Daily Archives: 22 Novembre 2023

Sciopero dei trasporti del 27 novembre, Salvini pronto a intervenire per «ridurre i disagi»

Potrebbe non essersi concluso lo scorso 17 novembre il braccio di ferro tra i sindacati e il ministro Matteo Salvini, quando in occasione dello sciopero nazionale indetto da Cgil e Uil il vicepremier aveva deciso di precettare la mobilitazione riducendone l’orario. Per lunedì 27 novembre è previsto un nuovo sciopero che coinvolgerà i trasporti, proclamato dalle organizzazioni sindacali di base UsbCup, Sgb, Orsa, Adl, CobasDal Cobas. E dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti fanno sapere che gli uffici sono già impegnati «per ridurre al massimo i disagi dei cittadini in vista dello sciopero generale dei trasporti proclamato in tutta Italia per il prossimo lunedì, complicando la ripresa della settimana lavorativa».

Le ragioni dello sciopero del 27 novembre

Le ragioni della mobilitazione sono le stesse delle precedenti: la richiesta di aumenti salariali, miglioramento delle condizioni di lavoro e stop alle privatizzazioni. I sindacati protestano inoltre contro l’abbassamento dei livelli di sicurezza del personale, l’aumento dei ritmi di lavoro e le deroghe alla contrattazione, come si legge sul sito del sindacato Cobas. A differenza dello sciopero del 17 novembre a cui i dipendenti di Atm a Milano non avevano potuto aderire in quanto avevano già scioperato la settimana prima, questa volta anche il servizio di trasporto pubblico milanese potrebbe fermarsi.

Come Milei può stravolgere l’agenda della Cina in Argentina e in tutta l’America Latina

A ottobre del 2023 il presidente uscente dell’Argentina, Alberto Fernández, visitava Pechino salutando la Cina come una «vera amica». Durante il suo mandato si era speso in prima persona per rafforzare i rapporti con il Dragone su più fronti, dall’economia alla tecnologia, e nel febbraio 2022 aveva fatto aderire il suo Paese alla Nuova via della seta. In tempi più recenti si era persino travestito da traghettatore per portare Buenos Aires nel gruppo dei Brics. L’irruzione di Javier Milei alla Casa Rosada minaccia ora di stravolgere l’assetto economico e geopolitico del sistema argentino. Quello stesso sistema plasmato dai suoi predecessori, e orientato in maniera evidente verso la Cina nel tentativo di risolvere i cronici debiti nazionali.

Come Milei puo? stravolgere l’agenda della Cina in Argentina e in tutta l'America Latina
L’ex presidente argentino Alberto Fernandez stringe la mano al leader cinese Xi Jinping a Pechino (Getty).

Il neo leader, un anarco capitalista, ultra liberista e feroce oppositore del comunismo, ha passato la sua campagna elettorale dicendo che, in caso di vittoria, non avrebbe mai negoziato con i comunisti. Al contrario, ha espresso la volontà di legare il destino argentino a quello degli Stati Uniti, con tanto di proposta di dollarizzazione dell’apparato economico nazionale.

Milei sarà solo un populista di facciata o diventerà alfiere di Washington?

La Cina ha studiato con attenzione Milei, ma deve ancora capire se, da qui ai prossimi anni, si ritroverà a che fare con il classico politico generato dalla tradizione populista sudamericana – e cioè uno di quei personaggi appariscenti e ruspanti agli occhi del popolo, ma razionale e realista dietro le quinte – oppure con un ferreo alfiere di Washington. Nell’ultimo caso, sarebbe un bel problema per Pechino. Che, temendo il decoupling argentino, ha pensato bene di inviare un messaggio al neo presidente del Paese.

Come Milei può stravolgere l’agenda della Cina in Argentina e in tutta l'America Latina
Milei vuole la dollarizzazione del sistema economico argentino (Getty).

Minacce dalla futura ministra degli Esteri Diana Mondino

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha dichiarato che lo sviluppo delle relazioni bilaterali con l’Argentina ha mostrato un buono slancio e che sarebbe un «grave errore» per Buenos Aires tagliare i legami con Paesi come Cina e Brasile. Le prospettive però non sono affatto rosee. Perché mentre Mao ripeteva che «le due parti hanno una forte complementarità economica e un enorme potenziale di cooperazione», Diana Mondino, economista destinata a diventare ministra degli Esteri del governo Milei, dichiarava invece che l’Argentina avrebbe smesso di interagire proprio con il gigante asiatico. Una minaccia aggravata da altre dichiarazioni di Milei, che nelle ultime settimane ha paragonato il governo cinese a un assassino e affermato che «il popolo cinese non è libero».

Come Milei puo? stravolgere l’agenda della Cina in Argentina e in tutta l'America Latina
Diana Mondino.

I numeri dell’economia argentina sono disastrosi

Fin qui la politica parlata. Poi ci sono i numeri dell’economia argentina che raccontano una situazione disastrosa. E che potrebbero spingere Milei a non tagliare i rapporti con Pechino. Le casse del governo e della banca centrale di Buenos Aires sono vuote, l’inflazione viaggia attorno al 143 per cento, il debito pubblico sfiora i 420 miliardi di dollari e il tasso di povertà è galoppante (a settembre ha raggiunto il 38,9 percento, circa 18 milioni di persone, il dato più alto in 17 anni). Non è finita qui, perché l’Argentina deve gran parte dei suoi debiti, 44 miliardi di dollari, al Fondo monetario internazionale, che nel recente passato ha più volte offerto prestiti al Paese latinoamericano.

Come Milei puo? stravolgere l’agenda della Cina in Argentina e in tutta l'America Latina
In Argentina la povertà è una condizione che riguarda circa 18 milioni di persone (Getty).

Default nazionale evitato pagando l’Fmi con lo yuan, la valuta di Pechino

Per alleggerire questa situazione, i predecessori di Milei hanno chiamato in causa la Cina, ben felice di consolidare la sua presenza in una nazione situata nel cortile di casa degli Stati Uniti. La banca centrale argentina, il Banco Central de la Repùblica Argentina, grazie anche a un accordo con l’omologa cinese, la People’s Bank of China, era fin qui riuscita ad evitare il default nazionale pagando l’Fmi con lo yuan, la valuta di Pechino. Soltanto a ottobre, Pechino aveva poi messo a disposizione dell’Argentina 6,5 ??miliardi di dollari da una linea di swap valutario condivisa con la Cina, che complessivamente ammonta a 18 miliardi di dollari.

Verso la Cina esportazioni pari a quasi 8 miliardi di dollari

La Cina è il secondo partner commerciale dell’Argentina dopo il Brasile. Nel 2022 ha importato da Pechino beni per un valore di circa 17,5 miliardi di dollari e dirottato oltre la Muraglia esportazioni pari a quasi 8 miliardi di dollari. Il settore agroalimentare argentino svolge un ruolo di primo piano in questo rapporto, con il 92 per cento delle esportazioni di soia e il 57 per cento delle spedizioni di carne di Buenos Aires inviate verso la Repubblica popolare cinese nello stesso anno.

