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Intelligenza artificiale, Urso: «L’Europa deve muoversi rapidamente»

L’Europa deve muoversi «rapidamente» con investimenti sull’Intelligenza artificiale. Questo è il messaggio maturato dopo il trilaterale tra Italia, Germania e Francia, tenutosi al ministero delle Imprese e del Made in Italy. Il ministro Adolfo Urso ha ospitato il vice cancelliere tedesco e ministro dell’Economia e dell’Azione Climatica, Robert Habeck, e il ministro francese dell’Economia, delle Finanze e della Sovranità Industriale e Digitale, Bruno Le Maire. I tre hanno dichiarato che «non c’è tempo da perdere e in quest’ottica servono più investimenti privati». E questo perché l’Ue «investe 10 volte meno degli Usa nell’IA».

Urso: «Diamo un segnale forte»

Il ministro Adolfo Urso ha spiegato che l’incontro ha permesso ai tre Paesi di rafforzare «la cooperazione» sul tema dell’Intelligenza artificiale. E ha aggiunto: «Abbiamo dato un segnale forte alla nostra Europa sulla strada che insieme dobbiamo perseguire sul futuro tecnologico e scientifico, a cominciare da una visione comune sull’IA». Inoltre Urso ha sottolineato come tra poche settimane partirà ufficialmente l’attività della Fondazione nazionale italiana sull’IA, che si insedierà a Torino.

Riforma costituzionale, il governo Meloni punta all’elezione diretta del premier

Berlusconi e Renzi ci provarono senza successo e ora tocca a Meloni il tentativo di introdurre la tanto discussa riforma costituzionale in Italia. «Abbiamo sulle nostre spalle una responsabilità storica: consolidare la democrazia dell’alternanza e accompagnare finalmente l’Italia, con la riforma costituzionale che questo Governo intende portare avanti, nella Terza Repubblica», ha detto la presidente del Consiglio domenica 29 ottobre alla convention della Democrazia cristiana a Saint Vincent.

Il governo cambia rotta sul presidenzialismo promesso in campagna elettorale

Il disegno di legge, a firma della ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Casellati, è previsto che arrivi sul tavolo del Cdm venerdì 6 novembre. Il testo può ancora cambiare, perché Meloni e i suoi avrebbero ancora dubbi su alcuni passaggi decisivi. Nelle scorse settimane sono circolate diverse bozze del ddl e il governo sembra aver messo da parte il presidenzialismo e l’elezione diretta del presidente della Repubblica, tanto decantati in campagna elettorale dal centrodestra, per puntare invece al premierato elettivo. L’obiettivo della riforma, sostiene la maggioranza, è quello di assicurare stabilità ai governi e valorizzare il voto degli elettori, così che si crei un legame il più diretto possibile tra il voto espresso e la nascita dell’esecutivo.

Cosa prevede il premierato elettivo 

Dalle bozze è emerso che l’esecutivo è pronto a introdurre in Italia l’elezione diretta del presidente del Consiglio, con una legge elettorale maggioritaria che garantirebbe il 55 per cento dei seggi al partito o alla coalizione vincente. Tra le opposizioni l’unica favorevole all’elezione diretta è Italia Viva, mentre Azione, M5s e Partito democratico si sono dichiarati contrari a una riforma che sostengono contenere il rischio di avere una «persona sola al comando». La critica delle opposizioni è la rigidità che l’investitura popolare diretta introdurrebbe, rispetto al caso in cui un presidente del Consiglio perda la fiducia della propria maggioranza. Secondo le anticipazioni, il Parlamento non acquisirà il potere di sfiducia costruttiva del presidente del Consiglio, ovvero la sua sfiducia con la contestuale indicazione del suo successore. Il governo dovrà quindi sciogliere il nodo di cosa è previsto che accada in caso di crisi di governo.

Il meccanismo “antiribaltone” in caso di crisi di governo

Nelle bozze circolate, il meccanismo “antiribaltone” delineato dalla ministra Casellati prevede che in caso di crisi di governo il Quirinale debba incaricare un sostituto indicato dalla maggioranza senza l’obbligo di andare a nuove elezioni. Su questa novità il confronto è ancora aperto, in quanto è fortemente voluta dalla Lega e da Forza Italia ma non convince Giorgia Meloni perché toglierebbe al capo del governo il potere di «minacciare» il ritorno alle urne con il voto di fiducia. «Se viene meno la fiducia nel premier si va a votare», è il leitmotiv di Meloni.

Il presidente della Repubblica Serio Mattarella (Getty Images).

I poteri del presidente della Repubblica

Ma se il presidenzialismo è stato messo da parte, restano le incertezze sulle nuove funzioni che la massima istituzione avrà. La riforma verterà principalmente sugli articoli 88, 92 e 94 della Costituzione, due dei quali delineano i principali poteri nelle mani del presidente della Reppublica, ovvero la possibilità di sciogliere le Camere e la nomina del premier e dei ministri. Nel primo caso, il nodo da sciogliere è quello sull’antiribaltone o sul ritorno alle urne. Sul potere di nomina, invece, la ministra Casellati ha fatto sapere che il capo dello Stato manterà il potere di conferire l’incarico al premier eletto e il potere di nominare i ministri su indicazione del capo del governo, il quale non può revocarli.

Codice della strada, le opposizioni chiedono il limite a 30 km/h in città

I partiti d’opposizione hanno presentato una proposta di legge con cui chiedono la modifica del Codice della Strada, appena ridisegnato dal governo. Attualmente il nuovo testo è in commissione Trasporti alla Camera, ma i partiti di minoranza hanno chiesto già di inserire un nuovo limite di velocità. Le opposizioni vorrebbero che il limite nei centri urbani, infatti, venisse portato a 30 chilometri orari. Roberto Morassut, deputato del Pd, è il primo firmatario del testo e secondo lui con questo nuovo limite si andrebbe a limitare quella che «è la prima causa di morte nei giovani tra 15 e 29 anni».

I dati Istat: «Ogni giorno muoiono in strada quasi nove persone»

Il deputato parla di «urgenza», come spiega Repubblica, e cita i dati Istat. Secondo i numeri, in media in strada ogni giorno a perdere la vita sono quasi nove persone. Oltre 500, invece, restano gravemente ferite. Nel 2021 sono rimasti coinvolti in incidenti fatali 566 ragazzi. Oltre 60 mila, invece, sono rimasti feriti. E 73 volte su 100 gli incidenti si verificano nei centri urbani a causa di guida distratta, eccessi di velocità o mancate precedenze. A firmare il documento sono stati Pd, M5s, Azione, Iv, +Europa e Avs.

Il testo: «Impatto a 50 km/h come caduta dal terzo piano»

Nella proposta si legge: «A livello scientifico è stata stabilita come regola quella dei 30 chilometri orari perché questo è un limite che, senza rallentare la circolazione, diminuisce drasticamente le percentuali di rischio di mortalità». Quindi diventa «praticamente residuale: avviene soltanto in meno del 10 per cento dei casi. L’impatto equivale a una caduta dal primo piano, mentre già a 50 chilometri orari la collisione coincide con una caduta dal terzo piano e la probabilità di incidente mortale cresce oltre il 50 per cento». Inoltre il testo fa riferimento a città europee che hanno già adottato il limite di 30 chilometri orari, come Grenoble, Graz, Bruxelles e «città in Scozia».

