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Caso Cospito, Delmastro rinviato a giudizio

Il gup di Roma ha rinviato a giudizio Andrea Delmastro, nell’ambito del procedimento in cui è accusato di rivelazione del segreto d’ufficio in relazione alla vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito. Il sottosegretario alla Giustizia andrà a processo e si partirà con la prima udienza il 12 marzo prossimo. L’avvocato di Delmastro, Giuseppe Valentino, ha commentato: «Confidavamo in una decisione diversa perché c’erano tutti i presupposti per una sentenza di non luogo a procedere». Il 6 luglio scorso il gip di Roma ha disposto l’imputazione coatta per il sottosegretario.

L’inchiesta partita dopo le parole di Donzelli

Tutto è iniziato il 31 gennaio. Durante la discussione alla Camera sull’istituzione della commissione Antimafia, il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli ha fatto riferimento alla visita di alcuni parlamentari del Partito democratico all’anarchico Cospito, in regime di 41 bis, sulla base di documenti teoricamente secretati. In quell’occasione ha dichiarato: «Il 12 gennaio 2023, mentre parlava con i mafiosi, Cospito incontrava anche i parlamentari Serracchiani, Verini, Lai e Orlando. Andavano a incoraggiarlo nella battaglia. Allora voglio sapere, presidente, se questa sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia». Da lì l’esposto presentato dal deputato dei Verdi Angelo Bonelli e l’apertura delle indagini sulle «intercettazioni ambientali del Dap tra esponenti della ‘ndrangheta e della camorrista con Alfredo Cospito» rese pubbliche in aula da Donzelli. E poi la decisione del gip a luglio.

Caso Cospito, Delmastro rinviato a giudizio
Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro (ANSA).

Delmastro a luglio: «Nessun segreto è stato violato»

Dopo l’imputazione coatta, Andrea Delmastro ha dichiarato: «Prendo atto della scelta del Gip di Roma che, contrariamente alla procura, ha ritenuto necessario un approfondimento della vicenda giuridica che mi riguarda. Avrò modo, davanti al giudice per l’udienza preliminare di insistere per il non luogo a procedere per insussistenza dell’elemento oggettivo, oltre che di quello soggettivo. Sono fiducioso che la vicenda si concluderà positivamente, convinto che alcun segreto sia stato violato, sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo».

Expo 2030, l’attacco di Bertolaso: «Roma è una discarica, non l’avrebbe votata neanche un aborigeno»

La vittoria di Riad, che si è aggiudicata l’Expo 2030, e il terzo posto di Roma, con appena 17 preferenze ricevute a Parigi, continuano a far discutere. Anche dalla Lombardia sono arrivati attacchi e commenti dopo il flop della candidatura della Capitale. L’assessore regionale al Welfare, Guido Bertolaso, è stato uno dei più critici dopo la sconfitta. Ha dichiarato: «Oggi vediamo gli alibi che vengono fuori ma neanche un aborigeno avrebbe votato per Roma. La più bella città del mondo che è stata ridotta come una discarica a cielo aperto e nessuno chiede scusa e pensa anche di andarsene di notte, lasciando il disastro che ha combinato in questi anni».

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Expo 2030, l'attacco di Bertolaso «Roma è una discarica, non l'avrebbe votata neanche un aborigeno»
I festeggiamenti di Riad per la vittoria (Getty Images).

Bertolaso: «Un’umiliazione che provoca rabbia»

L’assessore Bertolaso ha poi proseguito: «Siamo arrivati a questa umiliazione che, da cittadino romano, mi avvilisce e mi provoca anche molta rabbia. Come cittadino romano oggi non posso non manifestare la mia grande umiliazione per la scelta che è stata fatta ieri. Per la scelta che è stata fatta e per come è stata fatta, per il ruolo riservato alla mia città che amo come la mia famiglia. Questo mi ha addolorato parecchio». Nel 2021 lo stesso Guido Bertolaso ha rifiutato la candidatura a sindaco di Roma che gli è stata proposta dal centrodestra.

Letizia Moratti: «Il governo non l’ha sentito come evento importante»

Anche Letizia Moratti ha poi commentato la notizia in diretta a L’Aria che tira, su La7. L’ex sindaca di Milano ha ricordato la vittoria del capoluogo lombardo nel 2015 e ha attaccato: «Questa Expo non è stata sentita come evento importante da parte di questo governo. Io sono stata sostenuta da Prodi, Berlusconi e Renzi. Io ho visitato 80 Paesi a spese mie. Questa Expo era stato ideato da governo precedente, era sbagliato il titolo che avevano scelto, il nostro “Nutrire il pianeta, energia per la vita” era certamente un titolo più sexy di quello di Roma».

Expo 2030, l'attacco di Bertolaso «Roma è una discarica, non l'avrebbe votata neanche un aborigeno»
La premier Giorgia Meloni a Parigi a giugno per presentare la candidatura italiana (Getty Images).

Sala: «Non mi attaccherei al tema dei petroldollari»

Quasi contemporaneamente le ha dato manforte l’attuale sindaco di Milano, Beppe Sala: «Penso che su queste competizioni si deve affiancare al sistema nazionale del Governo, che non è mai fortissimo rispetto ad altri Paesi, una capacità locale forte. Expo 2015 fu portata a casa grazie alla determinazione di Letizia Moratti. Bisogna riconoscere a lei questo merito e questo ci deve insegnare che partite così difficili devono essere gestite in combinata tra Governo e istituzioni locali. Poi non mi attaccherei al tema dei petroldollari, che ci sono, ma si sapeva anche quando si è iniziata questa gara. C’è stata una enorme differenza tra quella che è stata la gara milanese e la gara romana. Dobbiamo ringraziare Moratti per averla portata a casa e poi anche noi abbiamo fatto la nostra parte».

I successori del papa malato, tutti contro Gualtieri per Expo 2030 e altri spifferi

Papa Francesco sta male, non può viaggiare, le sue condizioni preoccupano i medici. In Vaticano si pensa al successore, una gara che al momento vede in pole position il presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi. E ripartono i veleni: il primo bersaglio è proprio Zuppi, che con il governo di Giorgia Meloni praticamente non dialoga. Ecco così spuntare le accuse di finanziamento vaticano a Luca Casarini. Comunque, anche gli Stati Uniti non amano Zuppi perché «è troppo dalla parte della Russia», dicono.

I successori del papa malato, tutti contro Gualtieri per Expo 2030 e altri spifferi
Papa Francesco e il cardinale Zuppi (Imagoeconomica).

