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Il Medio Oriente si incendia ma Di Maio che fine ha fatto?

È tutto un «sono onorato di…», «proficuo incontro con…» a commentare in gran pompa la teoria di salamelecchi, strette di mano e pose affettate a beneficio di photo-opportunity accanto a principi baffuti o sceicchi con kefiah e dishdasha. Mentre la crisi Israele-Hamas allarma il mondo, è interessante rovistare sui social e scrutare le mosse (diplomatiche) di Luigi Di Maio, il fu leader del M5s che oggi riveste il delicato (in teoria) ruolo di Rappresentante speciale della Ue nel Golfo a 13 mila euro netti al mese, oltre ai rimborsi spese e alle risorse per lo staff. Rispetto alla sua precedente vita politica le comparsate mediatiche sono praticamente nulle e anche la sua attività sulle piattaforme di comunicazione si è molto rarefatta. Ma è fisiologico, visto che l’ex pentastellato folgorato sulla via di Mario Draghi ha dovuto prima assorbire la botta tremenda subita alle ultime Politiche e comunque aveva interesse a far dimenticare gli strascichi velenosi della sua separazione dal Movimento 5 stelle.

Il fallimento alle Politiche e il salvagente lanciato dall’Ue

Certo, volendo rivangare, è facile rievocare le insistenti voci dell’epoca circa il fatto che il passaporto diplomatico e la relativa immunità per Di Maio fossero piovuti dalla Ue grazie ai buoni uffici dello stesso Draghi. Anzi, si disse che lo scambio politico era chiaro sin dai tempi della scissione dal M5s: azzoppare gli stellati e puntellare l’esecutivo di super Mario, anche a rischio di un successivo fallimento alle urne (puntualmente arrivato), in cambio di un eventuale, futuro salvagente professionale. Almeno per se stesso. Qualcuno allora usò il sarcasmo, masticando amaro, e disse che la formazione politica di “Giggino” e di Bruno Tabacci, Impegno civico, si sarebbe dovuta chiamare Impegno cinico. Ma tant’è. Alla fine Di Maio ce l’ha fatta e ora per lui è tutto un inaugurare meeting dedicati agli scambi e agli investimenti, presenziare a incontri, tavoli o protocolli d’intesa. E poi c’è la galleria social di fotografie con ministri e dignitari d’Oriente, su poltrone arabescate dentro sale fiabesche. Bella vita, certo, se non fosse che in molti dubitano sul suo reale contributo di mediazione tra mondo arabo e Occidente in questo frangente di nuova, violenta crisi.

Il Medio Oriente si incendia ma Di Maio che fine ha fatto?
Luigi Di Maio con Josep Borrell (Imagoeconomica).

Gaza non rientra nelle deleghe di Di Maio ma è l’intera Ue che non tocca palla

A onor del vero, le attenuanti non mancano: innanzitutto la guerra a Gaza non rientra nelle deleghe del Rappresentante speciale nella regione del Golfo. Ma, più in generale, è difficile dare voce a un’Unione europea che in politica estera praticamente non tocca mai palla. Persino i capi di Stato e di governo si limitano, almeno al momento, a passerelle diplomatiche e visite cerimoniali che non sembrano determinare alcunché negli atteggiamenti e nelle scelte di Israele, Libano, Iran, Paesi del Golfo o men che meno del fronte Hamas. Figuriamoci cosa potrebbe fare Di Maio. Peraltro, anche il suo dante causa, l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è poco incisivo, per usare un eufemismo, nella crisi mediorientale (anche in ragione di una divergenza di posizioni con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen). Tuttavia, nei compiti di Di Maio c’è la sorveglianza degli approvvigionamenti energetici che provengono dal Golfo Persico e soprattutto l’impegno per la sicurezza e la stabilità dell’area, che comunque è tutt’altro che avulsa dallo scontro Israele-Hamas. Per cui ci si attenderebbe un certo attivismo da parte dell’ex ministro degli Esteri.

Meeting, incontri e «grandi onori»

Eppure, a quasi 20 giorni dall’attacco di Hamas, le uscite istituzionali di Di Maio si contano sulle dita di due mani. E non sembrano avere esattamente il crisma della pregnanza rispetto a quanto sta accadendo in quel quadrante del mondo. Il 24 ottobre, per dire, è andato all’Europarlamento a riferire sulla propria attività ed «è stato un vero piacere» per lui. Il giorno precedente ha aperto il primo Saudi-Eu Investment Forum per la partnership strategica con l’Arabia Saudita ed è stato un «grande onore».

La condanna di Hamas e poi via con il solito tran tran

Ma quale posizione ha preso di fronte al barbaro attacco di Hamas del 7 ottobre scorso? Il giorno dopo, via X, ha condannato il blitz terroristico e difeso il diritto di reazione di Israele. Due giorni dopo è arrivato un post in inglese pieno di strafalcioni, immancabilmente preso di mira dagli utenti del vecchio Twitter e da qualche giornale.

Ma già il 10 ottobre si è tornati al normale tran tran, in Kuwait, per incontri sullo sviluppo dell’area secondo le linee guida del Piano Vision 2035. Sempre il 10 ottobre Di Maio si è fatto fotografare con il principe Faisal Bin Farhan Al Saud, ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita. Il 12 ottobre ha incontrato l’ambasciatore di Israele presso la Ue esprimendogli la sua imprescindibile solidarietà. Il 13 ottobre ancora una stretta di mano con i rappresentanti della delegazione permanente della Turchia all’Ue. Poi, circa una settimana di silenzio social. Quindi altra stretta di mano immortalata per X con il vice segretario generale Nato, Mircea Geoana. E successivamente la coincidenza più clamorosa: incontro ed ennesimo saluto cordiale a favore di clic di Di Maio con il diplomatico dello Yemen, Mohamed Taha Mustafa, proprio mentre una nave americana intercettava tre missili sparati dallo stesso Yemen verso Israele.

In Arabia Saudita, quasi come Renzi

Quindi il meeting con emissari dell’Arabia Saudita per parlare di investimenti e l’apertura del già citato Investment Forum tra Ue e sauditi. A tal proposito Di Maio si sbrodola: «Esiste un enorme potenziale per aziende e governi, in settori chiave come l’energia, la produzione avanzata, i trasporti e la logistica, la sanità, l’agricoltura, il turismo, il digitale, l’intelligenza artificiale, la robotica, l’immobiliare e lo sport. Il forum è una piattaforma di rappresentanti governativi, investitori, leader aziendali ed esperti di entrambe le regioni, per nuove partnership e migliori relazioni bilaterali». Non siamo al livello del “nuovo Rinascimento” immaginato da Matteo Renzi (volato di nuovo a Riad ospite della fondazione FII di Bin Salman) ma poco ci manca. Tutto ciò mentre salta o comunque viene messo in dubbio lo storico accordo tra Arabia Saudita e Israele. Nel frattempo, continuano in rete sfottò e battutine sui suoi (o dei suoi social media manager) strafalcioni sull’inglese. Ma Di Maio ha ormai sufficiente esperienza e pelo sullo stomaco per girarsi dall’altra parte e andare oltre. E quando lo scontro a Gaza auspicabilmente si placherà, lui potrà gioire soddisfatto come la mosca cavallina che sta sul dorso del cavallo da corsa ed esulta nel momento in cui il destriero taglia il traguardo e vince la gara.

Dl Caivano, eliminata l’attenuante per “lieve entità” sugli stupefacenti

Eliminata l’attenuante per “lieve entità”, ma solo quando avviene passaggio di denaro. Il governo, durante la seduta delle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato, ha espresso parere favorevole a un emendamento di FdI, avente come primo firmatario Marco Lisei, al dl Caivano. Con l’approvazione dell’emendamento viene pertanto aggiunto un comma a quello della legge sugli stupefacenti.

Lisei: «Emendamento contro lo spaccio»

Lisei ha motivato  l’emendamento che «mira a contrastare lo spaccio di strada, anche perché purtroppo» – ha spiegato – «oggi la giurisprudenza tende a considerare troppe cose di lieve entità. Se io ho tre piantine in balcone e ne consumo io il prodotto è un conto, ma se invece io lo vendo, è chiaramente un altro caso».

Pd: «Escobar uguale a studente che rivende una canna» 

«Così si mettono sullo stesso piano Pablo Escobar e lo studente che si rivende una canna al compagno», ha affermato il capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Alfredo Bazoli. «Salta il principio di proporzionalità, ed è palesemente incostituzionale. Oltretutto finiamo per riempire le carceri italiane di studenti un po’ incauti» ha aggiunto.

Vigilanza Rai, la maggioranza convoca Ranucci contro il parere della presidente

Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, è stato convocato dalla commissione di Vigilanza Rai insieme al direttore dell’Approfondimento, Paolo Corsini. Il giornalista dovrà spiegare il motivo per cui ha mandato in onda un’inchiesta su Silvio Berlusconi durante il voto per le suppletive di Monza. Una scelta che non è piaciuta alla maggioranza, soprattutto ai membri della commissione di Forza Italia. Così i parlamentari di centrodestra hanno votato per convocare Ranucci in commissione e trattare il caso Report singolarmente. E con questa scelta hanno aperto lo scontro con l’opposizione, perché hanno ignorato la proposta della presidente della commissione, Barbara Floridia, di inserire l’audizione in una serie di incontri complessivi sulle scelte editoriali della Rai.