Codice della strada, le opposizioni chiedono il limite a 30 kmh in città
Il cartello che segnala il limite di velocità a Bruxelles (Getty Images).

Salvini risponde: «Non è una soluzione»

A rispondere è stato il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini. Ha dichiarato: «Salvare vite è il mio obiettivo, e aggiornare un Codice della Strada che risale agli anni Novanta ne è la prova. Non penso sia una soluzione obbligare tutti ad andare a 30 all’ora in tutta la città, tassare i lavoratori che circolano in auto o in furgone, o riempire le strade di autovelox indiscriminati per fare cassa».

La retorica anti-immigrazione del governo Meloni e la deriva dei centri di detenzione

Per corroborare la retorica contro l’immigrazione il governo Meloni ha scelto, intanto, di investire sui centri di detenzione. Una non-soluzione del genere consente nel breve periodo di cavalcare i sentimenti al limite della xenofobia che servono per tenere buoni gli elettori più affamati che hanno dovuto ingoiare l’impennata estiva di sbarchi. Nelle intenzioni del governo la costruzione di nuovi Cpr (i centri di permanenza e di rimpatrio) dovrebbe avere lo stesso effetto di una caserma dei carabinieri costruita in una movimentata periferia per rassicurare i passanti sulla presenza dello Stato. Fa niente che secondo i dati Eurostat l’Italia sia fanalino di coda nel secondo trimestre del 2023 con soli 735 rimpatri, mentre la Germania nello stesso periodo ne ha effettuati 2.700 seguita da Francia, Svezia e Grecia. Al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi toccherebbe spiegare che le principali nazioni di appartenenza dei migranti rimpatriati sono Georgia, Albania, Moldavia, Turchia e India, mentre i Paesi di provenienza della maggior parte dei migranti che raggiungono le coste italiane sono quelli dell’Africa mediterranea e dell’Africa subsahariana: Tunisia, Egitto, Guinea e Costa d’Avorio. Si tratta di Stati che spesso non hanno stretto alcun accordo con Roma per i rimpatri, nonostante il gran daffare della presidente del Consiglio nei suoi viaggi internazionali in nome del cosiddetto piano Mattei.

La retorica anti-immigrazione del governo Meloni e la deriva dei centri di detenzione
Una struttura usata come centro di permanenza e rimpatrio (Ansa).

Niente igiene né privacy: «Un processo di deumanizzazione»

Per avere un’idea di cosa siano i Cpr si può leggere il recente dossier dell’associazione Naga e della rete Mai piu? Lager – No ai Cpr che ha spiato dal buco della serratura il centro di Milano in un periodo di osservazione da maggio 2022 al maggio 2023. Il dossier descrive l’ostruzionismo opposto a qualsiasi tentativo di accesso sia fisico sia virtuale al Cpr e tutto quello che abbiamo potuto (intra)vedere: da fuori e da dentro. Cosa accade in un Cpr? Appena arrivate, le persone – si legge nel rapporto – vengono sottoposte a una visita medica, spogliate nude e obbligate a fare flessioni per espellere eventuali oggetti dall’ano, alla presenza del personale medico e di agenti di polizia. La visita medica si riduce alla domanda «come stai?». Niente esami, niente visite. A quel punto ogni nome diventa un numero, in quello che nel report viene definito «un evidente processo di deumanizzazione». Il racconto del trattenimento “tipo” e? caratterizzato dallo squallore dei miserrimi moduli abitativi e dei servizi, passando per la totale mancanza di igiene e privacy dei bagni per arrivare ai pasti impresentabili e farciti di vermi. Lenzuola di carta, armadietti a vista murati e senza ante, bagni e docce senza porte (solo separe? di plastica bianca, aperti in alto e in basso); l’acqua corrente, a periodi e? solo gelata o solo bollente, cartelli di “acqua non potabile” compaiono e poi scompaiono.

La retorica anti-immigrazione del governo Meloni e la deriva dei centri di detenzione
Minori tra i migranti (Ansa).

Una prigionia tra fame, crisi epilettiche e tentativi di suicidio

Nelle stanze e nel cortile il freddo e? pungente o il caldo e? asfissiante. Il cortile e? coperto da plexiglass che fa da tetto e cio? ha come risultato che e? impossibile fruire di reali spazi aperti e si crea invece un “salutare” effetto serra. E ancora, la fame, le sedie di metallo inchiodate a terra, un tavolo unto e appiccicoso, piccioni che pasteggiano sul pavimento tra gli avanzi di cibo in sala mensa, sbarre sbarre sbarre, il portone metallico pesante della prigione, che si chiude. Il dossier conduce nell’abisso della zombizzazione delle persone trattenute, abbandonate, inascoltate nelle loro necessita? e nei problemi di salute anche gravi. Nel rapporto si legge una quotidianità fatta di pugni sul portone, grida, richieste di aiuto, calci sferrati alla porta, persone sanguinanti, altre che cadono a terra, crisi epilettiche, tentativi di suicidio, ingestione di lamette, pile, tappi, incendi, fumo, migranti costretti a dormire in terra, stare male. Nessuna cura tempestiva, nessuna attenzione, nessun aiuto.

La retorica anti-immigrazione del governo Meloni e la deriva dei centri di detenzione
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (Imagoeconomica).

Persone giovani, sane e forti trasformate in zombie scoloriti

Gli avvocati parlano di persone giovani, sane e forti si trasformano in poche settimane in zombie scoloriti e disorientati dagli psicofarmaci. Accade così il capolavoro della più disumana inettitudine politica: «J.M. viene dichiarato inidoneo al trattenimento», si legge, «a seguito di visita oncologica di cui non vi e? traccia nei documenti inviatici. Il suo rilascio e? avvenuto solo dopo che il suo avvocato aveva richiesto la cartella clinica, che non gli e? stata inviata, e grazie all’intervento del Garante nazionale dei diritti delle persone private della liberta? personale. Dopo essere stato liberato, il paziente e? stato certificato come talmente grave che, ai sensi della normativa vigente, non puo? essere rimpatriato».

Costruire un Panopticon, ossia l’incarnazione della sorveglianza totale

Secondo alcune indiscrezioni pubblicate da Domani l’idea del governo sarebbe quella di realizzare strutture circolari a moduli, come le carceri. Saranno nove in tutto. Emergono anche le località selezionate da Piantedosi e Guido Crosetto: da Ferrara a Castel Volturno fino a Bolzano e Aulla in Toscana. Ciascuno costerà almeno 2 milioni di euro e avranno una forma circolare. Con moduli abitativi da assembleare e un Panopticon. Ossia l’incarnazione della sorveglianza totale. Per realizzarli ci vorranno due anni. E i costi supereranno ampiamente quelli previsti dal decreto che li istituisce. Poiché in Italia i diritti umani diventano argomento politico solo dopo la loro violazione ciò che sta accadendo è un’inchiesta che sembra venire dal futuro. Chissà se c’è qualcuno che riesce a leggerla in tempo.