Tutti contro Gualtieri

Adesso che la votazione parigina ha decretato l’inutilità della candidatura di Roma all’Expo 2030, tutti ce l’hanno con il sindaco Roberto Gualtieri, che ha detto «i sauditi hanno dilagato grazie ai petrodollari». C’è chi gli dà dell’incapace (ma nella Capitale lo dicono in tanti, e da quando è stato eletto), chi del pazzo, chi del temerario (e questi sono i più buoni). Non finirà qui, ovviamente: comincerà il vertice del Partito democratico, al quale l’attuale primo cittadino non piace per niente. Il centrodestra capitolino ha già pronta la richiesta di elencare tutte le spese, inutili, che sono state fatte in giro del mondo per conquistare la bellezza, pardon la bruttezza, di 17 voti. Pranzi, cene, voli intercontinentali, alberghi, tutto dovrà essere rendicontato: anche perché Ignazio Marino lo avevano fatto nero per gli scontrini dei ristoranti pagati con la carta di credito del Campidoglio, oltre che per la storia della Panda rossa e delle multe. Comunque, gli oppositori di Gualtieri “salveranno” l’assessore ai grandi eventi, sport, turismo e moda Alessandro Onorato, al quale è stata assegnata una sufficienza da parte del centrodestra nel pagellone che qualche giorni fa hanno dedicato alla giunta comunale romana. Chissà perché…

I successori del papa malato, tutti contro Gualtieri per Expo 2030 e altri spifferi
Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri con l’assessore ai grandi eventi, sport, turismo e moda Alessandro Onorato (Imagoeconomica).

Ci hanno fatto un Busan così

Volete sapere qual è stato il primo commento romano doc, dopo aver saputo che nella gara per conquistare l’Expo 2030 la Capitale è arrivata solo al terzo posto, addirittura dopo la Corea del Sud? «Ci hanno fatto un Busan così».

Calabresi pubblica con Mondadori

Nei salotti romani non si parla d’altro: «Hai visto che Mario Calabresi pubblica con Mondadori?». Che poi mica è la prima volta, ma evidentemente non se ne ancora erano accorti, visto che erano impegnatissimi a giocare a burraco. Fatto sta che il 30 novembre al Teatro Manzoni di Roma Calabresi sarà protagonista del nuovo appuntamento di “Scrittori in scena” con il suo libro A occhi aperti. Come si presenta ora Calabresi: «Giornalista e grande appassionato di fotografia, ha viaggiato a lungo per incontrare gli autori di scatti divenuti ormai iconici e farsi raccontare quali emozioni li avessero attraversati mentre fermavano sulla pellicola un pezzo di storia». Dell’esperienza passata al quotidiano la Repubblica, nessuna traccia. A lui piace parlare di Josef Koudelka, Don McCullin, Steve McCurry, Gabriele Basilico, i grandi fotografi: di largo Fochetti meglio non fare accenni.

I successori del papa malato, tutti contro Gualtieri per Expo 2030 e altri spifferi
Mario Calabresi (Imagoeconomica).

La sosia di Elly Schlein

Dicono che è la sosia della segretaria del Partito democratico Elly Schlein: in effetti, la guida creativa degli accessori di moda di Hermès, Clémande Burgevin Blachman, le somiglia molto.

 

L’umiliazione di Expo 2030 e il degrado che zavorra ogni ambizione di Roma

Il presidente della Corea del Sud, Yoon Suk-yeol, si è cosparso il capo di cenere per il fiasco di Busan nella corsa ad aggiudicarsi Expo 2030. «Le nostre previsioni basate sui contatti tra il settore privato e pubblico erano molto lontane dalla realtà», ha dichiarato contrito. «Offro le mie sincere scuse per aver deluso la nostra gente, compresi i cittadini di Busan. È tutta colpa mia». Se fossimo stati in Giappone, qualcuno avrebbe già fatto harakiri. Un gesto che metaforicamente a Roma si sono guardati bene dal fare, scegliendo la più confortevole italianissima soluzione di addossare la colpa agli altri. In primis all’Europa, che alla conta dei voti le ha clamorosamente voltato le spalle. Certo, si possono fare raffinati calcoli di geopolitica per spiegare la débâcle, si può dire che nessuno poteva insidiare lo strapotere economico dei sauditi (peraltro lo si sapeva dall’inizio), ma se prendi la metà dei voti di Busan, che sarà pure una città vivace e ben organizzata come giura chi ci è stato ma al cui nome molti hanno dovuto consultare Wikipedia, la sconfitta è pesantissima.

L'umiliazione di Expo 2030 e il degrado che zavorra ogni ambizione di Roma
Sostenitori della candidatura di Busan all’Expo 2030 (Getty).

La prima a non credere nell’impresa è stata la stessa città eterna

Infatti l’umiliazione sta tutta lì, nell’essere stati doppiati da chi sulla carta doveva essere il fanalino di coda. Oltre al fatto di non aver raccolto nemmeno tutti i voti dei parenti alleati. E se l’Europa non si mette d’accordo nemmeno nel sostenere il suo unico candidato a organizzare la manifestazione, figurarsi come può ambire alla compattezza su ben altri e più importanti fronti.
L’impressione comunque è che la prima a non credere nell’impresa sia stata la stessa città eterna, il cui inarrestabile degrado zavorra ogni ambizione. L’Expo era visto come una sorta di ultima spiaggia per tentare una difficile rinascita, ma l’unico rinascimento che funziona sembra essere quello di Riad semplicemente perché può permettersi di comprarlo facendo incetta di manifestazione che attirano su di sé gli occhi del mondo.

L'umiliazione di Expo 2030 e il degrado che zavorra ogni ambizione di Roma
Expo 2030 assegnato alla saudita Riad (Getty).

Il governo è stato alla larga da una sconfitta annunciata

Quando Milano si mise in gara per Expo 2015, si respirava nell’aere meneghino la sua forte determinazione ad aggiudicarsi la posta. Fu uno sforzo congiunto e trasversale tra sinistra e destra, con Letizia Moratti a completare il lavoro iniziato da Romano Prodi che nel 2006 presentò la candidatura, e l’allora premier Matteo Renzi che si intestò la vittoria. Stavolta a crederci, o a far finta di, c’erano Roberto Gualtieri e Francesco Rocca, mentre il governo dell’Open to meraviglia si è guardato bene dal lasciarsi coinvolgere in quella che comunque, al di là delle inusitate proporzioni, appariva come una sconfitta annunciata.

L'umiliazione di Expo 2030 e il degrado che zavorra ogni ambizione di Roma
Il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri (Imagoeconomica).

Modernità, infrastrutture, mobilità: Roma lontanissima da Milano

Si dirà che Riad non è Smirne, l’antagonista sconfitto dal capoluogo lombardo. Ma con franchezza bisogna anche dire che Roma non è Milano, che nonostante i giusti rilievi sul peggioramento del suo contesto urbano per spirito di modernità, qualità della vita, infrastrutture sul territorio e mobilità (a ben guardare il primo requisito di una città che vuol competere con le altre metropoli del Pianeta) resta a una distanza siderale. Milano è Europa, mentre Roma all’ombra del suo eterno splendore ha sempre più le fattezze di un suk mediorientale.

