Monthly Archives: Marzo 2020

Ho sognato il mondo post coronavirus che verrà

La pandemia ha proiettato il nostro ieri in un passato remoto. Le parole d'ordine ora sono resilienza e flessibilità. Senza dimenticare, in questo fermo biologico imposto, la riscoperta degli affetti profondi. Ma alla fine dell'emergenza, ci odieremo o ameremo di più?

«Ormai ho più paura della fine del mese che della fine del mondo» (Anonimo). In ogni passaggio d’epoca c’è un detonatore. Un’esplosione. Un’improvvisa accelerazione che pone fine a rivendicazioni, proteste, conflitti che si trascinavano da tempo. Ma che a certo punto, in un preciso momento si risolvono con un brusco, violento scoppio.

Negli ultimi due secoli è stata una grande guerra l’ante e il post di epocali rivolgimenti e trasformazioni. Ora invece è una pandemia, la prima nella storia, ad annunciare la nuova era. Che comunque vada e si risolva – sperando ovviamente bene – segna la fine del mondo e della società nei quali abbiamo sin qui vissuto.

Volendo indulgere nel vezzo del neo e del post, che di solito s’usa quando non si sa bene come classificare un nuovo corso sociale, un’inedita fase economica o culturale, azzarderemo una provvisoria società post coronavirus. Che ovviamente reca in sé fenomeni e processi che abbiamo già in parte visto e vissuto, coi quali, dunque ci siamo già confrontati. Ma che offre molto di inedito, anche nel portare a maturazione situazioni e tendenze da tempo in atto, ma sottotraccia. Oppure disinvoltamente lasciate passare. Perché ritenute mode effimere o fenomeni non in grado di incidere realmente sui vissuti individuali e sociali.

LA SOCIETÀ DELL’ECCESSO CHE SEGUÌ LA CRISI DEL 2008

«Nulla sarà più come prima». Si è detto all’indomani della Grande Depressione scatenatasi nel 2007-2008, e ripetuto allo sfinimento sino all’altro giorno. Ma in realtà appena la bufera è passata, abbiamo ripreso a fare quel che facevamo prima. Cambiando poco o niente, ma al contrario esasperando, stressando tutti gli ambiti, non solo di mercato e finanziari, che erano stati principali cause di quella Grande Crisi. Troppa finanza, troppi prodotti, troppi soldi, troppo mobili: ma nel momento in cui lo si denunciava e si mettevano in evidenza i grandi rischi sottesi a questa folle corsa, si proseguiva ancora più alacremente ad alimentare la società del troppo.

LEGGI ANCHE: Coronavirus, i consigli della psicologa Anna Oliverio Ferraris per tenere su il morale

IL COVID-19 FA APPARIRE IL NOSTRO IERI TERRIBILMENTE VECCHIO

Ora invece con il Covid-19, nel giro di un mese, è successo quel che non era accaduto negli ultimi 12-13 anni. Che l’intero modo di vita che abbiamo fatto tutti sino all’altro ieri ci apparisse e appaia terribilmente vecchio, obsoleto, insostenibile. Città chiuse, frontiere blindate, voli sospesi, turismo finito e tutti chiusi in casa, nemmeno fosse scoppiata la III Guerra mondiale: siamo messi così. Costretti a ripensare e a ripensarci in una società che improvvisamente scopre il senso vero e reale, dunque concreto di parole che abbiamo ripetuto sino allo sfinimento.

LA FLESSIBILITÀ ASSUME UN VALORE POSITIVO

Flessibilità e resilienza, riassumibili anche in sostenibilità, altro termine abusato, sono le parole da cui può partire un esercizio di immaginazione del futuro, che assuma la pandemia come momento di passaggio epocale. La flessibilità è da anni che viene di norma intesa negativamente e associata a precarietà. Ora però il Covid-19 ci dice che essere flessibili, veloci nell’adattarsi a nuove, impreviste condizioni è, e sarà sempre più, fondamentale, in una fase di lunga e forte transizione, quale è quella che ci aspetta. Essere resilienti, in tale prospettiva, diventa la prima regola per essere pronti e preparati all’emergenza. Chi è “resiliente”, da tempeste e sconquassi esce non indenne, certo ammaccato, ma non morto.

NELLA SOCIETÀ DIGITALE TUTTO SI PERDONA TRANNE L’INDECISIONE

Già: ma quanto è flessibile e resiliente il sistema Paese? Anche stavolta l’emergenza ha fatto e sta facendo uscire, con l’eccezione dei politici, il meglio degli italiani. Tuttavia come sistema Paese manca la consapevolezza che creatività e capacità di improvvisare sono qualità, dei plus. Ma se coniugati con strutture, anche di pensiero, solide. Con processi decisionali chiari, rapidi e capacità di mobilitazione massima. Il caso della Cina che è riuscita a sigillare 60 milioni di persone e in parte anche dell’Italia mostrano, appunto, che nella società digitale, mobile e virale tutto è concesso e perdonato, ma non l’indecisione e le risposte parziali, locali. Se c’era bisogno, ad esempio, di prova e controprova che una Sanità regionale, intesa in senso autonomistico, di fronte a flagelli sanitari globali potesse rivelarsi disastrosa, queste sono arrivate con il coronavirus.