L’appello della deputata Ravetto a sostenere la Lega: «Chi contribuisce di più vince una giornata con me»

La deputata della Lega Laura Ravetto ha condiviso sui social un appello rivolto ai propri fan. L’obiettivo è quello di raccogliere fondi per finanziare il suo partito. Non si tratta, però, di una semplice raccolta. La parlamentare ed ex Sottosegretaria di Stato per i rapporti con il Parlamento, infatti, ha messo in palio tre ricompense. Il premio più ambito è una giornata con lei. Un appello che, però, non tutti hanno apprezzato. Qualche utente ha infatti commentato criticandola.

Laura Ravetto: «Va bene ogni importo»

Nel video, pubblicato su X, Laura Ravetto ha parlato ai fan: «Buongiorno a tutti, oggi è il mio giorno, il giorno dedicato a me per sostenere la Lega. Se vorrete farlo vi allego l’indirizzo, qualunque erogazione liberale è detraibile al 26 per cento, va bene qualunque importo, in ogni caso grazie, grazie che mi seguite e se ritenete che io sia una delle vostre deputate preferite, se siete interessati a questi premi simbolici che faccio». Poi è passata alle ricompense: ««Chi contribuirà di più verrà con me in una redazione televisiva, il secondo farà un giro con me in Parlamento, il terzo potrà mettere sui miei social un messaggio a sua discrezione». E infine: «Se siete interessati a questo, se volete sostenerci, se credete nelle nostre battaglie, contribuite e fate una donazione».

 

Dl Caivano, Gasparri alle opposizioni: «Abbaiate e non leggete il decreto»

Sul decreto Caivano, durante le dichiarazioni di voto in Senato e l’appello nominale per convertire in legge il testo, maggioranza e opposizioni si sono scontrate ancora. Stavolta è stato l’intervento di Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia e vicepresidente di Palazzo Madama, a generare le proteste. L’ex ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, infatti, ha attaccato i senatori di minoranza durante il suo intervento: «Siete talmente impegnati ad abbaiare che non avete il tempo di leggere il decreto». Richiamato all’ordine dal presidente della seduta, il senatore leghista Gian Marco Centinaio, ha rincarato la dose: «Vorreste risolvere la questione dando a quei ragazzi la droga».

Gasparri contro tutti: «L’ostruzionismo un giochetto pretestuoso»

Gasparri ha proseguito definendo l’ostruzionismo delle opposizioni «un giochetto pretestuoso». E ha continuato con un attacco al Partito democratico e agli amministratori locali, sottolineando che «Vincenzo De Luca è il presidente della Regione Campania» e condannando «l’inerzia del Pd e di De Luca che nulla hanno fatto per Caivano». E ancora: «Grazie don Patriciello, grazie don Coluccia. Invece, don Vincenzo sta a Salerno, intento a designare parenti in giunte e parlamenti». Critiche anche per Roberto Saviano: «Se questo decreto non piace a Saviano ce ne faremo una ragione. Ha detto che va via dall’Italia? Pazienza, resteremo comunque in un numero sufficiente per mandare avanti questo Paese».

La grillina Maiorino: «Ci definisce cani perché sa di passarla liscia»

A rispondere è stata la senatrice del Movimento 5 stelle, Alessandra Maiorino: «Dice di essere esperto d’Aula, ma è esperto di insulti, sapendo di poterla passare liscia. Ci definisce cani, dicendo che abbaiamo. Lo fa perché sa di essere protetto dall’immunità parlamentare. E allora noi diciamo al presidente Gasparri, rinunci all’immunità e vediamo se sarà ancora esperto di insulti».

Pensioni, possibile intesa su Quota 103 prorogata di un anno

Dopo le recenti polemiche del ministro Matteo Salvini su Quota 104, secondo quanto appreso dall’Ansa, l’intesa sulla formula per l’uscita anticipata per la pensione sarebbe stata raggiunta su Quota 103, ma con una finestra che si differenzia tra privato e pubblico.

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I requisiti

Dalle prime informazioni, resterebbero invariati i requisiti di 62 anni di età e 41 di contributi ma, una volta raggiunti, i dipendenti privati dovrebbero aspettare 6 mesi per l’assegno mentre i pubblici 9 mesi.

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Durata

Quota 103 dovrebbe rimanere in vigore anche nel 2024, ma con delle limitazioni: per coloro che matureranno i requisiti, la pensione anticipata sarà determinata con il calcolo contributivo e «per un valore lordo mensile massimo non superiore a quattro volte il trattamento minimo previsto a legislazione vigente, per le mensilità di anticipo del pensionamento». Si tratterebbe quindi di un massimo di circa 2.250 euro secondo quanto riportato nell’ultima stesura della manovra che è ancora in fase di elaborazione.

Quando Giorgia Meloni a Belve ammetteva: «Sono molto gelosa»

Certe interviste, a riguardarle oggi, paiono un film distopico. Dopo l’esplosione del caso Giambruno, con i fuorionda di Striscia e il post con cui Giorgia Meloni ha scaricato il compagno e padre di sua figlia Ginevra, è tornata in circolazione una vecchia intervista della leader di FdI a Belve di Francesca Fagnani. Era il 2018 e l’attuale premier ammetteva candidamente di essere una persona «molto gelosa». Di più. Aveva pure confessato di controllare il telefono del fidanzato.

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Quando Meloni scherzando si diceva pronta a chiedere aiuto all’amico Salvini al tempo ministro dell’Interno

L’arrivo a Palazzo Chigi era allora quasi inimmaginabile, ma al governo Meloni poteva contare sull’alleato e amico Matteo Salvini, ministro dell’Interno. E così Giorgia ostentava una certa sicurezza spiegando che se, necessario, avrebbe persino fatto ricorso alle forze del Viminale per scoprire eventuali tradimenti. Di più: Parlando della quasi genetica propensione alle corna degli uomini e della loro incapacità di conservare i segreti aggiungeva: «Loro non sono capaci, facciamo un corso di formazione… è impossibile non beccarli. Cioè se hanno fatto qualcosa di male, tu lo sai. Perché proprio non lo sanno fare». E anche se il malcapitato provava a cancellare dal cellulare le prove non avrebbe avuto scampo: «Loro pensano “Io cancello l’sms e ho risolto…”. Bello mio, ma io comincio a farti tutta la ricerca, le telefonate fino alla settimana prima, tutte le foto…». Oppure «chiamo i servizi segreti…», diceva ridendo. «Lo dico al ministero dell’Interno, si chiama Matteo Salvini… “Matteo scusa, mi servirebbero ‘sti tabulati”». Strategie che però evidentemente non si sono rivelate efficaci. Anzi, che sono crollate davanti a un paio di fuorionda.

 

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Manovra, M5s: «Maggioranza sfarinata, siamo al tutti contro tutti»

La bozza della Manovra 2024 continua a scuotere gli animi sia dell’opposizione sia della maggioranza, con la premier Giorgia Meloni che si è scontrata con il Mef e ha fatto saltare dalla legge di Bilancio la norma che concedeva all’Agenzia delle Entrate la possibilità di pignorare direttamente i conti correnti di chi ha un debito non saldato con lo Stato. In questo contesto, dopo lo scontro alla Camera sul tema dell’educazione sessuale, il Movimento 5 stelle ha riacceso le polemiche contro il governo.