Vigilanza Rai, la maggioranza convoca Ranucci contro il parere della presidente
Sigfrido Ranucci e alle spalle una foto di Silvio Berlusconi (Imagoeconomica).

Il Movimento 5 stelle attacca: «Atto intimidatorio»

Da Barbara Floridia e dal partito che rappresenta, il Movimento 5 stelle, è arrivato poi l’attacco al centrodestra. In una nota hanno scritto: «La convocazione di Ranucci imposta dalla maggioranza rappresenta un atto intimidatorio nei confronti della libera informazione e un precedente grave che apre la porta a una interpretazione distorta e strumentale delle funzioni della commissione. Chi si ritiene diffamato si rivolga eventualmente a un giudice, ma la Vigilanza non può essere utilizzata come un tribunale dell’inquisizione a fini politici o per interessi di partito. Ci preoccupa profondamente l’utilizzo che fa questa maggioranza di una istituzione di garanzia per attaccare in maniera sconsiderata la libertà di stampa e il servizio pubblico, ignorando completamente le grandi sfide che la Rai ha di fronte».

Vigilanza Rai, la maggioranza convoca Ranucci contro il parere della presidente
Barbara Floridia, senatrice del Movimento 5 stelle, è la presidente della commissione di Vigilanza Rai (Imagoeconomica).

Avs: «Fatto gravissimo»

Anche Alleanza Verdi e Sinistra, con Angelo Bonelli e Peppe De Cristofaro, ha attaccato: «Quanto avvenuto oggi in ufficio di presidenza della commissione è gravissimo. La destra a maggioranza ha votato per convocare in commissione il conduttore della trasmissione Report, Ranucci, reo di aver fatto giornalismo d’inchiesta sull’eredità di Berlusconi. Una vera e propria intimidazione contro chi esercita la professione con la schiena dritta. Invece di pensare a come bloccare una delle poche trasmissioni d’inchiesta rimaste in Rai, la destra pensi all’emorragia di audience dovuta alle scelte sbagliate dell’amministratore delegato e del direttore generale dell’azienda di servizio pubblico. Problemi di ascolti che non ha Report. Tele Meloni non piace agli italiani».

Marina Berlusconi su Giorgia Meloni: «Retroscena inventati, la stimo molto»

Marina Berlusconi ha espresso il suo giudizio su Giorgia Meloni, riferendosi anche al caso del momento: la rottura con Andrea Giambruno. La presidente di Fininvest e Mondadori è stata intervistata da Bruno Vespa alla presentazione del libro Il rancore e la Speranza, in uscita a novembre ed edito da Mondadori/Rai Libri. E ha manifestato la propria solidarietà alla premier: «In questi giorni ho letto e sentito di tutto: retroscena inventati di sana pianta, ricostruzioni totalmente prive di senso logico e spesso anche contraddittorie. La verità è una sola: stimo molto Giorgia Meloni. La trovo capace, coerente, concreta. La apprezzo sul piano politico e la apprezzo molto anche come donna, ancor più in questi giorni».

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Marina Berlusconi: «Il governo? Condivise varie scelte»

La figlia di Silvio Berlusconi ha parlato anche del rapporto personale con la presidente del Consiglio dopo la morte del Cavaliere: «Quando mio padre è scomparso ho sentito la sua vicinanza alla nostra famiglia e di questo le sono grata». Marina Berlusconi poi ha proseguito: «Per quanto riguarda il governo, ho condiviso varie scelte di Palazzo Chigi, a cominciare dalla grande attenzione verso la politica estera in nome di sani e sacrosanti principi atlantisti ed europeisti: viviamo una fase drammatica, nella quale è la nostra stessa identità, liberale e democratica, a trovarsi sotto attacco. L’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina e i massacri in Medio Oriente ne sono la dimostrazione più evidente e più atroce. Relativamente alla politica economica, poi, apprezzo la cautela e il senso di responsabilità con cui questo esecutivo sta gestendo i conti pubblici».

Marina Berlusconi su Giorgia Meloni «Retroscena inventati, la stimo molto»
Giorgia Meloni (Getty Images).

Sulle critiche: «Governo fronteggia situazione complicata»

E infine ha concluso: «Indubbiamente ci sono state anche alcune mosse che mi sono piaciute di meno? e non lo ho nascosto». Il riferimento è alle esternazioni sugli extraprofitti dello scorso settembre. Marina Berlusconi ha poi aggiunto: «Ma va sempre considerato che il governo si è ritrovato a dover fronteggiare una situazione macroeconomica complicatissima. Tra guerra e inflazione, oltre a dover rimediare ad alcune eredità del passato davvero indigeste. Penso?in particolare?ai vari bonus edilizi:?facendo i calcoli, pesano sul nostro Paese per una cifra vicina all’importo dell’intero Pnrr».

Tra Meloni e Giambruno è guerra dei capelli

Meloni-Giambruno: diamoci un taglio. Già, perché dopo una crisi, ormai è topos, si cerca di voltare pagina rivolgendosi al parrucchiere. Non fa eccezione Giorgia Meloni che, dopo aver liquidato via social il compagno Andrea Giambruno, come testimoniato da Chi «si è rifugiata» in un salone sotto casa, abbracciando addirittura la sua hair stylist.

 

Tra Meloni e Giambruno è guerra dei capelli
Le foto di Giorgia Meloni su Chi.

 

Anche Giambruno, dopo la pausa caffè all’Oriocenter di sabato 21 ottobre, e dopo essere stato ‘retrocesso’ ad autore Mediaset perdendo la conduzione di Diario del Giorno, ha voluto rinnovare il look tagliando il ciuffo galeotto dei fuorionda di Striscia. Così soddisfatto e in posa si è prestato allo smartphone di Gennaro, barbiere romano. Naturalmente lo scatto è finito su Instagram. Parola d’ordine? Cambiamenti.

 

 

Insomma dopo la guerra dei Rolex dei Totti-Blasi, dobbiamo prepararci a una battaglia tricologica a Palazzo Chigi?

Meloni al Senato in vista del Consiglio Ue: «Maggioranza compatta, fatevene una ragione»

«La nostra maggioranza politica è compatta, fatevene una ragione. Il governo ha un orizzonte di legislatura». Lo ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nelle comunicazioni al Senato alla vigilia del Consiglio europeo in programma il 26 e 27 ottobre a Bruxelles. Nel suo discorso la premier ha affrontato diversi temi, dal conflitto tra Israele e Hamas, ai migranti fino a Ue e Ucraina.

Meloni annuncia imminente provvedimento europeo sui migranti

Sul tema migranti la premier ha dichiarato che la presidente Ursula von der Leyen «ha inviato in queste ore una lettera al Consiglio dando atto dei passi concreti fatti in questa direzione e annunciando, tra l’altro, un provvedimento imminente per rafforzare il quadro giuridico e le politiche europee di contrasto al traffico di esseri umani. È un impegno significativo che siamo pronti a sostenere». La premier ha poi rivendicato il «lavoro incessante» svolto dal governo «fin dal giorno del suo insediamento, in sede europea e internazionale per arrivare ad un cambio di approccio serio e definitivo nella gestione della migrazione». Un approccio più restrittivo e su base securitaria: «Non più porte aperte e redistribuzione, ma protezione dei confini esterni, accordi con i Paesi terzi, canali legali per rifugiati e quote di immigrati regolari compatibili con i bisogni del nostro sistema economico», ha rimarcato la premier, sostenendo anche che l’attuale crisi in Medio Oriente «rischi per la nostra sicurezza».

Israele-Hamas, il governo preme per una soluzione politica

La presidente del Consiglio ha poi ribadito la vicinanza del governo italiano a Israele: «Voglio esprimere anche in questa aula la vicinanza umana alle famiglie delle vittime del terrificante attacco di Hamas del 7 ottobre. La mia grande preoccupazione è per la sorte degli ostaggi». Le parole di Meloni sono state accolte con una standing ovation da parte dei membri del governo. «Nessuna causa potrà giustificare il terrorismo», ha aggiunto, sottolineando come «i civili di Gaza, i diritti del popolo palestinese e le istituzioni che lo rappresentano legittimamente, a partire dall’Autorità Nazionale Palestinese, sono essi stessi vittime della politica di Hamas, e le due cose non devono essere sovrapposte». La premier ha affermato poi «l’importanza di contribuire alla de-escalation del conflitto e riprendere quanto prima un’iniziativa politica per la regione» per arrivare a una soluzione strutturale «sulla base della prospettiva “due popoli, due Stati“».