Come Milei può stravolgere l’agenda della Cina in Argentina e in tutta l'America Latina
Javier Milei con la motosega (Getty).

Investimenti del Dragone: nucleare, litio, nuove tecnologie

Sul fronte opposto, il Dragone ha effettuato notevoli investimenti in Argentina. Per esempio nello sviluppo della centrale nucleare di Atucha III, in parchi solari ed eolici (citiamo il Cauchari e il Portero del Clavillo-El Naranjal), nel settore dell’energia (fresca l’intesa per consentire al colosso cinese State Grid di operare sulla rete elettrica della Grande Buenos Aires), nel comparto minerario (in primis la crescente industria locale del litio) e nelle nuove tecnologie (Huawei è in prima linea per il 5G). I dossier che uniscono l’Argentina alla Cina sono dunque tanto numerosi quanto scottanti. Certo, a Pechino non fa alcuna differenza chi sia l’inquilino della Casa Rosada, a patto però che i progetti congiunti possano continuare. Ma con Milei in carica l’agenda del Dragone in Argentina – e da qui in tutta l’America Latina – potrebbe subire una inaspettata battuta d’arresto.

Aggressione sessuale a Milano: ragazza di 19 anni si salva con il gesto delle dita

Una ragazza di 19 anni è stata aggredita sessualmente a Milano in piazza della Scala, ma per fortuna è riuscita a salvarsi con il gesto antiviolenza delle dita. A comprendere il messaggio di aiuto della giovane è stata una dipendente del McDonald’s, che ha immediatamente contattato la polizia, la quale ha arrestato in flagranza un ragazzo di 23 anni che ora dovrà rispondere dell’accusa di violenza sessuale.

La ragazza è entrata al fast food con la scusa di andare in bagno

Il gesto antiviolenza, diffuso sui social, consiste nell’alzare la mano, come se si stesse salutando qualcuno, con il pollice che tocca il palmo e le altre quattro dita che si chiudono. Il signal for help ha permesso alla ragazza di salvarsi. Poco dopo la mezzanotte, la 19enne – a Milano per un concerto – ha incontrato un gruppo di ragazzi sconosciuti in piazza della Scala e si è intrattenuta a parlare con loro per qualche minuto. Poi è rimasta sola con il 23enne che avrebbe iniziato ad avere nei suoi confronti un comportamento insistente, sia verbale che fisico, per convincerla ad andare a casa con lui. La ragazza però è riuscita ad entrare nel vicino McDonald’s con la scusa di dover andare in bagno e, in questo frangente, ha rivolto il gesto ad una dipendente del fast food che le ha fornito assistenza.

Signal for help
Signal for help (X).

La polizia ha arrestato il 23enne

Dopo l’allarme lanciato dalla dipendente del fast food, sul posto sono intervenuti gli agenti del commissariato Scalo Romano che hanno intercettato la ragazza e il 23enne all’altezza delle colonne di San Lorenzo grazie alla descrizione fornita. Il 23enne è stato arrestato in flagranza con l’accusa di violenza sessuale.

Filippo Turetta, i genitori: «Non siamo una famiglia patriarcale, qualcosa nella sua testa non ha funzionato»

I genitori di Filippo Turetta, il 22enne accusato di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin e in stato di fermo in Germania, sono stremati dal dolore e dalla stanchezza. Martedì 21 novembre sono entrati nella canonica della chiesa di Torreglia, sui Colli Euganei, e hanno avuto un lungo dialogo con don Franco Marin per trovare una risposta al gesto del figlio. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Nicola ed Elisabetta difendono la loro posizione e i valori con i quali hanno cresciuto il ragazzo. «Non siamo talebani», dice il papà.

Il papà di Filippo: «Non siamo genitori inadeguati»

Commentando le manifestazioni che stanno avendo luogo in tutte le piazze d’Italia per dire no ai femminicidi, Nicola Turetta spiega: «Proviamo un immenso dolore per la povera Giulia. Siamo vicini alla sua famiglia, siamo devastati per quello che è accaduto. Ci fa male vederci additare come genitori inadeguati, come una famiglia simbolo del patriarcato. Non lo siamo mai stati, non è quello che abbiamo insegnato a nostro figlio. Anzi, parlavamo spesso in casa di questi temi, soprattutto quando i ragazzi partecipavano agli eventi organizzati dalla scuola. Ora, non sappiamo davvero darci una spiegazione».

Il ruolo della mamma e la fine della relazione con Giulia

In molti hanno accusato la mamma di Filippo di essere stata troppo permissiva. Il padre, però, non ha dubbi a riguardo: «È stato un altro colpo al cuore. Cosa doveva fare mia moglie? Non stirargli la tuta quando doveva andare a pallavolo? Non preparagli la cotoletta quando tornava? Ha fatto quello che fanno tutte la mamme, io credo. No? Questi giudizi sono inutili in questo momento». E sulla fine del rapporto con Giulia Cecchettin afferma: «Sì, soffriva. Ma continuavano a vedersi. I ragazzi a quell’età si lasciano, si mettono assieme. Lui, negli ultimi tempi, sembrava tranquillo. In questi giorni mi hanno detto che dovevo preoccuparmi se quando andava a letto abbracciava l’orsacchiotto pensando a Giulia. Io davvero non ho dato peso a questa cosa. Avrei dovuto?».

Il movente dell’omicidio: «Non c’è una spiegazione»

Filippo ha premeditato l’omicidio di Giulia? Questa è la domanda a cui gli inquirenti stanno cercando di dare una risposta sulla base degli elementi attualmente a loro disposizione. Il padre, però, non lo ritiene possibile: «Mi sembra impossibile. Ma poi dicono dello scotch, del coltello, non so cosa pensare. Forse voleva sequestrarla per non farle dare la tesi e poi la situazione è degenerata. Non so darmi una risposta. Secondo noi, ripeto, gli è scoppiata qualche vena in testa. Non c’è davvero una spiegazione. Parlano di possesso, maschilismo, incapacità di accettare che lei fosse più brava di lui. Non è assolutamente niente di tutto questo. Io sono convinto che qualcosa nel suo cervello non abbia più funzionato».

Nicola Turetta in lacrime per Giulia Cecchettin

Il fatto che, al momento dell’arresto, Filippo fosse fermo in autostrada senza carburante, per il papà non può essere altro che il segno di uno stato confusionale: «Ha vagato senza una meta, non è tornato perché probabilmente aveva paura. Segno che non aveva un piano. Noi, almeno, ci siamo fatti questa idea. Siamo devastati dal dolore. Pensiamo in continuazione a lei». Alla fine dell’intervista, Nicola è scoppiato in lacrime.

La consigliera M5s in aula con il figlio di sei mesi: «Tutti abbiano la possibilità di conciliare lavoro e famiglia»

Antonella Laricchia, capogruppo del Movimento 5 Stelle nel Consiglio regionale pugliese, è tornata in Aula dopo la maternità con il piccolo Michele Giuseppe, sei mesi il prossimo 27 novembre. La pentastellata aveva fatto lo stesso nel 2021, allattando negli uffici del Consiglio regionale anche la primogenita Anna. Mentre lo scorso giugno, a portare per la prima volta un neonato a Montecitorio era stata la deputata sempre cinque stelle  Gilda Sportiello.