M5s: «Meloni la prima che dovrebbe aver letto i testi»

«Ricapitolando: a Salvini non piace la stretta sulle pensioni anticipate voluta da Giorgetti, che oltre a essere il ministro dell’Economia è anche il vicesegretario del suo partito. Forza Italia è pronta a fare il diavolo a quattro per eliminare l’aumento delle tasse sugli affitti brevi. Poi c’è la misteriosa norma sull’accesso del fisco ai dati dei conti correnti degli italiani: non piace a nessuno nel centrodestra, neanche a Giorgia Meloni. La quale ci risulta essere presidente del Consiglio, quindi la prima che dovrebbe aver letto i testi della legge di Bilancio», hanno tuonato i deputati M5s Emma Pavanelli, Chiara Appendino, Alessandra Todde ed Enrico Cappelletti.

I deputati: «Nessuna misura per la crescita economica»

«Ci troviamo al cospetto di una maggioranza letteralmente sfarinata, impegnata in una guerriglia interna senza quartiere di fronte a bozze che sembrano planate sul tavolo della premier quasi per caso», si legge ancora nella nota. «Al netto del tutti contro tutti e dell’indegno miscuglio di tagli e tasse, riteniamo che questa manovra abbia un altro difetto capitale: non si scorge mezza misura per favorire la crescita economica». Inoltre, «a 11 giorni dallo scoppiettante Cdm in cui la manovra è stata varata, un testo ufficiale ancora non c’è. Il modo di operare di Meloni e Giorgetti è avvilente», hanno concluso i deputati.

Marta Fascina: «Continuerò a svolgere il mio mandato parlamentare»

In un’intervista concessa in occasione dell’uscita del libro di Bruno Vespa (Il rigore e la speranza), Marta Fascina, deputata di FI ed ultima compagna di Silvio Berlusconi ha dichiarato di voler continuare a svolgere il suo mandato da parlamentare.

«Mai chiesto né aspirato incarichi di partito»

«Sono un deputato alla seconda legislatura. Come ho sempre detto, seguo e faccio politica fin da adolescente. Continuerò a svolgere il mandato parlamentare che mi hanno conferito i cittadini; la mia assenza è stata motivata da una sofferenza indescrivibile», ha dichiarato. Quanto al suo potenziale ruolo in FI, ha precisato: «Non ho mai chiesto né aspirato ad incarichi di partito. Dunque no, al momento, non immagino particolari ruoli per me».

Il dolore per la morte di Silvio Berlusconi: «Vivrò con un senso di angosciante vuoto»

Nella medesima occasione, Fascina ha anche avuto l’opportunità di parlare del compagno Silvio Berlusconi al quale è stata al fianco fino all’ultimo. «La sua improvvisa scomparsa terrena l’ho vissuta, la vivo e la vivrò con un senso di angosciante vuoto che resterà incolmabile per tutto il resto della mia vita». E rispetto alle sue intenzioni di continuare a vivere a Villa San Martino, ha aggiunto: «Ammetto che sorrido, anche se è una cosa che mi risulta difficile in questo momento, quando leggo fantasiosi articoli di stampa. La categorica smentita della famiglia Berlusconi vale più di qualsiasi infondato pettegolezzo».

Buttafuoco alla Biennale e la furia vendicativa della destra

Chissà perché, ma ogni nomina che la destra strappa ai feudi della sinistra dev’essere salutata come gli indiani quando portavano in trionfo lo scalpo del nemico. Va bene la frustrazione per essere stata sempre esclusa dalle stanze del potere, va bene quell’inconsapevole senso di inferiorità rispetto a una parte che poteva vantare intellettuali che hanno dominato il Novecento e scritto la storia culturale di questo Paese. Va bene essere underdog, definizione che piace tanto a Meloni e che i suoi hanno introiettato come rancoroso tratto distintivo. Però quell’«abbiamo infranto un altro tetto di cristallo» trionfalisticamente gridato dal fratello d’Italia Raffaele Speranzon all’indomani della scelta di Pietrangelo Buttafuoco alla guida della Biennale sembra francamente troppo anche per chi mangiato per anni solo pane, cipolle e sudditanza.

Buttafuoco alla Biennale e la furia vendicativa della destra
Raffaele Speranzon di FdI (Imagoeconomica).

L’irrefrenabile ebrezza da spoils system della destra 

Così sembra sia solo una corsa forsennata a occupare poltrone, una irrefrenabile ebrezza da spoils system, la vendetta dell’escluso che dopo tanti patimenti un giorno si ritrova in mano le chiavi del palazzo. Tanto più quando, come avvenuto con la Biennale, ci metti uno bravo sui cui anche chi milita nel campo avverso non può fare le pulci più di tanto. E infatti si inziga ma senza convinzione sul suo passato da frontista della Gioventù, ma neanche tanto visto che Buttafuoco, anarco fascista esteta, non ha mai rinnegato la fede politica. Oppure sul suo essersi convertito all’Islam, cosa che magari di questi tempi fa aggrottare anche tra i suoi sponsor più di qualche sopracciglio.

Buttafuoco alla Biennale e la furia vendicativa della destra
Pietrangelo Buttafuoco (Imagoeconomica).

Occhio che i tetti di cristallo a volte, e la Rai lo dimostra, ti crollano rovinosamente addosso

Ma lo scrittore siciliano è inattaccabile di suo. Cosa puoi rimproverare a chi coltiva una mirabile devozione verso Carmelo Bene, a chi è autore di libri raffinati e detentore di un eclettismo culturale che ben si sposa con l’interdisciplinarietà artistica della Biennale. E che la nomina a Venezia sottrae a quella pericolosa deriva da ospite di talk show che invece ha tristemente travolto il suo conterraneo Giampiero Mughini. Che poi, ammesso e non concesso che lo Speranzon abbia ragione, per un tetto di cristallo che sfondi ce ne sono tanti altri dove quel tetto ti è fragorosamente crollato addosso. Come è successo in Rai, dove le truppe della destra che l’hanno conquistata si sono rivelate poi, visto i tragici risultati di audience, platealmente incapaci a governarla.

Buttafuoco alla Biennale e la furia vendicativa della destra
Giampaolo Rossi e Roberto Sergio, dg e ad Rai (Imagoeconomica).

Il mondo va a fuoco e la politica italiana si guarda l’ombelico

Il mondo va a fuoco, ma la politica italiana è in preda a se stessa. Adriano Galliani conquista il seggio senatoriale che fu di Silvio Berlusconi battendo Marco Cappato – ha votato il 19 per cento dell’elettorato, successone! – e a Foggia l’alleanza larga, nel senso del campo largo, formata da Partito democratico, Movimento 5 stelle e Azione vince le elezioni, e giù a sinistra tutti a parlare di laboratorio, di modello da esportare. Il mondo va a fuoco, a Harvard oltre 30 associazioni studentesche filo-palestinesi si schierano contro Israele e con Hamas, suscitando un tutt’altro che piacevole dibattito a cui prendono parte anche gli autorevoli donatori ed ex studenti della prestigiosa università americana, che ha prodotto otto dicasi otto presidenti degli Stati Uniti d’America, ma la politica italiana è impegnata con le giambrunate di Palazzo Chigi. Perché il privato della presidente del Consiglio Giorgia Meloni assume inevitabilmente una dimensione pubblica, riguarda lei ma riguarda anche noialtri che stiamo qui a chiederci se dietro i fuorionda di Striscia la notizia ci sia, oltre all’anarchismo di Antonio Ricci, pure la manina dei Berlusconi, forse adontati, forse incupiti, forse solo nostalgici per i tempi in cui c’era Gianfranco Fini, qua era tutta campagna e casa Tulliani, e la destra si faceva sempre autodistruggere da vicende di famiglia. E già: Mediaset vuol dire, comunque, in qualsiasi situazione, Forza Italia. Anche senza Cav.