OGGI BASTA POCO PER CAUSARE UN DEFAULT

La velocità – che non è fretta –  delle decisioni e dei provvedimenti, coordinati ai diversi livelli territoriali e istituzionali, è ormai fondamentale. Perché la società dell’istante, del momento non è solo un’immagine pubblicitaria. E il rischio che qualcosa o tanto vada storto, come ha scritto il sociologo Ulrich Beck più di 20 anni orsono, non è più una remota possibilità. Ma un’eventualità abbastanza probabile. Il classico incidente è quasi sempre dietro la porta. Per la semplice ragione che tutto, dal clima alle produzioni agricole, dalla finanza alle imprese, dalle organizzazioni urbane ai bilanci familiari e personali non ha più margini: è così tirato, stressato, portato al limite estremo, che basta poco per entrare in crisi, in default. Anche perché paracaduti, uscite di sicurezza e piani B sono quasi sempre teorici. Se il coronavirus ci ha gettati nel panico è perché viviamo in una società che è strutturalmente ansiogena.

IL GAP TRA TECNOLOGIA E IGNORANZA DIGITALE

Tuttavia nel disastro che si sta rivelando la pandemia, ci sono alcune ragioni di ottimismo. Per quanto in grande ritardo ci stiamo rendendo conto che quel che stiamo facendo ora in emergenza era da tempo nelle nostre possibilità. Scuole e università stanno infatti scoprendo che possono fare video-lezioni, e che la formazione a distanza è una soluzione praticabile anche in tempi normali. Cosi come lo smart working, lavoro agile o telelavoro, del quale si parla da 30 anni, ma nella sordità di aziende private e amministrazioni pubbliche. Siamo in coda all’Europa, anche come competenze digitali (solo il 20% degli italiani le ha). E così nell’epoca dell’home banking, ci troviamo di fronte a lunghe file di persone in strada, con mascherine e guanti, davanti agli sportelli delle banche. Ma anche nell’impossibilità di chiudere pratiche o atti amministrativi, perché l’ufficio comunale o statale, se non è stato chiuso, continua a chiedere documento e presenza personale, mentre potremmo risolvere da casa usando Skype e la firma digitale.

È GIUNTA L’ORA CHE LA SBUROCRATIZZAZIONE COMINCI DAVVERO

Ma perché #iorestoacasa sia una possibilità effettiva e non contingente, occorre che la tanto invocata sburocratizzazione cominci davvero. E contestualmente si dia avvio su larga scala a corsi e attività formative in ambito digitale rivolti a tutta la popolazione. Qualcosa di simile, nello spirito, al celebre programma tivù Non è mai troppo tardi che insegnò a leggere e scrivere a milioni di italiani. Evocazione questa che consente anche di segnalare un piccolo miracolo. «La Rai cambia i suoi palinsesti: più cultura e uno speciale per la scuola». Un titolo d’agenzia che riassume l’invito del ministro Dario Franceschini alla tivù di Stato di programmare musica, teatro, cinema, arte al fine di fare arrivare la cultura nelle case degli italianidurante questo periodo in cui sono chiusi cinema, teatri, concerti, musei.

TORNIAMO AGLI AFFETTI E ALLE RELAZIONI PROFONDE

Tuttavia l’opportunità più grande che ci offre la prima pandemia della storia non è solo il “fermo biologico” che ci viene imposto, ma soprattutto la riscoperta del “nucleo sociale primario”, ossia della famiglia. Dello spazio domestico come luogo di affetti e relazioni profonde ritrovate. Anche se non so prevedere, per mettere un po’ di veleno in conclusione, come questa stretta e costretta vicinanza a cui non eravamo abituati ci lascerà una volta finita l’emergenza. Ci ameremo o ci odieremo di più?

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Ci risiamo con l’esodo da Nord a Sud che espande il rischio contagio

Nella notte altri treni pieni di persone che fuggono dalla Lombardia e dalle zone più colpite dal coronavirus. Emiliano: «Ci state portando altri focolai». In Puglia già 158 positivi. La Regione Sicilia: «Il governo blocchi i collegamenti col Mezzogiorno».

Un nuovo e pericoloso esodo verso il Sud? Dopo il panico e la fuga dal Nord Italia in quarantena di sabato 7 marzo alle prime fughe di notizia sulla serrata della Lombardia, anche nel weekend successivo sono state segnalate “migrazioni” verso il Meridione. Nonostante i divieti e nonostante tutto il Paese sia stato dichiarato dal governo zona protetta per l’emergenza coronavirus.

EMILIANO: «CONTAGIO CHE AVREMMO POTUTO EVITARE»

Qualcuno però non sembra averlo capito. Tanto che su Facebook il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, con riferimento ai treni partiti nella notte, ha lanciato l’allarme: «Ci state portando tanti altri focolai di contagio che avremmo potuto evitare».

IN PUGLIA BALZO DI 50 NUOVI CASI IN UN GIORNO

In Puglia il 13 marzo si è registrato un balzo di 50 nuovi casi di pazienti positivi al Covid-19 che ha portato i contagiati a 158. «Di nuovo ondate di pugliesi che tornano in Puglia dal Nord. E con loro arrivano migliaia di possibilità di contagio in più», ha scritto il governatore.

«SPERO ABBIATE MASCHERINE E SIATE DISTANTI TRA VOI»

Ma come hanno fatto a muoversi? Emiliano l’ha spiegata così: «Avrete probabilmente esibito ai soldati alle stazioni le vostre legittime autocertificazioni sulla motivazione del vostro ritorno, spero che abbiate le mascherine e che teniate la distanza di un metro l’uno dall’altro in treno».

OBBLIGO DI QUARANTENA E DICHIARAZIONE DI PRESENZA

Poi ha ricordato: «In pochi giorni migliaia e migliaia di persone hanno fatto rientro in Puglia aggravando la nostra già drammatica situazione. Vi ricordo che appena arrivate dovete rinchiudervi in casa e che dovete stare lontani da genitori, fratelli, nipoti, amici, nonni e malati che rischiano di morire se contagiati». Le norme prevedono l’obbligo di quarantena domiciliare per 14 giorni e la dichiarazione della propria presenza sul sito della Regione Puglia.