Laricchia: «Non è giusto che le donne debbano rinunciare al lavoro o rallentare la crescita professionale»

Laricchia portando il neonato al lavoro, ha voluto lanciare un segnale preciso. «Laddove l’attività lavorativa e l’organizzazione aziendale lo consentono è una opportunità per le mamme poter portare i figli sul posto di lavoro. Per le donne che hanno un‘attività per cui non è possibile lavorare con i propri figli dovremmo impegnarci tutti di più per misure come il bonus baby sitter e per garantire più asili nido. Non è mai giusto che le donne debbano rinunciare al lavoro o rallentare la crescita professionale». Laricchia, inoltre, ha annunciato la sua intenzione di lasciare la politica alla fine della legislatura per dedicarsi, come architetta, al recupero e al restauro di case antiche.

Pallone rosso in campo, la Serie B gioca contro violenza sulle donne

Un pallone rosso in campo per dire basta alla violenza sulle donne. La 14esima giornata della Serie B si giocherà con la sfera speciale del colore simbolo delle campagne contro questo reato: in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, istituita dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 1999, la Lega B ha previsto diverse attività volte alla sensibilizzazione durante il weekend di campionato. Fra questi, appunto, l’utilizzo in tutte le gare del pallone Kappa speciale rosso.

Mauro Balata, presidente Lega Serie B
Mauro Balata, presidente Lega Serie B (X).

Ogni società consegnerà un pallone rosso ad una donna

Nel cerimoniale pre-gara su tutti i campi ci sarà, inoltre, una consegna simbolica del pallone da parte di un rappresentante della società di casa a una donna invitata dal club. Il presidente della Lega B Mauro Balata sarà a Cremona insieme al presidente della Cremonese Francesco Dini con il sottosegretario della Regione Lombardia con delega a Sport e Giovani Lara Magoni. Le iniziative della 14esima giornata fanno parte della campagna che la Lega B ha adottato fin dall’inizio della stagione e che Balata ha deciso di ampliare per tutto l’arco del campionato in collaborazione con il Servizio analisi criminale, ufficio interforze del Dipartimento della pubblica sicurezza, diretto da Stefano Delfini.

Omicidio Kennedy, 60 anni fa l’attentato a Dallas al presidente Usa

Il 22 novembre 1963, John Fitzgerald Kennedy, il 35esimo presidente degli Stati Uniti d’America, si trovava in Texas, per un viaggio ufficiale, cercando finanziamenti per la campagna presidenziale democratica del 1964 alla quale aveva l’intenzione di candidarsi. Alle 11.40 atterrò all’aeroporto di Dallas e salì a bordo di una Lincoln Continental 1961, una decappottabile scelta per trasportare il presidente, la moglie Jackie Kennedy, il governatore del Texas John Connally Jr e sua moglie Nellie Connally durante un corteo presidenziale attraverso la città. Alle 12.29, la Lincoln giunse a Dealey Plaza e un minuto dopo, un’ondata di colpi di fucile si abbatté su di essa. Kennedy venne colpito al collo, alla testa e alla schiena. Anche Connally Jr rimase ferito ed entrambi furono trasportati d’urgenza all’ospedale Parkland Memorial. 60 anni fa, intorno alle 13, Kennedy fu dichiarato morto.

I sospetti su Lee Harvey Oswald che si è sempre dichiarato innocente

Lee Harvey Oswald, ex marine e sostenitore castrista di 24 anni, appena tornato in patria dall’Unione Sovietica dopo aver abbandonato il servizio militare fu il primo e unico sospettato. Al suo ritorno negli Stati Uniti, trovò impiego presso il Texas Book School Depository di Dallas, un edificio di fronte a Dealey Plaza. Da lì, secondo le ricostruzioni, avrebbe sparato a Kennedy con un fucile Mannlicher-Carcano. Oswald, lo stesso giorno, fu effettivamente arrestato per un altro omicidio. Circa 40 minuti dopo l’attentato a Kennedy, l’agente di polizia J.D. Tippit fu ucciso in un quartiere periferico di Dallas. Tippit aveva fermato Oswald poiché il suo profilo corrispondeva a quello del presunto assassino del presidente. Oswald negò le accuse, dichiarandosi un semplice «capro espiatorio». Dopo due giorni di interrogatori, il 24 novembre dello stesso anno, Oswald doveva essere trasferito dal quartier generale della polizia di Dallas in carcere ma, durante il trasporto, fu ucciso da Jack Ruby, un’altra figura enigmatica: proprietario di un nightclub e grande ammiratore di Kennedy. Ruby dichiarò successivamente di aver sparato a Oswald per risparmiare alla moglie del defunto presidente il dolore di affrontare un lungo processo.

Omicidio Kennedy, 60 anni fa l'attentato a Dallas al presidente Usa
Il presidente Kennedy e la moglie (GettyImages).

Le teorie del complotto: il 29 per cento crede che Oswald sia colpevole

Le voci che mettono in dubbio questa versione non si sono mai completamente sopite. Molte ricostruzioni, tuttavia, sono state etichettate come teorie del complotto e considerate poco affidabili. Alcuni hanno sostenuto che dietro l’omicidio ci sia stata una collaborazione tra l’FBI e il Pentagono, in connivenza con la mafia americana, i cubani anti-Castro e persino Lyndon Johnson. Secondo questa teoria, l’obiettivo era perpetuare la guerra del Vietnam, a vantaggio delle gerarchie militari e dei fornitori di armi. I dubbi che persistono sono stati di recente alimentati dalla decisione di Joe Biden di posticipare, per ragioni di sicurezza, la divulgazione di alcuni file ancora segretati sull’omicidio di Kennedy. Infatti, solo il 29 per cento ritiene che Oswald debba essere considerato l’unico responsabile dell’assassinio di JFK, come dichiarato nelle contestate conclusioni raggiunte nel settembre del 1964 dalla commissione Warren, con il sostegno delle indagini della polizia di Dallas, dell’FBI e del Secret Service.

La versione dei medici: immagini diverse da quelle viste al Parkland

Paramount ha rilasciato un documentario intitolato JFK: What the Doctors Saw che racconta tutta la vicenda e si concentra su «quello che videro i dottori» del Parkland Memorial Hospital. Il dettaglio più preoccupante del documentario potrebbe risiedere nel fatto che i medici intervistati, analizzando le foto dell’autopsia di Kennedy, giungono alla conclusione che le immagini sembrano differire da quanto osservato nel pronto soccorso del Parkland. «Quando ho visto le immagini dell’autopsia, ho pensato che qualcuno avesse manomesso l’intera cosa e la questo mi ha molto insospettito», ha affermato Kenneth Salyer, allora al primo anno di incarico all’ospedale di Dallas.