Il mondo va a fuoco e la politica italiana si guarda l'ombelico
Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Salvini prova a forzare la cassaforte del melonismo

Il mondo va a fuoco, non si sa se e quando Israele avvierà la sua offensiva di terra per distruggere quei terroristi di Hamas, ma Meloni è costretta a (re)imparare che di amici non ne ha; ha famiglia, ossia la sorella Arianna, ma non si può fidare di nessun altro, soprattutto degli alleati, che poi sono almeno due. C’è Forza Italia ma c’è pure la Lega, con quel Matteo Salvini segretario, vicepresidente del Consiglio e ministro dei Trasporti che vuole vendere il Colosseo, pardon, il Ponte sullo Stretto agli italiani nell’estremo tentativo di recuperare l’antico splendore della stagione 2018-2019, quando pareva che il salvinismo potesse durare vent’anni. Per qualche settimana, Salvini ha provato a rispolverare la questioncella dei migranti, che ha fatto parecchio adontare persino i sindaci di destra, i quali hanno dovuto malgrado tutto constatare che anche col destra-centro al governo la gente disperata vuole cambiare aria e salire sui barchini. Ora Salvini è già passato alle tasse, e chissà quale altro grimaldello cercherà di usare nei prossimi mesi per forzare la cassaforte del melonismo.

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Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Il Pd vuole una casa comune, ma Conte gli fa campagna contro

Il mondo va a fuoco, ma la presidente del Consiglio è costretta alla difensiva, per spingere la notte un po’ più in là, mentre si avvicinano le elezioni europee e le pulsioni proporzionaliste si fanno sentire dappertutto. Anche nella cosiddetta opposizione. Per dire, Beppe Conte fa campagna contro il Pd che invece vorrebbe, fortissimamente vorrebbe, ristrutturare la “casa comune” dei progressisti coi cinque stelle (probabilmente con il Superbonus e lo sconto in fattura). E pure il Pd ha i suoi bei problemi; Elly Schlein deve capire come sopravvivere alle Europee, alle correnti degli avversari, dunque concorrenti, ma pure alle correnti che l’hanno sostenuta al congresso, alle Primarie, e ora vorrebbero etero-dirigerla, neanche fossero in possesso dell’Unico anello del Signore degli Anelli: «Un anello per domarli, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nel buio incatenarli».

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Elly Schlein e, dietro di lei, una foto di Giuseppe Conte (Imagoeconomica).

Renzi e Calenda divisi sui quattrini e su come si sta al mondo

Il mondo continua ad andare a fuoco, ma l’ex Terzo polo continua a flagellarsi, e non passa giornata in cui Carlo Calenda non twitti contro Matteo Renzi; non passa giornata in cui quest’ultimo poi non gli scateni contro Francesco Bonifazi a social unificati per dire che il leader di Azione ha l’ossessione per Renzi, eccetera eccetera. Sembravano gli Holly & Benji della politica italiana, alla fine si sono dimostrati i due classici galli che non possono stare nello stesso pollaio, divisi sui quattrini e su come si sta al mondo. Così è, se vi pare.

Il mondo va a fuoco e la politica italiana si guarda l'ombelico
Carlo Calenda e Matteo Renzi (Imagoeconomica).

Meloni: «Pignoramento sul conto corrente? Non se ne parla»

Il pignoramento sul conto corrente per un debito non ci sarà nella Manovra 2024. È questa la rassicurazione fornita dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni dopo che aveva iniziato a circolare una bozza nella quale era prevista una forma di prelievo forzoso da parte dello Stato per i debiti contratti dai cittadini. Da Palazzo Chigi precisano che si tratta di «una delle tante bozze, ma appena vista dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni l’ha subito bloccata dicendo: “Non se ne parla, questa norma non passa“».

Meloni: «Consiglio di non inseguire i sentito dire»

La bozza della legge di Bilancio che contiene il pignoramento sul conto corrente per un debito, sarebbe dunque stata già superata da tempo, con la presidente del Consiglio che sul suo profilo Facebook ha escluso, in maniera netta, che possa verificarsi il prelievo forzoso: «Avviso ai naviganti: nella legge di bilancio NON C’È la misura che consentirebbe all’Agenzia delle Entrate di accedere direttamente ai conti correnti degli italiani per recuperare le imposte non pagate. Consiglio di non inseguire i sentito dire o documenti non ufficiali».

Palazzo Chigi: «Il governo mantiene il pieno rispetto dei diritti del contribuente e della sua privacy»

Sul tema è arrivata anche una precisazione da parte di Palazzo Chigi che in una nota recita: «La notizia secondo la quale nella Legge di Bilancio sarebbe presente una misura che consentirebbe all’Agenzia delle entrate di accedere direttamente ai conti correnti degli italiani per recuperare le imposte non pagate è totalmente priva di fondamento». E ancora: «La legge di bilancio, in coerenza con la delega fiscale approvata dal Parlamento e con la linea di fermezza nel contrasto all’evasione fiscale seguita dal governo, si limita a prevedere la possibilità di utilizzo di strumenti informatici per efficientare strumenti già esistenti utilizzati per il recupero d’importi relativi a cartelle esattoriali per le quali il contribuente non ha presentato ricorso e non ha ottenuto una sospensione giudiziale. Qualunque iniziativa di questo governo in tema di fisco garantirà sempre il pieno rispetto dei diritti del contribuente e della sua privacy in un rapporto paritetico tra Stato e cittadino».

Le ripercussioni del caso Giambruno nel governo e in Mediaset

Ora sulla faccenda dovrà depositarsi un po’ di polvere. Lasciare che passi del tempo, per ragionare a mente più fredda, meno sull’onda delle emozioni e del risentimento. Ma la vicenda Giambruno è destinata a lasciare un segno sul futuro dei rapporti nella maggioranza di governo. Nonostante le rassicurazioni prima di Pier Silvio Berlusconi e poi, pubblicamente, di Marina, Giorgia Meloni non si fiderà più del tutto di Forza Italia e, di rimbalzo, del mondo Mediaset. Di questo, nonostante la formalità delle dichiarazioni ufficiali, sono convinti molti parlamentari meloniani e forzisti.