La premier invita a non lasciare che il sostegno all’Ucraina si affievolisca

Passando alla guerra tra Russia e Ucraina, la premier ha affermato la necessità di «non affievolire il sostegno a Kiev, il futuro è in Europa», perché «il mondo in cui non esistono più linee rosse invalicabili è un mondo insicuro per tutti, anche per noi, non solo per chi è coinvolto nei conflitti«. «Non è un caso che non ci siano state condanne specifiche della Russia dell’attacco di Hamas», ha detto Meloni.

Sangiuliano durissimo contro Sgarbi indagato: «Sono indignato, non l’ho voluto io»

Uno scontro frontale destinato a lasciare qualche strascico nel ministero della Cultura. Protagonisti: il ministro Gennaro Sangiuliano e il suo sottosegretario, Vittorio Sgarbi. I toni si sono alzati, e di parecchio, con l’intervista rilasciata da Sangiuliano al Fatto Quotidiano: «Sono indignato da comportamento di Sgarbi», ha detto senza fronzoli. Ma a cosa faceva riferimento? Sgarbi è accusato di aver svolto consulenze d’oro retribuite durante il suo incarico istituzionale. «Lo vedevo andare in giro a fare inaugurazioni, mostre e via dicendo. Ma mai avrei pensato che si facesse pagare per queste cose», ha aggiunto il ministro. Che poi ci è andato giù persino più pesante.

Sangiuliano ha informato l’antitrust sulle attività del suo sottosegretario

Sgarbi risulta indagato a Roma per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Si parla di debiti non pagati per 715 mila euro. Sul caso il ministro ha informato sia la premier Giorgia Meloni sia l’Antitrust, per «verificare una volta per tutte se quell’attività a pagamento è contraria alla legge». Ma è il modo in cui Sangiuliano parla di Sgarbi a fare notizia: «Cerco di tenerlo a debita distanza e di rimediare ai guai che fa in giro, del resto si sa: non l’ho voluto io», ha dichiarato al Fatto. Il ministro ha anche rivelato che l’Agcm, l’organismo che vigili sui conflitti d’interesse degli esponenti del governo, gli aveva fatto pervenire una segnalazione sulle attività e alle società che ruotano attorno a Sgarbi. Segnalazione ricevuta anche da Palazzo Chigi lo scorso venerdì 21 ottobre.

Sangiuliano durissimo contro Sgarbi indagato: «Sono indignato, non l'ho voluto io»
Gennaro Sangiuliano e Vittorio Sgarbi (Imagoeconomica).

Sgarbi avrebbe incassato almeno 300 mila euro illegalmente

Sangiuliano ha poi descritto in cosa consistono i “guai” di Sgarbi, sostenendo che il sottosegretario alla Cultura vada «in giro a promettere cose irrealizzabili, annuncia acquisti di palazzi e cose da parte del ministero che ha solo 20 milioni in bilancio per acquistare beni», mentre se si facesse «l’elenco delle cose che lui dice che bisogna comprare tocca spendere 1 miliardo». Inoltre, secondo la ricostruzione del Fatto, da febbraio 2023 a oggi il sottosegretario avrebbe incassato 300 mila euro in mostre, presentazioni e premi, insieme al suo capo segreteria e alla sua compagna. L’11 novembre Sgarbi dovrà presiede la giuria di Miss Italia, un ingaggio pagato 10 mila euro. Il suo avvocato ha replicato con ironia: «Meraviglioso è pensare che vi sia incompatibilità tra la funzione di sottosegretario e quella di presidente della giuria di Miss Italia. È inopportuno per ragioni di prostata?». Da vent’anni la legge italiana impone ai titolari di incarichi politici di dedicarsi esclusivamente alla «cura degli interessi pubblici», vietando «attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati».

L’operazione Leo di Meloni e radio Sileoni: le pillole della giornata

Non c’è solo Forza Italia nel mirino di Giorgia Meloni, dopo “il caso” Andrea Giambruno. Anche la Lega è finita nel mirino della premier, in particolare con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Ora è partita “l’operazione Leo”, per valorizzare le iniziative del viceministro Maurizio Leo, quello che nella mente di Giorgia dovrà essere il prossimo titolare del dicastero di via XX Settembre. Tutto dipenderà da quanti voti riuscirà a raggranellare Matteo Salvini alle prossime Europee…

L'operazione Leo di Meloni e radio Sileoni: le pillole della giornata
Maurizio Leo (Imagoeconomica).

Salvini sfida Renzi a Firenze

Sfidare Matteo Renzi nella sua città: Matteo Salvini ha studiato a lungo questa mossa, e il prossimo 3 dicembre a Firenze inaugurerà la campagna elettorale europea portandosi dietro Marine Le Pen e tanti “destri” austriaci, tedeschi, portoghesi. Ma Renzi non starà certo a guardare. Per non parlare della sinistra fiorentina e toscana, che a vedere arrivare Le Pen davanti a Palazzo Vecchio non ci pensa proprio. Salvini afferma che presenterà a Firenze «la nostra idea dell’Europa che verrà fondata sulla sicurezza», ma rischia di creare un problema esattamente su quel tema…

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Matteo Salvini e Marine Le Pen a Pontida (Imagoeconomica).

Sangiuliano, tour campano in odore di Europee

Gennaro Sangiuliano è sempre in tour, in Campania. L’ultimo esempio? Il ministro della Cultura ha visitato anche il sito di Nuceria Alfaterna e il Battistero Paleocristiano di Santa Maria Maggiore, con il vice ministro degli Esteri Edmondo Cirielli e il senatore Antonio Iannone. Che saranno indispensabili a Sangiuliano per partecipare alle prossime elezioni europee come candidato di Fratelli d’Italia.

Cioffi, il Consiglio Nazionale degli Utenti e un passato con Mastella

Riunione targata Cnu, il Consiglio Nazionale degli Utenti, presso l’Agcom, con un seminario, dal titolo: “Donne e Authority: tutela dei diritti ed innovazione nelle comunicazioni”. Per quale motivo? «Puntiamo a un tavolo permanente di confronto fra le donne componenti delle Authority, gli stakeholder, la società civile ed i politici», ha detto Sandra Cioffi, presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti. Ha detto proprio «i politici», Cioffi, indimenticata parlamentare Udeur. Sì, proprio il partito creato da Clemente Mastella…

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Sandra Cioffi (Imagoeconomica).

Radio Sileoni

Non è la televisione, ma la radio piace: costa poco e può incidere nella vita di una nazione, facendo opinione. E così Lando Maria Sileoni, il numero uno dei sindacalisti bancari, ha creato Radio Fabi, con podcast disponibili su tutte le piattaforme digitali esistenti: Spotify, Apple Podcast, Amazon Music, Spreaker, YouTube Music. La prima puntata? Sul rinnovo del contratto collettivo nazionale. Un tema caldissimo: Sileoni a Milano Finanza ha detto che «il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, non si è mai interessato direttamente delle vicende sindacali, seguendole a distanza; il direttore generale, Giovanni Sabatini, partecipa agli incontri ma non è un tecnico di relazioni sindacali; la presidente del Casl, Ilaria Dalla Riva, è alla sua prima esperienza da capo della delegazione sindacale Abi». A Palazzo Altieri l’intervista a Sileoni ha fatto andare di traverso il caffè.  Intanto si è svolta la conferenza dei servizi Fabi, con i dirigenti sindacali: tre giorni in quel di Riccione con 175 rappresentanti provenienti da tutte le strutture provinciali d’Italia. La guerra con Patuelli e soci è appena cominciata, e per rincarare la dose Sileoni sottolinea come «qualche gruppo bancario non ha digerito il fatto che l’amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina, sia venuto al congresso nazionale Fabi a dare la propria disponibilità ad accogliere interamente la nostra richiesta economica di 435 euro. Qualcuno l’ha presa male, facendo finta di non capire che in quel contesto parlava il primo esponente del maggior gruppo bancario e che era pienamente legittimato a rappresentare il proprio pensiero, tra l’altro avendo già da tempo annunciato l’uscita di Intesa dal Comitato sindacale Abi». Chissà chi sarà quel “qualcuno”…

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Lando Maria Sileoni, segretario generale Fabi (Imagoeconomica).

Qualcuno chieda conto a Salvini e Meloni delle promesse tradite in manovra

Matteo Salvini voleva mandare la gente in pensione prima, e l’abolizione della legge Fornero era diventata la madre di tutte le sue battaglie. Giorgia Meloni, visto che quello che governa è sempre più un Paese per vecchi, aveva fatto lo stesso con la tutela delle mamme e dei nascituri, predicando la moltiplicazione degli asili e dei figli. Risultato: si andrà in pensione più tardi, e l’Iva su pannolini, latte in polvere e altri prodotti per l’infanzia raddoppia. È quanto viene fuori dall’ultima manovra, partita sotto le insegne della più sfrenata propaganda e approdata a un ineludibile principio di realtà. Certo, le scuse per il plateale dietrofront non mancheranno: c’è il debito pubblico che è fuori controllo, e l’improvvida guerra in Medio Oriente alle soglie dell’inverno apre fosche prospettive sui costi delle materie prime. Quindi tutto quel profluvio di promesse che a parole non costavano niente si può disinvoltamente smentire, e c’è spazio persino per rispolverare un classico delle finanziarie stile Prima Repubblica: l’aumento delle sigarette, che al tempo di monocolori poi pentapartiti assieme a quello della benzina era sempre il fondo del barile da raschiare.

