Marina Berlusconi contro le Big Tech: "Troppo potere, minacciano la democrazia"
La presidente di Fininvest e Mondadori, ha pubblicato una lettera sul "Corriere della Sera". Cita Jacques Ellul per evidenziare come le prime cinque aziende tecnologiche abbiano un PIL superiore all'area euro, un potere che travalica l'economia

Marina Berlusconi, presidente di Fininvest e Mondadori, ha pubblicato una lettera sul Corriere della Sera per denunciare il potere incontrastato delle Big Tech, con un duro atto d’accusa contro la loro influenza economica, culturale e politica, priva di responsabilità editoriali. Nel contesto mondiale attuale, segnato da conflitti e manipolazioni digitali, sottolinea come libertà e democrazia siano valori isolati ma essenziali.
Cita Jacques Ellul per evidenziare come le prime cinque aziende tecnologiche abbiano un PIL superiore all’intera area euro, esercitando un potere che travalica l’economia.
Berlusconi denuncia la concorrenza sleale tra editoria tradizionale e piattaforme digitali: mentre gli editori rispettano norme fiscali e tutelano l’occupazione, le Big Tech agiscono in un sistema opaco, dominando due terzi del mercato pubblicitario globale. Definisce questo come un mercato senza regole e senza cura delle conseguenze sociali e culturali. Inoltre, mette in guardia dalla funzione politica crescente delle piattaforme, che agiscono come attori in grado di adattarsi ideologicamente, passando con disinvoltura dal "wokismo al trumpismo", alimentando polarizzazione, intolleranza e crisi del dialogo democratico.
La presidente accusa queste piattaforme di favorire fake news, odio e radicalizzazione, in assenza di regolamentazioni efficaci, dove l’unico obiettivo è massimizzare i clic. Questo scenario genera un «brodo culturale» di divisioni e manipolazioni che mina la coesione sociale e la comprensione pubblica.
Nonostante le critiche severe, Berlusconi ripone fiducia nell’Europa, appoggiando il Digital Package 2016-2024 ma esortando la Commissione europea a non arretrare nelle regolamentazioni. Regolare il digitale è per lei un dovere civico per proteggere la democrazia. Riprende infine un richiamo a "Fahrenheit 451" di Ray Bradbury, sottolineando il valore del sapere critico e dei libri come baluardo contro ogni forma di manipolazione digitale, invitando a preservare nel mondo digitale “isole di saggezza e intelligenza umana”.
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Il testo integrale della lettera al Corriere
“Caro direttore, c'è un rumore di fondo che attraversa il nostro tempo: guerre, radicalismi, intolleranze, manipolazione digitale... Dentro quel rumore la libertà e la democrazia sembrano spesso voci isolate, ma sono le uniche che vale la pena continuare ad ascoltare. E sono voci che chi come noi fa informazione e cultura deve sostenere, proteggere, amplificare”.
“Oggi le prime cinque BigTech assieme – Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon – sono arrivate a superare il PIL dell’area euro. Ma attenzione: ridurre tutto ai valori economici non basta, il potere dei giganti della tecnologia va ben oltre. È un potere che rifiuta le regole, cioè la base di qualsiasi società davvero funzionante. Noi editori tradizionali paghiamo le tasse, rispettiamo le leggi, tuteliamo il diritto d’autore e i posti di lavoro – basti pensare che in Italia le piattaforme occupano appena un trentesimo dei lavoratori del settore”.
“Eppure quasi due terzi del mercato pubblicitario globale vengono inghiottiti dai colossi della Silicon Valley, che fanno esattamente il contrario: per dirla con il titolo del saggio firmato dalla ex-Meta Sarah Wynn-Williams, sono Careless People, “gente che se ne frega”. È concorrenza sleale bella e buona. Ben venga, dunque, il Digital Package varato dall’UE tra il 2016 e il 2024 a tutela degli utenti delle piattaforme. Per Donald Trump va smantellato, perché è un ostacolo: in teoria al progresso, più realisticamente al profitto, che, sia ben chiaro, è fondamentale: da imprenditore non sarò certo io a negarlo”.
“Sono convinta che un mercato sia veramente libero solo quando risponde a regole. Non troppe e soprattutto giuste – in questo l’Europa spesso inciampa. Mi auguro davvero che sul digitale la Commissione non indietreggi, anche – e forse soprattutto – alla luce della enorme capacità di influenza culturale nelle mani di BigTech. Non è più solo un problema degli editori, riguarda tutti”.
“A differenza dei media tradizionali, le piattaforme prosperano in un far-west dove nessuno risponde di quello che ha scritto, l’importante sono i clic. E così si solleva la marea delle fake news, del linguaggio d’odio, del rifiuto delle opinioni diverse. In sintesi, il brodo culturale della polarizzazione e della radicalizzazione, in cui affoga purtroppo anche la politica”.
“L’intreccio tra politica e BigTech negli Stati Uniti è sotto gli occhi di tutti e porta enormi vantaggi a un Paese che della tecnologia ha bisogno per affrontare le sfide geopolitiche. Lo sappiamo, ma è bene ricordarlo: questi colossi non sono più solo aziende private, sono attori politici. Con una differenza sostanziale rispetto a chi fa politica di mestiere: i padroni della Silicon Valley restano sempre al loro posto. Grazie a una buona dose di ipocrisia, sono passati dal wokismo al trumpismo con la disinvoltura di un cambio di felpa. Del resto, nell’era della polarizzazione si sbanda da un eccesso all’altro. Ma intanto libertà e democrazia rischiano di finire stritolate nella morsa degli opposti, che distrugge il dialogo e alimenta l’intolleranza”.
“La tecnologia ha portato enormi miglioramenti in molti aspetti della nostra vita, tanto che siamo disponibili a barattarne le comodità con i nostri dati personali, sottovalutandone le dirompenti conseguenze. Eppure, davanti a certe derive inquietanti, la domanda s’impone: cosa possiamo fare? I regolatori devono garantire norme eque. La politica deve impedire eccessive concentrazioni di potere. Ma cosa può fare un editore per evitare che il treno deragli? Certamente non miracoli, ma può sempre dare un piccolo aiuto a chi vuole capire come è fatto, quel treno, in quale direzione corre. E dove la curva dei binari è più pericolosa”.
“Mi viene in mente Fahrenheit 451: nel 1953 Ray Bradbury immaginava un futuro dove un regime totalitario brucia i libri perché sono i migliori custodi della memoria, fanno ragionare la gente e quindi creano dissenso. Fortunatamente il presente è ben diverso – per lo meno nel nostro Paese – eppure, anche nel regime digitale, c’è sempre bisogno del racconto di un buon libro: ci rende più critici e consapevoli, meno vulnerabili alla manipolazione. La responsabilità principale di chi fa il mio mestiere, in fondo, sta tutta qui. Nel garantire che quel meraviglioso racconto possa continuare, con la massima libertà. Basterà? Non mi faccio illusioni. Ma almeno, nel mare dei social e dell’intelligenza artificiale, resterà qualche isola di saggezza e di intelligenza umana”.
Fonte: www.rainews.it