I sospetti di Meloni su Mediaset e sull’autonomia di Ricci

Il problema è che Giorgia Meloni è un animale tutto politico: è solo la politica a muovere il mondo, non altro. Per lei, romana, cresciuta tra le sezioni di partito e i palazzi del potere, risulta inconcepibile che un’operazione come quella di Striscia la notizia sia frutto unicamente dell’intuizione di Antonio Ricci e non ci sia dietro non diciamo una “manina”, ma almeno una “sponda” dei Berlusconi o del partito. Impossibile che Ricci si sia mosso da solo e nessuno, a Cologno Monzese o ad Arcore, non fosse informato. Ma soprattutto la premier imputa al partito e ai figli del Cav, una volta andata in onda la prima puntata, di non aver mosso un dito per fermare la seconda, quella più “tosta”, determinante in quello che poi è successo col famoso post di rottura. Anche perché, si sussurra dentro FdI, se si fosse trattato solo di una questione di cuore, Giorgia se lo sarebbe anche tenuto, Andrea Giambruno. Il problema, però, è (ed era già) tutto politico. La decisione di interrompere la relazione col padre di sua figlia è stata presa unicamente per mettere al riparo la sua premiership e il suo governo dalle polemiche presenti e, soprattutto, future.

Le conseguenze del caso Giambruno sul governo e Mediaset
Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Adesso la premier deve guardarsi non solo da Salvini ma pure da Forza Italia e soprattutto dai ronzulliani

Ora, però, Meloni del partito berlusconiano non si fida più. Quel rapporto che si era andato via via consolidando con la famiglia dopo la morte del patriarca s’è dissolto nello spazio di due puntate di Striscia. E sarà impossibile recuperarlo. «Non c’è stato alcun input di colpire Mediaset o Forza Italia da parte della premier. Sottolineare che però non ci saranno trattamenti di favore per nessuno significa che, se prima poteva esserci un occhio di riguardo per il Biscione, ora quell’attenzione verrà meno. Giorgia dei forzisti non si fiderà più. D’ora in poi sarà ancora più guardinga, con due occhi davanti e due dietro…», osserva con Lettera43 un autorevole esponente del partito meloniano sotto anonimato. Che non è proprio una bella vita, perché in realtà Meloni un nemico in casa ce l’aveva già e risponde al nome di Matteo Salvini che, un giorno sì e l’altro pure, tenta di rubarle la scena creandole non pochi grattacapi. Così, se prima Meloni doveva tenere la guardia alta solo con la Lega, ora sarà costretta a farlo pure coi berluscones. Dove, tra l’altro, la fazione che non l’ha mai amata capitanata da Licia Ronzulli (che non ha dimenticato quando la “sora Giorgia” pose il veto al suo ingresso nell’esecutivo) ha rialzato la testa e chiede un partito più combattivo, sul “modello Lega”, non più sdraiato su Palazzo Chigi. Vedremo come e dove questo nuovo sentimento anti-forzista della Presidente del consiglio si manifesterà nei prossimi mesi.

Le conseguenze del caso Giambruno sul governo e Mediaset
Mauro Crippa, capo dell’Informazione Mediaset (Imagoeconomica).

A Cologno Crippa finisce sotto accusa per la promozione di Giambruno alla conduzione

Poi c’è Mediaset. Qui se il caso Giambruno è stato risolto facendolo sparire dal video, in una “caliente” riunione tra azienda e vertice dell’informazione si è discusso del perché a un personaggio simile sia stata affidata la conduzione di un programma. E sotto accusa è finito il potente capo dell’Informazione, Mauro Crippa. Che però, in questo caso, a quanto pare si sarebbe limitato a eseguire ordini provenienti dall’alto. Una volta siglata la pax tra Marina e Giorgia nel gennaio scorso, infatti, era nell’ordine delle cose che l’azienda avrebbe dovuto accontentare il first gentleman, suo dipendente. E il suo unico desiderio era condurre un programma. Così è stato. Ma il caso Giambruno è stata l’occasione anche per fare un minimo di auto coscienza su questo inizio di stagione. Perché se la Rai è in crisi nera di ascolti, Mediaset non può certo brindare a champagne. Se Paolo Del Debbio, Mario Giordano e Gianluigi Nuzzi tengono piuttosto bene, Pomeriggio 5 con Myrta Merlino, Stasera Italia di Nicola Porro e la versione week end con Augusto Minzolini sono un disastro. E pure Bianca Berlinguer non ha portato i risultati sperati: partita col botto, s’è assestata sui numeri risicati che faceva in Rai, ben al di sotto di Giovanni Floris. Insomma, qualche problemino a Cologno c’era già. Poi è arrivata pure la ciliegina Giambruno, che ha fatto pure perdere una vagonata di milioni al titolo in Borsa (per l’esattezza 151 in 48 ore).

Scuola, Valditara firma i decreti: 30 mila nuovi docenti e concorsi annuali

Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha firmato i provvedimenti con cui sono state stabilite le regole per i prossimi concorsi rivolti ai docenti. La ratifica è arrivata dopo il parere positivo della Commissione europea, che ha ricevuto dal Mim i documenti e li ha approvati senza alcuna osservazione. I primi due bandi, per infanzia, primaria e scuola secondaria, saranno per circa 30 mila posti. I successivi concorsi, invece, serviranno a raggiungere il target Pnrr di 70 mila unità.

Valditara: «Vogliamo valorizzare il ruolo dei docenti»

Soddisfatto il ministro Valditara, che ha dichiarato: «Con questi decreti prosegue l’impegno del ministero nel valorizzare il ruolo dei docenti e potenziare la formazione dei nostri studenti. Vogliamo fornire loro tutti gli strumenti per proseguire con profitto gli studi universitari e accedere con facilità al mercato del lavoro». I decreti riguardano gli insegnanti di ogni disciplina, compreso il sostegno. I concorsi saranno indetti a cadenza annuale su base regionale per garantire di anno in anno la copertura dei posti che si renderanno disponibili.

Pnrr, dal 6 novembre lo sportello per l’edilizia scolastica

Il ministro ha parlato anche dei tanti interventi di edilizia nelle scuole legati proprio ai fondi Pnrr. A margine del Salone della Giustizia a Roma, Valditara ha annunciato: «Il 6 novembre sarà attivo lo sportello per tutti gli interventi di edilizia Pnrr, cioè asili e non solo, a disposizione degli enti locali che potranno contattare in presenza e online il Ministero per essere assistiti e aiutati nello sviluppo della progettualità delle opere».

Sgarbi non presiederà la giuria di Miss Italia

Vittorio Sgarbi non presiederà la giuria di Miss Italia. La decisione è stata annunciata alla patron del concorso di bellezza, Patrizia Mirigliani. Il sottosegretario alla Cultura, attualmente al centro delle polemiche per le consulenze retribuite durante il suo incari al ministero, non parteciperà quindi alla manifestazione. Miss Italia si terrà dal 7 all’11 novembre a Salsomaggiore Terme. Sgarbi avrebbe avuto un ingaggio da 10 mila euro.

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Mirigliani: «Non sarà con noi»

Durante una conferenza stampa alla Camera in cui ha promosso il concorso, Patrizia Mirigliani ha spiegato: «Sgarbi era stato contattato diverso tempo fa. Ci sono state delle interlocuzioni fra noi, ma non hanno avuto un seguito recente e a oggi ritengo che non sarà con noi. Era stato scelto in giuria per la sua capacità di saper raccontare la bellezza, ma la sua presidenza non è confermata». A rincarare la dose è stato anche il deputato di Fratelli d’Italia, Fabio Petrella, che ha dichiarato: «Per lui Miss Italia finisce qui».

Sgarbi non presiederà la giuria di Miss Italia
Patrizia Mirigliani e Fabio Petrella (Imagoeconomica).

