Cosa si sta facendo per proteggere i senzatetto dal coronavirus

In Italia vivono oltre 50 mila clochard. In strada sono tra i più fragili di fronte alla pandemia. L'assistenza ora è ridotta, così i Comuni provano a prolungare i "piani freddo". Cercando di allestire mense e centri senza favorire gli assembramenti. Il problema spiegato (anche) con numeri e grafici.

Nella lotta per fermare il contagio da coronavirus c’è un paradosso. Alcune delle persone più fragili ed esposte sono anche quelle meno protette. È il caso dei senzatetto che vivono e si spostano nelle nostre città. Mentre il governo metteva in quarantena il Paese e sui social impazzava la campagna #iostoacasa, qualcuno ha ricordato che le migliaia di clochard d’Italia non hanno un posto dove andare.

IL 76% DEI CLOCHARD È DA SOLO

L’ultimo “censimento” che ha fotografato la situazione è stata una ricerca dell’Istat nel 2014. Secondo quella rilevazione le persone senza dimora in Italia sono 50.724. Di queste l’85% è uomo, il 58% straniero e la gran parte, il 76%, vive da solo.

L’ASSISTENZA VERSO DI LORO SI È RIDOTTA

Mario Furlan, fondatore e presidente dell’associazione di volontariato City Angels, spiega a Lettera43.it: «Oltre ai commercianti e agli imprenditori fra le categorie che più soffrono per questa situazione c’è sicuramente quella dei senza tetto, perché da quando è scoppiata la pandemia l’assistenza verso di loro si è ridotta».

NIENTE POSTI A SEDERE IN MENSA: UN SACCHETTO COL CIBO E VIA

Che la situazione sia molto delicata è dimostrato proprio da una stretta al sistema di assistenza: «Ci sono alcune mense che sono chiuse, perché bisogna evitare gli assembramenti e diventa difficile evitarlo in una struttura in cui la gente si mette in fila. Altre mense non sono state chiuse, ma non accolgono più con posti a sedere al tavolo: danno un sacchetto veloce e via. In generale ci sono meno associazioni di volontariato che assistono sulla strada i senza tetto perché alcuni volontari non se la sentono e hanno paura».

IL 60% VIVE NELLE AREE METROPOLITANE

Sempre secondo gli ultimi dati disponibili dell’Istat, il 38% dei senza dimora vive nelle regioni del Nord-Ovest. Seguite da quelle del Centro (23,7%), del Nord-Est (18%), poi Sud (11,1%) e Isole (9,2%). Di questi oltre il 60% vive nelle aree metropolitane, mentre il restante 28% vive in Comuni tra i 70 e 250 mila abitanti. Quindi i sistemi di supporto ai clochard si snodano soprattutto nelle città.

  • La distribuzione dei senza dimora da Nord a Sud.

Gli stessi City Angels, attivi in 21 città e presenti in nove centri della Lombardia, hanno dovuto ridurre le attivà sul campo. «Tutti gli inverni grazie all’Atm andavamo in giro con un autobus da 12 metri con l’autista che tutte le sere ci portava in vari punti della città», ha raccontato Furlan, «Facevamo salire i senzatetto e gli davamo da bere, da mangiare, vestiti, coperte, sacchi a pelo. Da quando c’è il coronavirus abbiamo dovuto rinunciarci».

VOLONTARI CON MASCHERINE E DISINFETTANTE

Le associazioni hanno dovuto ridisegnare l’assistenza intorno a un principio cardine: “evitare degli assembramenti”. «Oggi quello che facciamo è andare in giro in squadre di massimo tre volontari, con mascherine, guanti, e disinfettante stando bene attenti a evitare che ci siano gruppi di persone vicine». Una pratica non semplicissima, dato che spesso vivono in piccole comunità da 2-3-4-5 persone. «Dobbiamo andare andare da loro uno per uno singolarmente dicendo: “no, voi state là, non vi avvicinate”».

Il problema principale ora si concentra nella gestione dei centri, anche perché il 59% dei clochard intervistati dall’Istat raccontò che nel corso di un mese capitava spesso di appoggiarsi a strutture notturne per passare la notte e lavarsi.