Expo 2030, cosa c’è dietro il flop della candidatura di Roma

Il flop della candidatura di Roma a Expo 2030 brucia. L’obiettivo dell’Italia alla vigilia, con oltre 50 voti sicuri sulla carta, era arrivare almeno al ballottaggio contro la favorita Riad. Per questo quei 17 voti, di fronte ai 29 ottenuti dalla sudcoreana Bausan e i 119 dell’Arabia Saudita sono uno schiaffo. Nemmeno le “amiche” Albania e Tunisia, che con il governo Meloni hanno stretto accordi sull’immigrazione, hanno appoggiato Roma. E altri Paesi come la Bosnia, come scrive Repubblica, hanno cambiato idea all’ultimo momento. Più dei datteri e dei cioccolatini serviti su vassoi d’argento offerti da Riad al Bureau international des Expositions e della potenza di un testimonial come Ronaldo – contro le “azzurre” Bebe Vio, Sabrina Impacciatore e la moglie di Sting Trudie Styler – avrebbe pesato la scelta di Israele di votare per l’Italia. Una mossa arrivata all’ultimo che può aver spinto al boicottaggio di Paesi critici nei confronti di Tel Aviv e della guerra a Gaza. «Fino all’ultimo, né a noi né ai coreani risultavano numeri di questa portata, quindi anche sull’ultimo miglio qualcosa deve essere successo», ha commentato l’ambasciatore Giampiero Massolo,  presidente del comitato promotore.

Expo 2030, cosa c'è dietro il flop della candidatura di Roma
L’ambasciatore Giampiero Massolo (Imagoeconomica).

L’appello inascoltato di Borrell e lo strappo della Francia

E dire che lo scorso marzo l’Alto Rappresentante per gli affari esteri dell’Ue Josep Borrell aveva promesso di impegnarsi a mobilitare le delegazioni europee per sostenere Roma. I Ventisette evidentemente non hanno ascoltato l’appello. La prima a sfilarsi era stata la Francia con Emmanuel Macron che già a luglio, in occasione di una visita di Mohammed Bin Salman a Parigi, aveva garantito a Riad il suo voto. Come ha ricostruito il Corriere, lo strappo di Macron aveva irritato e non poco Roma. E anche la giustificazione dell’Eliseo, quell’ «abbiamo detto sì ai sauditi perché sono stati i primi e finora gli unici a chiedere il nostro voto» non era stata sufficiente a calmare le acque. Nei mesi successivi Parigi aveva cercato di ammorbidire la sua posizione, garantendo l’appoggio a Riad ma solo al primo turno e non in un eventuale ballottaggio. Ballottaggio, che come si è visto, non è stato raggiunto. Poco è servito anche l’appoggio della sindaca di Parigi Anne Hidalgo, socialista e dunque ‘avversaria’ di Macron, dovuto anche al gemellaggio tra la Ville Lumière e la Città eterna.

 

 

Nel centrosinistra si moltiplicano i federatori, ma manca una coalizione da federare

E ultimo, nel campo che fu largo e oggi è semplicemente in cerca d’autore, arrivò Nichi Vendola. Anche se si tratta più di un ritorno che di un arrivo, l’ex governatore della Puglia, fresco di elezione per acclamazione a presidente di Sinistra italiana, si riaffaccia sulla scena politica. Sono bastate quattro parole con cui l’ex leader di Sel, in una intervista a Repubblica, ha sintetizzato cosa serve a sinistra e cioè una «connessione sentimentale col popolo» che subito sono riaffiorate alla mente le famose ‘Fabbriche di Nichi’, spazi di partecipazione aperta che proliferarono nel 2010, se ne contavano oltre 600 in tutta Italia, e che sembravano dover gettare le basi di un progetto nazionale. Salvo poi dissolversi insieme con le speranze di chi aveva visto in Vendola un futuro federatore. Per carità, Vendola ha detto chiaramente che non ha intenzione di candidarsi alle Europee, ma dietro quel «sento forte il richiamo della foresta» è lecito pensare ci sia qualcosa che bolle in pentola. Del resto, nell’intervista non ha lesinato frecciate ai due principali partiti di opposizione, il Pd e Il M5s. «Con un cartello elettorale sulla paura del fascismo non si fa molta strada», ha detto. E ogni riferimento alla scorsa campagna elettorale di Enrico Letta non è casuale. Al leader M5s Giuseppe Conte invece ha riservato la definizione di «progressista moderato» o «populista di centro». E non si sa cosa sia peggio, vista dal suo pinto di vista.

Nel centrosinistra si moltiplicano i federatori, ma manca una coalizione da federare
Nichi Vendola con Elly Schlein al Roma Pride 2023 (Imagoeconomica).

Nel centrosinistra i federatori non mancano: manca qualcosa da federare

Comunque sia, la verità è che oggi come oggi di federatori ce ne sarebbero anche, senza nulla da federare però. Manca la materia prima. Con Giorgia Meloni che, dall’altra metà campo, ringrazia e augura lunga vita a questa opposizione. A parte la contesa tra Conte ed Elly Schlein per guadagnare il posto al sole della leadership di una coalizione di centrosinistra, infatti, la lista di papabili guide di un ipotetico campo largo si allunga. E così vale per i federatori, chissà, forse a loro insaputa.

Le battaglie politiche di Landini preoccupano sua Pd sia M5s

È il caso, per esempio, del segretario della Cgil Maurizio Landini che, grazie al ministro Matteo Salvini, ha trasformato lo sciopero nazionale del 17 novembre scorso in uno scontro tutto politico, spostandosi quindi su un terreno che non dovrebbe essere il suo, ma di Conte e Schlein. Non a caso, i due leader politici, come raccontano dagli interna corporis del Pd e del M5s, ne osservano e temono le mosse. E così, fatta eccezione per quest’ultima protesta nazionale, fanno a gara per presenziare alle sue iniziative di piazza, da un lato per presidiare i rispettivi spazi e dall’altro per accrescere i consensi. «Tra i due litiganti, il terzo gode», la mette così tra il serio e il faceto una autorevole fonte dem. Aggiungendo: «Vedremo cosa accadrà dopo le Europee sia in casa Pd che in casa M5s. Del resto anche Susanna Camusso guidava la Cgil e ora è nel Pd. E che dire di Sergio Cofferati? Dopo la sua manifestazione del 2002 a Circo Massimo a Roma, quella sì oceanica a difesa dell’articolo 18, le porte della politica per lui si sono spalancate…».

Nel centrosinistra si moltiplicano i federatori, ma manca una coalizione da federare
Maurizio Landini (Imagoeconomica).

Dopo le Europee potrebbe aver fine la sfida tra Schlein e Conte per la leadership

Le Europee, appunto. Dopo la tornata elettorale di giugno, potrebbe aver fine la sfida Pd-M5s proprio sul fronte della leadership. Tra i dem però ci credono poco: «Già oggi è una competizione che non ha motivo di esistere, visto che il Pd è il primo partito d’opposizione». È vero, ma è vero pure che c’è un ex presidente del Consiglio che difficilmente riuscirebbe ad accettare un ruolo da comprimario. Tra l’altro proprio dopo essere stato acclamato dagli stessi dem – parliamo di esponenti di peso quali il deus ex machina Goffredo Bettini e l’ex segretario Nicola Zingaretti – come il futuro federatore. «Ma era un altro contesto, le cose cambiano», ribattono con Lettera43 in casa Pd. Una obiezione respinta al mittente dai pentastellati che si fanno forti dei sondaggi e parlano di «partita aperta». Insomma, fino alle elezioni il motto sarà «ognuno per sé». E vedremo se sarà lo stesso anche dopo il voto. Come preconizza un esponente Pd di vecchia data dietro garanzia di anonimato «perché ci sia un federatore dovrebbe esserci una cultura coalizionale che oggi manca». «Nel ‘95 i Ds costruirono le condizioni perché Romano Prodi, di certo non un diessino, fosse il federatore di un’area ampia e il candidato premier. Una generosità che oggi, pur volendo, il Pd non potrebbe avere perché manca la condizione di base e cioè, appunto, una cultura di coalizione». Altro discorso se le Europee si rivelassero una débâcle per Schlein e Conte. In quel caso, forse, si potrebbe costruire un percorso puntando su Vendola o su Landini? «Un federatore», risponde tranchant, «è riconosciuto perché di comune accordo gli si attribuisce un ruolo e non perché il leader del momento fallisce. Non funziona così. Col chiodo schiaccia chiodo non si fa strada e, soprattutto, non si scalza la destra».

