Daily Archives: 21 Novembre 2023

Il Doodle del 21 novembre 2023 è dedicato al chirurgo cardiotoracico Victor Chang

Il Google Doodle di martedì 21 novembre 2023, è dedicato a Victor Chang, medico cinese naturalizzato australiano nato proprio nella data odierna del 1936. Nell’animazione che sostituisce il classico logo dell’azienda informatica americana, dunque, è rappresentato il chirurgo cardiotoracico che ha conquistato la fama mondiale per via degli importanti traguardi raggiunti nel campo della chirurgia a cuore aperto. A firmare l’illustrazione è l’artista australiana Lucy Pescott.

Le valvole cardiache economiche per la salute di tutti i malati 

Figlio di genitori cinesi – britannici nati in Australia -, Victor Chang decise di fare il medico dopo la prematura scomparsa della mamma, morta a 33 anni per via di un tumore al seno. Dopo aver studiato medicina all’Università di Sydney e aver ottenuto una specializzazione in cardiochirurgia negli Stati Uniti, iniziò a lavorare in America e in Regno Unito, per poi tornare nel 1972 in Australia e partecipare alla fondazione del principale centro nazionale per il trapianto di cuore e polmoni all’ospedale St. Vincent. Il suo apporto al mondo della cardiochirurgia è stato di fondamentale importanza, visto che proprio Chang brevettò una valvola cardiaca che, rispetto ai modelli precedenti, era molto più economica e, dunque, di più facile accesso per tutti i pazienti. Nel suo lavoro di cardiochirurgo è stato considerato uno dei migliori, tanto che nel 1984 effettuò un trapianto di cuore alla 14enne Fiona Coote, la più giovane a subire un intervento del genere in Australia. La stessa ragazza, nel 1986, ebbe bisogno di un secondo intervento, eseguito sempre da Victor Chang, ed è a oggi la più longeva persona australiana ad essersi sottoposta ad un trapianto di cuore. Il medico è stato ucciso nel 1991, il 4 luglio, da due giovani che hanno tentato di praticare un’estorsione.

La Victor Chang Foundation eroga, ancora oggi, borse di studio

Pochi anni prima di morire, nel 1984, Victor Chang ha fondato una fondazione a suo nome, la Victor Chang Foundation, che perseguiva e persegue lo scopo di agevolare il percorso accademico di aspiranti chirurghi e chirurghe dei paesi del Sud Est Asiatico che intendono specializzarsi in chirurgia cardiaca e trapianti di cuore all’ospedale St. Vincent. Per il suo «servizio alla scienza medica e alle relazioni internazionali tra Australia e Cina», Chang è stato insignito nel 1986 del titolo di Companion of the Order of Australia e, in seguito alla sua morte, è stato fondato a suo nome un centro di ricerca sulle patologie cardiovascolari. Nel 1996 ha ricevuto il titolo postumo di Australiano del secolo ai People’s Choice Awards.

Giorgia Meloni contro Lilli Gruber: «Io patriarcale? La mia è una famiglia di donne»

Dopo la puntata di Otto e mezzo di lunedì 20 novembre, in cui la giornalista Lilli Gruber ha definito la destra al governo una «espressione della cultura patriarcale», non si è fatta attendere la replica della premier Giorgia Meloni. «Non so come facciano certe persone a trovare il coraggio di strumentalizzare anche le tragedie più orribili pur di attaccare il governo», ha scritto la presidente su Instagram, pubblicando una foto che la ritrae con la madre, la figlia Ginevra e la nonna, sostenendo che quella di Gruber sia una «tesi bizzarra», e lo si evince «da questa foto che ritrae ben quattro generazioni di ‘cultura patriarcale’ della mia famiglia». 