LA SICILIA: «COSÌ VANIFICHIAMO I SACRIFICI»

Ma è tutto il Mezzogiorno a essere in fibrillazione. Anche l’assessore regionale alle Infrastrutture della Regione Sicilia, Marco Falcone, ha detto che «gli enormi sacrifici che gli italiani hanno accettato di compiere per fermare il coronavirus rischiano di essere vanificati dalle zone d’ombra del decreto #iorestoacasa come il mancato blocco dei treni. Nelle ultime ore, infatti, sembra che sia ripreso il flusso di viaggiatori che lasciano le Regioni del Nord per raggiungere via rotaia il Sud, un’emorragia che richiede divieti ancora più stringenti da Roma».

L’APPELLO PER IL BLOCCO DEI TRENI

Quindi l’appello lanciato al governo nazionale: «Si blocchino in giornata i treni per il Sud per chiudere così potenziali linee di contagio e garantire la tutela della salute della popolazione, dal personale viaggiante fino ai cittadini delle Regioni dove ancora il virus sembrerebbe darci il tempo di issare un argine. Da ieri in Sicilia il governo Musumeci ha dimezzato le corse degli autobus pubblici e privati e delle navi traghetto, sospendendo le linee non essenziali».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Cosa cambia per i lavoratori con il protocollo firmato sul coronavirus

Al via la messa in sicurezza delle aziende. Prevista una sospensione delle attività, l'uso di ammortizzatori sociali e smart working, una diversa organizzazione. I punti chiave dell'intesa raggiunta tra sindacati e imprese sotto la supervisione del governo sul tema della salute di impiegati e operai esposti al contagio.

Sembrava che a loro nessuno pensasse: i lavoratori che, senza possibilità di smart working da casa, sono costretti ad andare in azienda rischiando il contagio in piena emergenza coronavirus. Invece ora è stata raggiunta un’intesa tra sindacati e imprese proprio sulla loro sicurezza: dopo un lungo confronto andato avanti nella notte, anche in videoconferenza con il governo, è stato firmato il «protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro».

REGOLE DA ATTUARE IN OGNI LUOGO DI LAVORO

In cosa consiste? Lo ha spiegato la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, dopo la firma del documento: «È un protocollo molto chiaro e dettagliato che ora va attuato in tutte le aziende e in tutti i luoghi di lavoro anche utilizzando un periodo di sospensione della produzione e delle attività». Insomma «si potranno usare gli ammortizzatori sociali, il lavoro agile, una diversa organizzazione, sino a quando gli interventi di messa in sicurezza del luogo di lavoro non saranno ultimati».

«IMPOSTA A TUTTI LA MASSIMA RESPONSABILITÀ»

Cgil, Cisl e Uil in una nota congiunta hanno parlato di «un risultato molto importante in una fase che impone a tutti massima responsabilità nel garantire, prima di ogni altra cosa, la sicurezza e la salute dei lavoratori e delle lavoratrici».

Poi i sindacati hanno aggiunto: «Sappiamo che il momento è difficile e sappiamo che i lavoratori e le lavoratrici italiane sapranno agire e contribuire, con la responsabilità che hanno sempre saputo dimostrare, nell’adeguare l’organizzazione aziendale e i ritmi produttivi per garantire la massima sicurezza possibile e la continuazione produttiva essenziale per non fermare il Paese». È stata poi sottolineata «l’importanza della sottoscrizione del testo da parte del governo che, per ciò che è di sua competenza, favorirà la piena attuazione del protocollo».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Coronavirus: Italians sing from their windows to boost morale

A countrywide lockdown has not stopped Italians from bursting into morale-boosting song.

Cortina non vuol fare da rifugio ai furbetti del virus

La Regina delle Dolomiti, ancora scottata dai blitz anti-evasori dell'epoca Monti, si rifiuta di passare come "buen retiro" per gli sfollati della noia in quarantena. Strade sbarrate ai turisti e via i non residenti. I carabinieri: «Controlli capillari, anche nelle malghe».

Eternamente in bilico fra ricchezza e cialtroneria, fra intellighentsja e cafonaggine, immensamente vanziniana “due giri di Rolex”, Cortina questa volta si rifiuta di valicare il confine, di finire additata al generale ludibrio come ai tempi del blitz anti-evasori di Mario Monti, che ne danneggiò il business per un lustro buono e la reputazione a tempo indefinito. Un’amica ampezzana che sta facendo sloggiare gli affittuari stagionali perché no, non vuole guai, ci gira su whatsapp l’ordinanza emanata dal sindaco di Cortina Giampietro Ghedina.

STRADE SBARRATE AI TURISTI

È lunga trenta righe, ve la riassumiamo in una: verranno sbarrate le strade agli sfollati della noia in quarantena. Seconde case di proprietà o meno, in questo momento Cortina è aperta solo per gli ampezzani, cioè per i residenti, insieme con le sue strutture ospedaliere che, certo, non potrebbero accogliere folle di gitanti eventualmente infettati dal coronavirus: «Nonostante la vocazione turistica della nostra città, il soggiorno e le escursioni per turismo e svago non sono contemplate», scrive il primo cittadino, «ci si vede costretti ad evidenziare a quanti non residenti avessero intenzione di raggiungerci, che ciò si porrebbe in contrasto con le disposizioni normative, potendo configurare un illecito penale».

I CARABINIERI PRONTI AD ANDARE CASA PER CASA

Segue la nota del Comando provinciale dei carabinieri di Belluno, che chiarisce la questione: andrà a prendere i furbetti casa per casa, fino nelle malghe. E nessuno creda di farla franca: «A partire dal 13 marzo e per tutto il week end, il Comando realizzerà un capillare servizio di controllo del territorio provinciale battendo a tappeto la viabilità primaria e secondaria, sfruttando anche l’ausilio degli elicotteri (…) Non verrà tralasciato nulla: disposte pattuglie di Carabinieri Rocciatori per il controllo di rifugi e malghe e luoghi più impervi, ove i più sfacciati potrebbero pensare di trascorrere il fine settimana, lontani dalle proprie abituali residenze (…) e in spregio al bene comune».