Nel centrosinistra si moltiplicano i federatori, ma manca una coalizione da federare
Giuseppe Conte (Imagoeconomica).

Expo 2030, vince Riad al primo turno: Roma arriva terza

Riad si è aggiudicata l’Expo 2030. La capitale dell’Arabia Saudita ospiterà l’esposizione mondiale, dopo aver battuto la concorrenza di Busan, metropoli della Corea del Sud, e Roma, che arriva terza. La città araba vince così al primo turno, superando la soglia minima dei 120 voti necessari sotto la quale si sarebbe andati al ballottaggio. L’obiettivo dell’Italia, alla vigilia, era proprio questo: evitare il terzo posto e sperare in una nuova votazione. Ma Roma ha conquistato appena 17 voti, superata anche dalla sudcoreana Busan, che ne ha ricevuti 29, e nettamente dietro alla vincitrice Riad, che ne ha avuti 119.

Gualtieri, Angelilli e Abodi a Parigi

A rappresentare Roma a Parigi sono stati il sindaco Roberto Gualtieri, la vicegovernatrice del Lazio Roberta Angelilli e il ministro per lo Sport, Andrea Abodi.

 

 

Vertice governo-sindacati, Landini e Bombardieri: «La manovra continua a essere sbagliata»

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha incontrato le rappresentanze dei lavoratori a Palazzo Chigi in un vertice governo – sindacati che, però, non avrebbe del tutto convinto Cgil e Uil sulla nuove norme presenti nella legge di Bilancio 2023. Sia Maurizio Landini che Pierpaolo Bombardieri, infatti, al termine dell’incontro hanno ribadito che la manovra continus a essere sbagliata e che, soprattutto, non tenga conto di quanto chiesto dai lavoratori da loro rappresentati.

Stretta di mano tra Landini e Meloni
Stretta di mano tra Landini e Meloni (Imagoeconomica).

Le pensioni di vecchiaia

Al centro del dibattito tenutosi al vertice, cui hanno preso parte anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, i due vicepremier e ministri dei Trasporti e degli Esteri Matteo Salvini e Antonio Tajani, e la ministra del lavoro, Marina Elvira Calderone, si è discusso soprattutto del tema delle pensioni di vecchiaia. Il governo, stando a quanto detto dalla presidente del Consiglio durante il vertice, sarebbe intenzionato a modificare la norma prevista dall’articolo 33 della Manovra che risulta, attualmente, essere penalizzante sul calcolo delle pensioni. Così Giorgia Meloni durante il vertice: «Stiamo lavorando per modificare la misura nel migliore dei modi, garantendo che non ci sia nessuna penalizzazione per chi si ritira con la pensione di vecchiaia e garantendo che non ci sia nessuna penalizzazione per chi raggiunge al 31.12.2023 i requisiti attualmente previsti. Questo per tutti, non solo per il comparto sanità. Per il comparto sanità si sta valutando un ulteriore meccanismo di tutela in modo da ridurre la penalizzazione all’approssimarsi all’età della pensione di vecchiaia. Faremo del nostro meglio per risolvere e correggere». Il governo si sarebbe dunque impegnato per salvaguardare l’assegno di chi va in pensione con i requisiti di vecchiaia e limitare il taglio per chi cessa di lavorare in anticipo, mantenendo i diritti acquisiti al 31 dicembre 2023.

Landini dopo il vertice con il governo
Landini dopo il vertice con il governo (Imagoeconomica).

Per i sindacati la manovra resta sbagliata

Se da un lato c’è il governo che, nella persona di Giorgia Meloni, ha definito il confronto con i sindacati come «franco e costruttivo», dall’altra ci sono i rappresentanti dei lavoratori che continuano a non ritenere sufficiente quanto discusso. Così il segretario generale della Cgil Maurizio Landini a margine dell’incontro: «Continua ad essere una manovra sbagliata, il governo non ha cambiato nulla e non ascolta la piazza. Conferma tutte le ragioni dello sciopero perché al di là dell’ascolto, al momento il governo non ha cambiato nulla della manovra». E ancora, sull’articolo 33: «Si è limitato a dire che stanno ragionando». Concorde anche il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri: «Si conferma ancora una volta l’insensibilità alle tante richieste che vengono dalle piazze. Alla domanda se è vero o falso che fanno cassa sulle pensioni, non hanno risposto, come ci aspettavamo».

Pnrr, via libera preliminare della Commissione europea al pagamento della quarta rata

La Commissione europea ha approvato una valutazione preliminare positiva sulla quarta rata del Pnrr, accogliendo la richiesta di pagamento dell’Italia per 16,5 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti. Dopo il parere favorevole del Comitato economico e finanziario, per giungere all’erogazione dei fondi la Commissione dovrà adottare la decisione finale sull’erogazione del contributo finanziario.

Meloni: «L’Italia avrà ricevuto entro il 2023 circa 102 miliardi di euro»

Il 22 settembre l’Italia aveva presentato la propria richiesta basata sul raggiungimento delle 21 tappe e dei sette obiettivi stabiliti nella decisione di esecuzione del Consiglio. «Con la loro richiesta, le autorità italiane hanno fornito prove dettagliate ed esaurienti che dimostrano il raggiungimento delle 28 tappe e degli obiettivi», si legge nella nota di Palazzo Berlaymont. «Il pagamento dei 16,5 miliardi di euro è previsto entro la fine di quest’anno. L’Italia avrà ricevuto entro il 2023 circa 102 miliardi di euro, quindi più della metà del Pnrr. L’Italia sarà anche l’unico Stato membro dell’Unione europea ad aver ricevuto il pagamento della quarta rata», ha affermato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in un video sui social dopo il via libera dell’esecutivo europeo.

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Caso Crosetto, la commissione Antimafia dice no all’audizione: «Non è nostro compito»

L’ufficio di presidenza della commissione Antimafia, guidato da Chiara Colosimo, ha valutato e rigettato la richiesta prevenuta dal gruppo parlamentare del Pd di audire Guido Crosetto. I dem avrebbero voluto che il ministro della Difesa spiegasse in Aula le frasi rilasciate al Corriere della Sera, durante una discussa intervista in cui ha parlato di una «l’opposizione giudiziaria», che «ha sempre affossato i governi di centrodestra».