Qualcuno chieda conto a Salvini e Meloni delle promesse tradite in manovra
Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Nessuno si azzarderà a disturbare Meloni, affranta per Giambruno

Qualcuno chiederà conto al leader della Lega del perché di tanta sua prosopopea così clamorosamente smentita dai fatti? Qualcuno chiederà a Meloni come concilia il reiterato elogio della natalità col fatto che svezzare i figli costerà di più? Dopo che l’opposizione, campo largo o stretto che sia, avrà smaltito la sbornia per la conquista di Foggia, enfatizzata come se avesse trovato il suo Sacro Graal, forse succederà. Intanto però la narrazione sarà cambiata, i vecchi propositi della premier e del suo vice finiranno in cavalleria, sostituiti da nuove chimere che riempiranno la scena. Poi siccome Meloni è occupata a leccarsi le ferite private dell’affaire Giambruno, storia nata male e gestita peggio, nessuno si azzarderà a disturbarla. Neanche all’intero della sua maggioranza, dove Forza Italia è talmente impegnata a convincerla che i Berlusconi non c’entrano nulla con l’agguato di Striscia all’ex compagno e a scongiurare future ritorsioni che la politica passa in secondo piano. Eppure per chi, fin dalle origini (il mantra del Cav: «meno tasse per tutti») ha fatto della lotta all’oppressione fiscale una prerogativa fondante, motivi per alzare la testa ce ne sarebbero. Ma con comodo: prima la voce del padrone (c’è da capirli, i soldi per stare in piedi arrivano da lì), poi le tasche dei contribuenti.

Qualcuno chieda conto a Salvini e Meloni delle promesse tradite in manovra

Salvini: virtuoso del calciare la palla in avanti, spacciatore di sogni di gloria

E Salvini, il virtuoso della propaganda, lo Zelig sovranista, l’uomo del dire e fare? Si sta già costruendo un alibi. Anzi due. La legislatura è lunga, sentenzia il nostro, dura cinque anni. Non si può pretendere che il governo faccia tutto in una notte. Anzi, di legislature ne serviranno due: perché le magnifiche sorti e progressive che finalmente renderanno il Paese moderno ed efficiente troveranno compimento nel 2032. E la loro apoteosi sarà l’inaugurazione del ponte sullo Stretto. Specialista della dissimulazione, virtuoso del calciare la palla in avanti, spacciatore di sogni di gloria. Il capo della Lega, confidando sui ridottissimi tempi dell’oblio, può dire qualunque cosa senza il timore che il suo elettorato, e tanto più i suoi tremebondi compagni di partito, gli chiedano conto.

Pensioni, una spada di Damocle su caregiver e persone con disabilità

Sono le 18 di domenica sera e Roman, 22enne padovano con disabilità motoria, sta guardando con attenzione una partita di pallavolo alla tv, seduto sulla sua sedia a rotelle. «Mio figlio ha una diagnosi di tetraparesi spastica con scarso controllo clinico», spiega a Lettera43 Annie Francisca Antonio, 54 anni, filippina con cittadinanza italiana. «Soffre di epilessia focale farmaco-resistente e si alimenta tramite PEG», un tubicino che permette di assumere cibi e liquidi a chi soffre di disturbi organici o legati alla deglutizione. Roman non parla, ma comunica con le espressioni del volto. Ha bisogno di assistenza h24. «Dalle 9 alle 15.30 frequenta il centro diurno L’Iride Rosso, a Padova. Io lavoro come domestica e rientro a casa verso le 17.30», continua Annie Francisca Antonio. «Mio marito lavora come metalmeccanico e torna alle 18.30. Finora al pomeriggio con Roman ci ha aiutati mio figlio maggiore, ma adesso, a causa di impegni lavorativi, non potrà più farlo». Il centro diurno è importante per Roman, perché gli permette di relazionarsi con persone diverse dai suoi familiari e partecipare alle attività proposte dagli operatori ed è anche un valido supporto per la sua famiglia. Però non basta. E non solo perché l’orario di chiusura non coincide con quello in cui la madre di Roman rincasa. «Quando Roman ha la febbre, sta male o il centro diurno è chiuso, ci sono imprevisti da gestire. Fortunatamente ho dei datori di lavoro che hanno preso a cuore la situazione. Quando Roman non sta bene, io sto a casa. Però lo faccio solo nel momento del bisogno estremo. Piuttosto chiamo qualcuno. Per esempio ho attivato anche un contributo familiare per pagare chi viene ad aiutarci».

https://www.lettera43.it/manovra-cosa-contiene-la-bozza/
I caregiver in Italia sono secondo l’Istat più di 7 milioni (Getty Images).

L’aumento dell’età contributiva anche per le e i caregiver

Purtroppo Annie a fine ottobre sarà licenziata, perché la sua datrice di lavoro si trasferirà in un’altra città. Aveva pensato di fare richiesta di pensionamento anticipato, grazie a Opzione donna, una misura che consente alle lavoratrici di andare in pensione in anticipo. Con la nuova legge di Bilancio però le cose sono cambiate. Opzione donna e Ape social sono state accorpate in un fondo unico. Per quanto riguarda le donne, il fondo ora sarà destinato solo a particolari categorie di beneficiarie: caregiver, donne con invalidità superiore o uguale al 74 per cento e lavoratrici licenziate o dipendenti di aziende per le quali è in corso un tavolo di crisi. Purtroppo però gli anni di contributi necessari sono aumentati. Prima delle modifiche le lavoratrici caregiver e le donne con almeno il 74 per cento di invalidità potevano andare in pensione in anticipo con 30 anni di contributi e 61 di età. Ora invece potranno farlo con minimo 35 anni di contributi e 63 di età, anche se chi ha due o più figli potrà probabilmente andare in pensione a 58 anni anagrafici. «Ho 27 anni e otto mesi di contributi. Me ne mancano circa sette di contributi e quattro di età», sospira Annie Francisca Antonio. «Andando in pensione prima avrei potuto seguire Roman più tranquillamente. Invece dovrò cercarmi un altro lavoro». Un problema che riguarda in Italia milioni di persone. Anche se è difficile stabilire il numero esatto delle e dei caregiver familiari in Italia, secondo i dati Istat pubblicati nel 2018 sono più di 7 milioni, pari al 15 per cento della popolazione, mentre stime non ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità parlano di 3 milioni, di cui il 65 per cento sono donne.

Pensioni, una spada di Damocle su caregiver e persone con disabilità
Vincenzo Falabella, presidente di FISH (Imagoeconomica).

L’allarme di FISH: «Il nuovo fondo unico che copre Ape sociale e Opzione donna penalizza le persone con disabilità»

«Le recenti decisioni del governo sul nuovo fondo unico, individuato in legge di Bilancio, che va a coprire le misure di Ape sociale e Opzione donna, sono preoccupanti per le persone con disabilità e per l’intero Paese», commenta Vincenzo Falabella, presidente di FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap). «L’estensione del periodo contributivo richiesto per l’accesso alla pensione, da 30 a 36 anni (35 per le donne), e l’aumento dell’età richiesta a 63 anni, comporteranno sfide significative per le lavoratrici, in particolare per coloro che svolgono il fondamentale ruolo di caregiver per familiari con disabilità. Le donne caregiver sono spesso l’anello di congiunzione fondamentale nell’assistenza e nell’inclusione delle persone con disabilità nella società. Queste misure rischiano di mettere a dura prova il loro contributo prezioso». Inoltre, aggiunge, «vi è il rischio di un impatto negativo sul benessere delle persone con disabilità stesse, che potrebbero vedere compromessa la qualità dell’assistenza che ricevono. Tale provvedimento potrebbe infatti fare da volano per una forzata istituzionalizzazione per le persone con disabilità con un aumento spropositato della spesa sanitaria». Il lavoro di cura svolto dalle donne è essenziale e spesso sopperisce alle carenze del nostro welfare. Il governo però sembra non riconoscerlo e, di fatto, lo sta ostacolando. E questo è un paradosso tutto italiano.