L’avvocato di Sgarbi aveva ironizzato sull’incompatibilità

Proprio sulla sua partecipazione a Miss Italia in qualità di presidente della giuria, è intervenuto nei giorni scorsi anche l’avvocato di Sgarbi. Il legale ha ironizzato, dichiarando: «Meraviglioso è pensare che vi sia incompatibilità tra la funzione di sottosegretario e quella di presidente della giuria di Miss Italia. È inopportuno per ragioni di prostata?».

Educazione sessuale nelle scuole, scontro alla Camera: Sasso definisce la proposta «una porcheria»

Alla Camera si sta discutendo la proposta di legge sulla violenza di genere. Tra le norme previste, ci sarebbe anche l’introduzione dell’educazione affettiva e sessuale nelle scuole, a partire già dalla scuola materna. L’emendamento porta la firma del Movimento 5 stelle ed è stato condiviso dal centrosinistra. Ma il tema ha generato non poche polemiche durante il dibattito dopo che il leghista Rossano Sasso ha definito «una porcheria» la proposta, attaccandola e dichiarando che bisognerà «fare muro».

Sasso: «Faremo muro contro questa nefandezza»

Il deputato della Lega Rossano Sasso ha dichiarato: «Vorrei dire alla sinistra e in particolare al M5S che fino a fine legislatura noi faremo muro contro quella che definisco una nefandezza. Il 25 settembre dello scorso anno abbiamo vinto noi le elezioni e legiferiamo noi. Voi potete decidere se votare insieme a noi ma non inserendo l’educazione sessuale». E poi ha concluso con un attacco diretto: «Se il Pd, le sinistre i 5 Stelle intendono fare educazione sessuali liberi di farlo nelle loro sedi di partito. Vediamo quanti mamma e papà porteranno lì i loro figli».

Educazione sessuale nelle scuole, scontro alla Camera Sasso definisce la proposta «una porcheria»
Rossano Sasso (Imagoeconomica).

La risposta delle opposizioni: «Preistoria finita 4 mila anni fa»

Immediate le reazioni dei partiti di centrosinistra. Angelo Bonelli, deputato di Avs e portavoce di Europa Verde, ha criticato il collega leghista: «Definire un emendamento una nefandezza è inaccettabile. Non siamo a Kabul ma nella Repubblica italiana. Sasso ci riporterà all’oscurantismo». E lo stesso ha fatto Anna Laura Orrico del M5s: «Se c’è una cosa degradante in Italia, è che nel nostro Paese l’89 per cento dei nostri ragazzi imparino che cosa sia il sesso da YouPorn. Le famiglie non possono essere lasciate sole. La Preistoria è finita 4 mila anni fa».

Fratelli d’Italia spacca la maggioranza

Non tutto il centrodestra è d’accordo. Fratelli d’Italia spacca la maggioranza con le parole di Ciro Maschio, che ha raccolto anche gli applausi delle opposizioni. «Mi dissocio completamente dall’intervento del collega Sasso, come presidente di commissione e come relatore del provvedimento», ha dichiarato. E ha proseguito: «Ritengo fuori luogo come sono stati apostrofati e commentati i legittimi emendamenti delle opposizioni e rivolgo un appello a non cadere nelle provocazioni e non vanificare il lavoro fatto». Infine l’appello a «deporre le armi del confronto acceso in aula».

Educazione sessuale nelle scuole, scontro alla Camera Sasso definisce la proposta «una porcheria»
Ciro Maschio (Imagoeconomica).

Profilo di Alberto Barachini, il sottosegretario delle polemiche

Sembra sanato il qui pro quo che ha irritato la premier Giorgia Meloni e che è parso figlio di una maldestra gestione della comunicazione interna al governo. Sono arrivate le scuse da parte dell’interessato, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria Alberto Barachini, e la situazione dovrebbe essersi ricomposta. Eppure gli strascichi velenosi non si fermano, dato che Barachini è da sempre uomo Mediaset e in questo momento si sa che i rapporti tra Chigi e il Biscione non sono esattamente idilliaci. Se Matteo Salvini ha condiviso le perplessità della leader di Fdi sull’opportunità di mettere l’85enne Giuliano Amato a capo della nuova “commissione algoritmi” per lo studio dell’impatto dell’Intelligenza artificiale nell’editoria e nell’informazione, l’altro vicepremier, Antonio Tajani, ha provato a calmare definitivamente le acque: «Mi pare che la questione si sia conclusa». In ogni caso, la scelta di Barachini rimane criticatissima nel merito. Sembra l’ennesima manifestazione di una cultura gerontocratica tutta italiana quella per cui si affida all’anziano Amato, malgrado le sue recenti attività sulla materia, la guida della task force per l’analisi delle ricadute dell’Ia, mentre nel Regno Unito, per fare un esempio, se ne occupa un ingegnere 38enne.

Le polemiche per la sua elezione alla presidenza della Vigilanza Rai

D’altronde il normalmente misurato Barachini è abituato ad affrontare le polemiche. Come quando nel 2018 venne eletto al terzo scrutinio presidente della Vigilanza Rai. Alla maggioranza del tempo, soprattutto al M5s, parve inopportuno che a un giornalista Mediaset andasse quella poltrona, ma l’allora senatore azzurro cercò di svolgere con diligenza il suo compito, anche se poi gli scontri non sono mancati. Come quando, nel 2020, decise di mandare a nome proprio, e non della commissione, la lettera alla Rai in cui chiedeva un riequilibrio a favore di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, attaccati frontalmente dal premier dell’epoca Giuseppe Conte in conferenza stampa, trasmessa in diretta, per le loro parole circa l’atteggiamento dell’esecutivo in merito al Mes.

Profilo di Alberto Barachini, il sottosegretario delle polemiche
Gennario Sangiuliano e Alberto Barachini nel 2019 (Imagoeconomica).

Gli anni al Biscione, la politica e l’arrivo a Palazzo Chigi imposto da Berlusconi

Figlio del commercialista e manager Enrico Barachini, pisano, 51 anni e tre figli, una laurea in Lettere moderne, Alberto inizia la carriera giornalistica in Toscana, al Tirreno. Già nel 1999 arriva a Mediaset e cresce sotto l’ala protettiva di Emilio Fede al Tg4. Segue la politica italiana, ma ama molto gli esteri. Successivamente, diviene caporedattore centrale di Tgcom24 e si impone quale volto tivù conducendo approfondimenti giornalistici come Checkpoint. Nel 2002 vince pure il premio giornalistico Indro Montanelli con un reportage sull’Albania. Nel frattempo la carriera politica lo seduce: Forza Italia è il suo luogo naturale. Senatore alla seconda legislatura, si è sempre occupato di comunicazione, fino all’elezione quale presidente della Vigilanza cinque anni fa, appunto. È stato anche tesoriere del gruppo di Fi al Senato, ma con l’avvento della destra al governo Barachini è stato mandato a Chigi per gestire i dossier che riguardano l’informazione italiana, fortemente voluto e imposto da Silvio Berlusconi contro le resistenze di Meloni.