Enel intende chiudere tutti gli impianti a carbone entro il 2027

Il Gruppo Enel intende proseguire con la riduzione delle proprie emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra, in linea con l’accordo di Parigi e con lo scenario di 1,5 gradi centigradi, come certificato dalla Science based targets initiative. Lo ha fatto sapere il gruppo energetico indicando il proprio piano di riduzione nella strategia 2024-2026, specificando che conferma «l’obiettivo di chiudere tutti i rimanenti impianti a carbone entro il 2027, previa autorizzazione delle autorità competenti».

Per la riconversione Enel valuterà le migliori tecnologie disponibili

I rimanenti impianti a carbone di Enel in Italia sono cinque, e il gruppo energetico aveva precedentemente annunciato l’intenzione di chiuderli entro il 2025, un obiettivo mancato anche a causa della necessità di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico italiano a seguito della guerra in Ucraina. Per quanto riguarda la riconversione degli impianti a carbone, Enel valuterà «le migliori tecnologie disponibili, sulla base delle esigenze indicate dai gestori delle reti di trasmissione. Il gruppo, infine, ha confermato la sua ambizione di raggiungere zero emissioni in tutti gli Scope entro il 2040». Le emissioni vengono suddivise in tre categorie: scope 1, che comprende le emissioni dirette controllate dall’organizzazione; scope 2, che riguarda le emissioni indirette legate alla produzione di elettricità, vapore o calore; scope 3, che include le emissioni indirette provenienti dalla catena del valore dell’azienda.

Ecoansia, aumentano le ricerche su Google in tutta Europa

La crisi climatica preoccupa sempre più persone in tutto il mondo. Sono in costante aumento le ricerche online, soprattutto su Google, legate all’ecoansia, ossia la profonda sensazione di disagio e angoscia per possibili disastri ambientali come alluvioni, siccità e incendi. È quanto sostiene uno studio della Bbc 100 Women, disponibile integralmente sulla rivista Sustainability, che ha monitorato i trend sul motore di ricerca su scala globale. Nei primi 10 mesi del 2023, i dati hanno rivelato un numero di ricerche 27 volte superiore rispetto allo stesso periodo del 2017, indicando un interesse sempre maggiore da parte della popolazione. In crescita non solo domande legate ad ansia e depressione, ma anche potenziali risposte e soluzioni alternative.

Crescono le ricerche in Europa su Google per l'ecoansia, disagio e paura della crisi climatica. Soprattutto fra le donne. Lo studio.
Il disastro in Toscana dopo le alluvioni di novembre (Getty Images).

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Ecoansia, dal futuro alle soluzioni: le domande più frequenti

I dati di Google Trends hanno consentito agli esperti non solo di misurare il volume delle ricerche, ma di identificare le tendenze nei vari luoghi del pianeta. Si è scoperto dunque che l’ecoansia è particolarmente presente fra i giovani dei paesi nel Nord Europa. L’intera Scandinavia, dalla Svezia alla Finlandia passando per Danimarca e Norvegia, costituisce infatti da sola il 40 per cento del totale. Cile, Filippine e Sudafrica, contrariamente, hanno fatto registrare i numeri più bassi. Nello stesso periodo, lo studio della Bbc 100 Women ha sottolineato un picco di interesse per la crisi climatica non solo in lingua inglese, ma anche in altri idiomi del pianeta. Le ricerche su Google in portoghese sono aumentate di 73 volte rispetto al 2017, quelle in cinese di otto volte e mezza. In crescita anche le domande legate all’ecoansia nel mondo arabo, dove si registra il 20 per cento in più.

Crescono le ricerche in Europa su Google per l'ecoansia, disagio e paura della crisi climatica. Soprattutto fra le donne. Lo studio.
Disagi al concerto di Taylor Swift in Brasile per il caldo torrido (Getty Images).

Quali sono però le domande più frequenti su Google per chi soffre di ecoansia? «Analizzando tutti i dati, è evidente che la gente cerca di comprendere il problema», ha spiegato alla Bbc un portavoce dello studio. «Tuttavia, dimostrano un interesse anche ad agire per migliorare le cose». Fra i quesiti in tendenza infatti spicca «Come risolvere il cambiamento climatico?» oppure «Quali sono i maggiori rischi legati alla crisi del clima?». I dati di Google testimoniano il 120 per cento in più delle domande legate al futuro, numeri simili a quelle su come adattarsi al nostro pianeta nei prossimi anni. La popolazione si è anche interrogata sui gas serra, dalla composizione a come limitarli, cercando anche possibili azioni in termini di sostenibilità (+ 40 per cento).

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L’ansia da crisi climatica riguarda soprattutto le donne

Come sottolinea lo studio su Sustainability, «le donne sono più predisposte degli uomini all’ecoansia». Fra i soggetti femminili intervistati infatti gli esperti hanno riscontrato maggiori livelli di preoccupazione legata a emozioni negative sulla crisi climatica. Contrariamente, la percentuale maschile si è rivelata più ottimista e fiduciosa nell’operato dei governi mondiali. La ricerca, condotta nel 2021 su 10 mila persone di età fra 16 e 25 anni, ha ricalcato quanto già aveva affermato una precedente analisi dell’European Social Survey di due anni prima. Anche in quel caso, le donne avevano mostrato più angoscia e timore rispetto agli uomini sugli effetti del cambiamento climatico. «Sono fisiologicamente vulnerabili, in quanto alte temperature possono avere effetti sulla gravidanza», ha detto Susan Clayton, autrice della ricerca della Bbc 100 Women. «La crisi climatica potrebbe presentare danni difficili da affrontare».

Crescono le ricerche in Europa su Google per l'ecoansia, disagio e paura della crisi climatica. Soprattutto fra le donne. Lo studio.
La devastazione di Maui dopo gli incendi di agosto (Getty Images).

Pesano anche la disuguaglianza di genere e le violenze sessuali. «Dopo eventi estremi, si riscontrano molte più aggressioni domestiche», ha proseguito la dottoressa Clayton. «Le sfollate sono poi a rischio stupri o tratte degli schiavi». Altri studi, infine, hanno dimostrato che le ragazze che affrontano disastri ambientali nei Paesi poveri si sposano prima per aiutare la famiglia in difficoltà economica. «Quando inondazioni e siccità minacciano l’agricoltura, i genitori preferiscono dare in moglie la figlia a un uomo per avere meno bocche da sfamare», ha concluso la ricercatrice.

Lollobrigida chiede una fermata straordinaria dell’Alta velocità. Le opposizioni: «Abuso di potere»

Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida martedì 21 novembre è sceso da un Frecciarossa alla stazione di Ciampino, in quella che è stata a tutti gli effetti una fermata “istituzionale” straordinaria dovuta alle sue esigenze di agenda. Lollobrigida sarebbe infatti dovuto scendere alla fermata Napoli Afragola per poi raggiungere in macchina un appuntamento istituzionale a Caivano, ma il treno dell’Alta velocità sul quale viaggiava il ministro aveva accumulato quasi due ore di ritardo. Così, per agevolare le esigenze di Lollobrigifa, Trenitalia ha pensato a una fermata straordinaria nella città alle porte di Roma. La vicenda è stata ricostruita dal Fatto Quotidiano. Lo staff del ministro ha giustificato quanto accaduto con l’ingorgo degli appuntamenti istituzionali, ma l’opposizione ha comunque attaccato il ministro.