Gruber: «Meloni si fa chiamare “il presidente”, per me un mistero della fede»

Nella puntata in questione, la conduttrice ha invitato in studio Carlotta Vagnoli, la scrittrice e attivista femminista le cui parole sono state rilanciate in questi giorni da Elena Cecchettin, sorella di Giulia, su Instagram. Nell’intervista Gruber le ha chiesto: «Abbiamo per la prima volta una presidente del consiglio donna, che però si vuole fare chiamare “il presidente“, per me un mistero della fede, sarà anche questa una cultura di destra patriarcale? “Dio, patria e famiglia” c’entra qualcosa con il femminicidio di Giulia?». E Vagnoli ha risposto: «Una certa destra incarnata dal nostro governo risponde a questi dettami ed è problematica». Per poi spiegare: «Se le donne devono rispondere a questi tre macro contenitori: “Dio” quindi la morale cattolica e la precisa funzione del corpo femminile, “Patria” e il nazionalismo del bonus secondo figlio, quindi le donne al servizio dello Stato, e poi la “famiglia” che per la destra è solo quella tradizionale, vuol dire che abbiamo pochissima autodeterminazione e nella società patriarcale la donna è esattamente questo: un oggetto al servizio di qualcos’altro». 

Repubblica Dominicana: almeno 24 morti per le inondazioni

Le inondazioni causate dalle forti piogge nella Repubblica Dominicana hanno provocato finora almeno 24 morti. Tra le vittime ci sono 16 dominicani, quattro americani e quattro haitiani, riferiscono le autorità locali, temendo che il numero aumenti con il passare delle ore. Il maltempo ha colpito più di 3.500 abitazioni, costringendo allo sfollamento di oltre 17.800 persone.

Il governo dominicano ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale

Diverse province sono in allerta rossa e altre in giallo.Il governo dominicano ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale a causa della tragedia, mentre le lezioni sono sospese su tutto il territorio. Secondo il presidente, Luis Abinader, in alcune zone sono caduti 431 millimetri di pioggia, le precipitazioni più abbondanti già registrate nella storia della nazione caraibica. Il capo dello Stato ha già emanato due decreti per l’emergenza.

Il governo fa cassa su Mps ma dice addio ai piani ambiziosi

Dopo grandi tira e molla, fatti di vani tentativi di trovare qualche banca che se lo comprasse, lo Stato vende poco meno della metà della sua quota nel Monte dei Paschi. Lo ha deciso per il disperato bisogno di fare cassa, anche se i proventi dalla cessione di asset pubblici dovrebbero andare a riduzione del debito e non a ingrossare la spesa corrente. Ma anche per battere un colpo dopo aver annunciato un ambizioso piano di privatizzazioni che sulla carta dovrebbe fruttargli una ventina di miliardi. Ovviamente saranno molti di meno.

Lo Stato non porterà a casa i 9 miliardi investiti

Alla fine però la sua uscita dalla banca senese sarà comunque in perdita, nel senso che mai il Mef, titolare delle azioni, porterà a casa i 9 miliardi e passa che vi aveva investito per tenerla in piedi. Ma chi si accontenta gode, anche se ci sarebbe da fare un ragionamento sul come mai all’estero, soprattutto in America, i salvataggi dei grandi istituti di credito da parte dei governi si sono spesso trasformati in un lucroso affare.

Il governo fa cassa su Mps ma dice addio ai piani ambiziosi
Rocca Salimbeni, sede di Monte dei Paschi di Siena (Imagoeconomica).

Ita giace spersa nella terra di nessuno

Il Mef ha rotto gli indugi quando ha capito, nonostante le numerose proroghe generosamente concesse da Bruxelles, che un’altra banca italiana che si prendesse sulle spalle Mps non la avrebbe mai trovata. E l’idea del terzo polo da affiancare a Intesa e Unicredit sarebbe rimasta al palo. La banca guidata da Andrea Orcel, per lungo tempo l’indiziato numero uno all’acquisto, aveva giustamente preteso una dote importate, specie dopo quella che era stata data a Intesa quando rilevò le popolari venete sull’orlo della bancarotta. Significava un esborso di altri 4/5 miliardi da aggiungere ai capitali già profusi. Troppo anche per chi non vedeva l’ora di togliersi la grana senese e dedicarsi alle altre, ossia la privatizzazione di Ita, che al momento giace spersa nella terra di nessuno (in realtà un protettorato francese) dell’Antitrust europeo.