NON DIAMO CORDA ALLE ACCUSE DI FURBIZIA

Nelle grandi città desertificate dai provvedimenti per arginare l’epidemia di coronavirus, tanti hanno infatti pensato bene di rifare le valigie appena riposte dopo la settimana bianca e, interpretando a proprio comodo le disposizioni del governo, hanno riaperto in fretta persiane e scuri sotto le Tofane, ma a Cortina la rabbia contro chi tenta di aggirare le norme è palpabile. Non vorremmo finire per dar ragione al New York Times che, tre giorni fa, ha tacciato il Paese di «furbizia» (scritto in italiano) e di intolleranza alle regole: eppure la «sfacciataggine» che i carabinieri del Comando di Belluno evocano le assomiglia molto.

LA RICONVERSIONE DELLA MIROGLIO

Proprio per questo, speriamo che, fra le tante nequizie nazionali fatte filtrare ai media e all’opinione pubblica straniera, venga dato sufficiente risalto al bellissimo gesto della Miroglio che invece, come ai tempi della Seconda Guerra Mondiale quando le fabbriche di tessuti e abbigliamento confezionato vennero riconvertite nella fabbricazione di paracaduti, lenzuola e coperte, ha raggiunto un accordo con la Regione Piemonte per produrre mascherine a uso sanitario, azzerando la problematica sollevata dalla 3M e dai suoi «limiti alle esportazioni» imposta dalla Germania (nota a margine: l’Europa uscirà a pezzi e piena di rancori da questa emergenza), la Miroglio Group di Alba ha dichiarato di essere in grado di fornire le prime 15 mila mascherine già dal 14 marzo. A regime, dovrebbe produrre 25 mila mascherine al giorno, in esclusiva per il Piemonte, dopo aver messo al lavoro tutti i suoi façonisti su un modello con alta percentuale di elastan e una struttura speciale, molto aderente. Al momento, sono in corso le verifiche per la certificazione da parte dell’Istituto superiore di Sanità.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Così parlò Stephen Hawking

A due anni dalla morte ricordiamo il grande scienziato attraverso le sue teorie sull'origine dell'universo, sul futuro dell'umanità e sull'esistenza di vita al di fuori della terra.

Il 14 marzo 2018 si spegneva a 76 anni uno degli scienziati e fisici più brillanti di sempre. Vera e propria icona, Stephen Hawking dedicò la sua vita alla cosmologia, in particolare allo studio dei buchi neri e alla ricerca delle origini dell’universo.

«Per me non esistono confini o limiti», scrisse nell’ultimo libro Le mie risposte alle grandi domande uscito postumo, «né a ciò che possiamo fare nelle nostre vite personali né quanto ai risultati che la vita e l’intelligenza possono raggiungere nel nostro universo». Quesiti che, alla luce dell‘emergenza coronavirus, sono ancora più attuali.

1. ESISTE UN DIO?

«Chi crede nella scienza pensa che il mondo sia governato da leggi immutabili. Queste leggi, oltre a essere immutabili, sono universali, nel senso che non si applicano solo ai corpi della superficie terrestre ma anche al moto dei pianeti e a tutto ciò che accade nel cosmo.

Stephen Hawking con papa Francesco (Ansa)

Per questo motivo, qualora dio esistesse, anche lui dovrebbe sottostare a tali leggi; magari le ha inventate proprio lui, ma anche in tal caso non ha la libertà di contravvenirvi. L’unica cosa su cui la religione può discutere con la scienza è l’origine dell’universo; io, personalmente, ritengo che si sia spontaneamente creato dal nulla».

LEGGI ANCHE: Stephen Hawking nella cultura pop

2. COME HA AVUTO ORIGINE L’UNIVERSO?

«Se le galassie si stanno allontanando significa che in passato devono essere state più vicine. È possibile stimare, basandosi sull’attuale velocità di espansione, che tra i 10 e i 15 miliardi di anni fa dovessero essere vicinissime; l’universo potrebbe aver avuto origine allora. Questa idea però non andava giù a molti scienziati, perché implicava che ci fosse stato un momento in cui le leggi fisiche non avevano validità. Io e Roger Penrose riuscimmo a dimostrare, attraverso dei teoremi geometrici, che l’universo doveva aver avuto un inizio, cioè il Big Bang: un momento in cui l’intero cosmo e tutto ciò che conteneva erano compressi in un singolo punto dalla densità infinita».

3. ESISTONO ALTRE FORME DI VITA INTELLIGENTI?

«Se ci fossero, sicuramente si troverebbero molto lontano, altrimenti ci saremmo già accorti della loro presenza. Non lo possiamo escludere, ma allora perché nessuno è ancora venuto a trovarci? Il fatto che ci possano essere però non implica che abbiano una intelligenza; noi diamo per scontata la vita intelligente, come se fosse una conseguenza inevitabile dell’evoluzione, ma non è detto che sia così. Potrebbe essere una fortunata coincidenza il fatto che dai tempi dei dinosauri non ci siano state altre collisioni della Terra con grandi asteroidi, cosa che avrebbe causato la nostra estinzione. Altri esseri su altri pianeti potrebbero non aver avuto la nostra stessa fortuna. Da parte mia preferisco pensare che là fuori ci siano altre forme di vita intelligenti, ma che finora siamo sfuggiti alla loro attenzione».

Hawking durante una conferenza a Londra nel 2015 (Ansa).