Il Pd: «Non può trasformare i treni italiani nella sua auto blu»

Il deputato del Partito democratico Andrea Casu ha annunciato un’interrogazione parlamentare per fare chiarezza sulla vicenda, dichiarando: «Il ministro Lollobrigida non può trasformare i treni italiani nella sua auto blu. La fermata straordinaria imposta a Ciampino è un atto di un’arroganza ingiustificabile, uno schiaffo in faccia a tutti i cittadini e le cittadine che erano sul suo stesso treno, già in ritardo, e a tutte le persone che fronteggiano ogni giorno i disservizi causati dalla mancanza di finanziamenti nei trasporti da parte del governo Meloni di cui fa parte».

Matteo Renzi: «È un abuso di potere, chiederemo le dimissioni»

Duro anche il commento del leader di Italia viva Matteo Renzi: «Se il ministro Lollobrigida ha davvero fermato un treno alta velocità ed è sceso proseguendo poi in macchina siamo in presenza di un abuso di potere senza precedenti. I ministri possono usare i mezzi dello Stato ma non possono fermare i treni di tutti i cittadini». Per questo motivo, l’ex premier ha annunciato: «Se la notizia sarà confermata chiederemo in Aula le dimissioni di Lollobrigida».

Mondo di mezzo, Gianni Alemanno ai servizi sociali: sarà affidato a Suor Paola

Gianni Alemanno è stato affidato ai servizi sociali. Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha infatti accolto l’istanza presentata dall’ex sindaco di Roma il 19 ottobre scorso dopo la condanna a un anno e 10 mesi per traffico di influenze in uno dei filoni dell’inchiesta Mondo di mezzo. Come riferito da Il Tempo, Alemanno verrà affidato per 22mesi alla struttura Solidarietà e Speranza gestita da Suor Paola. L’ex sindaco, assistito dall’avvocato Edoardo Albertario, dovrà rientrare entro le 22 e non uscire prima delle 7 del mattino. Tra i divieti, anche l’abuso di alcol e quello di uscire dal Lazio senza il permesso dei magistrati.

Alemanno, dal governo al Campidoglio fino al Forum dell’Indipendenza

Esponente di spicco della destra italiana, Alemanno militò prima nel Movimento sociale italiano e poi aderì al Popolo delle libertà. Dal 2008 al 2013 è stato sindaco di Roma, precedentemente – dal 2001 al 2006 – aveva ricoperto l’incarico di ministro delle Politiche agricole e forestali nel secondo e terzo governo di Silvio Berlusconi. Dopo l’esplosione dell’inchiesta Mondo di mezzo e la condanna, Alemanno ha cercato di ricollocarsi politicamente, tra ospitate tv e iniziative di piazza. Di recente ha difeso le posizioni del generale Roberto Vannacci e ha chiesto che venga creata una commissione parlamentare d’inchiesta sulla pandemia Covid. Attualmente è portavoce del Forum dell’indipendenza italiana, che accorpa destra sociale e sinistra comunista, la cui assemblea di fondazione si terrà il 25 e il 26 novembre al Midas di Roma.

Maltempo, tromba d’aria in Costiera Amalfitana

Nel pomeriggio di martedì 21 novembre si è abbattuta una tromba d’aria al largo della Costiera Amalfitana. Una colonna composta da aria e acqua si è innalzata dallo specchio d’acqua dirigendosi verso la costa. Il vortice ha incontrato la scogliera tra il centro abitato di Maiori (Salerno) e la località Capo d’Orso, priva di abitazioni, dissolvendosi. Non sono stati registrati danni. L’impatto visivo è stato notevole, come evidenziato nei video e nelle foto catturate dagli smartphone, subito diventati virali sui social. L’allerta meteo gialla in gran parte della Campania, compresa la zona costiera, rimane in vigore fino a mercoledì 22 novembre con molte aree interessate da piogge e temporali.

Filippo Turetta, via libera dal tribunale tedesco all’estradizione

Il tribunale tedesco di Naumburg ha dato il via libera all’estradizione di Filippo Turetta, accusato di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Il tribunale ha affermato che «non ci sono ostacoli» alla consegna dell’indagato alle autorità italiane, e sottolineato che lo stesso Turetta l’ha accettata.

Non ci sono ostacoli all’estradizione di Turetta

Questo il comunicato della magistratura tedesca riportato dal Corriere della Sera: «La prima Sezione penale della Corte d’Appello di Naumburg ha emesso con decreto del 21 novembre 2023 il mandato di custodia in attesa di estradizione nei confronti di un cittadino italiano, precedentemente detenuto provvisoriamente sulla base di un mandato di arresto europeo emanato da un tribunale italiano. Nel mandato di arresto europeo è contestato al perseguito di aver commesso in Italia intenzionalmente lesioni corporali così gravi a danno di un’altra persona da causarne la morte. Tramite la trasmissione del mandato di arresto europeo, le autorità italiane hanno chiesto l’estradizione del perseguito a scopo di persecuzione penale. Dopo che il perseguito ha accettato l’estradizione semplificata e non sono evidenti ostacoli alla sua messa in pratica. Il mandato di custodia in attesa di estradizione emesso ieri (ndr 21 novembre) costituisce la base giuridica per la continuazione della detenzione del perseguito fino alla sua consegna alle autorità italiane».

L’avvocato del giovane ritiene sia utile una perizia psichiatrica

Turetta è stato finora rinchiuso nel carcere tedesco di Halle e, una volta estradato in Italia, potrà avviarsi il processo ai fini dell’azione penale. In Italia i magistrati aspettano di interrogarlo per chiarire tutti i punti della violenta aggressione che ha portato alla morte di Giulia. L’avvocato Emanuele Compagno, che difende il 22enne, ritiene intanto che una perizia psichiatrica possa essere utile per valutare la capacità di intendere e di volere del suo assistito. «È molto presto per pensarci, però è ovvio che se ce ne sarà bisogno lo faremo. Questo tipo di aspetto va indagato perché nessuno finora aveva avuto alcun sospetto su Filippo», ha detto l’avvocato.

Paris Hilton contro X: via le pubblicità in protesta con Elon Musk

Anche Paris Hilton dice addio alle pubblicità su X. La società dell’attrice e modella americana, 11:11 Media, ha infatti annunciato la sospensione con effetto immediato delle inserzioni per le preoccupazioni dovute ai post antisemiti e filonazisti sulla piattaforma. Il tutto a poco più di un mese dall’annuncio di una partnership esclusiva che avrebbe portato sul social nuovi contenuti video e servizi di live shopping. Non è ancora certo, secondo la Cnn, se lo stop alle pubblicità coinciderà anche con un annullamento della collaborazione. Hilton non ha al momento eliminato il suo account personale, che conta circa 16,6 milioni di follower attivi.

La società di Paris Hilton, 11:11 Media, ha sospeso le pubblicità da X dopo la polemica sui post antisemiti. A rischio anche la partnership.
Paris Hilton in veste di dj a Phoenix, Arizona. (Getty Images).

