che persino gli avversari di Trump in realtà sono degli imitatori del miliardario, come il giovane imprenditore Vivek Ramaswamy, che nei dibattiti svetta come uno dei più estremisti tra gli sfidanti. Rimane insomma valido il detto che fra la brutta copia e l’originale, la gente preferisce l’originale. Un po’ come dalle nostre parti, in questi anni, l’elettorato manettaro ha preferito il giustizialismo autentico del M5s a quello annacquato del Partito Democratico.

Gli effetti della possibile vittoria di Trump in Italia: tra i sovranisti, solo Meloni resterebbe fregata
Donald Trump in Texas (Getty Images).

Biden, considerato troppo vecchio, è dato per spacciato

Ma una volta vinte le primarie del GOP, Trump riuscirà a vincere anche le elezioni presidenziali? Un paio di settimane fa un sondaggio del New York Times, non esattamente un quotidiano conservatore, dava Trump in vantaggio in cinque dei sei cosiddetti Swing States, cioè quelli in bilico, in cui può alternativamente vincere o il candidato democratico o il candidato repubblicano. Contro Joe Biden, come già emerso in altri sondaggi, pesa il fattore età. Il 20 novembre il presidente degli Stati Uniti d’America ha compiuto 81 anni. Donald Trump è più giovane di lui di soltanto quattro anni ma evidentemente appare nettamente più giovanile agli occhi dell’elettorato. Secondo il sondaggio del New York Times, il 71 per cento degli intervistati pensa che Biden sia “troppo vecchio” per essere un presidente efficace, un’opinione largamente condivisa anche dall’elettorato democratico, visto che anche il 54 per cento dei sostenitori di Biden pensa che sia troppo vecchio. Solo il 19 per cento dei sostenitori di Trump pensa che l’ex presidente degli Stati Uniti sia troppo vecchio e solo il 39 per cento di tutto l’elettorato ritiene che lo sia. Il 62 per cento degli elettori americani pensa che Biden non abbia l’acutezza mentale per essere efficace. Saranno pure tutte fesserie, visto che alla stessa età, nel 1957, Konrad Adenauer rivinceva le elezioni e avviava il suo terzo governo della Germania Ovest, ma nell’elettorato americano la questione dell’età di Biden è ampiamente dibattuta. Sicché il capo della Casa Bianca viene dato per spacciato e descritto come un anziano signore che dovrebbe farsi da parte. Non si sa bene però a chi potrebbe lasciare il posto, visto che la sua vice, Kamala Harris, è persino meno popolare di lui.

Gli effetti della possibile vittoria di Trump in Italia: tra i sovranisti, solo Meloni resterebbe fregata
Joe Biden (Getty Images).

Con Trump partirà il riposizionamento: da Salvini a ‘Giuseppi’. L’unica a rimanere fregata potrebbe essere Meloni

Chissà quanto ci metteranno i sovranisti di casa nostra, in testa Matteo Salvini, a congratularsi per l’ottima performance del miliardario americano, che nonostante la zavorra di incriminazioni procede spedito verso la vittoria alle primarie di un partito, il Gop, ormai saldamente trumpizzato. Chissà quanto ci metterà Salvini a vestirsi come il tizio agghindato da sciamano che il 6 gennaio 2021 coprì di disonore i conservatori americani. Sarà il trionfo del riposizionamento, vedrete: Salvini metterà da parte i calici per il recentissimo trionfo di Geert Wilders in Olanda e ripescherà la mascherina di Trump. Un modo anche per differenziarsi da Giorgia Meloni, che nel frattempo ha curato il suo atlantismo così bene da non trovarsi affatto male con l’attuale presidente degli Stati Uniti. E se Biden alla fine fosse davvero il cavallo perdente? Bè a quel punto festeggerebbe anche Beppe Conte, Giuseppi per il suo vecchio amico Trump, anche lui punto fortissimo di riferimento di tutti i forgotten men – direbbe l’omologo italo-americano di un noto ex segretario del Pd, chiamiamolo, chessò, Nick Zingaretti – che, da J.D. Vance in poi sono stati folgorati sulla via della Trump Tower.

Gli effetti della possibile vittoria di Trump in Italia: tra i sovranisti, solo Meloni resterebbe fregata
Giuseppe Conte, Donald Trump e la First Lady Melania a Londra nel dicembre 2019 (Imagoeconomica).

La presidente del Consiglio ha trovato in Biden un alleato più prezioso di quelli che ha in casa

Già, perché l’ex presidente degli Stati Uniti è riuscito anche a conquistare le simpatie di chi non lo amava affatto, proprio come l’autore di Elegia americana – libro-manifesto che racconta meglio di qualsiasi altro saggio perché gli svantaggiati si sono trovati a votare per un miliardario che diceva di volerli rappresentare – che alla fine è riuscito a farsi eleggere al Senato grazie al sostegno trumpiano. Saranno tutti contenti, insomma; l’unica che rischia di rimanere fregata è proprio la presidente del Consiglio, che dall’ormai celebre e celebrato viaggio di luglio in poi sembra aver trovato in Biden un alleato più prezioso di quelli che ha (e anche di quelli che aveva) in casa.