4. POSSIAMO PREDIRE IL FUTURO?

«Secondo una concezione deterministica della realtà, sì. In pratica, no. Pierre-Simon de Laplace fu il primo a enunciare questa possibilità: se noi conoscessimo le posizioni e le velocità di tutte le particelle dell’universo in un determinato istante, potremmo calcolare il loro comportamento in ogni altro momento del passato o del futuro. Questa idea è stata un dogma della scienza per tutto il XIX secolo, ma oggi non è più così. Anche se in linea di principio fosse possibile, nella pratica non lo è perché i calcoli sarebbero troppi difficili. Anzi impossibili: nel 1927 Heisenberg enunciò il suo famoso “principio di indeterminazione”, secondo cui è impossibile misurare simultaneamente l’esatta posizione e l’esatta velocità di una particella. Senza questi dati, non è possibile predire il futuro».

5. COSA C’È ALL’INTERNO DI UN BUCO NERO?

«Guardandoli dall’esterno è impossibile stabilirlo: hanno sempre lo stesso aspetto, indipendentemente da cosa contengano. I buchi neri sono delle regioni nello spazio dove la gravità è talmente forte che anche la luce viene risucchiata, e siccome nulla può viaggiare più veloce della luce, anche ogni altra cosa fa la stessa fine. Sembrerebbe che le informazioni riguardanti ciò che cade al loro interno siano perse per sempre, e questo mette in crisi ulteriormente il determinismo: non possiamo sapere che cosa uscirà da un buco nero; potenzialmente, qualunque insieme di particelle. Le uniche cose che sappiamo dei buchi neri sono la massa, la carica elettrica e il momento angolare; tuttavia, abbiamo scoperto che hanno anche una carica di “supertraslazione”, e questo potrebbe restituirci in futuro più informazioni di quanto credessimo possibile».

6. È POSSIBILE VIAGGIARE NEL TEMPO?

«In principio, la teoria della relatività generale permette i viaggi nel tempo; tutto ciò di cui c’è bisogno è un’astronave che vada più veloce della luce. Purtroppo, però, per superare tale limite è necessaria una potenza infinita, e per questo motivo Einstein ai suoi tempi escludeva la possibilità di un ritorno al passato. L’alternativa è quella di creare una curvatura spazio-temporale talmente grande da creare una piccola galleria nello spaziotempo, chiamata wormhole, che collega i capi opposti della galassia, così da poter andare da una parte all’altra in breve tempo. Sembra fantascienza ma è stato seriamente ipotizzato che una civiltà futura potrebbe essere in grado di farlo: spesso la fantascienza di oggi è la scienza di domani».

Stephen Hawking in video conferenza (Ansa).

7. RIUSCIREMO A SOPRAVVIVERE SULLA TERRA?

«Un sacco di cose minacciano la Terra. Le risorse si stanno prosciugando sempre più rapidamente e, soprattutto, abbiamo provocato i cambiamenti climatici. Credo che prima o poi la razza umana finirà devastata da uno scontro nucleare, una catastrofe ambientale o una collisione con un asteroide, come era successo per i dinosauri. Per questo dobbiamo cominciare ad abbandonare la Terra ed esplorare lo spazio: potrebbe essere l’unico modo per salvare noi stessi. Se non lo facciamo, rischiamo l’estinzione».

8. DOVREMMO ESPLORARE LO SPAZIO?

«Sì, anche se questo richiede dei sacrifici economici enormi. Pensa però all’Europa prima del 1492: probabilmente anche ai tempi c’era chi sosteneva che la “ricerca” di Colombo fosse un inutile spreco di soldi, poi invece le sue scoperte hanno completamente rivoluzionato il nostro mondo. Colonizzare lo spazio avrebbe degli effetti ancora più grandi. Luna e Marte sono i due posti più adatti dove andare; secondo la Nasa occorrerebbero solo 260 giorni per raggiungere Marte. Oltre il sistema solare invece, Proxima b, nel sistema Alfa Centauri, presenta delle somiglianze con la Terra. Oggi ci può sembrare fantasia pura raggiungere questi pianeti, ma bisogna pensare ai viaggi interstellari come un obiettivo a lungo termine, da raggiungere magari nei prossimi 200 o 500 anni».

Con Bill Gates.

9. L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SUPERERÀ QUELLA UMANA?

«Se i computer continuano a obbedire alla legge di Moore, secondo cui raddoppierebbero la loro memoria e la loro velocità di calcolo ogni 18 mesi, probabilmente sì. Se le macchine riuscissero a rendersi autonome rispetto agli umani e a perfezionarsi da sole, la loro crescita diventerebbe esponenziale. In tal caso, c’è da sperare che i loro obiettivi siano in sintonia con i nostri. I potenziali benefici dell’intelligenza artificiale sono enormi ma anche i rischi; c’è chi crede che gli umani saranno in grado di conservare il controllo sulla tecnologia ma non c’è da esserne così sicuri. Con l’avvento dell’Intelligenza artificiale cambierà ogni cosa: probabilmente riusciremo a sradicare la povertà e le malattie, ma al crescente potere della tecnologia dovremo far prevalere il buon senso con cui ne faremo uso».

Stephen Hawking all’università di Cambridge.