Sul dossier Caivano crescono le frizioni tra FdI e Lega

Uno scontro normativo a bassa tensione tra ministero dell’Interno e dipartimento della Funzione pubblica di Palazzo Chigi, ma al tempo stesso un ulteriore potenziale fronte di frizione sottotraccia tra Fratelli d’Italia e Lega sul tema sicurezza. Caivano è un banco di prova per i pruriti e le ambizioni “legge e ordine” della premier Giorgia Meloni che vuole dimostrare di non essere seconda a nessuno, nemmeno a Matteo Salvini, sul terreno delle politiche securitarie, soprattutto dopo le scaramucce tra partner di maggioranza a proposito del nodo migranti. Meloni punta molte fiche sul delicatissimo caso del popoloso e difficile comune che insiste nella Città metropolitana di Napoli: a corredo dei blitz di polizia, infatti, veleggia in Parlamento un decreto legge che prevede un ampio ventaglio di misure per migliorare la condizione sociale dei residenti e per rafforzare la presenza territoriale dello Stato, sia sul versante del controllo, della deterrenza e della repressione dei reati sia su quello delle infrastrutture, della scuola e della socialità.

Su Caivano frizioni lega fratelli d'Italia
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Ora Funzione pubblica e Formez dovranno fare i conti con la grana Caivano

Uno degli emendamenti dei relatori (quindi in accordo con il governo) al decreto Caivano, in discussione nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato, ha però mandato in fibrillazione, secondo quanto risulta a Lettera43, i rapporti tra gli uffici legislativi del Viminale e quelli di Palazzo Vidoni che ospita il ministro Paolo Zangrillo e il dipartimento per la Pa. La modifica normativa crea infatti un articolo 1-bis che prevede «disposizioni per il rafforzamento della capacità amministrativa» della cittadina campana, il cui consiglio nel frattempo è stato sciolto dal Cdm per infiltrazioni mafiose lo scorso 16 ottobre, con l’affidamento della gestione a una Commissione straordinaria per 18 mesi. In pratica, si tratta di interventi per migliorare le performance tecniche e operative del municipio, attività che verrebbero ora demandate, nonostante la presenza dei tre commissari prefettizi, al dipartimento della Funzione pubblica. A Vidoni si prevede così la nascita a costo zero di un nuovo ufficio, con un dirigente di prima fascia, due di seconda fascia e 10 funzionari individuati tra il personale in servizio presso la Presidenza del Consiglio. Nella visione del governo, la nuova struttura dovrà correre in sostegno agli enti locali più “difficili” e, almeno per Caivano, potrà avvalersi del Formez, l’associazione di diritto privato in house di Palazzo Chigi attiva sui concorsi e sul reclutamento del personale pubblico, ma anche su formazione, qualificazione e ammodernamento delle Pa. In pratica ci sono 10 unità di personale del Dfp, guidate dal dirigente Alfonso Migliore, e 10 del Formez, coordinate dal dirigente Francesco Rana, che hanno iniziato a fare i conti con la gatta da pelare Caivano e dovranno occuparsene per i prossimi 24 mesi. Peraltro, risultano già i primi sopralluoghi nelle stanze del Comune campano, in cui pare che l’accoglienza da parte della dirigenza locale, ormai esautorata dal commissariamento, non sia stata esattamente calorosa. Alla faccia dell’ottimismo (della volontà) espresso da Zangrillo: «Abbiamo bisogno di fare sistema anche con la comunità di Caivano, a partire dai dipendenti del Comune».

Su Caivano frizioni lega fratelli d'Italia
Paolo Zangrillo, ministro della Pa (Imagoeconomica).

I malumori al Viminale per le prerogative conferite a Zangrillo e la sovraesposizione di Mantovano

Ancor meno caloroso è però, secondo quanto trapela, l’atteggiamento del ministero dell’Interno di fronte a una norma che conferisce  agli uffici del Dfp prerogative per le quali le strutture del collega Matteo Piantedosi contano addirittura su un dipartimento ad hoc e cioè gli Affari interni e territoriali. Non a caso, risulta che l’emendamento al decreto abbia avuto una genesi abbastanza tribolata nel ping-pong tra le scrivanie di Vidoni e quelle del Viminale. Il ministro “tecnico” in quota Lega ci tiene a fare bella figura con Palazzo Chigi e con Meloni, verso la quale è in lento e strategico avvicinamento “politico” dopo aver subito un lungo e logorante stillicidio di frecciate da parte dei salviniani sul fronte immigrazione. Dunque, tra stanze e corridoi dell’Interno vedono come un intralcio l’ingresso a gamba tesa della Funzione pubblica nel dossier Caivano. Peraltro, da voci raccolte, una qualche tensione era già sorta quando Chigi ha sostituito il primo commissario prefettizio, Gianfranco Tomao, con la citata commissione composta da Filippo Dispenza, Simonetta Calcaterra e Maurizio Alicandro. Mentre, dall’altra parte, in tanti hanno notato la sovraesposizione del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, solitamente molto discreto, nell’affaire Caivano, a testimonianza di uno degli obiettivi politici di Meloni: mettere il marchio di FdI sull’operazione, a discapito dell’alleato leghista.

Su Caivano frizioni lega fratelli d'Italia
Matteo Salvini e Matteo Piantedosi (Imagoeconomica).

Le preoccupazioni di Palazzo Vidoni

Anche alla Funzione pubblica e al Formez, però, le obiezioni preoccupate non mancano. A molti non sembra sostenibile un approccio per cui il dipartimento e una associazione privata come il Formez stesso «vanno lì in pianta stabile e si mettono in mezzo alla gestione prefettizia su materie delicatissime, in un territorio difficile come Caivano», si sfogano due fonti qualificate vicine al dossier. «È pure un tema di sicurezza: chi glielo fa fare a un semplice funzionario di una amministrazione centrale di andare giù e mettere le mani in questioni come le case popolari o i sostegni economici ai ceti deboli, prendendo decisioni che possono accontentare qualcuno e scontentare qualcun altro, magari qualcuno che potrebbe reagire molto male?». In effetti, l’emendamento si riferisce a un’azione di efficientamento amministrativo che riguarderebbe anche settori come le politiche sociali, i servizi alla persona, i lavori pubblici o l’anagrafe. Oltre alla finanza, la polizia locale e l’attuazione dei progetti, compresi quelli del Pnrr. «Finché eravamo di fronte a uno scioglimento “leggero”, si poteva pure comprendere un provvedimento del genere. Ma ora», aggiungono i due addetti ai lavori, «siamo davanti a un pieno mandato ai tre commissari prefettizi. Sinceramente, non sembra che i dipendenti della Funzione pubblica o del Formez siano le figure più adatte per andare lì a determinare situazioni delicatissime. Si prendono rischi che potrebbero riguardare persino la loro incolumità».

Giammanco ripescata come portavoce dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli

Un Paese in cui tutti galleggiano e nessuno viene lasciato indietro. Almeno in politica. L’ultimo risultato del riciclo perenne di poltrone e nomine ha portato Gabriella Giammanco nel ruolo di nuova portavoce dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Ente che, tra le altre cose, gestisce il gioco d’azzardo pubblico e legale in Italia, tornato particolarmente d’attualità perché tanto si sta parlando di scandalo scommesse, quelle però sui circuiti illegali, che ha travolto (di nuovo) una parte del calcio italiano.

In parlamento dal 2008 al 2022, fino alla mancata rielezione

Giammanco, 46 anni, ha trascorso tutta la vita (politica) tra Popolo della libertà e Forza Italia, dal 2008 al 2022, passando tra Camera e Senato nel corso della XVI, XVII e XVIII legislatura, fino a quando non è riuscita a essere rieletta a Montecitorio dopo aver ottenuto solo il 28,18 per cento dei voti contro il candidato del Movimento 5 stelle Davide Aiello (35,86 per cento). Ma niente paura, un anno dopo è arrivata la sistemazione.

Giammanco ripescata come portavoce dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli
Gabriella Giammanco (Imagoeconomica).

La storia con Minzolini e il matrimonio con Angelini finito nel 2022

Giornalista professionista, Giammanco è laureata in Scienze della comunicazione con il massimo dei voti. Autrice di programmi televisivi e consulente per la comunicazione istituzionale di società pubbliche e private, il suo curriculum è stato selezionato nell’ambito di «una procedura a evidenza pubblica gestita da una Commissione di valutazione composta di cinque esperti e nominata dal direttore dell’Agenzia», come è stato chiarito. Per l’ex deputata e senatrice, legata sentimentalmente in passato anche con l’imprenditore immobiliarista Marco Mezzaroma e col giornalista Augusto Minzolini, era stato un 2022 da dimenticare, visto che oltre ad aver mancato la conferma del seggio in parlamento aveva dovuto fare i conti pure con la fine del suo matrimonio, iniziato nel 2019, con l’imprenditore Federico Angelini. Adesso almeno grazie al nuovo incarico si potrà consolare con un parziale risarcimento.

Giammanco ripescata come portavoce dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli
Gabriella Giammanco in una foto del 2011 (Getty).

Sondaggi politici, FdI torna a salire e crescono anche Pd e M5s

Fratelli d’Italia, Partito democratico e Movimento 5 stelle si godono una settimana di sondaggi positivi. Secondo i dati elaboratori da Swg per Tg La7, infatti, i primi tre partiti guadagnano consensi. Notizia positiva soprattutto per il gruppo di Giorgia Meloni. La premier, nella settimana della rottura con l’ormai ex compagno Andrea Giambruno, ha guadagnato lo 0,3 per cento ed è risalita al 28,7, nettamente avanti a tutti gli altri ma sempre sotto al 30 per cento. Il Pd di Elly Schlein insegue a quota 19,8 per cento, con una crescita dello 0,2 rispetto a sette giorni fa. I pentastellati di Giuseppe Conte, invece, con un +0,3 per cento toccano il 16,4 e staccano la Lega.