Su Tim il Mef dovrà scucire altri 2 miliardi

E infine Tim, perché la pubblicizzazione della rete dell’ex monopolista dei telefoni era un caposaldo del programma del centrodestra una volta entrato a Palazzo Chigi. Solo che per fare l’operazione, su cui dopo la decisione di vendere a Kkr pesa l’incognita dei soci francesi, il Mef dovrà scucire altri 2 miliardi. Insomma, soldi che entrano e soldi che escono, con il saldo ahinoi pesantemente negativo (si pensi solo alla quantità di denaro pubblico pompato nelle casse della spompatissima Alitalia/Ita).

Nelle mani dei fondi stranieri di private equity

Sono tutte operazioni che celano grandi ambizioni, ma che si devono scontrare con l’endemica penuria di risorse che un debito pubblico destinato a sfondare la soglia dei 3 mila miliardi brucia con voracità. Tradotto: il governo vorrebbe essere parte attiva nella creazione di campioni industriali nazionali, ma per farlo deve mettersi nelle mani dei fondi stranieri di private equity che i soldi sì ce li mettono, ma se li fanno pagare cari. La vicenda Autostrade, ma anche quella di Open Fiber che ha appena chiesto alle banche altri 2 miliardi, e quella di Tim sono lì a mostrare che i fondi sono tutt’altro che enti benefici felici di compiacere Giorgia Meloni, Giancarlo Giorgetti e compagnia cantante. Infatti sul capitale investito impongono rendimenti che sfiorano le due cifre. Quindi i governi, e non solo questo così fieramente sovranista, sono costretti a fare buon viso a cattivo gioco. Del resto nella sua lungimiranza il vecchio Enrico Cuccia lo aveva profetizzato che meglio non si poteva: per il fondatore di Mediobanca l’Italia era un Paese pieno di capitalisti e di aziende senza capitali. Che è esattamente la situazione con cui Palazzo Chigi deve fare in conti adesso.

Il 21 novembre 2013 a Kyiv scoppiava la protesta di Maidan: cosa è rimasto di quelle rivolte di piazza

Chissà cosa sarebbe successo se l’Unione Europea non avesse posto a Viktor Yanukovich l’ultimatum di liberare Yulia Tymoshenko per poter firmare l’Accordo di associazione (Aa)? Correva l’autunno del 2013, la parte economica dell’Aa tra Bruxelles e Kyiv era stata parafata un anno prima, ma il caso dell’eroina della rivoluzione arancione del 2004 finita in carcere per abuso d’ufficio aveva sbarrato l’intesa politica, con l’Ue impuntata sullo stato di diritto. Tutti in Ucraina sapevano che Yanukovich non avrebbe graziato la storica rivale, mentre la Russia stava aumentando la pressione sul presidente, e tutti già intuivano che il vertice di Vilnius, con la storica firma, sarebbe sfociato in un disastro. Le proteste europeiste di Maidan, cominciate il 21 novembre, non furono quindi certo una sorpresa.

Il 21 novembre 2013 a Kyiv scoppiava Euromaidan: cosa è rimasto di quelle proteste di piazza
Viktor Yanukovych e Vladimir Putin nel dicembre 2013 (Getty Images).

L’Ucraina si ritrovò politicamente e geograficamente spaccata in due 

L’Ucraina era politicamente e geograficamente spaccata: da un parte un presidente e un governo, eletti in maniera democratica nel 2010, rappresentanti in larga parte delle regioni dell’Est e del Sud, dei clan oligarchici del Donbass più vicini alla Russia; dall’altra l’opposizione variegata, fatta dai soliti equilibristi del potere, cioè gli oligarchi che negli anni precedenti erano già saltati da una fazione all’altra e dalle élite politiche ed economiche sostenute da Stati Uniti ed Europa. E proprio per questo le manifestazioni di fine novembre, che avevano portato in Piazza dell’indipendenza a Kyiv decine di migliaia di persone e coinvolto i centri delle regioni occidentali lasciando indifferente mezzo Paese, dall’Est al Sud passando naturalmente dalla Crimea, divennero non solo una questione di politica estera, ma si trasformarono, prevedibilmente, in una rivoluzione interna.