10. COME POSSIAMO CAMBIARE IL FUTURO?

«Personalmente credo l’umanità abbia due opzioni per il futuro: trovare nuovi pianeti su cui vivere e sfruttare con prudenza i benefici dell’intelligenza artificiale. La Terra sta diventando troppo piccola per tutti noi; il tasso di crescita quasi esponenziale della popolazione non sarà sostenibile nel nuovo millennio. Quel che è certo è che il futuro delle nuove generazioni dipenderà sempre più dalla scienza e dalla tecnologia, molto più di quanto non lo sia state per le generazioni passate. I giovani di oggi non possono non avere una cultura scientifica, essere liberi dalla paura della scienza e desiderosi di confrontarsi con i progressi scientifici e tecnologici, per imparare sempre qualcosa di nuovo. Un mondo dove solo una ristretta élite sia in grado di comprendere la scienza e le sue applicazioni sarebbe, a mio avviso, pericoloso e limitato».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Coronavirus: New Zealand PM says all arrivals must self-isolate

PM Jacinda Ardern says it is the world's strictest measure, with only Pacific islanders being exempt.

Africa v coronavirus: A challenge for the continent

How countries across the continent are preparing as the deadly virus spreads around the world.

Shincheonji and coronavirus: The mysterious ‘cult’ church blamed for S Korea’s outbreak

The Shincheonji Church is known for its secretive practices, which many say helped the virus spread.

France’s Macron defies coronavirus lockdown with elections

Not even the coronavirus emergency will stop the French voting in local elections.

Coronavirus: Italian patients treated in tents and warehouse

As Italy is overwhelmed with the coronavirus crisis, one hospital has to treat patients in warehouses.

France: Former surgeon goes on trial on child rape and assault charges

Joël Le Scouarnec, now aged 69, is charged with abusing four children between 1989 and 2017.

Bill Gates steps down from Microsoft board

The company's 65-year-old co-founder will spend more time on philanthropic activities.

Coronavirus: Donald Trump declares US national emergency

President Donald Trump says the decision will allow access to around $50bn of funding to combat the coronavirus.

Trump ha capito cosa rischia e dichiara l’emergenza nazionale

Dopo settimane passate a minimizzare la portata del coronavirus, il presidente Usa ha realizzato che in gioco c'è la sua rielezione. Stanziati 50 miliardi contro la pandemia negli Usa: «Garantiremo i test e i posti letto».

Il presidente americano Donald Trump ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale in tutti gli Stati Uniti per contrastare il diffondersi dei contagi da coronavirus.

Mette sul piatto almeno 50 miliardi di dollari a favore degli Stati Usa più colpiti per combattere il coronavirus.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’Italia dei balconi che cantano contro la paura

Migliaia di persone, ciascuna nella propria, casa, riunite per un messaggio di speranza. E nei cieli rimbombano l'Inno di Mameli e Bella Ciao. Ma anche Rino Gaetano e Diodato.

“Canta che ti passa”. L’Italia dei social chiama e i quartieri deserti si accendono attraverso migliaia di persone che si danno appuntamento fuori dai balconi, per intonare in coro canzoni e condividere ore di socialità nonostante l’isolamento del Paese. Da Nord a Sud, tutti rigorosamente rinchiusi in casa, ma comunque insieme. E con la musica come terapia contro la paura del Covid-19. Quella dell’inno di Mameli prima di tutti. E ad Agropoli, nella citta balneare in provincia di Salerno, su proposta del sindaco un’auto della municipale gira per le strade diffondendo al megafono sulle note dell’inno di Mameli.

Un po’ ovunque, invece, sono comparse bandiere tricolore esposte dalle finestre o sulle ringhiere: non si vedevano dagli ultimi Mondiali di calcio, ma ora hanno un senso ben diverso. A innescare la serie di flash-mob sonori, diventati in diverse città un appuntamento fisso, è stata la città di Napoli.

Non a caso uno dei video più visti sui social è quello girato in un quartiere popolare partenopeo, dove la gente del rione si aggiunge al coro della canzone Abbracciame di Andrea Sannino: luci accese e famiglie affacciate che cantano romanticamente il ritornello “Abbracciami più forte”. Parole che parlano di un gesto proibito in questo momento, ma che non vieta di sognare in attesa che l’emergenza finisca presto.

E se da giorni gli spettacoli sono off limits, c’è un nuovo modo di assistere ai concerti. A Tusa, un piccolo borgo dei Nebrodi nel Messinese, la street band Fanfaroma ha lanciato l’idea suonando i brani affacciandosi alle finestre e ai balconi, eseguendo musica per un pubblico che ha ascoltato allungando la testa dietro le tendine. Il concerto ha avuto come protagonisti tutti quelli che avevano uno strumento in casa ed erano in grado di usarlo.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Coronavirus: A mum’s life inside the first US containment zone

Quarantined at home in New York state, Tamar Weinberg describes her fears and frustrations.

Le Marche strette tra ricostruzione post-sisma ed emergenza coronavirus

Prima il terremoto poi i contagi. Eppure la piccola regione orgogliosa cerca di resistere facendo rete. Davvero.

C’è una regione che nella tregenda generale se la passa peggio delle altre anche se nessuno se ne accorge perché è una regione piccola, orgogliosa, abituata a ricevere niente e chiedere ancora meno.

Le Marche uniscono il Nord del Paese al Sud, ci passano tutti e da anni non vivono altro che emergenze.

PESANO ANCORA LE MACERIE DEL TERREMOTO

Prima un terremoto devastante che ha lasciato macerie persistenti, fuori e dentro, paesi uccisi, genti sfollate, migrate per sempre lungo la costa con in cuore la nostalgia del nulla perduto, ancora 51 chiese da aggiustare dopo tre anni e mezzo e i commissari straordinari alla ricostruzione si susseguono, come i tavoli, l’ultimo l’altro giorno ad Ancona: promesse rinnovate di interventi «non più procrastinabili» e semplificazioni burocratiche imminenti, quanto a dire che quel che si poteva fare non lo si è mai fatto per volontà del dio della Burocrazia che ha tanti figli ma nessun colpevole; e già pare un successo strepitoso aver rimosso più o meno tutte le macerie e sistemato più o meno tutti i profughi.