Lega stabile, giù Forza Italia, Azione e Avs

Proprio la Lega è l’unico dei partiti maggiori a restare stabile. Il Carroccio resta al 10,2 per cento nelle intenzioni di voto degli italiani. Male Forza Italia, che perde lo 0,1 e ora è al 6,3. Non ne approfitta Azione. Il partito di Carlo Calenda, infatti, è scivolato dal 4 al 3,9 per cento in sette giorni, perdendo terreno. E con esso anche Alleanza Verdi Sinistra italiana di Fratoianni e Bonelli, che è passato dal 3,6 al 3,5 per cento. La rottura del Terzo Polo, invece, porta nuovi consensi a Italia Viva. Matteo Renzi ha toccato quota 2,7 per cento, con un incremento dello 0,2 per cento rispetto alla scorsa settimana.

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Carlo Calenda (Imagoeconomica).

I partiti minori

Tra i partiti minori, Unione Popolare tocca l’1,5 percento guadagnando lo 0,1, la stessa percentuale persa da +Europa, ora al 2,4 per cento. L’Italia con Paragone scivola al 2,4 per cento (-0,2) mentre Noi Moderati resta stabile all’1 per cento.

Europee 2024, per Renew Italia l’obiettivo è una lista comune

«Nasce il Comitato nazionale Renew Italia. L’obiettivo dei fondatori Giuseppe Benedetto, Alessandro De Nicola, Oscar Giannino, Sandro Gozi e Andrea Marcucci è riunire tutte le forze politiche e i movimenti che si riconoscono nei principi e nei valori del Gruppo Renew Europe al Parlamento europeo e lavorare in piena sinergia e presentare una lista comune Renew Italia alle elezioni europee del 2024». È quanto si legge in una nota dello stesso comitato. L’obiettivo è ricostruire quel fronte venuto meno dal giorno dopo la frattura tra Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda.

Il comitato fondatore di Renew: «Oltre l’estrema destra e questa sinistra populista»

Il documento poi continua: «Le scadenze elettorali che si avvicinano, ad iniziare da quelle del rinnovo del Parlamento europeo e le successive italiane, portano il Comitato a ribadire la necessità di proseguire lungo la strada della creazione di un partito unitario delle forze politiche che fanno riferimento a Renew Europe, come più volte ribadito dal progetto dei Liberal Democratici Europei sin dalla sua nascita». E ancora: «I comitati Renew Italia si rivolgono a tutti coloro che continuano ostinatamente a credere che vi sia una sfida straordinariamente importante per non regalare negli anni a venire Europa e Italia a questa estrema destra e a questa sinistra populista». Poi la lettera del comitato fondatore conclude: «L’unica via per continuare il percorso di trasformazione europea avviato dal 2019 e costruire un’Europa davvero sovrana e democratica, realmente protagonista sulla scena globale, è impegnarsi per rafforzare la presenza di Renew in Europa e la presenza italiana in Renew. Siamo ancora in tempo».

Elezioni amministrative Foggia: stravince il centrosinistra unito di Maria Aida Episcopo

Tra i Comuni al voto nel weekend del 22 e 23 ottobre 2023 c’era anche quello di Foggia, dopo che la precedente amministrazione è stata sciolta con l’accusa di concussione e corruzione. A stravincere è stata la candidata della coalizione del centrosinistra, o per meglio dire del campo largo, Maria Aida Episcopo, presentata dal Movimento 5 stelle ma sostenuta anche dal Partito democratico, da Italia viva e da Azione. La sua vittoria è arrivata senza troppe sorprese al primo turno, con il 52,78 per cento dei voti, mentre il candidato del centrodestra Raffaele Di Mauro, coordinatore provinciale di Forza Italia Foggia, si è fermato al 24,76 per cento.

Il centrodestra paga la mala gestione precedente

Come detto, la vittoria a Foggia di Maria Aida Episcopo era attesa, soprattutto considerando i trascorsi dell’amministrazione comunale. La precedente giunta, sciolta per infiltrazioni mafiose nell’agosto del 2021 dall’allora ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, aveva come sindaco Franco Landella, eletto con Forza Italia e in seguito passato alla Lega. L’ex primo cittadino di Foggia è attualmente a processo e deve difendersi dall’accusa di concussione e corruzione, oltre che rispondere dei presunti collegamenti tra la criminalità organizzata foggiana e le amministrazioni locali.

Maria Aida Episcopo, l’ex dirigente che vuole cambiare la storia di Foggia

Andando a guardare nel profilo di Maria Aida Episcopo si scopre che la donna, 60 anni, è dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale (UST) di Foggia e in passato, tra il 2012 e il 2014, ha ricoperto ruolo di assessore alla Formazione nell’amministrazione comunale di Gianni Mongelli (Pd). La sua candidatura alle Amministrative 2023 è stata sostenuta da ben 10 liste, in un campo largo a lungo cercato dalle forze progressiste. Tra questi il Pd, che ha raccolto 13,7 per cento dei voti e si è assicurato sei consiglieri comunali e il M5s, al 12,3 per cento e con cinque consiglieri. «Questa è la dimostrazione che uniti si vince», ha dichiarato la segretaria dem Elly Schein in un video condiviso su Facebook.

Manovra, dal taglio del cuneo in due fasce alle pensioni: cosa contiene la bozza

La bozza della Manovra 2024 approvata dal governo Meloni entro la fine di questa settimana sarà presentata al parlamento. Cento pagine e 91 articoli in cui trovano conferma alcuni provvedimenti già annunciati come il taglio del cuneo fiscale per i redditi medio-bassi e le nuove regole per andare in pensione. L’esecutivo conferma anche lo stanziamento di 600 milioni di euro per la carta “Dedicata a te” per gli acquisti di prima necessità.

Il taglio del cuneo fiscale prorogato per il 2024

Il taglio del cuneo fiscale è stato confermato anche per l’intero 2024: sette punti in meno per i redditi fino a 25 mila euro e sei fino ai 35 mila. La misura vale una decina di miliardi e ne beneficeranno 13,8 milioni di lavoratori dipendenti sia pubblici sia privati. I premi di produttività saranno detassati al 5 per cento; i cosiddetti fringe benefit –  compensi in forma non monetaria, consistenti nella messa a disposizione di beni e/o servizi a favore dei lavoratori – a mille euro che salgono a 2 mila per i dipendenti con figli a carico. Previsto anche il taglio del Canone Rai da 90 a 70 euro.

 

Calcolo delle tasse
Calcolo delle tasse (Pixabay)

Lo sgravio fiscale per le lavoratrici madri e il bonus nido

Tra le misure della Manovra rivendicate dal governo come identitarie per favorire la natalità c’è lo sgravio contributivo al 100 per cento per tutte le lavoratrici madri fino comunque a un massimo di 3 mila euro annui, senza limiti di reddito, quindi per tutte le lavoratrici madri a esclusione del “lavoro domestico”. Lo sconto sui contributi per la quota a carico del lavoratore dipendente è legato al numero di figli: per le mamme con due figli dura fino ai 10 anni del bimbo più piccolo, per chi ne ha tre lo sconto sui contributi dura più a lungo, fino ai 18 anni del figlio più piccolo. Sempre a sostegno della natalità e della famiglia, inoltre, viene previsto anche un bonus asilo nido che potrà essere utilizzato dalle famiglie per le rette di strutture pubbliche e private solo per i secondi figli che nasceranno a partire dal primo gennaio 2024. La misura, entrando più nello specifico, si rivolge ai nuclei familiari composti almeno da un altro minore under 10 e con un Isee pari o inferiore a 40 mila euro. L’ammontare annuale del beneficio è pari a 3 mila euro.

Le pensioni vengono adeguate all’inflazione

Centrale il tema pensioni. Queste, grazie all’adeguamento pieno all’inflazione, verranno rivalutate:

  • fino a 4 volte il minimo, sotto i 2 mila euro;
  • al 90 per cento per quelle tra 4 e 5 volte il minimo;
  • al 22 per cento (con un taglio rispetto al 32 per cento delle norme in vigore quest’anno) per le più alte, cioè sopra 10 volte il minimo, pari a circa 5 mila euro al mese.

A questo si aggiunge che l’indicizzazione sale dall’85 per cento attuale al 90 per cento per gli assegni tra 4 e 5 volte il minimo, cioè tra 2 mila e i 2500 euro, mentre si conferma:

  • al 53 per cento per gli assegni pari a 5-6 volte il minimo;
  • al 47 per cento per quelli tra 6 e 8 volte;
  • al 37 per cento per quelli tra 8 e 10 volte.