Il 21 novembre 2013 a Kyiv scoppiava Maidan: cosa è rimasto di quelle proteste di piazza
Una bandiera europea a Kyiv nel novembre 2013 (Getty Images).

Le proteste spontanee europeiste divennero azioni coordinate e antirusse

Le proteste genuine e spontanee europeiste divennero ben presto coordinate e antirusse, con l’obiettivo di defenestrare Yanukovich, a ogni costo. Maidan diventò il ritrovo per tutto lo spettro dell’opposizione, da quello politico moderato a quello estremista e pronto alle armi, passando per i tifosi interessati inviati dalle cancellerie occidentali. A dicembre 2013 erano già arrivati ad arringare la gigantesca folla, oltre ai tre leader dell’opposizione – il filo Nato Arseni Yatseniuk, il filo tedesco Vitaly Klitschko e l’estremista di destra Oleg Tiahnibok – anche l’oligarca Petro Poroshenko, vari ministri degli Esteri dell’Ue, il senatore statunitense John MacCain e il falco di Obama, Victoria Nuland. Facevano da contorno i vari gruppi paramilitari neonazisti guidati da Pravy Sektor, Trizyb, C14 e affini. Dopo la stasi natalizia, l’escalation cominciò nel gennaio del 2014 e terminò nel bagno di sangue di febbraio, con Yanukovich costretto a fuggire dopo che il compromesso siglato tra lui e l’opposizione della troika, ratificato per di più dai tre ministri degli Esteri di Polonia, Germania e Francia, era stato dichiarato nullo dall’ala estremista guidata proprio da Pravy Sektor. Il resto si può riassumere con i nomi noti, quello di Yatseniuk, che Nuland aveva definito «il nostro uomo» nella famosa intercettazione del «fuck Europe» a fare il primo ministro del nuovo governo filoccidentale; quello di Poroshenko andato a prendere un paio di mesi più tardi il posto di Yanukovich, e quello di Tymoshenko, uscita dalle patrie galere, ma ormai ininfluente. Poi arrivarono l’annessione della Crimea, la guerra nel Donbass e tutto il resto.

Il 21 novembre 2013 a Kyiv scoppiava Maidan: cosa è rimasto di quelle proteste di piazza
Una cerimonia per ricordare le vittime delle proteste di Maidan nel sesto anniversario della rivolta (Getty Images).

Ora è Zelensky a temere una Maidan 3

Dopo 10 anni è Volodymyr Zelensky a temere una “Maidan 3”, un piano di disinformazione orchestrato però da Mosca per destituirlo. «La nostra intelligence ha raccolto informazioni su questo piano», ha spiegato recentemente alla stampa il presidente ucraino, «e ne arrivano anche dai partner. È un’operazione comprensibile, per loro Maidan fu un colpo di Stato». Resta il fatto che le proteste di Maidan del 2013 hanno due facce: quella della spontaneità europeista e della voglia di parte della società ucraina di cambiare sistema e scollarsi dalla Russia, e quella dello script statunitense ed europeo, adottato per cambiare regime. Si tratta di due dimensioni coesistenti: non solo una o l’altra, come viene ripetuto da 10 anni dalla Russia e dall’Occidente per avvalorare la propria narrazione e giustificare ciò che è arrivato dopo. Non stupisce che dal Cremlino, dove Vladimir Putin ha instaurato nel frattempo un sistema altamente autoritario, la propaganda faccia il suo lavoro; d’altro canto che le democrazie occidentali adottino la stessa visione manichea è sintomo della stessa malattia. E a ben vedere nemmeno cosa nuova.