UN’EMERGENZA INFINITA

A tre anni e mezzo da una rovina che ha scavato un buco di sconfitta, per brevità chiamato cratere, nel quale trovano posto tutte le zone ferite: alla fine dello scorso agosto, 49 mila costruzioni inagibili, 30 mila marchigiani sfrattati, 2 mila soluzioni abitative di emergenza realizzate su 75 aree e un numero incalcolabile di interventi per la messa in sicurezza. Totale: circa un miliardo di spesa.

LEGGI ANCHE: La rivincita della stampa affidabile e l’inattività molesta degli influencer

Non c’è accordo neppure sul futuro: proroga dopo proroga, il governo di Roma ha fissato il 31 dicembre 2020 come termine ultimo dell’emergenza, ma il presidente regionale dell’Anci, Maurizio Mangialardi, pretende a nome di tutti, nessuno escluso che l’emergenza non finisca prima del 2024, il che la dice lunga nella fiducia corrente per la «ricostruzione non più procrastinabile» che nel frattempo non è neanche partita.

Adesso nella piccola regione, specie la sua parte meridionale, che chiamano affettuosamente «Marche sporche», non c’è più nessuno. Alle 10 di mattina non c’è più nessuno. Per le strade, lungo i mercati, sulla spiaggia del mare, non si vede nessuno

IL VIRUS NELLA REGIONE CUSCINETTO

Su questo scenario di guerra si è innestata l’altra calamità, quella del coronavirus. Curiosamente ma non troppo, le piccole Marche risultano la regione dove il contagio si va propagando a ritmi pesanti: al 10 marzo, 394 infetti con 13 decessi, sette solo nell’ultimo giorno, tutti della provincia di Pesaro e Urbino, con età fra gli 80 e i 94 anni, persone il cui già precario stato di salute è stato stroncato definitivamente dal virus. Nel solo capoluogo regionale, Ancona, i casi sono cresciuti di 18 unità in 24 ore, attestandosi a quota 81; 296 quelli di Pesaro (50 in più nelle 24 ore), che sconta la vicinanza a Rimini; 11 nel Maceratese, 6 nel Fermano. Nessuno, finora, nell’Ascolano dove, per non sbagliare, hanno dirottato alcuni rivoltosi del carcere modenese, uno dei quali subito stroncato da overdose di farmaci. Le Marche sono la regione-cuscinetto per i guai nazionali.

UN LAZZARETTO LUNGO E STRETTO

E la sua piccola pandemia nell’epidemia è curiosa ma fino a un certo punto: la regione, a forte vocazione calzaturiera, da tempo si rivolge all’estremo oriente per salvaguardare quel che resta del suo export. Rapporti privilegiati, sospettano in molti, continuati fino a poche settimane fa tra fiere di settore e viaggi di sponda, per scali agganciati, tanto più che si era ancora nella fase della minimizzazione del rischio, del semplice blocco dei voli diretti da e per la Cina.

LEGGI ANCHE: Siamo vinti da paura e menefreghismo e il coronavirus non c’entra

Ipotesi, niente di più, che testimoniano della disperata necessità di trovare una causa, una spiegazione, una luce, anche malata, che però tragga dal buio dell’ambiguità. Sta di fatto che adesso le Marche sembrano un lazzaretto lungo e stretto. E non si riesce a dire, cosa siano quei borghi selvaggi, quei villaggi meravigliosi, così disertati, ancora più derelitti.

PRENOTAZIONI IN FUMO

Già le prenotazioni per le vacanze di luglio, di agosto sono svanite, cancellate, rinnegate dalla prima all’ultima. Già troppi di quegli arrocchi di case stupendamente antiche erano abbandonati a loro stessi, spinti da una crisi endemica che ha fatto piazza pulita degli ultimi giovani, volati via come rondini d’autunno alla caccia di qualsiasi cosa ma lontano da lì. E già la processione di botteghe, di locali, di negozi languiva in un rosario di saracinesche decedute. Adesso nella piccola regione, specie la sua parte meridionale, che chiamano affettuosamente «Marche sporche», non c’è più nessuno. Alle 10 di mattina non c’è più nessuno. Per le strade, lungo i mercati, sulla spiaggia del mare, non si vede nessuno. C’è la morte in giro, solo lei.

LA DISPERAZIONE DIGNITOSA DI UN COMMERCIO CHE NON C’È PIÙ

Eppure questa gente. Che si rintana in casa ma non chiede niente. Che non smette di sorridere, perfino tristemente. Che aspetta un altro sole, certa che arriverà. E si adegua da sola, senza colpi di testa, senza assalti a forni e supermercati, infila le sue mascherine, fa la fila ordinata, evita litigi puerili e recupera la gentilezza. Altro che movida per viziati e capricci da influencer. Qui, nelle Marche, tutti fanno la loro parte anche se serve a poco, anche se poco resta da fare. Qui hanno fatto rete davvero: tra gli ospedali, e 400 posti letto tra già disponibili e nuovi dedicati, divisi per terapie intensive, semintensive, degenze specialistiche, post critici. E nessuno perde la testa e tutti accettano senza bestemmiare questo destino bastardo che stratifica tragedie. E già i negozi, quelli che sopravvivono, si colorano di cartoncini con gli sconti: -20%, -30%. Grida disperate, ma piene di dignità, a un commercio che non c’è più.