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Paris Hilton, cosa prevedeva l’accordo con X annunciato a ottobre

Prima celebrity a stipulare una partnership commerciale su X, come aveva annunciato in anteprima da The Verge, Paris Hilton avrebbe dovuto incentivare i contenuti video sulla piattaforma con quattro programmi. Con cadenza annuale, video originali inerenti anche il live shopping avrebbero dovuto fornire esperienze di acquisto innovative e stimolanti per gli utenti. In streaming sarebbe dovuto arrivare un catalogo da poter sfogliare in piena libertà prima di cliccare sul sito o prodotto desiderato ed essere reindirizzati sullo store di competenza. Con la sua presenza costante online, l’influencer statunitense sperava di poter rendere virale il suo hashtag personale #sliving, mix tra le parole slaying (sinonimo di incredibile) e living (vivere, nel senso di trarre il meglio dalla quotidianità). La partnership fra 11:11 Media e X prevedeva anche una ripartizione dei ricavi che però non è stata pubblicata.

La società di Paris Hilton, 11:11 Media, ha sospeso le pubblicità da X dopo la polemica sui post antisemiti. A rischio anche la partnership.
Paris Hilton a Cannes Lions nel 2023 (Getty Images).

«La regina della pop culture, della musica, del business e della televisione è arrivata su X», aveva postato la Ceo della piattaforma di Elon Musk, Linda Yaccarino. «Paris, benvenuta nella X Family. Siamo entusiasti di annunciare una partnership con te e la tua 11:11 Media. Insieme creeremo un trampolino di lancio per le iniziative in live streaming, shopping e molto altro. Facciamolo!». Dopo la sospensione delle pubblicità su X, né l’ad né il patron hanno commentato. Silenzio anche della stessa Paris Hilton, che ha concentrato i suoi post sul Black Friday e sulla sua partecipazione al Gran Premio di Formula 1 a Las Vegas.

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Violenza di genere, Schlein chiama Meloni: «Lavoriamo insieme sulla prevenzione»

La segretaria del Pd Elly Schlein ha chiamato la premier Giorgia Meloni in merito alla «possibilità di trovare un terreno comune per far fare un passo avanti al Paese sulla prevenzione della violenza di genere». Lo ha comunicato il Partito democratico. Nei giorni scorsi Schlein aveva rilanciato a Meloni l’appello dell’attrice e regista Paola Cortellesi, che forte del successo del suo C’è ancora domani aveva chiesto alle due leader di accantonare le differenze ideologiche e di lavorare insieme sul tema.

La difficile ricerca di unità tra maggioranza e opposizione

Pur non avendo risposto direttamente alla segretaria dem in merito all’appello di Cortellesi, la premier nei giorni scorsi ha dichiarato che «la politica del governo e la mia posizione personale sul contrasto alla violenza sulle donne sono sempre state tese alla ricerca della massima collaborazione». Nei giorni successivi Schlein ha poi chiesto al parlamento di approvare una legge per l’educazione affettiva nelle scuole, un appello al quale il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara aveva risposto così: «Apprezzo che l’onorevole condivida con noi l’idea di educare al rispetto nelle scuole contro la violenza e la cultura maschilista. Già ci stiamo lavorando. Dopo aver consultato associazioni studentesche, associazioni dei genitori, sindacati, ordine degli psicologi la proposta è pronta e verrà nei prossimi giorni presentata ufficialmente». Secondo quanto riferisce la Repubblica, la disperata ricerca di unità tra maggioranza e opposizione vivrà mercoledì mattina, 22 novembre, l’ultimo tentativo: un ordine del giorno unitario sulla soglia minima dell’educazione affettiva nelle scuole.

Sam Altman torna alla guida di OpenAI

Sam Altman tornerà nell’organigramma di OpenAI. Ad annunciarlo è stato lo stesso Altman che ha reso noto di avere il sostegno del capo di Microsoft, Satya Nadella, per il suo ritorno alla guida della startup di cui era stato tra i fondatori. La notizia è arrivata dopo essere stato licenziato dal consiglio di amministrazione lo scorso 18 novembre.

Altman: «Non vedo l’ora di tornare a OpenAI con supporto di Microsoft»

«Con il nuovo consiglio e il supporto di Satya, non vedo l’ora di tornare a OpenAI e di consolidare la nostra forte partnership con Microsoft», ha scritto Altman su X. La numero uno dell’azienda statunitense Satya Nadella ha accolto con favore i cambiamenti nel consiglio di amministrazione di OpenAI, che hanno portato al ritorno di Sam Altman alla guida della startup, appena pochi giorni dopo il suo licenziamento.

Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per una tregua di quattro giorni

Mercoledì 22 novembre Israele e Hamas hanno concordato una pausa di quattro giorni nei combattimenti per consentire il rilascio di 50 ostaggi detenuti a Gaza, in cambio di 150 palestinesi imprigionati in Israele. Durante la tregua saranno fatti entrare anche aiuti umanitari nella Striscia. Le negoziazioni tra Tel Aviv e Hamas erano date come imminenti da alcuni giorni, e sono state mediate dagli Stati Uniti e dal Qatar, che nelle scorse settimane aveva già facilitato la liberazione dei primi ostaggi da parte di Hamas e l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia. Non è chiaro quando inizierà la tregua, il ministro degli Esteri del Qatar ha dichiarato che la data verrà annunciata entro 24 ore, e secondo i media israeliani il rilascio di ostaggi dovrebbe cominciare giovedì. Inoltre, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto sapere in un comunicato che la tregua sarà prolungata di un giorno ogni 10 ulteriori ostaggi che Hamas deciderà di liberare.

Le motivazioni dietro l’accordo

Il governo israeliano è da settimane sotto forti pressioni a livello nazionale da parte delle famiglie degli ostaggi, che lunedì 20 novembre hanno incontrato i membri del gabinetto di guerra chiedendo maggiori sforzi per il rilascio dei detenuti. Sul piano internazionale, invece, la pressione è aumentata a causa della situazione umanitaria a Gaza. I bombardamenti israeliani hanno causato una grave mancanza di cibo, acqua, carburante e medicinali, mentre 1,7 milioni di persone (su 2,3 ??milioni di abitanti) sono state sfollate. Il Guardian riporta che il 68 per cento degli americani ha dichiarato di sostenere un cessate il fuoco, esprimendo preoccupazione nei confronti del sostegno degli Stati Uniti a quella che ritengono una risposta militare eccessiva da parte di Tel Aviv. Infine, Hamas sta perdendo terreno sul campo di battaglia, poiché le forze israeliane sono riuscite a catturare gran parte del Nord di Gaza, inclusa Gaza City. L’esercito israeliano afferma di aver inflitto pesanti perdite a 10 dei 24 battaglioni di Hamas.

Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per una tregua di quattro giorni
“Bring them home” è la campagna lanciata dai familiari degli ostaggi presi da Hamas, che chiedono maggiori sforzi al governo israeliano per il loro rilascio (Getty Images).