Alemanno: «Mio movimento per indipendenza oltre destra e sinistra»

«Non è un movimento di estrema destra, ad esempio io penso che la vittoria di Milei sia un problema grave per il popolo argentino e critico molto il governo Netanyahu». Così Gianni Alemanno durante una conferenza alla Camera parla del Forum per l’Indipendenza. «Di fronte al governo più atlantista della storia, che ci fa rimpiangere Craxi e Fanfani, bisogna uscire dalle definizioni di destra e sinistra e mettere al centro l’indipendenza dell’Italia, superare il dogma del neoliberismo e rimettere al centro il sociale. Partiamo dalla destra sociale e facciamo uno sforzo all’insegna del dialogo con tutte le forze antisistema», ha continuato Alemanno dando appuntamento all’assemblea di fondazione del soggetto politico, sabato 25 e domenica 26 novembre al Midas Palace Hotel.

Su cosa punterà il nuovo soggetto politico

Il nuovo soggetto politico punterà anche a partecipare alle future tornate elettorali, ma non si sa se già alle prossime europee. «Da quando è nata l’idea di questo movimento sono stato prima associato a Pillon, poi dovevo per forza fare un partito con Vannacci, ora devo fare per forza un partito con Marco Rizzo. In realtà ci sarà una tavola rotonda per confrontarci. Con Rizzo abbiamo raccolto le firme per il referendum per bloccare l’invio di armi in Ucraina e ci sono delle convergenze importanti. Ci sarà questo confronto, poi vedremo cosa uscirà fuori».

Il piano del ministro Valditara: «La scuola deve educare all’empatia»

A seguito del terribile epilogo della storia di Giulia Cecchettin, 22enne uccisa dall’ex fidanzato e ritrovata nei pressi del Lago Barcis sabato 18 novembre 2023, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha individuato un nuovo piano da attuare nelle scuole. L’idea del ministro è quella di introdurre un’ora di «educazione alle relazioni» negli istituti superiori, aggiunta come attività extracurricolare con una durata di tre mesi all’anno e un’ora in più in classe.

Le nuove linee guida del ministero per la scuola

Si tratta di 12 incontri in totale, durante i quali gli studenti sono disposti in cerchio, divisi in gruppi dedicati alla «discussione e autoconsapevolezza». Al centro un docente che funge da moderatore, occasionalmente supportato da psicologi, avvocati, assistenti sociali e organizzazioni impegnate nella lotta contro la violenza di genere. La partecipazione di testimonial vicini ai giovani, come influencer, cantanti e attori, completa l’approccio educativo.

Il piano del ministro Valditara: «No è no»

Il progetto si fonda su dei concetti fondamentali: «un no è un no», «un vestito non è un invito», «le parole sono pietre», «innamorata da morire è un modo di dire», «non rinunciare a denunciare» e così via. Ha spiegato il ministro che «La scuola deve educare a sentire l’altro, all’empatia, alla cultura del rispetto, superando il pregiudizio, la cultura maschilista, la discriminazione, la prepotenza. Questo e altro sta alla base del mio progetto Educare alle relazioni».

Fano, donna di 70 anni strangolata dal marito

Nel quartiere Poderino, a Fano, nelle Marche, un uomo ha strangolato la moglie, poi ha tentato di suicidarsi. L’uomo, secondo quanto riporta il Correre Adriatico, ha cercato di togliersi la vita ingerendo dei barbiturici.

Il delitto scoperto da uno dei figli della coppia

Il delitto è stato scoperto da uno dei figli della coppia che attendeva i genitori a cena: non vedendoli arrivare e non riuscendo a contattarli via telefono, è andato a cercarli, ha scoperto la tragedia e dato l’allarme chiamando il 112.  L’uomo è in stato di arresto, accusato di omicidio volontario, ed è al momento ricoverato in ospedale.

L’andamento di Borsa italiana e spread oggi 21 novembre 2023

Grande attesa per l’apertura delle Borse europee e per lo spread dopo la giornata altalenante di ieri, lunedì 20 novembre 2023. Milano ha chiuso in rialzo dopo una seduta tra alti e bassi, con +0,15% a 29.541 punti. Il differenziale tra Btp e Bund tedeschi riparte da 172,6 punti base.

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