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La presidenza: «Non spetta a noi»

L’ufficio di presidenza, in una nota, ha spiegato che la richiesta «non possa essere ricondotta ai compiti che la legge istitutiva attribuisce alla Commissione antimafia. Vista la pubblica disponibilità del ministro Guido Crosetto a riferire, è utile che possa farlo nelle sedi parlamentari più idonee».

Crosetto da New York: «Bolle per riempire vuoto politico»

Dopo la richiesta formale presentata dal Pd, il ministro della Difesa è tornato a parlare sul caso e si è detto disponibile al confronto. Crosetto, impegnato a New York, ha dichiarato: «Se vogliono che la riferisca in Parlamento, la riferisco volentieri, ma siccome non sono ministro della Giustizia, per rispetto istituzionale, preferisco farlo in alcune commissioni come la Commissione Antimafia o al Copasir. Decidano loro cosa ritengono migliore, per il resto parlare di Giustizia non spetta a me. Probabilmente ho sbagliato a parlare di domenica, quando non avevano altri argomenti. In Italia ogni tanto si formano bolle per riempire il vuoto politico».

Giani invita Emanuele Filiberto di Savoia a San Rossore, la Fiom critica: «Lì firmate le leggi razziali»

Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha partecipato a una cena in cui, tra gli ospiti, c’è stato anche Emanuele Filiberto di Savoia. Il governatore, durante i saluti ai presenti, lo ha chiamato «principe» e ha sottolineato il rapporto che c’è stato nella storia tra Savoia e la stessa Toscana. Poi ha dichiarato: «Col principe parlavamo che in primavera dovrà vedere la tenuta di San Rossore così profondamente legata alla storia della sua dinastia, e che riuscì poi a essere per questo un punto di riferimento per i presidenti della Repubblica». E queste dichiarazioni lo hanno esposto agli attacchi della Fiom Firenze, Prato e Pistoia. Daniele Calosi, segretario del sindacato, lo ha criticato: «Si è dimenticato che lì Vittorio Emanuele III firmò le leggi razziali».

Calosi: «Sdoganamento del fascismo»

Il segretario della Fiom Firenze, Prato e Pistoia ha scritto su X: «Siamo forse impazziti? Apprendiamo di una cena di gala della Consulta dei senatori del regno, a cui ha partecipato pochi giorni fa il Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, alla presenza di Emanuele Filiberto di Savoia, il quale è stato anche accolto in Palazzo Strozzi Sacrati. In un video della serata Giani si rivolge a lui con l’appellativo di “Principe” e lo ringrazia. Ma per cosa? Per la feroce dittatura? Questo è lo sdoganamento del fascismo. Una istituzione repubblicana prona alla monarchia che accolse Mussolini e promulgò le leggi razziali. Povera Toscana, cuore della Resistenza, Regione dei fratelli Rosselli, di Spartaco Lavagnini, di Piero Calamandrei e di tanti altri che l’hanno difesa e onorata».

Giani: «Legame può rinsaldarsi»

Durante l’incontro, il 18 novembre scorso, il presidente Giani ha affermato: «Sono convinto che questo legame con la sua figura può rinsaldarsi e vivere dei momenti che sono, in qualche modo, di giusto riconoscimento del ruolo della Toscana nella storia d’Italia e della dinastia dei Savoia. Attraverso occasioni come queste il legame può rinsaldarsi e trovare stimoli per tutti noi per quella coesione sociale, per quella coesione nazionale che al nostro Paese dà i giusti valori e riconoscimenti per le giovani generazioni».

Carola Rackete su Meloni: «Si è rivelata molto in gamba a interfacciarsi con i leader europei»

«Chiunque ha un po’ di cervello sa che non è assolutamente il caso di fare accordi con una come Giorgia Meloni», ma la premier italiana «si è rivelata molto in gamba, molto capace a interfacciarsi con i leader europei»: sono le parole pronunciate lunedì 27 novembre a Firenze da Carola Rackete, l’ex comandante della nave tedesca Sea Watch che nel giugno del 2019 forzò il blocco nel porto di Lampedusa imposto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Rackete, che è candidata alle elezioni europee del 2024 come capolista del partito di sinistra radicale tedesco Die Linke, era ospite del festival L’Eredità delle Donne diretto da Serena Dandini.

Rackete: «Meloni capace ma non è il futuro dell’Europa»

L’attivista tedesca, 35 anni, nell’intervista con Dandini riportata da Dire si è opposta duramente alla linea delle destre europee, soprattuto sul tema dell’immigrazione e del cambiamento climatico. Dopo aver ammesso che Meloni si è rivelata una leader capace negli ambienti europei, Rackete ha sottolineato come «dobbiamo però essere fermi nel dire che questo non è il futuro dell’Europa, un futuro che è solo di distruzione. È vero che l’Unione Europea spesso viene vista come lontana, un posto dove vengono prese decisioni il cui impatto poi non è cosi chiaro sulla vita delle persone, mentre vengono prese invece delle decisioni che contano, quindi le elezioni europee sono importanti». E sulla linea politica che l’Ue dovrebbe portare avanti, ha detto: «Quello che è importante è mantenere i nostri valori, portare avanti politiche progressiste, ricordarci che dell’immigrazione abbiamo bisogno. E poi tutto questo si deve accompagnare a politiche per capire come risolvere la questione ambientale». Su quest’ultimo punto, Racket ha spiegato che «c’è una stretta correlazione tra la crisi climatica e l’immigrazione», ed è anche per questo che non ritiene la destra all’altezza della gestione dei due fenomeni, perché «vuole cancellare tutte le politiche ambientali a livello europeo, le prossime elezioni saranno fondamentali per questo», ha concluso.

Carola Rackete su Meloni/ «Si è rivelata molto in gamba a interfacciarsi con i leader europei
Manifestanti a Berlino nel 2019, quando Carola Rackete venne arrestata dalle autorità italiane dopo aver forzato il blocco a Lampedusa della Sea Watch 3, che trasportava circa 40 migranti (Getty Images).

Rackete: «Elly Schlein esempio positivo di leadership femminile»

Rackete aveva già espresso la sua opinione su Giorgia Meloni in un’intervista a Vanity Fair, in occasione della sua candidatura alle europee: «Credo che il fatto che l’estrema destra sia guidata da una donna non la renda migliore o meno pericolosa. Penso che dobbiamo abbandonare l’idea che solo perché una persona è una donna, allora sarà interessata ai diritti delle donne. D’altro canto, credo che ci siano anche uomini che sono molto più interessati al femminismo e ai diritti delle donne rispetto all’estrema destra. Penso che sia importante avere una leadership femminile che vada in direzioni diverse. Elly Schlein è un esempio molto positivo».

