Daily Archives: 10 Marzo 2020

L’identikit dei malati di coronavirus: fasce d’età, sintomi e mortalità

I più colpiti sono gli anziani, ma tra i contagiati il 22% ha tra i 19 e 50 anni. Solo il 19% dei positivi mostrava condizioni critiche al momento del tampone. Cosa dice la prima analisi dell'Iss sui malati di Covid-19.

Il Covid-19 non è una malattia solo per vecchi. Eppure per settimane più di qualche esperto aveva sottolineato come il nuovo coronavirus colpisse soprattutto i soggetti più anziani e con patologie pregresse. In realtà guardando i primi dati dell’Istituto Superiore di Sanità si nota che lo scenario è più complesso.

Il 9 marzo l’Iss ha pubblicato una prima analisi approfondita sulle persone trovate positive alla Sars-CoV-2. Uno studio che fornisce indicazioni utili per capire l’evoluzione della malattia e i rischi che corriamo tutti, nessuno escluso.

Il primo dato che salta all’occhio è che il 22% dei pazienti risultati positivi al tampone ha un’età compresa tra i 19 e 50 anni. Questo, ha fatto notare l’Istituto, rende chiarissimo come tutte le fasce di età, compresi i giovani, debbano rispettare le norme per arginare il contagio.

OLTRE IL 75% DEI POSITIVI HA PIÙ DI 50 ANNI

Il resto dei soggetti colpiti ha più di 50 anni, in particolare il 37,4% dei malati ha tra i 51 e 70 anni e il 39,2% ha più di 70 anni. La fascia che invece ha meno casi in assoluto, solo l’1,4%, è quella tra 0 e 18 anni. Complessivamente quindi l‘età mediana dei pazienti è di 65 anni e tra questi ben il 63,1% è rappresentato da uomini. «In questi giorni», ha spiegato il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, «le cronache riportano molti esempi di violazioni delle raccomandazioni, soprattutto da parte dei giovani. Questi dati confermano come tutte le fasce di età contribuiscono alla propagazione dell’infezione, e purtroppo gli effetti peggiori colpiscono gli anziani fragili. Rinunciare a una festa o a un aperitivo con gli amici, non allontanarsi dall’area dove si vive è un dovere per tutelare la propria salute e quella degli altri, soprattutto i più fragili».

Nel documento viene anche evidenziato il rapporto tra le fasce d’età colpite e i decessi. Emerge così un primo dato sulla letalità, calcolata dividendo il numero di persone decedute per il totale dei malati, che conferma come il Covid-19 sia molto pericoloso per gli anziani. Sotto i 40 anni non è stata registrata alcuna vittima, mentre per le fasce sopra i 60 i numeri iniziano a crescere: il 10,4% aveva tra i 60 e 69 anni, il 31,9% tra i 70 e 79 e il 56,6% più di 80 anni. L”analisi evidenzia anche che due terzi delle persone decedute aveva tre o più patologie croniche preesistenti.

TRA I SINTOMI E LA DIAGNOSI POSSONO PASSARE 3-4 GIORNI

Secondo i dati il tempo mediano trascorso tra la data di insorgenza dei sintomi e la diagnosi è di 3-4 giorni. In particolare l’esito positivo al tampone è arrivato in tempi sufficienti a individuare la malattia nelle fasi iniziali. In 2.538 casi esaminati solo il 19% è stato individuato in pazienti in condizioni critiche. Il 10% dei casi è asintomatico, il 5% con pochi sintomi, il 30% con sintomi lievi, il 31% è sintomatico e il 5% ha sintomi più severi.

LA GUARIGIONE ARRIVA DOPO TRE-SEI SETTIMANE

Intanto dalla Cina sono arrivati nuovi dati sulle caratteristiche del Covid-19. Verso la fine di febbraio una missione dell’Organizzazione mondiale della Sanità ha inviato 25 esperti che in due settimane hanno viaggiato tra Wuhan, Shenzhen, Pechino, Chengdu e Guangzhou.

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I risultati, pubblicati a inizio marzo in un lungo report, hanno evidenziato delle linee di tendenza comuni. Una delle prime cose rilevate riguarda il periodo tra l’inizio della malattia e la guarigione con una durata media calcolata dalle tre alle sei settimane per i pazienti gravi e critici, che scende a due per i quelli leggermente malati.

I DUBBI SUI PAZIENTI ASINTOMATICI

Altro elemento chiave emerso nell’analisi riguarda i segni veri e propri della malattia. In quasi tutti i casi i pazienti asintomatici trovati positivi hanno poi manifestato i sintomi qualche giorno dopo l’esito del tampone. A questo proposito gli esperti hanno scritto che «la proporzione delle infezioni veramente asintomatiche non è ancora chiara, ma restano molto rare e non sembrano essere un importante veicolo di trasmissione del contagio». In generale, hanno spiegato i tecnici dell’Oms nel dossier, l’80% dei pazienti positivi al tampone ha avuto una malattia lieve e moderata, e tra questi la maggioranza guarisce. Il 13,8% invece ha una malattia più grave, mentre il 6,1% ha mostrato situazioni critiche.