Profilo di Alberto Barachini, il sottosegretario delle polemiche
Alberto Barachini e Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

I mal di pancia dopo la creazione del Garante contro le fake news

Ruolo non facile nell’era del nuovo potere politico che cerca, con intento esplicito e dichiarato, di ribaltare la narrazione del Paese prendendosi la Rai, attaccando frontalmente la stampa considerata nemica, riempiendo di querele, ad esempio, un programma come Report. L’uomo del Biscione alla Presidenza del Consiglio cerca di muoversi con prudenza e moderazione, ma anche lui è incappato in pesanti scontri come quando, nel Dpcm di riforma delle agenzie di stampa, è stata introdotta la discussa e discutibile figura del Garante adibito a sorvegliare la qualità dell’informazione contro le fake news. Una misura indirettamente bacchettata addirittura dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, che l’estate scorsa ha ribadito come «l’autenticità dell’informazione è affidata, dalle leggi, alla professionalità e alla deontologia di ciascun giornalista», per cui «sarebbe fuorviante e contraddittorio con le stesse disposizioni costituzionali immaginare che organismi terzi possano ricevere incarico di certificatori della liceità dei flussi informativi». Barachini allora ha cercato di correggere il tiro: «Si tratta di un presidio collaborativo rispetto agli organi di direzione dell’agenzia, che mantengono impregiudicate le proprie competenze, funzioni e responsabilità, così come ogni giornalista conserva inalterati il proprio ruolo, i propri doveri deontologici e la propria responsabilità giuridica». Insomma, «una figura di supporto, priva evidentemente di poteri autorizzativi». Sarà, ma intanto i mal di pancia in seno al mondo dell’informazione non si placano. Ora gli tocca la patata bollente dell’Intelligenza artificiale, provando a scongiurare il rischio che Meloni lo prenda di mira per intelligenza con il nemico.

Pietrangelo Buttafuoco designato da Sangiuliano presidente della Biennale

Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha designato Pietrangelo Buttafuoco come presidente della Fondazione La Biennale di Venezia. La proposta di nomina è stata inviata a Camera e Senato e ora le commissioni Cultura di Montecitorio e Palazzo Madama dovranno esprimere il proprio parere entro il 14 novembre. Scrittore, giornalista e già presidente del Teatro Stabile di Catania, Buttafuoco prenderà così il posto di Roberto Cicutto scelto nel 2020 per guidare la Biennale dall’allora ministro Dario Franceschini. La sua carica era in in scadenza con il Cda il prossimo febbraio.

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Speranzon (FdI): «Con Buttafuoco alla Biennale è stato infranto un altro tetto di cristallo»

«Con la designazione da parte del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, di Pietrangelo Buttafuoco come presidente della Fondazione La Biennale di Venezia è stato infranto un altro tetto di cristallo», ha commentato in una nota Raffaele Speranzon, vicecapogruppo vicario dei senatori di Fratelli d’Italia. «Spesso», ha aggiunto Speranzon, «la Fondazione La Biennale è stata considerata dalla sinistra un feudo in cui collocare amici e accoliti. Buttafuoco, finalmente, afferma un cambio di passo che il governo Meloni vuole imprimere in ogni sede culturale e sociale della nazione: solo personalità scelte per lo spessore, la competenza e l’autorevolezza. A Buttafuoco vanno le mie vive congratulazioni ed i miei migliori auguri di buon lavoro».

Sgarbi è la foglia di fico sull’ipocrisia di politica e tivù

Vittorio Sgarbi ha universale nomea di valente critico d’arte, nonché fine esegeta di quadri di cui svela l’attribuzione spesso incerta. Ora però è impegnato con un altro quadro, il suo, che dopo le rivelazioni del Fatto Quotidiano e l’imbarazzo del governo risulta piuttosto precario. Il casus belli è quello di partecipazioni e consulenze a pagamento che andrebbero a confliggere col suo ruolo istituzionale di viceministro alla Cultura. In più, visto che le disgrazie non vengono mai da sole, si è aggiunta l’accusa di aver evaso oltre 700 mila euro di tasse. Se persino il di solto placidissimo Gennaro Sangiuliano ha sbottato, vuol dire che la vicenda è seria, e anche che il titolare dei Beni culturali ha agito con l’avallo di Giorgia Meloni, senza il quale solitamente non muove foglia. I maligni, e ce ne sono molti in giro, sostengono che la mano che ha passato al Fatto l’elenco delle prestazioni di Sgarbi appartenga alla sua cerchia. Così come quella che avrebbe spifferato a La Verità l’elenco di film italiani finanziati dallo Stato pur essendo stati visti solamente dai parenti, cosa che ha indotto il ministro a scrivere quella lettera al caro Giancarlo (Giorgetti, ndr) in cui accondiscendeva alla sua richiesta di stringere la cinghia tagliando il fondo per il cinema. E facendo così un dispetto a Lucia Bergonzoni, sottosegretaria al ministero con più governi, compreso questo, per cui soldi, leggi, prebende e ricchi premi che girano intorno alla settima arte sarebbero di sua assoluta prerogativa.

Sgarbi è la foglia di fico sull'ipocrisia di politica e tivù
Vittorio Sgarbi (Imagoeconomica).

«Chiamiamo Sgarbi e buttiamola in caciara» è sempre l’ultima spiaggia

Ma torniamo a Sgarbi, e alla tempesta che con la consueta nonchalance sta attraversando convinto ancora una volta (non crediamo, ma magari ha ragione) di sfangarla. Sin da quando ha fatto le sue prime apparizioni al Maurizio Costanzo show, dove ha costruito la sua metamorfosi da esperto d’arte a onnisciente personaggio televisivo, il critico è considerato dallo stagno politico in cui sguazza, ossia il centrodestra nelle sue variegate forme, un male necessario. Ha modi irritanti, è incontrollabile, umorale, gli piace infilarsi in tutte le situazioni aggrovigliate perché, parafrasando Tony Curtis in Operazione sottoveste, nelle acque torbide si pesca meglio. Eppure sembra che senza di lui non si possa stare, perché è un catalizzatore di interesse e consensi. Per la televisione è panacea, l’ultima spiaggia per rianimare talk show dallo share esangue, perché si sa che quando sbrocca (e capita quasi sempre) l’audience si impenna. «Chiamiamo Sgarbi e buttiamola in caciara» è l’ultima spiaggia di autori che non sanno più a che santo votarsi. Una volta funzionava sempre, adesso di meno. In qualche caso per nulla, come dimostra Avanti Popolo, l’imbarazzante programma di Nunzia De Girolamo, a cui pur sciorinando il suo strepitante repertorio non è riuscito a portare giovamento.

Mostre e convegni lo usano per attrarre media altrimenti indifferenti

Stessa cosa quando lo invitano ogni tre per quattro a inaugurare mostre o presenziare convegni. Si chiama Sgarbi convinti che sarà un volano di risonanza, che qualche sua escandescenza indurrà media altrimenti indifferenti all’evento a parlarne. Sgarbi quindi è la foglia di fico dietro cui si ripara l’ipocrisia del politico o del conduttore. Lo si prende per un solo scopo, aumentare consenso e interesse grazie alla sua epifanica apparizione, e quando poi lo si raggiunge se ne biasimano parole e comportamenti. E chi smaschera l’ipocrisia, consapevole o meno, non può che essere un portatore sano di virtù.

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