L’indicizzazione viene invece ridotta dal 32 per cento al 22 per cento per i trattamenti superiori a 10 volte il minimo. Per quanto riguarda opzione donna, invece, non è stata decisa la conferma, con l’uscita anticipata delle lavoratrici che viene fatta confluire nella nuova Ape allargata. Serviranno 35 anni di contributi e almeno 61 anni d’età, oppure 60 se la lavoratrice ha 1 figlio o 59 se si hanno più figli.

Pensionati a passeggio
Pensionati a passeggio. (Pixabay).

I contratti della Pa

Per il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro della Pubblica amministrazione sono stati stanziati 3 miliardi a cui se ne aggiungono altri 3 per il personale sanitario (2,3 per i rinnovi contrattuali e 700 milioni per la defiscalizzazione degli straordinari). Nessuno stanziamento per gli enti locali. Il ministro della Pa Paolo Zangrillo aveva stimato 8 miliardi per i rinnovi nel 2024: in realtà i 5 miliardi mancanti sono riferiti al 2025.

Assorbenti e prodotti per l’infanzia e assorbenti al 10%

La bozza della manovra prevede che latte in polvere e preparazioni per l’alimentazione dei bimbi, così come assorbenti, tamponi e coppette mestruali, passino tra i prodotti soggetti all’Iva al 10 per cento. Confermato il congelamento per altri sei mesi, fino a fine giugno, di plastic e sugar tax. Le due imposte, introdotte con la manovra per il 2020 e mai entrate in vigore, dovrebbero quindi scattare dal 1 luglio 2024.

Gli affitti brevi e la nuova cedolare secca

Passa dal 21 al 26 per cento la cedolare secca prevista per gli affitti brevi, ivi compresi anche quelli per le case vacanza e i bed and breakfast. La misura non sarebbe stata del tutto apprezzata dalle forze parlamentari della maggioranza che, sul tema, hanno opinioni contrastanti. Sempre in tema di turismo la Manovra stanzia 81 milioni per la detassazione del lavoro notturno e festivo nel periodo compreso tra il 1° gennaio al 30 giugno 2024 per tutti i lavoratori del settore che hanno un reddito fino a 40 mila euro.

L’elezione di Galliani a Monza dimostra la compattezza dei figli di Berlusconi

Adriano Galliani, come ampiamente previsto, ce l’ha fatta. In una tornata dove i votanti sono stati uno sparuto drappello di sopravvissuti a una razza in via di estinzione, ha battuto ma non umiliato il rivale Marco Cappato, che può trovare motivi di soddisfazione pensando che, per via delle sue idee eretiche, molti di quelli che sulla carta stavano con lui gli hanno girato le spalle. Il quasi ottuagenario manager (ne farà 80 tondi nel 2024, ma è uguale a quando ne aveva 50) ha avuto con la politica un rapporto scostante: eletto senatore nel 2018 per volere di Silvio Berlusconi, non si è ripresentato alle elezioni del 2022, segno di disaffezione o semplicemente della decisione di volersi dedicare alla sua ultima creatura calcistica, il Monza, rilevata e portata agli onori della massima serie con la decisiva complicità del suo partner in crime, che prima gli aveva affidato per tanti anni le cure del Milan.

Galliani ha telefonato subito a Marina e Marta Fascina

Ma Galliani è tornato sui suoi passi, nulla potendo di fronte alle insistenze degli eredi cui spettava decidere le sorti di quel seggio occupato fino alla dipartita dal loro capostipite. E infatti, appena eletto, e an cora prima di ringraziare i suoi elettori, ha telefonato a Marina B. e Marta Fascina, con la quale in questi mesi di lutto perenne è stato discretamente in contatto, mentre i notabili di Forza Italia strologavano invano sulle intenzioni politiche della finta vedova.

L'elezione di Galliani a Monza dimostra la compattezza dei figli di Berlusconi
Marina, Pier Silvio, Paolo Berlusconi e Marta Fascina con Sergio Mattarella il giorno del funerale di Silvio (Imagoeconomica).

Quella di un uomo devoto al Cav è presenza utile in Forza Italia

Insomma, il copione delle suppletive a Monza è stato rispettato in pieno: doveva essere un affare di famiglia, e così è stato. Galliani è uomo di assoluta fiducia, la sua devozione al Cav è sempre stata servilmente sincera e non di convenienza. Ed è una presenza utile, tanto più in questo momento dove una leadership debole ha moltiplicato i mal di pancia dentro al partito, e dopo che, per l’affaire Giambruno squadernato da Mediaset, Giorgia Meloni è lì col fucile puntato.

L'elezione di Galliani a Monza dimostra la compattezza dei figli di Berlusconi
Antonio Tajani e Adriano Galliani (Imagoeconomica).

Compattezza familiare portata a esempio da Milleri

Monza insomma è stata un’altra prova di compattezza dei figli, che spiazza gli alleati prima che gli avversari. Per loro, dopo la morte di Berlusconi, Forza Italia non aveva nessuna chance di sopravvivenza. E l’unico dilemma era vedere chi tra Fratelli d’Italia e Lega si sarebbe maggiormente avvantaggiato delle sue spoglie. Invece Marina e Pier Silvio, con l’accordo implicito dei figli di secondo letto, dall’infausta sortita sugli extraprofitti delle banche in su, hanno fatto sentire la loro voce, tra fideiussioni (quelle che di fatto li rendono proprietari di Forza Italia) e televisioni, l’eterna arma che fa da deterrente quando gli alleati alzano la cresta. Una compattezza familiare che è stata citata a esempio anche dal capo di Luxottica Francesco Milleri in una recente intervista sul Sole 24 Ore piena di suggestioni e messaggi. Per lui che si trova a doversi districare con le divisioni tra gli eredi di Leonardo Del Vecchio, e tra chi ne contesta soldi e poteri, il modo in cui la dinasty di Arcore ha risolto la successione è un esempio da imitare.

Forza Italia dopo Berlusconi fa shopping dagli altri partiti sui territori

Non è ancora un’ondata, sicuramente è un fiume carsico che potrebbe erodere, in parte, le postazioni politiche prestabilite tra centro e centrodestra: il rafforzamento di Forza Italia nelle sue diramazioni territoriali con nuovi entrati e cavalli di ritorno è il tentativo con cui Antonio Tajani vuole ricostruire il partito per renderlo meno romano-centrico dopo la morte di Silvio Berlusconi.

Forza Italia e l’ambizione di essere l’unica a formare la classe dirigente

Negli ambienti azzurri la strategia che si sta puntando è duplice. In primo luogo, coordinare l’atterraggio nel sistema Forza Italia di neo entranti provenienti da altri partiti o realtà civiche. In secondo luogo, mostrarsi a cavallo tra l’ala moderata, liberale e popolare e quella della destra italiana più dura, puntando a essere l’unica formazione capace di formare la classe dirigente. E anche fonti della Lega lombarda sentite da Lettera43 indicano che «la ragion d’essere di Forza Italia in futuro sarà mostrare ai partner di coalizione ciò che la formazione può essere», al contrario dei suoi alleati: un catalizzatore di forze esterne che né la Lega di Matteo SalviniFratelli d’Italia, partito percepito come eccessivamente appiattito su Giorgia Meloni, sanno valorizzare.

Forza Italia dopo Berlusconi fa shopping dagli altri partiti sui territori
Antonio Tajani con Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Getty).

L’esempio del cavallo di ritorno Letizia Moratti, con un occhio a Cl

La cronaca delle ultime settimane ha mostrato l’attestazione di queste due dinamiche con il ritorno di Letizia Moratti in Forza Italia. L’ex sindaca di Milano ed ex assessore regionale al Welfare e alla Sanità rappresenta il punto di contatto tra le due strategie forziste, essendo tanto una politica d’esperienza quanto una figura dirigenziale legata a un sistema complesso di realtà economiche, associative e dal grande rilievo in termini di consenso, a partire da Comunione e liberazione. Ma in generale è la Lombardia il principale “polmone” di attrattività per gli azzurri.

Forza Italia dopo Berlusconi fa shopping dagli altri partiti sui territori
Letizia Moratti e Antonio Tajani (Imagoeconomica).

Gli emblematici ingressi di Macaluso e Zambelli in Lombardia

Alessandro Sorte, già assessore regionale ai Trasporti, deputato e coordinatore regionale degli azzurri, ha di recente ottenuto un altro ingresso dall’alto valore politico e simbolico: a Rozzano è entrato il 38enne Marco Macaluso, già segretario cittadino del Partito democratico e in passato presidente del locale Consiglio comunale. Un “colpo” che segnala la volontà di spingere su un partito a trazione moderata che attrae figure esterne al campo. Ma non disdegna di guardare anche al mondo degli alleati di governo pro tempore. Nel centrodestra bresciano, per esempio, si fa un gran parlare dell’uscita dalla Lega di Stefania Zambelli, eurodeputata e di recente prima delle non elette nelle liste locali del Carroccio alle Regionali. Lasciata Identità e democrazia, Zambelli si è iscritta al gruppo a Strasburgo del Partito popolare europeo. Un passaggio chiaro verso una futura adesione a Forza Italia e, notano i leghisti, un messaggio a Salvini che negli anni dell’ascesa sottraeva personale politico ai forzisti e ora si trova di fronte al rischio controesodo.