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TRA I SINTOMI PIÙ COMUNI FEBBRE E TOSSE SECCA

Un altro dato molto importante riguarda le varie casistiche dei sintomi. In particolare studiando 55.924 casi di laboratorio è stato rilevato che i più comuni sono, in ordine di apparizione: febbre (87,9%), tosse secca (67,7%) spossatezza (38,1%), produzione di muco (33,4%), respiro corto (18,6%), mal di gola (13,9%), mal di testa (13,6%), dolori muscolari (14,8%), brividi (11,4%). Meno frequenti sono invece nausea e vomito (5%), congestione nasale (4,8%) e diarrea (3,7%). Rarissimi i casi di emottisi (sangue espulso dalla tosse) (0,9%) e congiuntivite (0,8%).

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Italiani all’estero, la paura di un’emergenza sottovalutata

Tra i nostri connazionali cresce il timore per la diffusione del contagio. E dal Regno Unito alla Francia, passando per la Spagna, prevale un sentire comune: che il coronavirus sia stato preso sottogamba. Il punto.

Regno Unito, Francia, Spagna, Germania. La sensazione, comune, è terribile: ciò che è accaduto in Italia potrebbe essere solo l’apripista di una larga diffusione del coronavirus su scala europa. Ci sono i numeri a suggerirlo e ad avvalorare l’ipotesi che l’escalation del contagio sia solo questione di settimane, se non addirittura di giorni.

LA PERCEZIONE DEL RISCHIO NON HA ANCORA ATTECCHITO

Ma c’è anche, seppur con minor rilevanza scientifica, la sensazione di chi in quei Paesi ci vive, ma tiene costantemente un orecchio incollato a ciò che accade da noi. È più che diffusa, infatti, tra gli italiani all’estero la percezione che l’avanzata del virus sia stata preso troppo a cuor leggero. Di fronte agli scenari post-apocalittici descritti dalle immagini che raccontano il giorno 1 del nostro lock-out, nessun altro in Europa sembra finora condividere quell’esigenza di cambiare vita e abitudini da noi costantemente ribadita a suon di #restateacasa.

Nel Regno Unito, dove un giornalista di Mediaset, Federico Gatti, sta da giorni documentando il suo auto-isolamento dopo essere sbarcato a Londra nel week-end da Milano senza particolari controlli sul suo stato di salute, la vita scorre ancora regolarmente. Tanti inviti a lavarsi le mani, quelli sì, ma nessuna drastica misura di contenimento sociale è stata per ora presa in considerazione, malgrado il rischio concreto di dover a breve costringere le persone a non uscire di casa al primo accenno di febbre. Nelle ultime 24 ore 64 nuovi casi di contagi hanno portato a un totale di 373 positività.

Eppure, stadi e pub sono pieni come da copione, confermano gli italiani, malgrado l’ipocrita messinscena della Premier League che ha cancellato la canonica stretta di mano pre-partita. Nessun sollecito allo smart working, né tanto meno accorati appelli alla cautela nella propria routine giornaliera da parte del governo di Boris Johnson. Non manca, invece, qualche risolino di scherno se si parla della gestione dell’emergenza da parte dell’Italia.

QUEI RECENTI APPELLI ALLA SOCIALITÀ DI MACRON

Non troppo dissimile sembra essere la situazione in Francia, pur lasciando da parte lo scriteriato e surreale raduno dei Puffi, che ha coinvolto 3.500 individui di per sé problematici. Appena tre giorni fa il presidente Emmanuel Macron e la consorte Brigitte incitavano gli abitanti a riempire le strade parigine, malgrado lo spettro Covid-19 iniziasse ad aggirarsi con fare piuttosto minaccioso dopo aver mietuto le prime vittime. Per il momento, le scuole sono state chiuse soltanto in Alsazia.

La Spagna, dal canto suo, sembra avvicinarsi faticosamente al modello italiano: le scuole sono chiuse a Madrid e, decisione di queste ore, anche le partite della Liga dovranno fare a meno degli spettatori per almeno due settimane. Annullata anche la maratona di Barcellona, che avrebbe richiamato migliaia di persone. Qualsiasi decisione sullo smart working, tuttavia, è deputata alle singole aziende. E di campagne che invitano alla cautela ancora non se ne vuol sentir parlare. A Valencia (nella cui regione i contagiati sono finora 46 sui quasi mille nazionali), dove l’Atalanta scenderà in campo a porte chiuse, nessuno ha preso in considerazione la cancellazione della storica tradizionale festa de Las Fallas. D’altra parte, il ministro della Sanità Salvador Illa ha ribadito che «non c’è bisogno di sospendere manifestazioni pubbliche».

Being an Italian abroad in this period is a very weird experience. Among other things, many of us can predict how the…

Posted by Serena Canu on Monday, March 9, 2020

In Belgio, così come nel Regno Unito, l’unica prevenzione è finora affidata al reiterato monito di lavarsi le mani più volte al giorno. Latitano, casomai, i tamponi. Le istituzioni suggeriscono il telelavoro e la rinuncia a meeting non indispensabili, ma non esiste alcun tipo di obbligo. Sconsigliato pure l’utilizzo dei mezzi pubblici da parte delle persone più vulnerabili. Anche, in questo caso, tuttavia, come in Germania, Danimarca e nel resto d’Europa l’impressione tra gli italiani è che sia stato fatto troppo poco. E, forse, che sia già troppo tardi per evitare di finire tutti, stavolta sì, barricati in casa.

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