MILANO PROLUNGA IL PIANO FREDDO

Per cercare di limitare il contagio tra i senza dimora il Comune di Milano ha deciso di prolungare il piano freddo tenendo attive quante più strutture possibile. «Noi», ha continuato il presidente degli Angels, «non possiamo buttare le persone sulla strada. A Milano abbiamo due centri di accoglienza, uno da 90 e uno da 10». Nel capoluogo meneghino i clochard sono circa 2.600 e nei mesi in cui è attivo il piano di Palazzo Marino le strutture sono in grado di ospitarli tutti. «Vista l’emergenza coronavirus il Comune ha deciso, giustamente, di tendere i senzatetto tutto il giorno lì, perché se a noi che stiamo in casa viene detto di stare in casa, i senzatetto non hanno una casa dove stanno?».

Il concetto alla base della decisione è quello di tenerli protetti e isolati evitando i movimenti in gruppo. Fuori dalle strutture, ha spiegato Furlan «è più difficile vedere come stanno, mentre nei centri c’è il medico e da noi se c’è qualcuno con tosse o febbre il medico lo tiene d’occhio». Nel 2014 gli intervistati avevano spiegato che in una settimana si appoggiavano almeno 3-4 volte a mense e dormitori. Questo implica un impegno quotidiano non indifferente. Nei centri gestiti da City Angels vengono prese tutte le precauzioni possibili: «Compatibilmente con gli spazi non riusciamo a farli stare a 2 metri l’uno dall’altro, ma mentre prima si dava da mangiare a tutti quanti insieme, adesso si fanno vari turni, il che vuol dire un lavoraccio, però cerchiamo di evitare che stiano a ridosso l’uno dell’altro».

CONSAPEVOLI E SPAVENTATI

Furlan ha raccontato a L43 che in generale tutti i clochard con cui sono in contatto hanno preso coscienza della situazione «molto bene». «I senzatetto», ha voluto chiarire, «non sono persone fuori dal mondo che non sanno cosa accade, loro sono informati esattamente quanto noi. Nei centri come il nostro c’è la televisione, quindi seguono i telegiornali e leggono i giornali gratuiti, sono perfettamente informati. Hanno paura anche loro del coronavirus. Alcuni di loro ci chiedono le mascherine e dunque capiscono molto bene la situazione».

PIANO ATTIVO ANCHE A BOLOGNA

A Bologna il piano freddo, che offre assistenza a circa 320 persone, resterà attivo almeno fino al 31 marzo. Ma, ha avvertito il presidente dell’associazione Piazza Grande, Francesco Carlo Salmaso, «bisogna farsi trovare pronti» se l’emergenza si prolungherà. Salmaso ha spiegato che in questa fase gli operatori si sono occupati di informare le persone più deboli: «Abbiamo puntato molto sull’informazione e sulle regole da seguire, chi passa la giornata in strada sa che deve evitare assembramenti e rispettare la distanza di almeno un metro con gli altri». Molti servizi, come le mense e i colloqui non urgenti con gli assistenti sociali sono stati sospesi. «Alcune mense stanno consegnando pranzo e cena da asporto», ha detto ancora il presidente, «e le persone aspettano il loro turno in fila, sono disciplinate. Nei dormitori sono state potenziate le misure igieniche e finora non ci sono stati contagi».

L’APPELLO DI AMNESTY PER TROVARE SOLUZIONI

Anche Amnesty International Italia ha lanciato un appello: «Come è stato recentemente messo in evidenza», ha sottolineato in una nota, «dalle associazioni di volontariato laiche e religiose e della Protezione civile, occorre garantire il diritto alla salute anche alle oltre 50 mila persone che in Italia vivono in strada, in situazioni di estrema precarietà, isolatamente o in quelli che potrebbero essere definiti assembramenti di necessità».

RISCHIANO PURE DI ESSERE DENUNCIATI

La loro salute, si legge ancora nella nota, «è a rischio, così come la salute di tutte le persone che incrociano. Le persone senza fissa dimora, infrangendo il divieto di rimanere in casa senza una valida giustificazione, rischiano per di più di essere denunciate per inosservanza di un provvedimento dell’autorità, che secondo l’articolo 650 del codice penale prevede l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda fino a 206 euro. Un primo caso si è già verificato a Milano il 12 marzo e, anche se la questura ha fatto sapere che la denuncia non andrà avanti, è evidente che questa situazione di fragilità va affrontata senza ulteriore ritardo». Infine: «L’appello a rimanere in casa avrà pieno senso solo se, pur in questo difficile momento, le autorità competenti assicureranno un alloggio provvisorio ma adeguato e sicuro alle persone che non hanno una casa in cui restare».

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