Forza Italia dopo Berlusconi fa shopping dagli altri partiti sui territori
Stefania Zambelli (Imagoeconomica).

Resistere alle scalate esterne, a partire da quella di Renzi

Non è solo la Lombardia a fibrillare in casa Forza Italia. Il mantra tra gli azzurri è chiaro: diventare «il partito dell’inclusione». Un modo per resistere a ogni scalata esterna, sia degli alleati di oggi sia dei potenziali cacciatori di voti nel grande centro diviso, a partire ovviamente da Matteo Renzi. Nella consapevolezza che a decidere il futuro del partito sarà in larga parte un solo dato: quello delle Europee 2024. Se si dimostrerà una capacità di tenuta elettorale, Forza Italia consoliderà la sua ragion d’essere e il suo potere contrattuale. E potrà declinare a livello nazionale la sua ramificazione territoriale sempre più attiva. Tajani sta delegando molta responsabilità alle periferie, una novità sicuramente strutturale per un partito a lungo rimasto espressione di un solo uomo, nella buona e nella cattiva sorte.

Forza Italia dopo Berlusconi fa shopping dagli altri partiti sui territori
Alessandro Sorte, coordinatore regionale di Forza Italia in Lombardia (Imagoeconomica).

Il lavoro di Tosi in Veneto e l’approdo di Zilio nel partito

Dalle nicchie elettorali territoriali potranno emergere future opportunità di scalata in Forza Italia. E così le sezioni locali del partito si mobilitano. In Veneto è attivissimo Flavio Tosi, che ha anzitempo inaugurato un paio d’anni fa la tendenza all’ingresso di ex leghisti in Forza Italia. L’ex sindaco di Verona ha di recente presentato con grande enfasi l’approdo tra i forzisti di Fernando Zilio, padovano, ex presidente di Unioncamere e Confcommercio sul territorio, che non aveva mai avuto tessere in tasca di nessun partito.

Forza Italia dopo Berlusconi fa shopping dagli altri partiti sui territori
Flavio Tosi (Imagoeconomica).

In Sicilia un ufficio apposito per valutare le candidature

In Abruzzo il coordinatore regionale Nazario Pagano ha portato nel partito il consigliere regionale Antonietta La Porta e il consigliere comunale di Avezzano ed ex candidato sindaco per il centrodestra Tiziano Genovesi, entrambi eletti in quota Carroccio. E in Sicilia il coordinatore regionale Marcello Caruso ha creato nel partito locale un ufficio appositamente responsabile per la gestione delle nuove adesioni, guidato dall’ex sindaco di Noto Corrado Bonfanti, per valutare attentamente ogni candidatura e la sua conformità alla visione di Forza Italia.

L’obiettivo (che pareva impossibile) è sopravvivere a Berlusconi

Questa strategia può funzionare? Difficile a dirsi in partenza. Gli addetti ai lavori segnalano però che per Forza Italia e la sua struttura non c’è altra alternativa al cercare di battere territori inesplorati nell’era Berlusconi: l’obiettivo è smarcarsi da una dipendenza economica dalla famiglia, dagli sguardi interessati dei centristi che speravano nella rottamazione del partito e dal sovranismo conservatore, mai digerito dal Cavaliere. In termini di consensi, è l’unica garanzia per radicarsi e durare, considerato anche che stiamo parlando di un movimento plasmato su immagine e somiglianza del grande capo, ora defunto, e di conseguenza mai diventato veramente partito. Sopravvivere a Berlusconi sarebbe un risultato che pochissimi davano per possibile dopo il 12 giugno 2023: oggi invece è l’obiettivo di Forza Italia da qui alle Europee. Mandando un messaggio a partner di oggi e domani sulla presenza di una nicchia azzurra in campo italiano ed europeo: questa sarà l’unica priorità, almeno fino al voto di giugno 2024.

Cdm, rinviato l’esame del decreto Energia

Il decreto Energia, con norme relative al rinvio del termine del mercato tutelato e con incentivi per le rinnovabili e le imprese energivore, non sarà discusso al Cdm, come previsto per lunedì 23 ottobre.

Esame rinviato alla prossima settimana

Il decreto, che era indicato nell’ordine del giorno del pre-consiglio, non figura invece nell’odg del Consiglio dei ministri effettivo. Secondo quanto si apprende, l’esame sarebbe rinviato alla prossima settimana. Il provvedimento, conterrà “disposizioni urgenti per la sicurezza energetica del Paese”.

 

 

Elezioni provinciali in Trentino-Alto Adige: Svp sconfitta, confermato Fugatti

Con oltre il 51 per cento delle preferenze, Maurizio Fugatti (Lega) si conferma presidente della Provincia di Trento. Il candidato del centrodestra, al secondo mandato, ha ottenuto il 51 per cento delle preferenze e la sua coalizione avrà 21 seggi. Staccato di 14 punti l’ex sindaco di Rovereto (seconda città più popolosa della provincia) Francesco Valduga, candidato della coalizione di centrosinistra che si deve accontentare di 13 seggi. Al termine di una tornata elettorale fortemente polarizzata, gli altri cinque nomi che correvano come presidente si sono spartiti circa il 10 per cento delle preferenze: l’unico a entrare in Consiglio sarà Filippo Degasperi, che correva per la coalizione Onda Popolare.

Elezioni provinciali in Trentino: conferma per Fugatti della Lega con il 51 per cento dei voti. I risultati.
Maurizio Fugatti (Imagoeconomica).

Il Pd resta il primo partito della Provincia di Trento

I risultati dei partiti vedono in testa il Partito Democratico del Trentino con il 16,24 per cento e 7 seggi in Consiglio provinciale, seguito da Lega Fugatti presidente (13,2 per cento e 5 seggi), Fratelli d’Italia (12,23 per cento e 5 seggi), Noi Trentino per Fugatti presidente 10,56 per cento e 4 seggi), Campobase (8,18 per cento e 3 seggi). Poi gli altri.

Salvini: «Premiate concretezza e buona amministrazione»

«Vittoria in Trentino, Lega e Civica del presidente prima forza politica con oltre il 20 per cento, Maurizio Fugatti confermato con larghissimo vantaggio», ha twittato Matteo Salvini. «Lombardia, Lazio, Friuli Venezia Giulia, Molise e ora Provincia Autonoma di Trento: premiata nel 2023 la concretezza e la buona amministrazione del territorio con la Lega e il centrodestra. Buon lavoro a Maurizio e alla sua squadra!». Così Giorgia Meloni: «Il centrodestra unito porta a casa un altro grande risultato. Complimenti a Maurizio Fugatti, rieletto Presidente della Provincia autonoma di Trento e buon lavoro a lui e a tutta la squadra».

Elezioni provinciali in Trentino-Alto Adige: Svp sconfitta, confermato Fugatti. I risultati del voto nelle due province.
Arno Kompatscher (Imagoeconomica).

I risultati dell’Alto Adige: la vittoria amara per la Svp

In Alto Adige terzo mandato per Arno Kompatscher con la Südtiroler Volkspartei (Svp) che si conferma il primo partito, ma con il peggior risultato di sempre: appena il 34,5 per cento dei voti e soli 13 seggi. La formazione politica, che rappresentare gli interessi dei gruppi linguistici tedesco e ladino in Alto Adige, non scendeva sotto il 40 per cento dal 1948. «Abbiamo perso. Questo è fuori discussione. Abbiamo perso due consiglieri, mentre avevamo calcolato di perderne uno», ha dichiarato il segretario della Svp Philipp Achammer. Secondo partito dell’Alto Adige il Team K, in flessione con l’11,1 per cento dei voti. Exploit del movimento popolare secessionista Süd-Tiroler Freiheit, che ha quasi raddoppiato il risultato del 2018 arrivando al 10,9 per cento. Verdi al 9 per cento, poi FdI primo partito italiano con il 6 per cento. La formazione di Meloni chiede alla Svp di governare insieme. «Noi siamo pronti. I voti confermano che non possono più esserci pregiudiziali etniche o linguistiche. Fratelli d’Italia a questo punto vuole partecipare al governo dell’autonomi», ha affermato Alessandro Urzì, leader di FdI in regione. «L’onda Meloni è arrivata anche in Alto Adige, dando un risultato storico», ha detto all’Adnkronos il consigliere provinciale di Bolzano e consigliere regionale del Trentino Alto Adige, Marco Galateo. Crolla invece la Lega, che scende dall’11,1 di cinque anni fa al 3 per cento. Da segnalare il risultato della lista ideata dall’ex comandante degli Schuetzen, Juergen Wirth Anderlan, capace di ottenere il 6 per cento dopo una campagna elettorale impostata sul “no” a migranti e vaccini.

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