Cosa farà Urbano Cairo da grande, tra Mediaset e discesa in politica

Sarà perché l’immagine di Urbano Cairo, editore che ama molto apparire sui suoi giornali, ci fa quasi quotidianamente compagnia (il 28 novembre per ben due volte sul Corriere, nei giorni successivi alle partite vinte dall’Italia in Coppa Davis puntualmente presente sulla Gazzetta), sarà perché l’imprenditore di Alessandria, per via di una certa inquietudine di fondo, dà l’idea di una carriera che vorrebbe aggiungere dell’altro al già notevole percorso fin qui compiuto, sta di fatto che viene da chiedersi cosa lui abbia in mente di fare da grande. E qui le ipotesi sono più di una. Allargare il suo impero di carta che fa capo a Rcs, magari aggiungendoci – Antitrust permettendo – una testata di peso? Puntare tutto sulla televisione, magari abbandonando la ridotta di La7 che tante rogne gli dà con chi governa e comprarsi Mediaset, pensiero che peraltro gli deve essere balenato quando, morto Silvio Berlusconi che fu il suo mentore, si scommetteva sul fatto che i figli incapaci di ripercorrere le gesta del carismatico padre avrebbero mollato baracca e burattini? Oppure, e anche qui gli indizi non sono mancati, buttarsi in politica, cosa che avendo già i media e il calcio gli manca per far sì che l’emulazione del cursus berlusconiano sia completa?

Cosa farà Urbano Cairo da grande, tra Mediaset e discesa in politica
Urbano Cairo è proprietario di Rcs e La7 (Imagoeconomica).

Cairo aveva ottenuto lusinghiere conferme dai sondaggi commissionati

Se dovessimo scegliere, la terza opzione ci appare la più plausibile. Occorre solo aspettare che il momento sia propizio per potervi dar seguito, e questo sicuramente non lo è. A differenza del passato, anche recente, quando di finestre se ne sono aperte ma a lui è forse mancata la determinazione per approfittarne. Erano gli anni dei governi tecnici, dei presidenti del Consiglio nominati dal Quirinale per riempire i vuoti lasciati dai partiti e supplire alla loro incapacità di produrre maggioranze stabili. All’epoca il patron di Rcs aveva commissionato più di un sondaggio per misurare il gradimento di fronte all’ipotesi di una sua discesa in campo ottenendone lusinghiere conferme.

Cosa farà Urbano Cairo da grande, tra Mediaset e discesa in politica
Urbano Cairo con Mario Monti (Imagoeconomica).

Il suo nome assieme a quello di Ferrero per un vagheggiato polo centrista

Ancora di recente, il nome di Cairo (assieme a quello di Giovanni Ferrero, erede della ricchissima dinastia dolciaria) era apparso in cima alla lista di coloro che avrebbero potuto guidare un vagheggiato polo centrista capace di proporsi come alternativa di governo all’inconcludenza della sinistra e all’antimodernità sovranista della destra. Ma lui allora era impegnato a difendersi dagli americani di Blackstone che volevano lasciarlo in mutande.

Cosa farà Urbano Cairo da grande, tra Mediaset e discesa in politica
Giovanni Ferrero (Imagoeconomica).

Non saranno troppi 66 anni? Berlusconi fondò Forza Italia a 58…

Ora che il pericolo è passato, rispuntano voci, suggestioni, forse velleità che di fronte all’incupirsi dello scenario economico il fantomatico partito della borghesia potrebbe finalmente dare miglior prova di sé. E siccome Mario Draghi pare aver scelto per il suo futuro l’Europa, ecco che l’editore del Corriere può giocarsi le sue chance in casa. Ammesso che ne abbia ancora voglia, e che 66 anni non siano troppi per iniziare una nuova impegnativa avventura, anche se quando Berlusconi ha fondato Forza Italia ne aveva già 58. Deve solo aspettare che gli si ripresenti l’occasione giusta. Sapendo quanto è volubile e insidiosa la politica italiana – tanto che Giorgia Meloni pur godendo di una maggioranza numericamente inattaccabile cerca la sicurezza dell’elezione diretta – l’attesa potrebbe non essere lunga.

Sondaggi politici: calano FdI, Lega e M5s. Pd stabile

I primi quattro partiti italiani sono in calo o stazionari nelle intenzioni di voto degli elettori. È quanto rilevato dal sondaggio del 27 novembre elaborato da Swg per La7, nel quale il partito della premier Meloni, Fratelli d’Italia, ha registrato la terza flessione consecutiva dell’ultimo mese.

Fratelli d’Italia cala dello 0,4 per cento, stabile il Pd al 19,4

Per il Partito democratico la stima dei consensi rimane stabile sul 19,4 per cento, mentre Fratelli d’Italia ha registrato un calo dello 0,4 per cento, attestandosi al 28,6 per cento dei consensi. Una flessione in lieve peggioramento rispetto alle precedenti rilevazioni del 13 e 20 novembre, dove il calo era stato dello 0,1. Tra gli altri soggetti politici in perdita di favori, si segnala una flessione dello 0,2 per cento per il Movimento 5 stelle e la Lega, che si attestano rispettivamente al 16,4 per cento e al 9,4 per cento dei consensi. L’unico partito della maggioranza in crescita è Forza Italia: con uno 0,1 per cento in più, il partito di Antonio Tajani ha raggiunto la soglia del 7,0 per cento dei consensi.

Sondaggi politici: calano FdI, Lega e M5s. Pd stabile
Il ministro degli Esteri e presidente di Forza Italia Antonio Tajani (Imagoeconomica).

In crescita Azione e Italia Viva

Stesso incremento lo ha registrato Azione, ora al 3,8 per cento, e Alleanza verdi e sinistra che sale al 3,6 per cento. Lieve incremento anche per Italia Viva di Matteo Renzi, che con uno 0,2 in più ha raggiunto il 3,3 per cento dei consensi. +Europa, nonostante un calo di 0,2 punti, si ferma al 2,6 per cento nelle intenzioni di voto.

Sciopero dei medici del 5 e del 18 dicembre: le ragioni della mobilitazione contro il governo Meloni

Il governo Meloni fa scioperare persino i medici. Martedì 5 dicembre i sindacati (Anaao-Assomed e Cimo) portano in piazza i camici bianchi, da Bolzano a Palermo, al grido di «La sanità pubblica non si svende, si difende». I medici scioperano per chiedere assunzioni, detassazione di una parte della retribuzione, risorse congrue per il rinnovo del contratto di lavoro, depenalizzazione dell’atto medico. Il taglio alle pensioni dei medici, annunciato ma poi rivisto – almeno a parole – dal ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Carlo Palermo, presidente di Anaao-Assomed, il maggior sindacato medico, che si batte peraltro contro la cancellazione del numero chiuso a Medicina, è tuttavia fiducioso: le penalizzazioni per i sanitari che andranno in pensione a 67 anni saranno eliminate. «Molti parlano di misura ‘equitativa’, ma dimenticano alcuni aspetti: quando la Cassa pensioni sanitari è stata incorporata nell’Inpdap, ha portato in dote ben 7 miliardi di euro di attivo (le altre erano in perdita e hanno beneficiato di questo ‘contributo’)», ha detto Palermo in questi giorni.