L’Associazione delle vittime del terrorismo di Almagor fa ricorso alla Corte Suprema d’Israele

Il ministero della Giustizia israeliano ha pubblicato l’elenco dei 300 prigionieri palestinesi candidati al rilascio nell’ambito dell’accordo. Lo ha riferito Haaretz. Chi lo ritiene ha 24 ore per opporsi al rilascio e fare ricorso alla Corte Suprema, che in breve tempo deve decidere se accettare o respingere la petizione. Il Times of Israel ha riportato che l’Associazione delle vittime del terrorismo di Almagor ha affermato che presenterà ricorso mercoledì a mezzogiorno (ore 11 italiane) contro l’accordo sugli ostaggi e il cessate il fuoco. L’associazione ha chiesto «di vedere l’elenco dei prigionieri che Israele sta valutando di rilasciare e chiede inoltre di conoscere tutti i dettagli degli impegni che sta assumendo nei confronti di Hamas riguardo alle restrizioni al combattimento durante il periodo di cessate il fuoco, inclusa la cessazione della raccolta di informazioni di intelligence, così come la consegna di carburante e altri rifornimenti che potrebbero aiutare Hamas a condurre operazioni terroristiche contro residenti in Israele».

Israele continua i raid aerei in attesa della tregua

Nell’attesa che venga l’inizio della tregua, l’esercito israeliano ha annunciato che proseguirà l’azione militare all’interno di Gaza. In una dichiarazione pubblicata su Telegram, l’Idf ha scritto che «continua a operare nella Striscia, colpendo infrastrutture terroristiche, uccidendo terroristi e localizzando armi». Tareq Abu Azzoum, giornalista di Al Jazeera dalla città di Khan Younis, nel Sud di Gaza, ha detto all’agenzia di stampa che «i raid aerei israeliani si sono intensificati nelle ultime ore sulla Striscia di Gaza» e che c’erano già «timori che i raid si sarebbero intensificati prima che la tregua entri in vigore».

Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per una tregua di quattro giorni
Un palazzo residenziale distrutto da un raid israeliano a Rafah (Getty Images).

Brasile-Argentina, violenti scontri prima della partita: Messi ritira la squadra

Violenti scontri, nella serata di martedì 21 novembre 2023, allo stadio Maracaná di Rio de Janeiro dove era in corso l’incontro tra Brasile e Argentina per le qualificazioni ai Mondiali del 2026. La partita è iniziata con quasi mezz’ora di ritardo a causa di gravi incidenti sugli spalti. I disordini sono iniziati mentre suonavano gli inni nazionali e in un settore occupato dai 3 mila ultras argentini presenti – la maggior parte dei quali mescolati con il pubblico locale – dove sono scoppiate risse con i tifosi brasiliani. La polizia è quindi intervenuta con forza per fermare il caos.

I giocatori argentini hanno lasciato il campo

L’episodio ha ricordato i tafferugli a Copacabana in occasione della finale di Libertadores tra Boca Juniors e Fluminense. Data la situazione, i giocatori argentini hanno lasciato il campo dirigendosi verso il luogo degli incidenti, mentre diversi spettatori argentini si sono lanciati nel terreno di gioco in cerca di protezione dalla repressione degli agenti. A quel punto, il capitano della nazionale Albiceleste, Lionel Messi, si è rivolto all’arbitro, il cileno Piero Maza, e con gesti eloquenti ha annunciato che avrebbe allontanato la squadra dal campo e si è diretto con i compagni negli spogliatoi in attesa che fosse ripristinata la calma.

Messi e Marquinhos sono intervenuti per richiamare alla calma

«Siamo tornati nello spogliatoio perché era il modo migliore per calmare la situazione, poteva finire in una strage. È stato brutto perché abbiamo visto come picchiavano la gente», ha affermato al termine della partita. E ancora: «Pensi alle famiglie, alle persone che sono lì, che non sanno cosa sta succedendo e noi eravamo più preoccupati per questo che per giocare una partita che, a quel punto, era di secondaria importanza. Dopodiché, vincere questa partita in questo modo penso sia una delle vittorie più importanti che questo gruppo abbia ottenuto. È qualcosa di molto bello poter vincere qui in Brasile, dopo quanto sono stati forti in casa nel corso della loro storia».

Anche il capitano del Brasile Marquinhos è intervenuto per invitare i tifosi alla calma. «Eravamo preoccupati per le famiglie, donne e bambini, che vedevamo in preda al panico sugli spalti», ha detto «In campo è stato difficile per noi capire cosa stesse succedendo, era una situazione spaventosa».

In Rai il rapporto tra Rossi e Sergio scricchiola e l’ad è in cerca di nuovi sponsor politici

Da qualche giorno la comunicazione dell’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, è completamente cambiata e si è fatta più aggressiva. Lunedì, per esempio, ha sottolineato come la tv pubblica, con la finale di Jannik Sinner e con Domenica In, dove si è trattato del caso del femminicidio di Giulia Cecchettin, abbia fatto vero servizio pubblico. Un paio di giorni prima, durante il Cda, aveva sollecitato la divulgazione da parte dell’ufficio marketing di un documento che smentisse presunte fake news che circolano sull’azienda. Con punte di ridicolo come il capitolo per negare i cattivi rapporti tra lui e il direttore generale, Giampaolo Rossi. «Siamo legati da profonda stima e amicizia», ha detto Sergio. «A lui mi lega un’amicizia personale e una straordinaria collaborazione», ha rimarcato Rossi. Ma anche in un altro paio di occasioni Sergio è intervenuto per rimarcare i successi di mamma Rai, per esempio di Viva Rai 2 di Fiorello. Con cui l’ad si fa vedere spesso e volentieri. Molto più in ombra, invece, il dg Rossi, cui molti imputano le scelte peggiori, quelle che stanno facendo soffrire di più i palinsesti della tv pubblica. A partire dall’approfondimento, il cui direttore è un uomo di provata fede a destra come Paolo Corsini. O il day time, guidato da un altro fedelissimo come Angelo Mellone. Ma pure Rainews24 di Paolo Petrecca, col sito web guidato da Francesca Oliva (ex Rainet guidata in passato da Rossi) che è sceso dal nono all’11esimo posto nella classifica Audiweb. E pure sulla comunicazione si punta il dito contro Nicola Rao, altro uomo del dg.

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Fiorello con Roberto Sergio (Imagoeconomica).