Senato, Meloni contro Renzi: «Benzina? Ci aiuti lei con il suo amico bin Salman»

Botta e risposta dai toni accesi tra Giorgia Meloni e Matteo Renzi, durante il question time con la premier al Senato. Il leader di Italia viva ha puntato il dito contro la mancata coerenza della presidente del Consiglio che «si è fermata all’opposizione». Poi ha contestato il «disegno paradisiaco che ha fatto e che non corrisponde alla realtà del Paese». I riferimenti sono stati alle dichiarazioni sugli sbarchi dei migranti, che «sono raddoppiati», alle politiche europee e alle promesse sul taglio delle accise sulla benzina. E su quest’ultimo tema Meloni ha risposto in maniera piccata: «Ci aiuti lei con i suoi rapporti con bin Salman, visto che li ha». Il riferimento è alle consulenze che il senatore ha svolto in passato in Arabia Saudita, incassando oltre un milione di euro.

Meloni: «Non abbiamo la bacchetta magica»

Dopo l’attacco di Renzi, la premier ha ringraziato ironicamente per l’assist e parlato della fiducia dei mercati. A vantaggio dell’azione del governo ha parlato anche della «promozione di quattro agenzie di rating, che non sono di solito buone su questa materia». E poi ha citato lo spread, ora «ai minimi da molto tempo: sono dati che dicono qualcosa in più rispetto alle valutazioni delle opposizioni». Ma è sulla benzina che ha contrattaccato: «Noi non abbiamo la bacchetta magica per i miracoli. Come lei sa, il costo della benzina dipende soprattutto dalla scelta dei paesi che detengono il petrolio. Se ci vuole dare una mano con il suo amico bin Salman, forse ci aiuta ad abbassare il prezzo. Visto che ha buoni rapporti, faccia da ponte per aiutare gli italiani».

La risposta di Renzi: «Prima voce del popolo, ora parla di spread»

Matteo Renzi non si è scomposto e ha ribattuto: «Signora presidente è meraviglioso vederla cambiare in questo modo. Dall’opposizione ci parlava della voce del popolo, io ora le parlo del prezzo del pane e lei mi risponde con lo spread?».  Poi il riferimento all’Arabia Saudita: «Siamo qui per aiutarla, le ho mandato centinaia di sms che non hanno avuto risposta, sono disponibile ad aiutare anche in tema di prezzo del petrolio, non si faccia incantare da chi le sta intorno e la loda per qualunque cosa». E ancora: «Lei prova a fare un racconto di se stessa come fosse Cenerentola, ma lei non è Cenerentola, né la Bella Addormentata, né Biancaneve. È la presidente del Consiglio e lei si trova a guidare un Paese con il fatto che non sta governando la situazione economica delle famiglie».

Sciopero dei trasporti, Salvini chiede buonsenso: «No allo stop di 24 ore»

Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha dichiarato che anche in occasione dello sciopero del 27 novembre non sarà accettato uno stop di 24 ore. Dal Ministero già nella giornata del 22 novembre che ci si sta adoperando «per ridurre i disagi dei cittadini in vista dello sciopero generale dei trasporti proclamato in tutta Italia per il prossimo lunedì». Il leader della Lega ha lanciato un appello alle sigle sindacali con l’intento di rivedere lo stop, come già accaduto lo scorso 17 novembre. Il rischio per i sindacati, qualora decidessero di insistere, è di una nuova precettazione

Salvini: «Farò tutto ciò che mi permette di fare la legge»

Matteo Salvini ha quindi dichiarato: «Non accetto 24 ore di blocco del trasporto pubblico perché sarebbe il caos. Se applicano il buonsenso non intervengo, ma se pensano di fermare tutta l’Italia per 24 ore non lo permetterò e farò tutto quello che la legge mi permette di fare». Già inviata dal Ministero la lettere ufficiale ai sindacati con l’invito a ridurre la durata della mobilitazione. Ma il riferimento di Salvini sembra essere alla precettazione, di cui si è già parlato per lo sciopero di pochi giorni fa.