Le ragioni dello sciopero dei medici: non solo il taglio delle pensioni

Ma che cosa chiede l’Anaao? «L’Anaao», spiega Palermo a Lettera43, «chiede al governo di ritirare i provvedimenti, introdotti dall’articolo 33 della Legge di Bilancio, che tagliano le pensioni future dei dipendenti pubblici in particolare dei medici, dei sanitari dei dipendenti e dei dirigenti di sanità, enti locali e insegnanti delle scuole primarie e ufficiali giudiziari». «Inoltre», continua, «le modifiche apportate dall’articolo 26 della manovra di bilancio costituiscono una grave penalizzazione per la generalità dei giovani nel sistema contributivo: infatti in caso di pensione anticipata prima dei 67 anni la pensione viene ridotta a cinque volte il minimo fino all’età di vecchiaia». Il primo provvedimento «è incostituzionale, già proposto e ritirato da questo governo nella precedente Legge di Bilancio; arreca grave danno a 732 mila dipendenti pubblici e danneggia l’intero sistema determinando conseguenze che peggioreranno i conti pubblici. Infatti, tale provvedimento sta determinando un esodo anticipato verso il pensionamento, la sospensione dei versamenti per i riscatti e si prospetta un gigantesco contenzioso nei prossimi anni». Inoltre, si colpisce con un provvedimento retroattivo, prosegue Palermo, «che mina la credibilità dello Stato e del governo: infatti moltissimi contribuenti hanno pagato riscatti per i periodi di studio e aspettative con un costo calcolato su un determinato rendimento che adesso non si vuole più onorare. Il costo dei riscatti è stato parametrato a un’aliquota di rendimento della pensione che ora paradossalmente si vuole ridurre. Sarebbe come se un titolo di Stato acquistato con un determinato rendimento fisso venisse manomesso in violazione dell’obbligazione contrattuale: le conseguenze sulla reputazione creditizia sarebbero disastrose. Anziché favorire il risparmio previdenziale si pongono pesanti penalizzazioni a questo investimento». Lo sciopero sarebbe confermato anche qualora arrivasse la definitiva conferma del ritiro del taglio alle pensioni dei medici, perché «le rivendicazioni sono ampie e non limitate alle questioni previdenziali».

Sciopero dei medici del 5 e del 18 dicembre: le ragioni della mobilitazione contro il governo Meloni
Carlo Palermo, presidente Anaao-Assomed (da Youtube).

Il 18 dicembre nuova mobilitazione in corsia

Quello del 5 dicembre non sarà uno sciopero isolato. Altre sigle sindacali – Aaroi-Emac, Fassid (Aipac-Aupi-Simet-Sinafo-Snr) e Fvm – hanno annunciato una nuova mobilitazione per il 18 dicembre. Anche qui il mirino è la Legge di Bilancio firmata Meloni: «Il 18 dicembre fermeremo la sanità per 24 ore per non vederla fermata per sempre da una Legge di Bilancio che premia gli evasori e distrugge il diritto alla cura e la tutela della salute», spiegano i sindacati. «Siamo sempre stati restii a proclamare uno sciopero nazionale perché, diversamente da altri scioperi, incide direttamente sulla risposta alla domanda di cura dei cittadini che è già da troppo tempo gravemente carente. Però, dopo le recenti delusioni sulle molteplici e ben note problematiche che questo governo aveva promesso di risolvere, vediamo negata qualsiasi soluzione proposta, vediamo danneggiato ulteriormente il Servizio sanitario nazionale e siamo colpiti direttamente da misure inaccettabili sul lavoro e sulle pensioni».

Daniela Santanchè non è più coordinatrice di Fratelli d’Italia in Lombardia

La ministra del Turismo Daniela Santanchè non è più la coordinatrice regionale in Lombardia di Fratelli d’Italia. Lo ha fatto sapere lei stessa in una nota, sottolineando che «al momento della mia nomina a ministro del Turismo avevo accettato, nonostante la complessità nel coniugare i due compiti di proseguire in via eccezionale il mio ruolo di portavoce regionale fino all’apertura della stagione dei congressi provinciali, che è ora arrivata».

«Ho fatto del mio meglio per accompagnare Fdi dal 3,6 al 25,18 per cento»

Santanchè ha ringraziato la premier Giorgia Meloni «per la fiducia che mi ha accordato negli ultimi anni, affidandomi il ruolo di portavoce regionale» di Fdi in Lombardia, ruolo «che oggi rimetto nelle sue mani». In questi anni «ho fatto del mio meglio per accompagnare FdI dal 3,6 per cento delle regionali 2018 ad essere il primo partito in Lombardia alle regionali 2022 con il 25,18 per cento» ha proseguito Santanchè, certa che adesso «si continuerà a lavorare tutti insieme per far crescere ancora, sotto la guida di Meloni, il nostro movimento nella Regione che è traino di tutta l’economia nazionale». A sostituire la ministra come coordinatore dovrebbe arrivare il deputato Carlo Maccari.

Mattarella e Meloni grandi assenti alla Prima della Scala

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la premier Giorgia Meloni il 7 dicembre mancheranno alla prima del Don Carlo alla Scala di Milano, l’evento di apertura dalla Stagione del teatro meneghino che per tradizione prevede la presenza di una delle due cariche. Al loro posto, sul Palco Reale ci saranno il presidente del Senato Ignazio La Russa, il vicepremier Matteo Salvini, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, insieme al sindaco Giuseppe Sala e al governatore della Lombardia Attilio Fontana.

Non accadeva dal 2017

L’ultimo precedente in cui le due cariche istituzionali furono assenti contemporaneamente risale al 2017, quando Mattarella e l’allora premier Paolo Gentiloni non parteciparono alla prima dell’Andrea Chénier. Ma l’assenza di quest’anno si sta facendo notare anche per la differenza rispetto al 2022 quando, insieme a Mattarella e Meloni, il Palco Reale vide la partecipazione straordinaria della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, oltre a una folta rappresentanza di ministri e delle istituzioni compreso il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Quell’anno il teatro fu criticato dalla comunità ucraina perché scelse di aprire la stagione con Boris Godunov del compositore russo Modest Musorgskij, e gli artisti russi non presero le distanze da Putin. La presenza di von der Layen aveva lo scopo di mettere al riparo la nuova premier Giorgia Meloni da eventuali incomprensioni con il vertice europeo.

Crosetto sarà ascoltato in commissione Antimafia

Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, sarà ascoltato in commissione Antimafia, dopo il caso delle dichiarazioni sulla «opposizione giudiziaria» che «ha sempre affossato i governi di centrodestra», rilasciate al Corriere della Sera. Nel pomeriggio del 27 novembre, infatti, il Partito democratico ha inoltrato la richiesta di calendarizzazione dell’audizione presso l’ufficio della presidente Chiara Colosimo. La data sarà scelta il 28 novembre. Lo stesso ministro ha dichiarato, già prima della richiesta, di essere disponibile a spiegare le sue parole sui magistrati davanti al Parlamento.