Il patto della staffetta tra Sergio e Rossi scricchiola a causa di cattivi ascolti e flop e così l’ad ha cominciato a guardarsi intorno

Ma c’è di più: dopo che Rossi ha sbeffeggiato pubblicamente Corrado Augias («mi preoccupa la sorte di 12 mila dipendenti non lo stipendio di Augias»), Sergio ha richiamato l’88enne giornalista per chiedergli di portare a termine il programma Gioia della Musica, accertandosi che la notizia filtrasse. Per quale motivo? Intendiamoci: i rapporti tra Sergio e Rossi sono ancora formalmente buoni, improntati alla linea del simul stabunt, simul cadent, e ancora dura il patto che dovrebbe portare, a luglio, alla staffetta tipo Mazzola e Rivera, con Rossi ad e Sergio dg. Ma l’accordo, a fronte dei cattivi ascolti e al flop di alcuni programmi simbolo, come Avanti Popolo di Nunzia De Girolamo e Il Mercante in Fiera di Pino Insegno, è ormai parecchio scricchiolante e Roberto Sergio, da vecchio volpone democristiano, ha iniziato a guardarsi intorno e a tessere la sua tela. Potendo contare su rapporti di lungo corso con il potere romano di prima e seconda fascia. Intanto ha ricominciato a farsi vedere a eventi pubblici e a vernissage nei migliori salotti. Il ragionamento è il seguente: se i cattivi ascolti vengono imputati solo a Rossi, vuoi vedere che “io speriamo che me la cavo” e magari riesco a restare in sella al cavallo di Viale Mazzini? Per ora è solo un pensiero, corroborato però dai fatti, in primis una comunicazione molto più aggressiva per difendere la “sua” Rai.

In Rai il patto tra Roberto Sergio e Giampaolo Rossi scricchiola e l'ad è in cerca di nuovi sponsor politici
Giampaolo Rossi, dg Rai (Imagoeconomica).

Secondo i rumors, Forza Italia in cambio di un appoggio a Sergio chiede la promozione di Agnes alla presidenza Rai

Poi viene la politica. Se Rossi resta il punto di riferimento del partito meloniano (con qualche dubbio che inizia a serpeggiare) e dei 5 stelle – sodalizio iniziato ai tempi dell’ex ad pentastellato Fabrizio Salini, che aveva trovato in Rossi un solido alleato per orientarsi nella giungla di Viale Mazzini – Sergio ha cominciato a parlare con altri. Con chi? Innanzitutto, tramite il potentissimo direttore del Tg3 Mario Orfeo, con il Pd. Poi con la Lega, che con Rossi non tocca palla. Pare che Matteo Salvini l’abbia detto chiaro ai suoi parlamentari che tengono i contatti con Viale Mazzini: Rossi è roba di Giorgia, quindi non c’è da fidarsi, bisogna guardare altrove. Quindi Sergio. Il quale, poi, ha da sempre un buon rapporto coi centristi, da Maurizio Lupi e Pier Ferdinando Casini, e con Forza Italia, tramite una lunga amicizia con Gianni Letta. La voce che gira, tra Saxa e Mazzini, è però che, in cambio dell’appoggio futuro a Sergio, i berluscones chiedano la promozione della “loro” consigliera Simona Agnes alla presidenza della Rai. Cosa tutt’altro che impossibile, più per la forza del nome che porta che per i suoi meriti all’interno del Cda.

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Marinella Soldi, Roberto Sergio, Giampaolo Rossi e Simona Agnes (Imagoeconomica).

Alla fine tra i due litiganti, Meloni potrebbe puntare su un terzo nome 

Insomma, Sergio e Rossi non sono ancora ai ferri corti, ma i due hanno iniziato a giocare una partita in proprio, autonoma l’uno dall’altro, dove però il direttore generale ha molto più da perdere del suo alleato/concorrente. E le cordate che si stanno delineando (Fdi e M5s con Rossi/Pd, Lega e Fi con Sergio) iniziano ad affilare le spade in attesa del duello di luglio, quando l’attuale maggioranza dovrà decidere gli assetti del futuro vertice Rai. Dove tutto questo porterà è ancora presto per dirlo. «Bisognerà aspettare i risultati del Festival di Sanremo e gli ascolti dell’inverno, tra informazione e intrattenimento. Poi all’inizio di maggio si tireranno le somme. Solo allora si capirà se questo vertice è destinato a proseguire, intero o dimezzato, oppure no…», ragiona una fonte interna all’azienda. Se poi gli ascolti dovessero precipitare ancor di più, allora non è escluso che la stessa Giorgia Meloni possa decidere di guardare altrove, con un terzo nome che però, a parte qualche spiffero velenosamente messo in circolo (il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci), ancora non c’è.

Alemanno e Rizzo? No, la destra a destra di Meloni c’è già ed è quella di Salvini

Se l’obiettivo della strana coppia AlemannoRizzo, i rossobruni che hanno unito le forze, è la convinzione che ci sia uno spazio politico da occupare più a destra della destra, Giorgia Meloni può tirare dritto senza temere erosioni nel consenso di cui ancora ampiamente gode. Anche se il fu sindaco di Roma, con divertente suggestione, ha paragonato i suoi ex camerati alla vecchia Dc. In sostanza ha dato loro dei dorotei, che fu corrente scudocrociata di gran peso, ossia gente che in politica sapeva tenere tutto e il contrario di tutto. Cosa che, a prescindere dal contesto storico in cui nacque, ha fatto assurgere il doroteismo a generale categoria dello spirito.

Per i duri e puri col culto di Predappio non c’è spazio da occupare

In questo senso la premier sta interpretando bene la parte: in Europa flirta con i tedeschi, il cui spirito rigorista sui conti prima di varcare la soglia di Palazzo Chigi è sempre stato un suo bersaglio privilegiato. In casa lascia ad alcuni dei suoi, che spesso la interpretano goffamente, la parte degli anti sistema. Dunque non c’è nessuna possibilità che la destra nostalgica del passato che fu possa mettere radici come partito politico antagonista al di fuori delle chat tra militanti, sfogatoio dei duri e puri che tendono ad alzare il braccio e coltivano il culto di Predappio? No, per la semplice ragione che quel partito c’è già, ed è la Lega di Matteo Salvini. La sua, non quella che governa stabilmente sui territori e che nel suo pragmatismo è lontana mille miglia dal frenetico camaleontismo dell’ineffabile segretario.

Alemanno e Rizzo? No, la destra a destra di Meloni c'è già ed è quella di Salvini
Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Salvini sta facendo come Fratelli d’Italia ai tempi dell’opposizione

Per dirla in breve, si potrebbe dire che Salvini, pur essendo vicepremier e ministro, tende a emulare il ruolo che fu di Meloni quando la leader di Fratelli d’Italia stava all’opposizione. In politica estera il suo modello valoriale è quello delineato dal discorso spagnolo di Giorgia al raduno di Vox dell’ottobre 2021. Ma mentre lei adesso guarda ai Popolari, come perno di un possibile ribaltamento degli attuali assetti a Bruxelles, i referenti europei del Capitano sono Afd e Marine Le Pen. E in casa sua il leader del Carroccio è diventato il miglior interprete del motto Dio, patria e famiglia tanto caro alla destra estrema. E così facendo ha trasformato la Lega da federalista a movimento reazionario e sanfedista.

Obiettivo Europee 2024, ma i sondaggi per ora non danno ragione

La posta in gioco è chiara, la possibilità di vincerla un vero azzardo. Salvini vuole scavalcare a destra Meloni per arrivare alle Europee 2024 come solido approdo di chi si sente tradito dalla sua metamorfosi governista. I sondaggi, per ora, non gli stanno dando ragione. Difficile stare la governo e indossare al tempo stesso la felpa del capopopolo. Ma di qui a giugno c’è ancora tempo per tentare l’impresa.

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