I sindacati: «Non desisteremo»

Ma stavolta i sindacati non sembrano intenzionati a fare passi indietro. In una lettera al Mit, le sigle Usb, Cub Trasporti, Cobas Lavoro Privato, Adl Cobas, Al Cobas ed Sgb hanno scritto: «Non desisteremo e confermiamo lo sciopero nazionale degli autoferrotranvieri a sostegno dell’esercizio del diritto di sciopero e per aumenti salariali dignitosi, la tutela dei diritti e della sicurezza degli addetti al servizio di Ttpl e dei passeggeri, nonché a favore di investimenti pubblici per rilanciare un settore strategico al servizio dei cittadini». E ancora: «Stigmatizziamo l’intervento del Mit auspicando che non sia seguito da eventuali ulteriori provvedimenti del Ministro Salvini. Le nostre istanze a tutela dei lavoratori e del diritto alla mobilità dei cittadini, più volte sollevate e rappresentate al Ministero ed al Governo, sono rimaste inascoltate e private della necessaria attenzione delle istituzioni nazionali e locali».

Licia Ronzulli eletta vicepresidente del Senato con 102 voti

Licia Ronzulli è stata eletta vicepresidente del Senato con 102 voti favorevoli, 50 schede bianche, cinque nulle e sei ad altri nomi. Il voto è avvenuto a scrutinio segreto, con i senatori chiamati uno alla volta a passare attraverso i cosiddetti catafalchi per esprimere la loro preferenza in aula. Presenti 164 senatori e 163 votanti. La senatrice di Forza Italia, fino a lunedì capogruppo degli azzurri al Senato, è subentrata a Maurizio Gasparri che contemporaneamente si è dimesso dal ruolo, in una staffetta proposta da FI.

Sondaggi politici, Pd al 19,3 per cento: è il dato peggiore dell’era-Schlein

Il Partito Democratico perde terreno, arrivando a toccare il record negativo da quando la segretaria è Elly Schlein. Lo evidenzia il calcolo ponderato dei sondaggi nazionali effettuato da Supermedia Agi/Youtrend: il Pd cala di un altro decimo rispetto al rilevamento di due settimane fa e si attesta al 19,3 per cento.

Sondaggi politici, Partito Democratico scende al 19,3 per cento: è il dato peggiore dell'era Elly Schlein.
Elly Schlein (Imagoeconomica).

Nell’opposizione picco positivo del M5s

All’opposizione picco positivo del Movimento 5 stelle, che guadagna quattro decimi arrivando al 16,5 per cento. Nell’ex terzo polo: Azione supera il 4 per cento e Italia Viva il 3 per cento, mentre Alleanza Verdi e Sinistra arriva al 3,4 per cento.

Nel centrodestra sorride Forza Italia

Per quanto riguarda la maggioranza di governo, il partito della premier Giorgia Meloni Fratelli d’Italia è ancora saldamente il primo del Paese, con il 28,7 per cento ma in lieve calo. Sorride Forza Italia, che guadagna mezzo punto percentuale avvicinandosi alla Lega, che va su di un decimo fermandosi al 9,1 per cento.

Lollobrigida sul caso Frecciarossa: «Non mi dimetto, andavo al lavoro»

Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, parlando al Forum Coldiretti di Roma, è tornato sul caso del Frecciarossa fatto fermare dal suo entourage eccezionalmente a Ciampino per permettergli di arrivare in tempo a un evento organizzato a Caivano. Lollobrigida ha escluso di dimettersi, come chiesto dalle opposizioni, in quanto ha «agito nella legalità».

Lollobrigida: «Non mi dimetto, stavo andando a lavorare»

«Per quanto è di mia competenza farò tutto quello che è necessario», ha detto Lollobrigida, «non sono mai fuggito al confronto. Sono convinto di aver agito non solo nell’ambito della legalità e della norma ma nell’interesse dello Stato e per rappresentarlo a Caivano. Quella discesa dal treno non era per andare in vacanza o andare a trovare la mia famiglia, ma per andare al lavoro». Sulla richiesta di dimissioni avanzata dalle opposizioni il ministro meloniano ha commentato: «Il vero privilegio è stato quello di stare tra i cittadini di Caivano, dove è valsa la pena stare».

Le giustificazioni di Trenitalia

Trenitalia, finita anch’essa al centro delle polemiche, è intervenuta sul caso Lollobrigida sottolineando che non si tratterebbe di una eccezione. Solo quest’anno, infatti, sono state effettuate 207 le fermate straordinarie anche se, come evidenziato da la Repubblica, in nessun caso è stata imposta una fermata non prevista dal tragitto. Gli stop straordinari sono infatti stati causati da guasti tecnici.

Treno Frecciarossa
Treno Frecciarossa (Imagoeconomica).

Tajani: «Non c’è stato nessun abuso»

Sul tema è intervenuto anche il leader forzista e ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha escluso un abuso da parte del collega: «Mi pare che le Ferrovie e Lollobrigida abbiano chiarito la vicenda, per me non c’è da far dimettere nessuno. La vicenda è chiarita. Il ministro non stava andando in vacanza con la famiglia ma a Caivano per motivi di servizio. Qui non si tratta di vicende personali, si tratta di una fermata prevista peraltro dalle regole, mi affido alla decisione delle Ferrovie. La fermata era aperta a tutti».

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