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Sciopero dei trasporti 15 dicembre, Salvini: «Farò di tutto per ridurre i disagi»

Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini continua il suo braccio di ferro con i sindacati e, tra precettazioni e rinvii, tenta, come dice lui stesso, di non fermare l’Italia permettendole di continuare a produrre. Al centro del nuovo dibattito c’è lo sciopero che era stato proclamato per lunedì 27 novembre dai sindacati che, dopo la riduzione delle ore di mobilitazione, da 24 a quattro, hanno deciso per il rinvio al 15 dicembre. Il leader leghista tiene la barra dritta sul punto e ribadisce: «Farò tutto quello che la legge mi permette per ridurre al minimo i disagi».

La riduzione dell’orario dello sciopero

Così Salvini aveva annunciato su X la sua decisione di diminuire la durata dello sciopero del 27 novembre: «Ho deciso di ridurre a quattro ore lo sciopero del trasporto pubblico locale indetto da alcuni sindacati. Sì al diritto al lavoro, alla mobilità, allo studio e alla salute». Per il ministro c’è dunque un sì allo sciopero, ma un netto no a bloccare per tutto il giorno il Paese.

La decisione del rinvio dello sciopero da parte dei sindacati

I sindacati che avevano indetto lo sciopero del 27 novembre, ovvero Cub, Sgb, Adl e Cobas lavoro privato, in risposta alla riduzione dell’orario della mobilitazione hanno deciso di rinviare la loro protesta al 15 dicembre, «sfidando il Ministro Salvini sul terreno dei diritti costituzionali», come recita una loro nota congiunta, «oltre che nel merito delle questioni poste dalle istanze dei lavoratori, ignorate dalle controparti datoriali e dal responsabile del dicastero dei trasporti». E ancora: «È oramai evidente che il problema è diventato politico. Accettare la riduzione imposta nell’ordinanza sarebbe a nostro avviso come fare propria l’idea che un ministro consideri il diritto di sciopero alla stregua di una propria concessione ai sindacati, tanto da considerarne eccessiva la durata di 24 ore».

Salvini intende ridurre anche lo sciopero del 15 dicembre

Nel frattempo Matteo Salvini non sembra affatto essere interessato ad invertire la rotta anche per lo sciopero del 15 dicembre: «Continuerò a garantire il diritto allo sciopero perché la Costituzione lo prevede, però penso all’altro sciopero annunciato per venerdì sotto Natale: farò tutto quello che la legge mi permette per ridurre al minimo i disagi. Se qualcuno pensa di lasciare a piedi 20 milioni di italiani per rivendicazioni spesso politiche e non sindacali farò tutto ciò che la legge mi permette».

Grasso mandato a casa da Avvenire, il pizzino di Crosetto a Salini e altre pillole

Tutti hanno parlato delle parole sulla magistratura pronunciate da Guido Crosetto, ministro della Difesa. Nell’intervista al Corriere della Sera afferma: «Adesso la mia preoccupazione è se il tessuto burocratico, industriale, privato sarà davvero in grado di tradurre in opere i piani. Più quello privato, mi preoccupa, in verità». E fin qui, nulla di male, però la dichiarazione continua con un sibillino «mi auguro che le aziende, soprattutto la più grande del settore che ha vinto moltissime gare, siano in grado» e, sottolinea Crosetto, con modalità davvero curiose, «di realizzarle davvero, nei tempi previsti». Un identikit che porta al gruppo Webuild, quello di Pietro Salini. Qualcuno evoca un “pizzino”, ricordando che Crosetto è piemontese, e in quella regione c’è qualcuno che reclama, che vuole lavorare in alcuni cantieri importanti: le solite malignità.

Grasso mandato a casa da Avvenire, il pizzino di Crosetto a Salini e altre pillole
Pietro Salini (Imagoeconomica).

Grasso senza Avvenire

Alla fine anche alla Cei, la Conferenza episcopale italiana guidata dal cardinale Matteo Maria Zuppi, devono fare i conti con i tagli al bilancio. Capita anche nei sacri palazzi, visto che con papa Francesco le donazioni dagli Stati Uniti sono sensibilmente calate. E così pure il quotidiano Avvenire ha deciso di scegliere la strada dei prepensionamenti, con 16 “uscite” a Milano e otto a Roma: nell’elenco dei giornalisti da mandare a casa c’è anche Giovanni Grasso, «che da tantissimi anni non mette piede in redazione», come sottolineano al giornale, visto che è impegnatissimo dal 2015 a seguire il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in qualità di consigliere per la stampa e la comunicazione del Quirinale, oltre che direttore dell’ufficio stampa. Che poi Avvenire è l’unico quotidiano che riceve denaro dallo Stato italiano anche attraverso i fondi dell’8 per mille destinati alla chiesa cattolica…

Grasso mandato a casa da Avvenire, il pizzino di Crosetto a Salini e altre pillole
Giovanni Grasso (Imagoeconomica).

Vela saudita per Mediaset

Dicono che ai Berlusconi piace Gedda, ma non ditelo ai romani che stanno sperando, in verità con poche certezze, di conquistare l’Expo 2030 contro un’altra città saudita, Riad. Fatto sta che sarà Mediaset a trasmettere in chiaro le preliminary regatta della Coppa America che vede tra i protagonisti l’italiana Luna Rossa. Quella che viene considerata la “Formula 1” della vela avrà luogo a Barcellona nel 2024 dal 22 agosto a fine ottobre, ma le tappe di avvicinamento si svolgono a Gedda, in Arabia Saudita, dal 30 novembre. A sfidarsi, oltre a Luna Rossa, la britannica Ineos Britannia, la svizzera Alinghi, la statunitense American Magic e la francese K-Challenge Racing. Il team che difende il titolo è Emirates Team New Zealand. E Mediaset trasmetterà l’ennesima prova di forza saudita.

Dalla Romania, gratis al museo

«L’ingresso alla mostra sarà gratuito per i cittadini della Romania e della Repubblica di Moldova»: succede nella Capitale, per l’esposizione “Dacia. L’ultima frontiera della Romanità” allestita nelle Terme di Diocleziano del Museo nazionale romano, e compiere un viaggio millenario vedendo armi, vasi, ceramiche, monete, gioielli e corredi per i riti di magia. Nel comunicato si legge che «un importante contributo alla mostra è stato dato dallo sponsor Geox», ma a denti stretti viene rivelato che «la cifra è piccola, non c’è più il mecenatismo di una volta».

Arriva a Roma Oliver Stone

A Roma le signore dei salotti (sì, qualcuno ancora ce n’è) se lo stanno contendendo: il regista piace. Ma quella nella capitale è solo una delle tre tappe italiane per Oliver Stone, a dicembre, per presentare il suo film documentario Nuclear Now dopo il debutto mondiale nel 2022 alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il regista, sceneggiatore, produttore, vincitore di tre premi Oscar e cinque Golden Globe, parteciperà a tre anteprime del suo documentario sabato 2 a Torino, domenica 3 a Bologna e lunedì 4 a Roma. Nel capoluogo piemontese Stone sarà protagonista di una masterclass, nata dalla collaborazione fra Film Commission Torino Piemonte, il Torino film festival del Museo nazionale del cinema, newcleo e I Wonder Pictures. Il film prossimamente sarà visibile su La7. Chissà alla fine Stone da chi andrà a Roma, o se darà “buca” come in altre sue presenze nella città eterna…

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