Qui hanno fatto rete davvero: tra gli ospedali, e 400 posti letto tra già disponibili e nuovi dedicati. Nessuno perde la testa e tutti accettano senza bestemmiare questo destino bastardo che stratifica tragedie

Chi scrive sabato ha trasgredito il coprifuoco di fatto, non ancora formalizzato. È andato a concedersi un piatto di paccheri allo scoglio nella trattoria che è seconda casa, è ufficio, è rifugio. C’è andato perché i gestori più che amici sono fratelli, perché riaprivano proprio quel giorno e tornare è il rituale di ogni anno che segna la fine dell’inverno, il princìpio di una stagione carica di allettanti promesse (e di paccheri, di spaghetti alle vongole, di strepitosi antipasti di mare). Non è che fossimo soli. Altri non s’erano rassegnati, insieme a noi, a questa punizione immeritata. Di spazio fra i tavoli ce n’era. Ma non avevamo mai vissuto una riapertura con tanta rassegnazione. La festa non c’era più, restava la disperata speranza. Abbiamo mangiato quasi con rabbia, scherzato con rabbia, poi una sigaretta sotto la luna quasi a chiederle: ma perché? Ma la luna non rispondeva. Siamo tornati a casa. In giro, neanche la morte. Siamo tornati a casa. E poi non siamo usciti più.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Perché donare sangue ora più che mai è importante e sicuro

Ancor prima dell'emergenza coronavirus, a inizio marzo, mancavano 2 mila sacche. I timori successivi hanno contribuiti ad aumentare l'allarme. E ora si moltipliccano gli appelli.

Già nella prima settimana di marzo, quando ancora le misure contro l’epidemia di coronavirus non erano state varate, mancavano 2 mila sacche di sangue e il problema è peggiorato nei giorni successivi, con molte persone che non sono andate a donare, un po’ per la paura del virus un po’ perché non era chiaro se fosse possibile uscire per andare ai centri di raccolta. In queste ore, dopo che ieri ha affrontato il tema anche il commissario della Protezione civile Angelo Borrelli, il caso è rimbalzato anche sui social, con appelli a donare anche da parte di persone famose, oltre che di politici da Salvini a Di Maio.

ALL’APPELLO MANCA IL 10% DEL NECESSARIO

Nella settimana tra il 2 e l’8 marzo sono state raccolte 2 mila sacche di sangue in meno rispetto al fabbisogno, segnala Giancarlo Liumbruno, direttore generale del Centro Nazionale Sangue (Cns), circa il 10% in meno di quanto necessario. «Si è riusciti a mantenere il sistema in equilibrio grazie alla compensazione interregionale» – spiega – «alle scorte e al fatto che in molte aree sono stati rinviati gli interventi non urgenti, ma se il trend rimane sarà impossibile garantire il fabbisogno, che normalmente è di circa 48 mila sacche alla settimana consumate per circa 1.800 pazienti al giorno».

LE RIPERCUSSIONI DELL’ALLARME IN LOMBARDIA

Tra le regioni in rosso, ha ricordato il presidente di Avis Lombardia Oscar Bianchi, c’è anche quella ‘epicentro’ dell’epidemia. «In Lombardia la produzione è stata di 7.712 unità a fronte di un consumo di 8.275, quindi abbiamo utilizzato 563 sacche in più« – spiega – «dei 2 milioni di sacche di sangue e plasma prodotte ogni anno nel nostro Paese, 500 mila, ben un quarto, vengono dalla Lombardia. Non solo il territorio lombardo è autosufficiente in questo campo, ma contribuisce storicamente alle necessità di altre zone, in particolare Lazio e Sardegna. E in queste regioni, come pure in Campania e Sicilia, l’allarme è già scattato».

CHIAMARE IL PUNTO DI RACCOLTA PER EVITARE ASSEMBRAMENTI

Anche un’altra regione ‘virtuosa’, il Friuli Venezia Giulia, ha denunciato un calo del 20% nella raccolta, e diversi presidenti di regione, dalla Campania al Molise, hanno fatto appelli a donare, condivisi anche da personaggi famosi, dallo scrittore Gianrico Carofiglio, che ha postato una foto su Twitter mentre donava, alla presentatrice Victoria Cabello all’attrice Lodovica Comello a Carlo Verdone, che ha ricordato che il Lazio è una delle regioni con più problemi in questo senso. Anche diversi politici nazionali, da Di Maio a Salvini a Zingaretti a Meloni hanno fatto appelli in questo senso. Il consiglio per tutti, specifica il Cns, è di chiamare il punto di raccolta per prenotare la donazione ed evitare assembramenti.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

I dati sui contagi da coronavirus in Italia del 13 marzo

Secondo i dati ufficiali della Protezione civile, sono 17.660 casi totali, di cui 14.955 gli "attivi", 1.266 i decessi e 1.439 i guariti.

Sono 14.955 i malati di coronavirus in Italia, 2.116 in più di ieri, mentre il numero complessivo dei contagiati – comprese le vittime e i guariti – ha raggiunto i 17.660. Il dato è stato fornito dal commissario per l’emergenza Angelo Borrelli in conferenza stampa alla Protezione Civile. I morti, invece, 1.266, 250 in un solo giorno. Ieri l’aumento era stato di 189 decessi. I guariti salgono a 1.439, 181 in più di ieri.

LEGGI ANCHE: Cosa prevede la bozza provvisoria del nuovo decreto sul coronavirus

MILANO, PREFETTO SEQUESTRA PIÙ DI 20 MILA MASCHERINE

Il prefetto di Milano, Renato Saccone, ha firmato, su disposizione del capo della Protezione civile, due provvedimenti di requisizione di mascherine. In un caso si tratta di 420 mascherine inviate dagli Stati Uniti a una ditta del milanese, nel secondo di 19.980 mascherine sottoposte a fermo dall’Agenzia delle Dogane perché destinate ad essere inviate in Brasile senza l’autorizzazione della Protezione civile. Le mascherine verranno consegnate oggi stesso alla Regione Lombardia per le finalità indicate dal Capo Dipartimento di protezione civile

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Powered by WordPress and MasterTemplate